Ferdinando Mittiga: differenze tra le versioni
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Dopo l'[[Unità d'Italia]], il vicegovernatore di [[Gerace]] si rivolse al possidente liberale Francesco Oliva, compaesano di Mittiga, affinché il brigante, che aveva ulteriormente ingrossato le sue fila con i disertori del disciolto [[esercito borbonico]], sciogliesse la sua banda e si consegnasse alle autorità; tuttavia, Oliva non si mosse da Gerace, essendo stato avvertito di un potenziale agguato ai suoi danni fra i monti di [[Cirella]], mentre Mittiga rispose che non si sarebbe mai consegnato<ref>Vittorio Visalli, I Calabresi nel Risorgimento italiano. Storia documentata delle rivoluzioni calabresi dal 1799 al 1862, Walter Brenner Editore, Cosenza, 1989, p. 335. </ref>.
Nel frattempo i piani del brigante, proclamatosi generale dell'esercito borbonico, divennero più ambiziosi: essendo venuto a conoscenza che erano in corso i preparativi per una spedizione in Calabria, guidata dal generale catalano [[José
Nella ritirata la banda passò da [[Ciminà]], dove i briganti fecero incetta di tutte le armi trovate, inseguiti, sotto una pioggia torrenziale, dai [[bersaglieri]] del generale De Gori. Mittiga dovette subito spostare l’accampamento, dirigendosi verso la sommità dello [[Zomaro]], da dove entrò nella piana di [[Gerace]]. La guarnigione si era di molto ridotta, mentre la banda di Mittiga si era ridotta a soli 40 uomini validi. Gli ufficiali spagnoli, liberatisi dei beni utili al finanziamento della rivolta popolare, si diressero verso i monti della [[Sila]] piccola, nei pressi di [[Serrastretta]].
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