Marina Warner: differenze tra le versioni

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Cruciale per la sua ispirazione narrativa – al di là degli assunti di fede da cui prenderà le distanze – sarà, per sua ammissione, l'educazione cattolica. Le forme del culto, l'agiografia, la pittura sacra, e la meditazione sulle immagini dei riti liturgici, saranno, insieme a quelle delle mitologie d'occidente e d'oriente, un archivio a cui l'autrice continuerà ad attingere. ‘Il Padre Perduto' appare dopo i primi due romanzi, nel 1988. Selezionato per il “Brooker Prize” ( poi andato a ‘Oscar e Lucinda' di [[Peter Carey]]), insieme alle opere di [[Bruce Chatwin]], [[David Lodge (scrittore)|David Lodge]], [[Penelope Fitzgerald]] e ai ‘Satanic Verses' di [[Salman Rushdie]], è nello stesso anno insignito del “Commonwealth Writers Prize” e del “PEN Silver Pen Awards”.
 
Il romanzo seguiva ‘Monuments and Maidens: The Allegory of the Female Form”, del 1985, saggio (premiato col “Fawcett Prize” nel 1986) sull'iconografia di stato, sull'uso nazionalista di quelle allegorie femminili che tanta parte avranno ne ‘Il Padre Perduto'. L'impegno nell'esame delle immagini della femminilità nella storia culturale – e non solo occidentale – sarà un tratto costante della sua produzione, anche se passerà dalla ricerca delle “figure eroiche” alla critica dei miti quotidiani (“volevo occuparmi delle figure […] più anonime e silenti […] del passato). È una ricercricerca condotta applicando alle tradizioni popolari la sua formazione (il primo libro nel 1972 è la biografia dell'ultima imperatrice della [[Cina]], ‘The Dragon Emperess: The Life and Times of Tz'uhsi 1851-1908, Emperess Dowager of China', all'inizio rifiutata da Chatto & Windus).
Insieme alla rappresentazione delle immagini, la sua area di riflessione ruota intorno ai modi in cui allegorie e simbolismi continuano a riverberare nella cultura contemporanea, e al ruolo dell'iconografia nell'immaginario e nella vita. L'attenzione alle pratiche della cultura popolare, che trasferisce dall'analisi alla narrativa, la avvicina agli intenti della scuola britannica degli “Studi culturali” e allo spazio contestato della produzione critica e letteraria (post-)coloniale con cui entrerà in un dibattito critico fruttuoso, specie dopo la pubblicazione del romanzo ‘Indigo'. Queste scelte estetico-politiche non hanno avuto sempre il favore della critica. Al contrario i suoi temi e il suo tipo d'approccio (comparatismo, transculturalismo, intreccio tra letterature, tradizione e moduli popolari e colti), che convoglia nell'indagine critica opere canoniche e delle culture “basse”, che con le sue tecniche sovrappone entro le strutture narrative, la storia, il folklore e l'arte, che indaga in quel luogo intermedio dei “generi misti”, all'inizio sono stati accolti con riserva dall'establishmernt letterario e critico britannico. Questo suo sottrarsi alle etichette, infatti, e il suo agire controcorrente nelle scelte professionali e nella pratica di scrittura saggistica e letteraria, le hanno anzi in un primo tempo guadagnato, se non ostilità, certo diffidenza sia nello stesso ambito femminista che in quello dell'accademia, insofferente alle sue scelte di “studiosa indipendente”. Dichiara Warner: “volevo la libertà […] di Londra […] Quando ho cominciato io […] era troppo presto per gli studi delle donne, per gli studi interculturali e per quel genere di comparatismo letterario […] Percorsi di questo tipo […] ancora non ne esistevano […] almeno in quell'ambiente accademico”. E citando [[John Updike]], che paragonava le favole a “frammenti di vetro erosi dal tempo e abbandonati dal mare sulla spiaggia”, Warner osserva, appunto, come questi “detriti” culturali, ultimi residui di esperienze antiche, possano offrire insospettate chiavi reinterpretative del passato non solo europeo, e possono essere utili a riprogettare futuri comuni. Negli ultimi lavori non le interessano più soltanto gli aspetti “vittimizzanti” delle discriminazioni di classe, di genere e di razza, bensì pure “i modi in cui all'interno dei sistemi di potere, delle strutture di relazione e delle gerarchie […] gli individui […] siano riusciti a costruire, a mantenere qualcosa per sé medesimi”. Vuole dunque raccontare “non solo l'oppressione”, ma anche le risorse investite nelle strategie di sopravvivenza. La densità multi-prospettica delle sue riscritture l'hanno fatta accostare alle opere di [[Angela Carter]] (amata da Warner pure per la “festività Rabelaisiana”) e di [[Antonia Byatt]].