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Le offensive alleate nel Pacifico stavano ormai convergendo sul Giappone stesso. Dopo l'isolamento della base di Truk la flotta nipponica si era rifugiata a Singapore, più vicino alle riserve di carburante del Borneo e al sicuro dalle incursioni aeree statunitensi ma troppo lontano per appoggiare la difesa del Pacifico meridionale. Di ciò ne approfittarono le forze di MacArthur, che tra febbraio e maggio 1944 [[campagna delle Isole dell'Ammiragliato|occuparono le isole dell'Ammiragliato]] per poi avviare, a partire da aprile, [[Campagna della Nuova Guinea occidentale|la liberazione]] della Nuova Guinea occidentale<ref>{{cita|Willmott et al. 2005|pp. 210-211}}.</ref>. Anche le forze di Nimitz nel Pacifico centrale avanzarono con decisione: bombardieri statunitensi avevano condotto alcune incursioni contro obiettivi strategici giapponesi a partire da basi situate nella Cina continentale, ma gli aeroporti cinesi erano difficli da approvvigionare (i rifornimenti dovevano giungere dall'India attraverso un ponte aereo che scavalcava l'[[Himalaya]], il cosiddetto ''[[The Hump]]'') e vulnerabili alle offensiva via terra dei giapponesi; gli statunitensi puntarono quindi alla conquista delle [[Isole Marianne]] nel Pacifico occidentale, dove potevano essere allestite basi aeree per i nuovi bombardieri a lungo raggio [[Boeing B-29 Superfortress]] rifornibili direttamente dagli Stati Uniti<ref>{{Cita|Garcon 1999|p. 102}}.</ref>.
Il 15 giugno le forze statunitensi diedero il via alla campagna delle Marianne [[Battaglia di Saipan|attaccando l'isola di Saipan]], cui fecero seguito gli sbarchi [[Battaglia di Guam (1944)|a Guam]] il 21 luglio e [[Battaglia di Tinian|a Tinian]] il 24 luglio. La minaccia al Giappone rappresentata dagli sbarchi nelle Marianne non sfuggì all'attenzione del comando nipponico e la flotta da battaglia, già mobilitata per tentare di ostacolare l'avanzata statunitense nella Nuova Guinea occidentale, fu dirottata per fronteggiare questa nuova minaccia. Tra il 19 e il 20 giugno le opposte flotte si affrontarono nella [[battaglia del Mare delle Filippine]]: in una serie di scontri aeronavali, i giapponesi persero tre portaerei e ben 360 aerei imbarcati senza riuscire a infliggere agli statunitensi perdite significative; il corpo aereo della Marina giapponese, faticosamente ricostruito nel corso di un intero anno dopo le perdite di piloti e velivoli patite a Midway e nelle Salomone, fu di fatto spazzato via nel corso di quest'unica battaglia, rendendo inutili ai fini bellici le portaerei superstiti. Le operazioni nelle
La caduta delle Marianne aprì la strada alla riconquista statunitense delle Filippine, fortemente voluta dal generale MacArthur benché Nimitz le preferisse un assalto anfibio all'isola di [[Formosa]]. Preceduto a metà settembre dall'occupazione dei punti strategici dell'arcipelago delle [[Palau (stato)|Palau]] (battaglie [[Battaglia di Peleliu|di Peleliu]] e [[Battaglia di Angaur|di Angaur]]), lo sbarco nelle Filippine ebbe inizio il 20 ottobre con [[Battaglia di Leyte|l'assalto all'isola di Leyte]], dove gli statunitensi stabilirono rapidamente una testa di ponte. La perdita dell'arcipelago avrebbe definitivamente tagliato fuori il Giappone dai pozzi petroliferi delle Indie olandesi, e la Marina nipponica era pronta a sacrificare le sue ultime risorse per impedirlo; fu concepito un piano ambizioso: la squadra delle portaerei, ormai quasi inutilizzabile per mancanza di velivoli imbarcati, avrebbe fatto da esca attirando a nord delle Filippine le portaerei statunitensi, permettendo a due gruppi navali di corazzate e incrociatori di convergere sulla flotta d'invasione ammassata davanti Leyte. L'azione portò, tra il 23 e il 26 ottobre, alla vasta [[battaglia del Golfo di Leyte]], la più grande battaglia navale della guerra; lo scontro segnò definitivamente la superiorità dell'aereo imbarcato contro le grandi navi armate di cannoni: i giapponesi furono completamente sconfitti perdendo, principalmente in attacchi aerei, quattro portaerei, tre corazzate e sei incrociatori pesanti<ref>{{cita|Willmott et al. 2005|pp. 252-253}}.</ref>.
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