Vincenzo Gemito: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
fix, punteggiatura tolti link inutilmente ripetuti. Testo un po' celabrativo e da rivedere.
Riga 18:
|Didascalia = Vincenzo Gemito, ''Autoritratto'', 1886
}}
Autodidatta, in gran parte, e insofferente ai canoni accademici, Gemito si formò attingendo dai vicoli del centro storico di Napoli e dalle sculture del museo archeologico. La sua prolifica attività artistica, che lo portò all'apice del successo ai ''Salons'' di Parigi nel 1876-77, fu interrotta a causa di un'intima crisi intellettuale, per via della quale si segregò dal mondo per diciotto anni; riprese la vita pubblica solo nel 1909, per poi spegnersi venti anni dopo.
 
La produzione gemitiana comprende vigorosi disegni, figure in terracotta e un gran numero di sculture, tutte ritraenti con un'elevata intensità pittorica scene popolaresche napoletane; tra le sue opere principali si possono ricordare il ''Pescatorello'', l<nowiki>'</nowiki>''Acquaiolo'' (l'originale fuso in argento si trova presso il [[museo del Cenedese]] di Vittorio Veneto - Treviso)'' , la statua di Carlo V sulla facciata del [[Palazzo Reale (Napoli)|Palazzo Reale di Napoli]], la ''Zingara'' e i numerosigli autoritratti.
Autodidatta e insofferente ai canoni accademici, Gemito si formò attingendo dai vicoli del centro storico di Napoli e dalle sculture del museo archeologico. La sua prolifica attività artistica, che lo portò all'apice del successo ai ''Salons'' di Parigi nel 1876-77, fu interrotta a causa di un'intima crisi intellettuale, per via della quale si segregò dal mondo per diciotto anni; riprese la vita pubblica solo nel 1909, per poi spegnersi venti anni dopo.
 
La produzione gemitiana comprende vigorosi disegni, figure in terracotta e un gran numero di sculture, tutte ritraenti con un'elevata intensità pittorica scene popolaresche napoletane; tra le sue opere principali si possono ricordare il ''Pescatorello'', l'''Acquaiolo (l'originale fuso in argento si trova presso il museo del Cenedese di Vittorio Veneto - Treviso)'' , la statua di Carlo V sulla facciata del [[Palazzo Reale (Napoli)|Palazzo Reale di Napoli]], la ''Zingara'' e i numerosi autoritratti.
 
== Biografia ==
[[File:Opera-sculture-gemito-giocatore-gemito-giocatore.jpg|thumb|Il ''Giocatore di carte''|left]]
=== Giovinezza ===
Vincenzo Gemito nacque a Napoli il 16 luglio 1852. Della sua famiglia originaria non ci sono pervenute notizie, se non a proposito delle pressanti ristrettezze economiche che spinsero i genitori ad affidarlo, quando aveva appena un giorno, nella [[ruota degli esposti]] dello [[Basilica della Santissima Annunziata Maggiore|Stabilimento dell'Annunziata]], dove venivano collocati i bambini abbandonati. Il 30 luglio dello stesso anno venne affidato alle cure di una certa Giuseppina Baratta e del suo consorte Giuseppe Bes. Alla morte di quest'ultimo, la Baratta sposò in seconde nozze un povero muratore, Francesco Jadiciccio, quel «mastro Ciccio» raffigurato in vari disegni giovanili del Gemito.<ref name=EB>{{cita|Bianchi||EB}}.</ref>
Riga 30 ⟶ 29:
Di indole assai turbolenta e riottosa, il giovane Gemito ebbe un'adolescenza assai irrequieta, allietata solo con l'amicizia che lo legò con un suo coetaneo, Antonio Mancini (detto «Totonno»), con il quale iniziò ad assaporare anche i confini di pittura e scultura. L'iniziale formazione artistica del Gemito avvenne nell'ambito della bottega di [[Emanuele Caggiano]], scultore di gusto accademico, che conobbe a nove anni mentre faceva da fattorino a un sarto; ma poco dopo, nel 1862, il giovane Vincenzo passò sotto la guida di [[Stanislao Lista]], che gli trasmise i rudimenti dello studio del vero nella scultura.
 
Il 23 aprile 1864 venne pure ammesso alall'[[Accademia di belle arti di Napoli|Regio Istituto di belle arti]], ma ben presto lasciò le chiuse aule dell'accademiaAccademia, preferendo prendere ispirazione dall'atmosfera vibrante dei vicoli del [[centro storico di Napoli]]. In questi anni si pone pure l'esordio artistico del Gemito, che nel 1868 espose alla Società promotrice di belle arti di Napoli il ''[[Giocatore di carte]]'', scultura che attinge il suo spunto narrativo proprio dall'ambiente popolare napoletano, cristallizzata nella figura dello ''scugnizzo'' che gioca a carte. Questa novità viene ribadita dallo scultore con l'esecuzione nel 1869 del ''Ritratto del pittore Petrocelli'', dove confermò la propria ribellione nei confronti dell'arte scultorea ufficiale, in bilico tra gli ultimi esiti delle correnti canoviane e le incertezze del [[Romanticismo]].<ref name=EB/>
 
=== I primi successi ===
[[File:Portrait of the painter Vincenzo Petrocelli by Vincenzo Gemito, 1869.jpg|thumb|Scultura di Vincenzo Gemito, dal titolo "''Ritratto del pittore [[Vincenzo Petrocelli]]"'', 1869]]
==== Formazione artistica ====
[[File:Gemito Ritratto1a50.jpeg|thumb|Diomede Marvasi, ''Ritratto di Gemito con il figlio di Diomede Marvasi, prefetto di Napoli e suo mecenate'']]
Vincenzo Gemito realizzò un busto di [[terracotta]] in onore di [[Vincenzo Petrocelli]], nel 1869.<ref>Emanuela Bianchi (2000). [http://www.treccani.it/enciclopedia/vincenzo-gemito_(Dizionario-Biografico)/ Gemito, Vincenzo] ''Dizionario Biografico degli Italiani'', volume 53. Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana.</ref>.
Frattanto, Gemito riunì attorno a sé un folto gruppo di artisti insofferenti alla codificazione accademica dell'arte scultorea, che contava - oltre all'inseparabile "Totonno" - anche [[Giovanni Battista Amendola]], [[Achille D'Orsi]], [[Ettore Ximenes]], [[Vincenzo Buonocore]] e [[Luigi Fabron]]; insieme a quest'ultimi si rifugiò nei sotterranei del [[complesso di Sant'Andrea delle Dame]], dove stabilì il proprio ''atelier''. Fu in quest'ambito che Gemito - tra il 1870 e il 1872 - eseguì la pregevolissima serie di testine di terracotta, «mirabili per vivacità di sguardi e naturalezza di atteggiamenti»; di questi anni sono ''Moretto'', ''Scugnizzo'' e ''Fiociniere''. Ad esser ritratti erano trovatelli come lui, presi per le strade del centro antico e allettati per pochi soldi. [[Salvatore Di Giacomo]] ci restituisce un'immagine molto vivida dello studio di Gemito:<ref>{{cita|Di Giacomo||SDG}}.</ref>
{{citazione|Gli adolescenti popolani ch'egli [...] si conduceva in quell'antro afferivano all'impasto mirabile della sua cera e della sua creta magnifici brani di nudità, riarsa dal nostro sole ardente e intinta come nel colore del bronzo}}
 
Nel 1871 vinse il primo premio del concorso indetto dall'Istituto delle Belle Arti di Napoli, che garantiva ai vincitori una borsa di studio per un pensionatoPensionato artistico a [[Roma]]. Le opere che portò come prova del concorso furono l'altorilievo ''Giuseppe venduto dai fratelli'' (che gli valse le simpatie del professore di pittura [[Domenico Morelli (pittore)|Domenico Morelli]]) e la scultura del ''Bruto'' che - raffigurando il [[Marco Giunto Bruto|patrizio romano]] avvolto in un sovrabbondante panneggio - rappresenta la prima immagine esplicitamente desunta dal mondo classico romano, che Gemito proprio in quegli anni stava studiando al [[museo archeologico nazionale di Napoli|museo archeologico nazionale]].<ref name=EB/>
{{Doppia immagine|sinistra|Pescatore Gemito Castel Nuovo Napoli n03.jpg|189|GemitoAcquaiolo.jpg|149|Il ''Pescatore''|L'''Acquaiolo''}}
Nel 1873 conobbe Matilde Duffaud, fanciulla dal carattere docile e sottomesso che divenne sua compagna e modella nel suo nuovo ''[[atelier]]'' sulla collina del Mojarello, a Capodimonte. Allo stesso anno risalgono i busti in terracotta raffiguranti ''Francesco Paolo Michetti'' e ''Toton l'amico mio'', e quelli bronzei raffiguranti ''Domenico Morelli'' e ''Giuseppe Verdi''. Dell'anno successivo<ref>{{cita web|url=http://www.coliseum.it/mostra-foto?libro=8832&titolo=Vincenzo%20Gemito%20fotografia%20di%20G.%20Marvasi&autore=Marvasi%20G|titolo=Marvasi G. Vincenzo Gemito fotografia di G. Marvasi|accesso=6 maggio 2016}}</ref> è invece il ''Ritratto di Guido Marvasi'', figlio di quel prefetto Diomede che sarà uno dei primi mecenati dell'artista.<ref name=EB/>
 
==== L'astro del ''Pescatorello'' e dell<nowiki>'</nowiki>''Acquaiolo'' ====
Nel 1876 Gemito trasferì il proprio studio presso il museo archeologico di Napoli, onde esercitarsi nel rilievo delle famose statue di Ercolano e Pompei che vi erano raccolte. L'anno successivo il giovane artista partenopeo partecipò all'Esposizione nazionale di belle arti di Napoli e al ''Salon'' parigino dove, presente per intercessione di [[Alphonse Goupil]] (figura assai influente nel panorama artistico della Parigi di quegli anni), ottenne uno sfolgorante successo con il ''Gran pescatore'' o ''Pescatorello'', che nell'opera appare in equilibrio precario su uno scoglio, nell'atto di trattenere al petto dei pesciolini guizzanti.<ref name=EB/>
 
Abbagliato dalla notorietà acquistata nel paese d'Oltralpe, nel 1877 Gemito si trasferì nella villa a [[Poissy]] di [[Ernest Meissonier]], dove venne raggiunto dall'amico Mancini e dalla Duffaud; in Francia fu segnato dal successo e dal prestigio professionale ma non dal benessere economico, a causa di una cattiva amministrazione dei beni. Nel frattempo, fu espositore al Salon del 1878, dove ottenne buon successo di pubblico con il ritratto d'argento di [[Giovanni Boldini]] (residente in quel periodo a Parigi) e quello di [[Jean-Baptiste Faure]], celebre baritono e collezionista d'arte. Al Salon successivo presentò il ''Ritratto del dottor Landolt '' e quello di ''Federico de Madrazo'', vincendo per i meriti artistici la medaglia di terza classe; a quello del 1880, dove ottenne la medaglia di seconda classe per la statuetta bronzea a figura intera ritraente il Meissonier.<ref name=EB/>
 
Abbagliato dalla notorietà acquistata nel paese d'Oltralpe, nel 1877 Gemito si trasferì nella villa a [[Poissy]] di [[Ernest Meissonier]], dove venne raggiunto dall'amico Mancini e dalla Duffaud; in Francia fu segnato dal successo e dal prestigio professionale ma non dal benessere economico, a causa di una cattiva amministrazione dei beni. Nel frattempo, fu espositore al ''Salon'' del 1878, dove ottenne buon successo di pubblicofurono connotati il ritratto d'argento di [[Giovanni Boldini]] (residente in quel periodo a Parigi) e quello di [[Jean-Baptiste Faure]], celebre baritono e collezionista d'arte. Al ''Salon'' successivo presentò il ''Ritratto del dottor Landolt '' e quello di ''Federico de Madrazo'', vincendo per i meriti artistici la medaglia di terza classe; a quello del 1880, dove ottenne la medaglia di seconda classe, per la statuetta bronzea a figura intera ritraente il Meissonier.<ref name=EB/>
[[File:Gemito, Vincenzo (1852-1929) - 1887 - Autoritratto.jpg|thumb|''Autoritratto'' del 1887]]
Tornato a Napoli, all'inizio del 1880, Gemito lavorò alacremente per più di un anno sull<nowiki>'</nowiki>''Acquaiolo'', raffigurante un giovane venditore di acqua fresca, dalla postura oscillante; la statua, chiaramente ispirata al ''Satiro danzante'', rinvenuto nella pompeiana [[casa del Fauno]], venne destinata a [[Francesco II delle Due Sicilie]], ex re di Napoli, in esilio nella capitale francese.<ref name=EB/>
 
In seguito alla precoce morte dell'amata Matilde per [[tisi]], avvenuta nell'aprile del 1881, Gemito sopraffatto dal dolore si ritirò a [[Isola di Capri|Capri]], cercando nella quiete idilliaca e agreste di quelle terre un ristoro e un oblio; sull'isola - dove rimase per alcuni mesi - eseguì numerosi disegni, principalmente ritratti. L'anno successivo s'invaghì con ladella modella di Domenico Morelli, a tal punto da farla sua sposa: era costei Anna Cutolo, detta Nannina, e da quest'unione - che si rivelerà ispiratrice di molte opere del Gemito - nacque nel 1885 la figlia Giuseppina. Il successo periodo, che vide l'esecuzione de ''Il filosofo'', un presunto ritratto di mastro Ciccio (l'amato patrigno), culminò nel 1883, quando avviò una fonderia privata a [[Mergellina]], grazie ad un finanziamento particolarmente generoso del barone belga [[Oscar de Mesnil]].
[[File:Palazzo Reale di Napoli - Carlo V d'Asburgo.jpg|thumb|La statua sulla facciata del palazzo Reale di Napoli ritraente Carlo V, frutto dell'ispirato scalpello del Gemito|left]]
 
=== La crisi intellettuale ===
L'eco della fama del Gemito raggiunse anche la Corona sabauda, tanto che [[Umberto I]] subito gli offrì un incarico assai onorevole. Sul prospetto principale del [[palazzo Reale di Napoli]], infatti, erano state ricavate otto nicchie, dove il monarca volle collocare altrettante statue raffiguranti i più illustri sovrani delle varie dinastie ascese al trono partenopeo: all'artista venne affidata pertanto l'esecuzione di una statua effigiante [[Carlo V d'Asburgo]]. Disorientato dall'insolita tematica storica (per la quale nel 1885 ripartì per Parigi, dove si consultò con Meissonier), l'artista poté realizzare solo il modello in gesso e il bozzetto bronzeo del ''Carlo V'', non riuscendo a tradurla in marmo: l'opera, che era concepita accademicamente all'antica ed era totalmente avulsa dalla sua poetica, gli causò un grave esaurimento nervoso che lo portò al ricovero nella casa di cura Fleuret. Gemito fuggì dal nosocomio nel 1887, per chiudersi in isolamento volontario nella sua dimora a via Tasso, dove trascorse - in condizioni quasi ascetiche, tra deliri e digiuni - ben diciotto anni, vigilato dalla moglie, dalla figliuola e dal patrigno. In questo ventennio Gemito si diede prevalentemente alla grafica, alternando momenti di diligente lavoro a fasi di ira e follia.
 
Nel periodo di segregazione, al di fuori delle mura dell'abitazione al Vomero, Gemito nel frattempo raccolse un vivo successo personale, confermato dai numerosissimi riconoscimenti ufficiali: a [[Buenos Aires]], nel 1886, vinse la medaglia d'argento di prima classe; a Parigi, nel 1889 e nel 1890, il ''grand prix'' per la scultura; ad Anversa, nel 1892, il diploma d'onore; a Parigi, di nuovo il ''grand prix'' nel 1900. Intanto [[Gabriele d'Annunzio]] ne cantava la potente vitalità, degna d'un semidio ellenico:
{{citazione|Egli aveva nome Vincenzo Gemito. Era povero, nato dal popolo; e all'implacabile fame dei suoi occhi veggenti, aperti sulle forme, si aggiungeva talora la fame bruta che torce le viscere. Ma egli, come un Elleno, poteva nutrirsi con tre olive e con un sorso d’acqua}}
[[File:Vincenzo gemito, zingara, 1885.JPG|thumb|La ''Zingara'']]
 
=== Gli ultimi anni e la morte ===
Gemito guarì dalle allucinazioni solo nel 1909 all'età di cinquantasette anni, quando - morte la madre e la moglie - emerse dal suo «crepuscolo tragico» (come lo definì Di Giacomo) per consegnare il ''Pescatorello'' a Margherita da Elena d'Orléans, duchessa d'Aosta; quest'ultima lo persuaderà a partecipare alla VIII Biennale di Venezia con diversi disegni sulla realtà vernacola napoletana, che lo resero poi universalmente celebre. In questo periodo ritrasse principalmente figure femminili, quali ''zingare'' o popolane, in disegni che ormai non erano più semplici bozzetti preparatori, ma veri e propri punti d'arrivo: degna di menzione anche la fitta produzione autoritrattisticadi autoritratti, dove Gemito ci appare con una barba fluente e l'aspetto da profeta michelangiolesco, e le diverse sculture, delle quali si segnalano ''Sorgente e Giovinezza di Nettuno'' (1910), ''Medusa'' (1911), e varie opere ascrivibili al quadriennio 1914-18 (''Inverno'', ''Tempo'', ''Vasaio'', ''Fanciulla greca'', ''Sibilla Cumana'', ''Sirena''), dove Gemito si presenta convertito al nuovo gusto [[simbolismo|simbolista]].<ref name=EB/>
 
Furono questi anni assai intensi: scolpì la ''Madonnina del Grappa'', stese un disegno per una ''Fede'', da collocare nel monumento funebre di [[Pio X]] (scomparso nel 1914) e infine fu espositore, nel 1913 e nel 1915, alla XI Esposizione di belle arti di Monaco e all'Esposizione universale di San Francisco. Visitò assiduamente [[Roma]], dove ritrasse numerose ''ciociare'' e ritrovò l'amico Mancini, dal quale si era separato trent'anni prima, a causa di un aspro litigio; espose pure alcune opere a una mostra organizzata dalla rivista ''La Fiamma'', incentrata proprio sulla produzione plastica gemitiana. In questi anni fu spinto dal desiderio di ottenere un'abitazione e una fucina presso [[Castel Sant'Angelo]], costruzione indissolubilmente legata al nome dell'invidiato [[Benvenuto Cellini]]; sebbene si confrontasse con diversi parlamentari del tempo (arrivando pure a chiedere un'udienza al Re), Gemito non ottenne mai il sospirato alloggio a causa di varie lungaggini burocratiche che dilazionarono la vicenda. Ormai rassegnato a non ottenere il castello, l'artista fece quindi ritorno a Napoli, per non fare più ritorno nell'Urbe.<ref name=EB/>
 
Dopo un ultimo, inappagante, viaggio a [[Parigi]] (1924) Gemito vide le proprie energie creative lentamente esaurirsi: la sua fama, tuttavia, era ancora duratura a spegnersi, tanto che lo Stato Italiano (su volontà di [[Benito Mussolini]]) gli assegnò un premio di centomila lire, e mostre antologiche sulla sua produzione si tennero nella galleria di Lino Pesaro a [[Milano]] (1927) e nel [[Maschio Angioino]] di Napoli (1928).
 
Uno degli ultimi ammiratori, patrono e collezionista di Gemito fu Edgardo Pinto (morto nel 1933) che nel 1919 venne nominato Direttore della sede di Napoli della Banca Italiana di Sconto, che continuò la sua attività come Banca Nazionale di Credito .
Edgardo rimase a Napoli, come Direttore della Filiale fino al 1923, quando fu nominato Consigliere della Banca Nazionale di Credito e si trasferì a Milano. Tra il 1919 ed il 1923 (ma forse anche dopo, da Milano) Edgardo fu mecenate di Vincenzo Gemito negli ultimi anni della sua vita (morto 1929) ed ebbe molte sue importanti opere originali. Esiste una vecchia foto sbiadita del suo Studio che mostra la sua collezione di molti bronzi e di disegni di Gemito, tra i quali un busto di Verdi, una testina dell'acquaiolo, un ''Busto di Fanciulla napoletana'' ed altre opere non identificabili, tra le quali una grande testa baffuta inclinata a sinistra.
Diverse opere furono acquistate da Edgardo, per la Sede del Banco a Napoli (in particolare uno splendido grande ''Sole'' d’orod'oro e d'argento), ove sono forse ancora esibite nell’ingressonell'ingresso.
 
Vincenzo Gemito, infine, morì a Napoli il 1º marzo 1929. Il suo funerale ci viene narrato da [[Alberto Savinio]], che ne esaltò il versante ellenico:<ref>{{cita|Savinio|p. 91|AS}}.</ref>
Riga 87 ⟶ 84:
La ricezione che la produzione artistica gemitiana ha avuto in Italia e nel resto del mondo ha subito fasi alterne di apprezzamento e di oblio da parte dei critici e del pubblico. Al successo mondano ottenuto ai ''Salons'' di Parigi nel 1876-77 seguì infatti il terribile tracollo psicologico che colpì l'artista nel 1887, per via del quale si alienò nella sua abitazione al Vomero; quando riprese a partecipare alla vita artistica italiana, nel 1909, Gemito era ormai considerato un uomo folle e perturbato.<ref>{{cita news|editore=La Repubblica|autore=Mario Franco|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/11/28/a-capodimonte-le-opere-di-gemito-che-furono-salvate-dal-suo-mecenateNapoli14.html|titolo=A Capodimonte le opere di Gemito che furono salvate dal suo mecenate|data=28 novembre 2014|accesso=14 maggio 2016}}</ref>
 
Ma se da un lato sembrava essere travagliato da un'irreversibile crisi, dall'altro Gemito era venerato come un vecchio patriarca: nel 1905 [[Salvatore di Giacomo]] ne scrisse una corposa biografia, e il suo nome lo ritroviamo anche nelle commedie di [[Raffaele Viviani]]. L<nowiki>'</nowiki>''Acquaiolo'', inoltre, è stato un imprescindibile riferimento iconografico per [[Giulio Aristide Sartorio]] per il suo [[film muto]] ''Il mistero di Galatea'', realizzato nel 1918 mentre l'artista si allontanava da Roma; la pellicola, che non fece che confermare l'influenza culturale della produzione gemitiana, impiega la scultura come chiave risolutiva del mistero di Galatea, depositaria dei segreti della bellezza e delle arti. Cospicua è stata anche la mole di articoli, scritti, recensioni su riviste, e quotidiani del tempo che hanno contribuito ad alimentare la fama dell'artista.<ref name=dp/>
[[File:Palazzo zevallos, sala di vincenzo gemito.JPG|thumb|Sculture di Vincenzo Gemito in esposizione al [[palazzo Zevallos]], a Napoli]]
Gemito fu particolarmente apprezzato da [[Giorgio de Chirico]], che riconobbe la modernità della sua prassi artistica:<ref name=dp>Denise Pagano, ''Gemito nella storia e nel mito'' (2009).</ref>
Riga 97 ⟶ 94:
== Note ==
<references/>
 
== Bibliografia ==
* {{Cita libro|autore = Emanuela Bianchi|titolo = GEMITO, Vincenzo|anno = 2000|editore = Istituto dell'Enciclopedia Italiana|città = Roma|url = http://www.treccani.it/enciclopedia/vincenzo-gemito_(Dizionario-Biografico)/|accesso = 14 maggio 2016|volume = 53|SBN = IT\ICCU\VEA\0113905|collana = Dizionario Biografico degli Italiani|cid =EB}}
*{{cita libro|editore=Bompiani|anno=1942|titolo=Narrate, uomini, la vostra storia|autore=[[Alberto Savinio]]|cid=AS}}
*{{cita libro|autore=[[Salvatore di Giacomo]]|anno=1905|titolo=Vincenzo Gemito: la vita, l'opera|cid=SDG|editore=A. Minozzi}}
 
== Altri progetti ==
{{interprogetto|commons=Category:Vincenzo Gemito}}
 
{{Controllo di autorità}}
 
{{Portale|arte|Biografiebiografie|scultura}}
 
[[Categoria:Studenti dell'Accademia di belle arti di Napoli]]