Utente:Giuseppe Capitano/Sandbox
Dal XIII al XIX secolo, Pisa vede operare un gran numero di maestri vasai, capaci di realizzare diversi tipi di ceramica applicando più tecniche di produzione.
Prima dell'avvento della maiolica arcaica, l'unica produzione di ceramica era quella di vasellame privo di qualsiasi tipo di copertura e decoro dipinto (per questo talvolta detto anche “acromo”), destinato alla cottura degli alimenti (da fuoco), o alla loro conservazione nelle dispense e alla portata da mensa[1].
I vasai pisani, dai primi decenni del XIII secolo fino alla seconda metà del XVI secolo, venuti a contatto con ceramiche di importazione prodotte in diversi centri del bacino mediterraneo e, probabilmente, con l’aiuto di maestranze provenienti dall’area islamica, cominciano a realizzare e commerciare un nuovo tipo di ceramica rivestita, poi definita dagli studiosi “maiolica arcaica”[2].
Parallelamente all'ultima maiolica arcaica (metà XV-XVI secolo) e fino almeno alla metà del XIX secolo, i maestri vasai hanno prodotto anche ceramiche rivestite di ingobbio decorate con varie tecniche di graffitura ("a punta", "a stecca" e poi "a fondo ribassato")[3].
Cenni Storici
Già dall'età romana la città di Pisa ha avuto un’importante storia manifatturiera di vasellame ceramico[4].
I vasai pisani potevano disporre di una grande quantità di materia prima che, almeno a partire dal Basso Medioevo, veniva cavata sfruttando i depositi alluvionali del fiume Arno. L’argilla di questo tratto fluviale, una volta cotta, conferisce ai manufatti il caratteristico colore rosso-arancio[5].
L'unica produzione di vasellame fino a tutto il XII secolo era di recipienti privi di coperture vetrose e di decorazioni<re>Berti - Giorgio 2011, p. 13; Berti - Gelichi 1995a; Berti - Menchelli 1998; Giorgio - Trombetta 2008</ref>. Dai primi decenni del XIII secolo la storia manifatturiera della ceramica cambia drasticamente grazie all'introduzione di nuove tecnologie per la produzione di vasellame. Viene adottata in città, infatti, la tecnica della smaltatura e dell'invetriatura, che i vasai pisani poterono apprendere grazie ai contatti avuti con maestranze straniere di area spagnola e vasellame di importazione mediterranea che abbondava in città già dagli anni finali del X secolo fino al XV. La maiolica arcaica, specie nella sua versione più semplice (monocroma), venne prodotta a Pisa fino alla fine circa del XVI secolo[6]. Contemporaneamente alla maiolica arcaica le officine ceramiche pisane sfornarono nella prima metà del XV secolo una nuova categoria di manufatti, le maioliche arcaiche policrome, che subiscono un aggiornamento nella cromia dei decori con l'introduzione del giallo[7]. Questa produzione venne presto abbandonata quando, dalla metà circa del XV secolo, vennero prodotte le ceramiche ingobbiate e graffite principalmente “a punta”, “a stecca” e poi “a fondo ribassato”[8].
Grazie alle fonti documentarie si è potuto tracciare un quadro abbastanza completo sui maestri ceramisti che si sono susseguiti in città dal XIII fino al XVII secolo. Questi documenti sono soprattutto costituiti da notizie riguardanti contratti di lavoro, acquisti, affitti e vendite, censimenti, testamenti, ma vi sono anche carte giudiziarie{{#tag:ref|Tutte queste fonti sono conservate principalmente negli Archivi di Stato di Pisa e di Firenze, in quello Arcivescovile e della Mensa, nel Capitolare ed in quelli di altre comunità religiose pisane (vedi Berti - Renzi Rizzo 1997, pp. 225.</ref>.
Tali scritti hanno consentito anzitutto di individuare le “cappelle” di appartenenza dei ceramisti, dove cioè possedevano il domicilio e/o l'esercizio in città[9]. Le principali cappelle interessate sono:
- Nome chiesa alle Catene.
- Nome chiesa Porta Aurea.
- Nome chiesa Quartiere di Mezzo.
- Nome chiesa in Ponte.
- Nome chiesa in Vincoli.
- Sant’Andrea Fuori Porta.
- Sant’Andrea in Kinzica (o Chinzica).
- San Giovanni al Gatano.
- San Paolo a Ripa d'Arno.
- San Vito.
Diverse nomi e qualifiche lavorative sono state individuate nei documenti esaminati: barattolaio, broccaio, coppaio, fornaciaio, orciaio-orciolaio, scodellaio, stovigliaio, vasellaio-vasaio, maestro, apprendista o lavorante. Un individuo può anche essere indicato con più qualifiche contemporaneamente.
Attività dei ceramisti fra il XIII e gli inizi del XVII secolo secondo le fonti scritte
XIII secolo
Già agli inizi del XIII secolo sappiamo che i vasai pisani cominciano a commerciare le proprie merci al di fuori dell'ambito cittadino, almeno lungo il tratto fluviale interno e in area tirrenica[N 1]. Alcuni documenti rilevanti sono gli Statuti del 1286, che impongono ai “tegolai” precisi limiti per cavare l'argilla. Essi infatti non potevano prelevarla più in zone del centro cittadino, né di loro proprietà, né di altri, lungo le sponde del tratto fluviale che taglia in due la città. Insieme ai tegolai vengono citati i “barattolai” che, almeno in questo secolo, sono probabilmente produttori di vasellame; più tardi, con questo termine verranno indicati i rivenditori di ceramica[10]. Sempre il “Breve” del 1286 emanato dal Comune di Pisa indica ai ceramisti la quantità massima di combustibile da poter tenere nella propria bottega, e cioè non superiore a quella necessaria per una infornata. Sappiamo infatti che questa precauzione nasce con la crescita del lavoro degli artigiani pisani che gradualmente cominciarono ad affittare diversi terreni per la raccolta del combustibile[11]. Una testimonianza in tal senso è data anche dai documenti riguardanti Niccolò Piloso che, nel 1283, compera dall’Arcivescovo di Pisa la paglia necessaria alla cottura. Un altro esempio è quello di Lotto di Bartolomeo che, nel 1291, riesce ad ottenere il permesso per tagliare la paglia tra l’Arno e il Serchio per due anni.
In questo periodo, un altro termine legato sicuramente alla ceramica è quello di scodellaio. Fornisce un esempio Nino di Lorenzo, della cappella di San Lorenzo in Pelliparia, che nel 1291 possedeva una casa con fornace affittatagli da Giovanni Visella. Fra i ceramisti del XIII secolo riveste un ruolo molto importante Bondie di Uguccione da Cerreto perché diede il via ad una tradizione famigliare che si imporrà nella scena artigiana pisana fino al secolo successivo[12].
Dalla documentazione scritta risulta che nel XIII secolo sono presenti a Pisa 26 operanti nel settore, di cui 21 barattolai (1 è indicato barattolaio e coppaio), 1 scodellaio, 4 vasai (1 indicato vasaio e broccaio).
Qualifica | Cappella ignota | S. Andrea Ch.[N 2] | S. Sepolcro K. | S. Lorenzo P. |
---|---|---|---|---|
Barattolaio | 14 | 7 | / | / |
Scodellaio | / | / | / | 1 |
Vasaio | 3 | / | 1 | / |
Prima metà del XIV secolo
Già in questo secolo con “barattolai” ci si riferisce ai rivenditori di vasellame e non più a produttori diretti. A conferma ci sono alcune fonti scritte. Per esempio, dai documenti si riesce ad evincere che gli oggetti da mensa e da cucina erano presenti nelle case dei cittadini in quantità sufficienti a soddisfare i bisogni della vita quotidiana. Per le occasioni importanti, ad esempio matrimoni e banchetti, che richiedevano un maggiore quantitativo di stoviglie per la mensa, gli oggetti da tavola venivano affittati proprio dai barattolai. Ancora, grazie ad un documento frammentario dello “Statuto della Curia dei Mercanti”, sappiamo che i barattolai facevano parte di questa corporazione. In esso infatti vengono citati esplicitamente, dovendo pagare alla Curia o ad un suo rappresentante una certa somma di denari di Pisa per poter svolgere la professione. A riprova di ciò si ha uno Statuto del 1350 dove i barattolai non compaiono tra i facenti parte dell'Ordine del Mare, di cui invece erano membri i vasellai, broccai e scodellai, produttori di ceramica[13].
In questo periodo è presente in città una importante famiglia di ceramisti provenienti da Bacchereto (Pistoia): si tratta di due fratelli, Baccarugio e Fardo di Vinacetto, che esercitavano la loro professione nella cappella di San Vito. Un nipote dei due, Fardino, insieme al cugino Pupo di Fardo, continuarono l’attività familiare nella stessa cappella. La famiglia nonostante la florida attività consolidata a Pisa, aveva conservato alcune proprietà nel paese di origine dove, nel 1340, fa ritorno Fardino. Proprio Bacchereto, come dimostrato da una vasta ricerca archivistica e archeologica, è un altro grosso centro di produzione ceramica toscano. Pur essendo due centri molto vicini, Pisa e Bacchereto tendono ad avere una forte autonomia e peculiarità produttiva durante questi secoli[14][N 3].
L'ormai defunto Bondie di Uguccione lascia la propria attività a due dei suoi figli: Bindo (1314-1335) e Pupo (1329-1339), anche loro residenti nella cappella di San Vito. Il figlio di quest’ultimo continua nella stessa cappella l’attività di broccaio fino al 1347 e probabilmente il sapere del mestiere viene tramandato ad un altro discendente, come potrebbe far supporre l’esistenza nella seconda metà del XIV secolo di un Piero di Bindo, broccaio nella cappella di San Vito[14].
In questo periodo sono presenti a Pisa 36 operanti nel settore, di cui: 2 barattolai (1 è indicato barattolaio e vasaio), 8 broccai, 26 vasai (1 è indicato fornaciaio e vasaio)[N 4].
Qualifica | Cappella ignota | Q. Chinzica e S. Andrea | S. Paolo R.A. | Q. Ponte e S. Vito | Altre |
---|---|---|---|---|---|
Barattolaio | / | 2 | / | / | / |
Broccaio | 1 | 2 | 1 | 3 | 1 |
Vasaio | 6 | 2* | 5 | 10 | 3 |
Contemporaneamente alla costruzione della chiesa di San Martino, sita presso il quartiere Chinzica, si assiste ad un notevole incremento del numero di prodotti ceramici. Verso la metà del secolo invece si assiste ad un decremento di produzione, probabilmente attribuibile alla pestilenza del 1347 - 1348 che decimò la popolazione.
Seconda metà del XIV secolo
L'organizzazione del lavoro durante questo periodo cambia, in quanto si assiste ad una produzione più massiccia e alla formazione delle prime compagnie di artigiani. Questo perché a Pisa, ma anche altrove, la ceramica smaltata aveva ormai consolidato il suo ruolo nella vita quotidiana. Ne è una prova la grande quantità di scarti d'uso ritrovati sia nel circuito cittadino, sia in diverse località toscane, di altre regioni d'Italia ma anche estere. Dalla documentazione d'archivio si nota come le officine ceramiche site nel quartiere di San Vito tendono progressivamente a chiudere e/o spostarsi in altre zone della città, più lontane dal centro ma sempre a ridosso dell'Arno. A partire dalla metà del XIV secolo infatti sono testimoniate diverse case - botteghe nella zona di San Paolo a Ripa d'Arno e a San Giovanni al Gatano, a sud del fiume grossomodo in linea d'aria al quartiere di San Vito. Qui era sicuramente più agevole cavare l'argilla rispetto alla zona di San Vito in quanto San Paolo e San Giovanni erano fuori le mura. Ad esempio, nel 1389 un ceramista di San Vito, Rainaldo di Stefano, costituisce una compagnia per quattro anni con Nino di Giovanni della cappella di San Paolo a Ripa d'Arno. Un altro, Andrea di Nardo broccaio in San Vito già nel 1386, dal 1404 prende a livello un pezzo di terra con fornace a San Paolo a Ripa d'Arno.
Un altro broccaio, Rustico figlio di Enrichetto, nonostante abbia un'attività a San Vito, viene registrato nel 1403 come abitante di San Paolo a Ripa d'Arno dove insieme a Cione di Lenzo prende in affitto la casa di Andrea di Chimento anche loro vasai. Assume particolare rilievo il fatto che mentre i vasellai conosciuti di San Vito nella prima metà del XIV secolo sono più del doppio di quelli di San Paolo a Ripa d’Arno, nella seconda metà del secolo si registra invece una situazione opposta e poi nella prima metà del XV secolo non si conosce nessun vasaio in San Vito.
Anche in questo periodo si conoscono barattolai che lavorano da rivenditori o noleggiatori. Ad esempio, nel 1371 Vanni di Senso detto Rosso, dà in prestito alcune stoviglie da mensa all’Opera del Duomo in occasione della festa dell’Assunta[15].
Nella seconda metà del XIV secolo in città sono presenti 74 artigiani, di cui: 7 barattolai (1 indicato barattolaio e vasaio; 2 sono indicati barattolai e broccai), 13 barattolai (2 sono indicati broccai e vasai), 52 vasai, 2 apprendisti (1 è indicato come apprendista vasaio)[N 5].
Qualifica | Cappella ignota | Q. Chinzika/S. Andrea | S. Paolo Ripa d'Arno | Q. Ponte/S. Vito | Altre |
---|---|---|---|---|---|
Barattolaio | 2 | 1 | / | / | 4 |
Broccaio | 2 | 5+1* | 2 | 3 | / |
Vasaio | 6 | 4 | 23 | 7 | 12 |
Apprendista | / | / | 2 | / | / |
Primo quarto del XV secolo
Nel XV secolo assistiamo alla caduta della Repubblica di Pisa sotto la dominazione Fiorentina. Gli artigiani pisani che lavorano l'argilla per far fronte a questa situazione di crisi si organizzano come mai hanno fatto in precedenza. Grazie a due fonti scritte si può capire con facilità come gli artigiani locali reagirono alla disfatta pisana del 1406 e alla poca organizzazione tra i membri dell'arte mostrata fino a questo momento. Questi documenti, datati rispettivamente al 1419 e al 1421, possono essere considerati dei veri e propri contratti di lavoro tra diverse persone, con delle clausole ben precise da rispettare, assicurate da sanzioni in caso di infrazioni[N 6].
Nei due scritti spicca la presenza di un personaggio che fa da garante, tale Ranieri di Antonio Bu, che pur non essendo un vasaio, sembra essere legato in qualche modo al mondo della ceramica. Il primo accordo, del 14-20 luglio 1419, non venne approvato mentre il secondo, del 20 gennaio 1421, della durata di cinque anni fu registrato nella cappella di Sant’Egidio. I ceramisti coinvolti nell’accordo del 1421 sono:
- Casuccio di Giovanni, vasaio della cappella di San Paolo a Ripa d’Arno.
- Leonardo di Andrea, vasaio della cappella di San Paolo a Ripa d’Arno.
- Antonio di Andrea, broccaio della cappella di Sant’Andrea in Chinzica.
- Marco di Lorenzo, vasaio della cappella di Sancti Gosme.
- Tommaso e Piero di Giovanni (fratelli), vasai della cappella di Sancti Gosme.
- Betto e Michele di Andrea (soci), vasai della cappella di San Vito.
- Antonio di Giuliano di Paio, vasaio della cappella di San Paolo a Ripa d’Arno.
Di seguito qualche punto dell’atto:
- Una clausola consentiva la produzione di qualsiasi tipo di ceramica, mentre vietava di aprire, o fare aprire da altri (per proprio conto), nuove attività, sia in città che nel contado.
- Le ceramiche di ciascuna bottega potevano essere vendute sia all’ingrosso (sopra i 100 manufatti), che al minuto (meno di 100), ma dovevano essere rispettate precise regole, relative al numero di pezzi e ai prezzi pattuiti.
Ad esempio, troviamo definiti i turni (o gite) per le vendite all’ingrosso e i quantitativi massimi:
- Prima gita - Marco di Lorenzo: pezzi 2500.
- Seconda gita - Tommaso e Piero di Giovanni: pezzi 2000.
- Terzo gita - Betto e Michele di Andrea: pezzi 2000.
- Quarta gita - Casuccio di Giovanni: pezzi 4000.
- Quinta gita - Leonardo di Andrea: pezzi 2000.
- Sesta gita - Antonio di Giuliano di Paio: pezzi 2500
- Settima gita - Antonio di Andrea: pezzi 2000.
Casuccio di Giovanni già da prima che il contratto fosse firmato, gestiva più di un esercizio con un alto numero di dipendenti. Molto probabilmente la maggiore quantità di pezzi concessagli dipendeva da questo aspetto.
Alcuni prezzi concordati per la merce sono riassunti nella seguente tabella:
Merce | Prezzo (nel 1421) | “Rationem” (quantità) | Vendita |
---|---|---|---|
Vasa et scutellas | Fiorini 10 | Per 1000 pezzi | Ingrosso |
Catinellas de medio quarto | Soldi 5 | Per 1 pezzo (pro qualibet) | Minuto |
Catinellas de metrata de charovana | Soldi 1 | Per 1 pezzo (pro qualibet) | Minuto |
Scutellas alba | Libbre 3 | Per 100 pezzi | Ingrosso |
Gradalettos albos | Soldi 29 | Per 100 pezzi | Ingrosso |
Vasa de medio quarto vantaggina | Soldi 1 e mezzo | Per 1 pezzo (pro qualibet) | Minuto |
Vasa alba de medio quarto | Soldi 3 | Per 1 pezzo (pro qualibet) | Minuto |
Vasa et scutellas de charovana | Libbre 2 e soldi 5 | Per 100 pezzi | Ingrosso |
Vasa et scutellas de charovana | Denari 6 | Per 1 pezzo (pro qualibet) | Minuto |
Ancora qualche clausola del contratto:
- La merce doveva essere venduta nelle proprie botteghe, ad eccezione degli scarti che potevano essere venduti altrove.
- Ranieri di Antonio Bu riscuoteva un compenso di due grossi d’argento per ogni 1000 pezzi venduti.
- Ad ogni “gita” doveva essere presente il vasaio al quale spettava la “gita” successiva.
- Chi aveva l'attività fuori le mura, poteva vendere direttamente ai marinai, anche nelle ore notturne. La vendita dei pezzi doveva comunque rispettare le cifre pattuite, e un affiliato dell'Arte o un apposito delegato doveva essere presente durante l'operazione di carico almeno.
- Per l’invenduto venivano stabiliti nuovi prezzi almeno da due artigiani appartenenti all’Arte[16].
Secondo quarto del XV secolo
La documentazione archivistica non riporta un rinnovo del contratto del 1421, ma altri documenti testimoniano una florida attività anche in questo periodo. Poco dopo infatti, nel 1427-1428, venne a formarsi una compagnia molto importante tra tre ceramisti[17]. I tre soci erano:
Socio | Interesse | Apprendisti - Lavoranti - Garzoni |
---|---|---|
Casuccio di Giovanni (VA) + Cardo di Piero | Un terzo | Antonio/Bartolomeo/Giovanni/Menico/Prardino del fu Maso/Pasquino di Piero/Piero di Antonio di Cardo (nipote di Cardo) |
Michele Bonaccorso (BR - VA) | Un terzo | Piero di Niccolò |
Leonardo di Andrea (BR) | Un terzo | / |
Casuccio ormai ottantenne, continua ad avere un ruolo fondamentale nel mondo della ceramica, sebbene la figura di Cardo di Piero al suo fianco è stata sicuramente importante. Quest’ultimo entrò nella bottega di Casuccio come apprendista in età giovanissima per rimanervi in seguito con mansioni sempre più importanti fino a diventare l’erede principale di Casuccio dopo la sua morte, avvenuta tra il 1430 e il 1432. Cardo però già nel 1430 fa a sua volta testamento perché probabilmente soffriva di qualche malattia. Morirà infatti nel 1439[18]. Il gran numero di lavoranti alle loro dipendenze indica chiaramente come la loro attività fosse molto florida. Leonardo di Andrea faceva parte dei ceramisti che firmarono il contratto del 1421. Negli anni di società con Casuccio e Leonardo egli abita nella cappella di San Paolo a Ripa d'Arno fuori le mura, in casa del primo, sopra la sua bottega. Di Michele Bonaccorso si sa che prima di questa occupazione, svolse l’attività di “materassaio” e solo nel 1425 viene indicato come broccaio, poi vasaio nella società in questione[19].
Anche in questo periodo esistono attività dedite alla sola rivendita oppure al noleggio. Nel 1428 ad esempio Gaspare di Paolo del Rosso dichiara di avere nella sua bottega
[20].
Il quadro economico dei ceramisti negli anni 1428-1429
Prima dell'amministrazione Fiorentina fino ai primi decenni del XV secolo le imposte venivano ripartite con il sistema dell’estimo. Le valutazioni però non erano del tutto idonee ad un’equa ripartizione fiscale perché interessavano soprattutto i beni immobili favorendo quindi mercanti e banchieri i quali lavoravano maggiormente con beni mobili.
Dal 1429 entra in vigore, un nuovo metodo tassativo disposto da Firenze per tutti i suoi distretti, ovvero il catasto. La base di partenza era una autocertificazione per nucleo familiare in cui figuravano il nome del padre/capofamiglia, la professione, il luogo di abitazione della famiglia, la descrizione dei singoli beni immobili e mobili, la misura, la rendita ed il valore di essi. In base poi a valutazioni fatte dagli ufficiali del catasto, che si basavano su diversi fattori, l'imponibile poteva essere diminuito o aumentato. Le detrazioni si basavano principalmente su ogni persona che stava alle dirette dipendenze del capofamiglia, su affitti di case e botteghe, su livelli, debiti, salari a dipendenti e obblighi testamentari. I forestieri che prendevano domicilio a Pisa erano esenti dalle tasse per venti anni, come pure i medici e, per quindici anni, alcune famiglie aristocratiche pisane che presero accordi con il governo Fiorentino. Su un totale di 1752 famiglie: il 12% risulta esente da tassazioni (considerati “miserabili”) perché senza lavoro oppure inabili e tra questi figurano due operatori nel campo della ceramica. Tra i ceramisti più ricchi troviamo il broccaio Andrea del maestro Andrea e Casuccio di Giovanni, mentre l’imponibile dei suoi giovani soci Michele di Bonaccorso e Leonardo di Andrea è piuttosto basso. Cardo di Piero invece figura nella dichiarazione in comune con il fratello Antonio. Il motivo per il quale gli artigiani pisani cominciarono a costituire compagnie lavorative potrebbe essere legato anche al nuovo sistema esattoriale. Infatti, la dura tassazione del governo occupante colpiva soprattutto le Arti che avrebbero potuto concorrere con quelle fiorentine. Perciò, per reagire a questa pesante penalizzazione i ceramisti pisani ricorsero alla formazione di società, costituite da due o più soci, piuttosto che concorrere tra loro[21].
Commercio di ceramiche all'entrata della Legathia (Degazia) tra il 1441 e il 1443
Il registro della dogana di Porta a Mare, nota in quel periodo come Porta della Degazia o Legathia che si erge ancora oggi ad ovest della città, costituisce una testimonianza fondamentale perché mostra come alcuni ceramisti pisani produssero una mole impressionante di vasellame destinato all'esportazione. Di questo è possibile avere molte informazioni grazie alle gabelle riscosse dalla dogana tra gli anni 1441 e 1443[22].
Nonostante il campo della ceramica contasse in questi anni numerosi artigiani, nelle pagine datate dal 24 febbraio 1441 al 27 giugno 1443, spiccano solo tre “vasai”: Sano di Gherardo, Frediano Mangiacavoli e Antonio di Andrea del Mancino. Dal giugno 1442 quest'ultimo non compare più nei registri della dogana perché aveva costituito una compagnia di cinque anni con Frediano Mangiacavoli. Le annotazioni relative a questi vasai concernono sia ceramiche importate sia esportate (che sono prevalenti). Le cifre da pagare per queste ultime sono valutate secondo quanto stabilito dalla Gabella fiorentina del 1408, per “ciascuna cotta di vagelli … cioè fornace quando quocie”, tassata ciascuna soldi 14. Ogni “cotta” comprendeva circa 2000-2100 pezzi[23].
Sano di Gherardo, mantiene una posizione preminente dal 1441 al 1442, mentre nel 1443 il più attivo risulta Frediano Mangiacavoli che già in questo anno, come detto, è in società con Antonio di Andrea del Mancino. Nel periodo in cui la compagnia fra Antonio di Andrea del Mancino e Frediano Mangiacauli è stata più attiva, si hanno fino a quattro cotte al mese; la stessa capacità di produzione aveva la fornace di Sano di Gherardo. Risulta quindi che tra il 24 febbraio 1441 e il 27 giugno 1443 sono state pagate complessivamente le gabelle per 113 “cotte”, cioè per circa 230.000 pezzi. Contemporaneamente però sono registrati a parte dei pagamenti anche per varie migliaia di pezzi calcolati in base al loro numero o al loro valore. Nei documenti in questione vengono citati anche ceramisti provenienti da aree anche molto lontane da Pisa: genti di Livorno (2-3), Elba (1), località liguri come Noli, Chiavari, Rapallo, Genova, Moneglia, Levanto (8), dalla Corsica (3), da Cremona (1), e forse da altri siti iberici e tedeschi. Sebbene le esportazioni di ceramiche sono quelle maggiormente attestate, sono presenti anche esportazioni di manufatti non pisani. Si tratta soprattutto di ceramiche di Montelupo Fiorentino ma anche di maioliche valenzane. La loro presenza è giustificata perché Pisa costituiva ancora, almeno in Toscana, il principale punto d’ingresso e di smistamento per qualsiasi tipo di prodotto[24].
Note
Esplicative
- ^ Sono stati ritrovati numerosi reperti riconducibili a ceramiche di produzione pisana in Toscana Settentrionale, in Corsica e Sardegna (si rimanda alla sezione dedicata).
- ^ Tale zona, ad est del quartiere di Chinzica, si chiamava in quel tempo «Baractularia» (area attualmente occupata dal Giardino Scotto) e con ogni probabilità il nome faceva riferimento al gran numero di barattolai presenti nella stessa; si veda Berti - Renzi Rizzo 1997, pp. 226-227. Sempre a sud dell’Arno, nella cappella di S. Sepolcro, nel 1273, è segnalato anche il vasellaio-broccaio Bondie di Uguccione (vedi Berti - Tongiorgio 1977a, p. 140). L’unico scodellaio, Nino di Lorenzo, nel 1291 aveva in affitto, insieme alla moglie Parella, una casa con fornace nella zona detta “Pelliccerie”, nel quartiere di Ponte, a nord dell’Arno. Vedi Tongiorgi 1972, p. 126. I dati possono essere soggetti a cambiamenti e revisioni in quanto la ricerca archivistica è ancora oggi oggetto di studio.
- ^ Gli studi sulla produzione ceramica di Bacchereto sono stati illustrati in Cora 1973, I, p. 65. Per le analogie dei motivi decorativi tra le maioliche arcaiche di Pisa e quelle di Bacchereto vedere Cora 1973, II, Tav. 19/b.
- ^ I due vasai indicati con l’asterisco sono della cappella di S. Marco in “Guazzalongo”, una zona extraurbana situata a sud-est della città, nei pressi di Sant’Andrea, vedi Berti - Renzi Rizzo 1997, pp. 228-229; Tolaini 1979, pp. 311-312 e Garzella 1990, pp. 116-117. Tra quelli indicati nella casella “Altre”, i tre vasai sono di San Michele degli Scalzi, a nord dell’Arno verso est, di S. Eufrasia e di Santa Maria Maggiore; il barattolaio è di Santa Lucia dei Ricucchi. La precisa collocazione delle cappelle è esposta in Tolaini 1979 e Garzella 1990.
- ^ Uno dei broccai, Piero di Bindo, faceva parte della stessa famiglia che operava a San Vito nella prima metà del secolo. Tre vasai e un apprendista erano appartententi alla cappella di San Giovanni al Gatano, che sorgeva nelle immediate vicinanze di San Paolo a Ripa d’Arno, subito fuori dalla cinta muraria. Altre cappelle, erano prevalentemente a nord dell’Arno. Fra queste si segnala San Iacopo del Mercato, al tempo zona di commercio. Qui si trovavano quattro vasai e due o tre di questi possedevano casa e bottega. Data la posizione appare probabile che oltre alla fabbricazione, in questi esercizi si vendevano o affittavano i pezzi finiti (Berti - Renzi Rizzo 1997, pp. 228, 230-232).
- ^ Si veda Berti 2005, p. 109-110. I documenti sono stati rinvenuti nei protocolli del notaio pisano Giulio di Colino Scarsi, Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, S399, cc. 43r-44r; S400, cc. 289r-290v. Sono stati pubblicati da Miriam Fanucci Lovitch e da Enzo Virgili nel 1984 (Fanucci Lovitch - Virgili 1984).
Bibliografiche
- ^ Per studi più recenti si rimanda a Alberti - Giorgio 2018, ma queste ceramiche sono già citate anche in pubblicazioni più lontane: Berti - Tongiorgi 1977a; Busi 1984.
- ^ Informazioni al riguardo si possono trovare in Berti - Tongiorgi 1977a; Berti - Tongiorgi 1981a; Berti - Gabrielli - Parenti 1993; Gelichi - Berti - Nepoti 1996; Berti - Renzi Rizzo 1997; Berti - Giorgio 2011; Giorgio 2013; Giorgio 2018a.
- ^ Per la produzione di ceramica ingobbiata e graffita si veda: Berti - Tongiorgi 1982; Berti 2005; Giorgio - Trombetta 2011; Alberti - Giorgio 2013; Giorgio 2015; Giorgio 2018b.
- ^ Si veda Menichelli 1995 per la produzione di sigillata a Pisa in epoca romana.
- ^ Per l'approvvigionamento dell'argilla vedi Giorgio 2018c, pp. 35-44; Alberti - Giorgio 2013, pp. 27-46 (studi condotti da Giuseppe Clemente- "Vasai e produzione ceramica a Pisa nel XVI secolo attraverso le fonti documentarie").
- ^ Alberti - Giorgio 2013, si vedano scavi di Villa Quercioli e via della Sapienza.
- ^ Per ulteriori dettagli sulla maiolica arcaica policroma vedi Berti - Renzi Rizzo 1997
- ^ Berti 2005 e Alberti - Giorgio 2013.
- ^ Tongiorgi 1964; Tongiorgi 1972; Tongiorgi 1979; Renzi Rizzo 1994. Berti - Tongiorgi 1977a, pp. 139-153; Redi 1984; Stiaffini 2002.
- ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 139; Bonaini 1854 - 1857, I, pp. 304-305. Un quadro esaustivo delle attività e delle vicende relative ai vasai dal XIII al XV secolo è desunto dai documenti di archivio analizzati in Tongiorgi 1964 e Tongiorgi 1972.
- ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 140; Bonaini 1854 - 1857, I, pp. 437 - 438.
- ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 140.
- ^ Berti - Tongiorgi 1977a, pp. 142-143.
- ^ a b Berti - Tongiorgi 1977a, p. 144.
- ^ Berti - Tongiorgi 1977a, pp. 147-153.
- ^ Berti 2005, pp. 113-114; Fanucci Lovitch - Virgili 1984, pp. 296-300.
- ^ Berti 2005, p. 114; Berti - Renzi Rizzo 2000, pp. 135-136.
- ^ Berti 2005, p. 134.
- ^ Berti 2005, p. 115, 125-140; vedi per un estratto della dichiarazione di Casuccio di fronte ad un notaio Tongiorgi 1979, p. 52.
- ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 149.
- ^ Berti 2005, pp. 115-119. Il catasto del 1428-29 è stato pubblicato da Bruno Casini (Casini 1964 e Casini 1965, pp. 6,7,9, 20-25.
- ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 152. Il documento doganale è possibile trovarlo in Casini 1969, p. 140. Le notizie riportate di seguito sono tratte da quest’opera. I documenti sono conservati nell’Archivio di Stato di Pisa - Comune B55.
- ^ Berti - Tongiorgi 1977a, p. 152; Pagnini 1765-1766, Tomo IV, p. 65.
- ^ L’argomento viene trattato dettagliatamente in Berti 2005, pp. 119-124
Bibliografia
- G. Berti e L. Tongiorgi, I bacini ceramici medievali delle chiese di Pisa, in Quaderni di Cultura Materiale, n. 3, Roma, “L’ERMA” di Bretschneider, 1981.
- G. Berti e E. Tongiorgi, Aspetti della produzione pisana di ceramica ingobbiata, in Archeologia medievale, IX, Firenze, 1982, pp. 141-174.
- G. Berti, F. Gabrielli e R. Parenti, Bacini e Architettura. Tecniche di inserimento e complesso decorativo, in Atti Albisola XXVI, Albisola, 1993, pp. 243-264.
- G. Berti e S. Gelichi, Le "anforette" pisane: Note su un contenitore in ceramica tardo-medievale, in Archeologia Medievale, XXII, pp. 191-240.
- G. Berti e S. Menchelli, Pisa. Ceramiche da cucina, da dispensa, da trasporto, dei secoli X-XIV, in Archeologia Medievale, XXV, pp. 307-333.
- S. Gelichi, G. Berti e S. Nepoti 1996, Relazione introduttiva sui “Bacini”, Atti del XXVI Convegno Internazionale della Ceramica, 1993, pp. 7-30.
- A. Alberti e M. Giorgio, Nuovi dati sulla produzione di ceramica a Pisa tra XI e XII secolo, in F. Cantini e C. Rizzitelli (a cura di), Una città operosa. Archeologia della produzione a Pisa tra Età romana e Medioevo, Firenze, pp. 29-36.
- M. Giorgio, Dai bacini ai reperti da scavo: commercio di ceramica mediterranea nella Pisa bassomedievale, Atti XLV Convegno Internazionale della Ceramica 2012, Albenga (SV), 2013, pp. 43-56.
- M. Giorgio, Reinterpretare e ricontestualizzare i dati archeologici: l’esempio della produzione ceramica di Pisa tra XV e XVI secolo, in P. Arthur e M.L. Imperiale (a cura di), VII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, vol. II, Lecce 9-12 settembre 2015, Firenze, 2015, pp. 305-309.
- M. Giorgio, Colori nel cielo. 50 anni di studi sui Bacini ceramici, Atti L Convegno Internazionale della Ceramica, L/2017, Albenga (SV), pp. 83-94.
- M. Giorgio, Produzione e consumo di ceramiche a Pisa: rapporto tra ingobbiate e maioliche nella prima età moderna, in P. De Vingo (a cura di), Le Archeologie di Marilli. Miscellanea di studi in ricordo di Maria Maddalena Negro Ponzi Mancini, Alessandria, pp. 579-593.
- M. Giorgio (a cura di), L’approvvigionamento di argilla a Pisa nel Bassomedioevo e in Età Moderna: analisi, dati materiali e documentali a confronto, in Storie (di) Ceramiche 4. Ceramica e Archeometria.
- M. Giorgio e I. Trombetta, Vasellame privo di rivestimento depurato: aggiornamenti crono-tipologici su contenitori di produzione pisana provenienti da un contesto chiuso dello scavo di Via Toselli a Pisa, Atti Convegno Internazionale della Ceramica, XL, pp. 149-155.
- M. Giorgio e I. Trombetta, Dall'ultima maiolica arcaica alle prime ingobbiate graffite: persistenze e trasformazioni nella produzione ceramica a Pisa e nel Valdarno Inferiore tra la fine del XV e gli inizi XVI secolo, Atti XLIII Convegno Internazionale della Ceramica 2010, Albenga, 2011, pp. 229-239.