Valie Export
Valie Export, pseudonimo di Waltraud Lehner (Linz, 14 maggio 1940), è un'artista e performance artist austriaca.

Il suo lavoro artistico spazia tra installazioni video, body performances, computer animations, fotografia, scultura e pubblicazioni relative all'arte contemporanea, presentando una forte componente ideologica. Le sue prime esibizioni di guerrilla sono diventate iconiche nella storia dell'arte femminista[1].
Biografia
Rimasta orfana del padre morto in Africa durante la seconda guerra mondiale, cresce con la madre e le tre sorelle, studiando in un convento fino all'età di 14 anni. Successivamente studia pittura, disegno e design alla National School for Textile Industry di Vienna, e lavora brevemente nell'industria cinematografica come aiuto sceneggiatrice. L'ambiente spiccatamente femminile che frequenta la induce a riflettere sul ruolo della donna nella società, che, nell'Austria degli anni Settanta, è ancora influenzato dagli strascichi dell'ideologia nazista. Il movimento femminista negli anni sessanta da un lato deve confrontarsi con la condiscendenza al regime delle generazioni più anziane, e dall'altro punta a stravolgere l'atteggiamento restrittivo nei confronti della donna.
Lei stessa, prima della sua rivoluzione politica e artistica, è una madre e una moglie. Nel 1967, cambia il suo nome in VALIE EXPORT (scritto in lettere maiuscole, come un logo artistico) eliminando i cognomi di suo padre e di suo marito e appropriandosi di un nuovo cognome ispirato da una famosa marca di sigarette. In una conversazione con Gary Indiana per la rivista BOMB, ha descritto il suo cambio di nome:
"Non volevo più avere il nome di mio padre [Lehner], né quello del mio ex marito Hollinger" [2]
Con questo gesto di autodeterminazione, afferma enfaticamente la sua identità all'interno della scena artistica viennese, dominata dall'arte performativa degli artisti di Vienna come Hermann Nitsch, Günter Brus, Otto Mühl e Rudolf Schwarzkogler. Riguardo al movimento Actionist, ella afferma:
Al pari dei suoi colleghi uomini, sottopone il suo corpo al dolore e al pericolo in azioni volte ad affrontare il crescente compiacimento e il conformismo della cultura austriaca del dopoguerra. A contraddistinguere il suo progetto come femminista è l'analisi dei modi in cui le relazioni di potere insite nelle rappresentazioni dei media incidono sui corpi e sulla coscienza delle donne. Raccoglie le sue dichiarazioni sul tema del corpo femminile in "Women's Art a Manifesto" scritto per la mostra del 1972 MAGNA, Feminism: Art and Creativity: "lascia parlare le donne in modo che possano ritrovare se stesse, questo è ciò che chiedo per ottenere un'immagine autodefinita di noi stessi e quindi una diversa visione della funzione sociale delle donne"[3][4]. Qui la Export sottolineava il modo ingiusto in cui le donne vivevano la loro vita entro i confini creati dagli uomini. In questo stesso Manifesto afferma anche che "l'arte può essere intesa come un mezzo della nostra auto-definizione che aggiunge nuovi valori alle art, questi valori, trasmessi attraverso il processo culturale, altereranno la realtà verso una sistemazione dei bisogni femminili "[5].
Oggi Valie Export vive in Germania e dal 1995 ha una cattedra di performance multimediali all'Academy of Media Arts di Colonia.
Le opere
Aktionshose: Genitalpanik (Action Pants: Genital Panic)
Nella sua performance del 1968 Aktionshose: Genitalpanik (Action Pants: Genital Panic) la donna, indossando pantaloni tagliati all'altezza del pube e imbracciando una mitragliatrice, cammina tra il pubblico con i genitali esposti. La performance ha avuto luogo in un cinema porno a Monaco ed è oggi ricordata attraverso le fotografie scattate da Peter Hassmann nella riproposizione di Vienna nel 1969. L'azione mira a far riflettere sul ruolo passivo delle donne nel cinema. La performance fu ripresa e riproposta da Marina Abramovic nel 2005 nella mostra Seven Easy Pieces[6].
Tapp-und Tast-Kino (Tap and Touch Cinema)
In questa performance, che esegue di fronte ai cinema di dieci città europee dal 1968 al 1971, indossa sulla parte superiore del corpo nudo, un costume costituito da una scatola aperta sul fronte. I passanti, quindi, sono invitati ad inserire le mani nella scatola, che allude ad un cinema in cui paradossalmente si può toccare ma non vedere. I media rispondono a questo lavoro con stupore e riprovazione fino a paragonarla ad una novella strega[7]. L'azione vuole denunciare lo sfruttamento del corpo femminile nel mondo del cinema, ritenuta un'esperienza essenzialmente voyeuristica. In questa performance, al contrario, la donna prende il controllo e offre liberamente se stessa, a dispetto delle regole sociali. Il "pubblico" non ha solo un contatto diretto e tattile con un'altra persona, ma lo fa visto dalle altre persone presenti[8].
Body Sign Action
La fotografia del 1970 "Body Sign Action" mostra la coscia sinistra dell'artista dove si vede un tatuaggio della clip di una giarrettiera attaccata ad un frammento di calza: in questo contesto la giarrettiera diventa simbolo di una forma remissiva di seduzione[9].
Facing a Family
Il filmato originariamente trasmesso dal programma televisivo austriaco Kontakte il 2 febbraio 1971 è stato uno dei primi esempi di trasmissione di video arte. Mostra una famiglia austriaca borghese che guarda la TV mentre cena[10]. Viene trasmesso la sera, quando le altre famiglie della classe media guardano il programma, riconoscendo così la stessa esperienza. L'obiettivo, quindi, è quello di evidenziare la relazione tra soggetto, spettatore e televisione.
Remote, remote
Nel cortometraggio del 1973 "Remote, Remote" Valie Export scava le sue cuticole con un coltello per dodici minuti, danneggia il proprio corpo ponendosi contro gli standard di bellezza richiesti dalla società[11].
Invisible Adversaries
Unsichtbare Gegner, o Invisible Adversaries, è un film d'autore dal tema fantascientifico, realizzato nel 1977 [12]. Protagonisti sono gli innamorati Peter e Anna. Tormentata dalle sue paure, Anna è convinta che la sua città (Vienna) sia invasa dagli alieni. La paura del tutto immotivata che la porterà alla rottura con l'innamorato e alla pazzia. Un altro suo film del 1985,The Practice of Love, ha partecipato al trentacinquesimo Festival internazionale del cinema di Berlino.
Syntagma
In Syntagma, del 1983 utlizza diverse tecniche di montaggio cinematografico - ad esempio raddoppiando il corpo attraverso sovrapposizioni. Il cortometraggio parte dalla convinzione che il corpo femminile sia stato manipolato dagli uomini attraverso l'arte e la letteratura. In un'intervista con "Interview Magazine", discute il suo film, Syntagma affermando che il corpo femminile è sempre stato considerato come un sintagma, come un unione di singole parti [13].
Note
- ^ Valie Export, Bruder Rosenbaum, Vienna, 1980.
- ^ Gary Indiana, Valie Export, in BOMB Magazine, primavera 1982.
- ^ Valie Export, Magna: Feminismus. Kunst und Kreativitat, 1975ª ed.. URL consultato il 13 dicembre 2018.
- ^ Curatorial Materialism. A Feminist Perspective on Independent and Co-Dependent Curating., su on-curating.org.
- ^ Kristine Stiles e Peter Howard Selz, "Performance Art." Theories and Documents of Contemporary Art., 2012ª ed., Berkeley (CA).
- ^ Marina Abramovich Valie Export Aktionshose Genitalpanik, su youtube.com. URL consultato il 6 dicembre 2018.
- ^ Gary Indiana, Valie Export, in BOMB magazine, 1º aprile 1982. URL consultato il 6 dicembre 2018.
- ^ Valie Export/Touch Cinema, su youtube.com. URL consultato il 6 dicembre 2018.
- ^ Valie Export «Body Sign Action», su medienkunstnetz.de. URL consultato il 6 Dicembre 2018.
- ^ VALIE EXPORT / Facing a Family (1971), su youtube.com. URL consultato il 6 dicembre 2018.
- ^ Valie Export: .......remote........remote (1973), su youtube.com. URL consultato il 6 Dicembre 2018.
- ^ INVISIBLE ADVERSARIES, su youtube.com. URL consultato il 6 Dicembre 2018.
- ^ Syntagma clip by Valie Export SD MPEG, su youtube.com. URL consultato il 6 Dicembre 2018.
Bibliografia
- (MUL) Valie Export, Vienna, Bruder Rosenbaum, 1980.
- Valie Export:tempo e controtempo, traduzione di Susanna Piccoli e Giorgio Maragliano, Bolzano, Museion, 2010.