Pemmone
Pemmone o Pemmo (... – post 737) è stato un duca longobardo, duca del Friuli in un periodo tra il 701 e il 712 fino al 737.
Figlio di Billone, turbolento nobile longobardo di Belluno poi trasferitosi a Cividale, fu innalzato al trono ducale dopo la deposizione di Corvolo, intorno al 710.[1] Riscosse la stima di Paolo Diacono, che nacque durante il suo regno e lo definisce "uomo intelligente e utile alla patria" (Historia Langobardorum, VI, 26); lo storico narra anche di come la moglie del duca, Ratperga, lo avesse pregato di preferirle un'altra donna, più bella di lei e quindi più adatta al ruolo di duchessa. Riferisce Paolo Diacono:
Come diversi suoi predecessori, dovette anch'egli affrontare gli Slavi, che sconfisse valorosamente e costrinse ad accettare le sue condizioni. La battaglia si svolse in località Lauriana e, stando a Paolo Diacono, si concluse con l'annientamento degli invasori a fronte di una sola perdita da parte longobarda.[2] Lo storico precisa anche che il grosso delle truppe di Pemmone era costituito dai figli, ormai cresciuti, dei guerrieri longobardi caduti, sempre per mano slava, con il duca Ferdulfo;[2] era stato Pemmone stesso a crescerli, accogliendoli "come se anche essi fossero stati generati da lui" (Historia Langobardorum, VI, 26).[1]
Poco più tardi si trovò coinvolto in una grave contesa con il patriarca di Aquileia Callisto, sostenuto da re Liutprando.[3] Il patriarca protestò contro il fatto che il vescovo di Zuglio, Fidenzio, avesse trasferito la sede della sua diocesi a Cividale; la decisione fu ribadita anche dal successore di Fidenzio, Amatore. Callisto, titolare della cattedra di Aquileia, risiedeva a Cormons a causa dell'eccessiva vulnerabilità della sede patriarcale agli attacchi dei Bizantini e valutò sconveniente che un altro vescovo si insediasse nella capitale ducale: Cromons infatti era una sede non prestigiosa per il patriarca, in cui vi era solo il volgo, mentre un vescovo a lui subordinato frequentava la corte ducale e i nobili longobardi a Cividale.[3] Scacciò quindi Amatore e si insedio nella sua residenza a Cividale.[3] Pemmone e nobili longobardi della corte non accettarono la risoluzione patriarcale e procedette contro Callisto, imprigionandolo sotto dure condizioni nel castello di Pozio (forse l'attuale Duino).[3] Nella contesa intervenne allora re Liutprando, che si adirò contro il duca e lo privò del titolo, affidandolo al maggiore dei figli di Pemmone, Rachis.[3] Pemmone decise di fuggire nella terra degli slavi, ma Ratchis riuscì a intercedere presso il re per far avere udienza al padre.[3] Liutprando mise i tre figli di Pemmone dietro al trono e da qui ordinò l'arresto dei collaborati di Pemmone.[3] Astolfo, adirato, fece per estrarre la sua spada, ma Ratchis lo fece desistere.[3] Herfemar, collaboratore di Pemmone, riuscì a sfuggire all'arresto e a rifugiarsi presso la basilica del beato Michele, ottenendo così l'indulgenza del re.[3]
Bibliografia
- Paolo Diacono, Historia Langobardorum (Storia dei Longobardi, Lorenzo Valla/Mondadori, Milano 1992).
Collegamenti esterni
- Marco Stoffella, PEMMONE, duca del Friuli, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 82, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2015.
- Pemmone, in Dizionario biografico dei friulani. Nuovo Liruti online, Istituto Pio Paschini per la storia della Chiesa in Friuli.
Note
- ^ a b Paolo Diacono, Libro VI, 26, in Antonio Zanella (a cura di), Storia dei Longobardi, Vignate (MI), BUR Rizzoli, p. 511, ISBN 978-88-17-16824-3.
- ^ a b Paolo Diacono, Libro VI, 45, in Antonio Zanella (a cura di), Storia dei Longobardi, Vignate (MI), BUR Rizzoli, p. 529, ISBN 978-88-17-16824-3.
- ^ a b c d e f g h i Paolo Diacono, Libro VI, 51, in Antonio Zanella (a cura di), Storia dei Longobardi, Vignate (MI), BUR Rizzoli, pp. 535-537, ISBN 978-88-17-16824-3.