La filiera corta (o canale corto o vendita diretta) è una filiera produttiva caratterizzata da un numero limitato e circoscritto di passaggi produttivi, e in particolare di intermediazioni commerciali, che possono portare anche al contatto diretto fra il produttore e il consumatore. È maggiormente diffusa in agricoltura, soprattutto per quei prodotti che non necessitano di processi di trasformazione, come il riso[1] o quasi tutti i prodotti ortofrutticoli freschi.

Si tratta una strategia alternativa che crea filiere indipendenti dalla grande distribuzione, basate sulla produzione locale. Quindi è un sistema alimentare territoriale in cui si riducono gli intermediari della catena del cibo e le distanze che il cibo stesso percorre (food miles). Questo fa sì che i produttori assumano un ruolo centrale.[2]

La filiera corta contribuisce al rafforzamento delle economie locali[3] e favorisce il progresso nel campo delle produzioni sostenibili; infatti la filiera corta dà priorità a prodotti biologici, tipici e di produzione familiare.[4]

Il termine ‘corta’ si riferisce a tre dimensioni:

  • prossimità geografica: misurata come distanza fisica tra chi produce e chi consuma
  • prossimità sociale: suggerisce un rapporto di fiducia e solidarietà tra produttore e consumatore, che condividono tradizioni e identità territoriali
  • prossimità economica: gli scambi di mercato sono circoscritti all’interno di un territorio.[5]

La filiera corta: un'opportunità per agricoltori e consumatori (l'importanza strategica della filiera corta)

Il fattore prezzo

[Una filiera corta rende anche più facile l’ottenimento di un prezzo giusto, poiché i produttori possono comprendere quali sono i costi reali dell’agricoltura e della produzione del cibo. Inoltre, i guadagni dei distributori possono essere suddivisi equamente fra produttori e consumatori, permettendo ai primi di ricevere la giusta retribuzione per il loro lavoro, e ai secondi di sapere esattamente cosa pagano e di pagarlo meno.](FONTE 1)

[Un contenimento dei costi di produzione e l’assenza di intermediazione hanno un impatto determinante sul fattore prezzo, tanto che i prodotti veicolati tramite canale diretto sono generalmente più convenienti per i consumatori rispetto a quelli proposti dai canali tradizionali. Contemporaneamente, a questo risparmio dei consumatori corrisponde una possibilità per il produttore di ottenere una remunerazione ritenuta più adeguata dei fattori produttivi impiegati e di riappropriarsi di una parte del valore che usualmente si disperde nei vari passaggi lungo la filiera. Inoltre, si riesce a garantire una trasparenza sulla formazione del prezzo che il consumatore può valutare, cosa che diventa complicata nel caso di filiere con numerosi intermediari. L’indagine di giugno 2007 dell’Antitrust sulla filiera ortofrutticola finalizzata all’esame della corretta trasmissione dei prezzi evidenzia che il ricarico medio sul prezzo finale in 267 filiere osservate è del 200%, come media tra un ricarico del 77% nel caso di acquisto diretto e del 300% nel caso di presenza di 3-4 intermediari. Secondo una stima della Cia, acquistando direttamente dal produttore il risparmio va dal 30 al 35 per cento. Il risparmio è senza dubbio l’anello di congiunzione tra il vantaggio del produttore e quello del consumatore.] FONTE 2 [6]

Fattori determinanti per l'imprenditore che influiscono sulla scelta di utilizzazione del canale corto

[Vantaggi dal lato dell’agricoltore dell’utilizzo del canale corto: maggiori ricavi, stabilità della domanda, possibilità di incidere direttamente sul prezzo (Bigi 2005).

  • garantisce l’opportunità di trovare uno sbocco commerciale a prodotti da parte di imprese situate in aree marginali o di piccolissimi produttori

I caratteri di stagionalità e territorialità che distinguono la vendita diretta consentono risparmi in termini di costi di produzione:

  • La possibilità di rispettare il ciclo naturale delle stagioni, permette di limitare l’uso dell’energia necessaria.
  • con la vendita su scala locale si evita il trasporto su lunghe distanze, risparmiando quindi in costi di conservazione, imballaggio e carburante.]FONTE 2[7]

[La filiera corta talvolta è presentata come una grande opportunità per gli agricoltori; ma, diversi fattori possono mettere in dubbio la sua convenienza economica. Un’indagine quantitativa ha analizzato, attraverso l’applicazione di un modello statistico (probit multivariato) i fattori determinanti la scelta del canale commerciale (Corsi et al., 2009). E’ risultato che le aziende con dimensioni economiche maggiori sono più propense ad orientarsi verso il canale tradizionale, il che parrebbe confermare la percezione comune che le filiere corta e diretta rappresentino un’opportunità per le piccole aziende. Le aziende agricole collocate in montagna e in collina utilizzano in misura significativamente maggiore canali di vendita alternativi, probabilmente per sopperire alle maggiori difficoltà legate all’attività produttiva. Le aziende condotte da soggetti più scolarizzati e con maggiore esperienza sono meno propense a scegliere canali di vendita tradizionali, optando più frequentemente per nuove prospettive di commercializzazione. Infine, risulta evidente come l’utilizzo della filiera corta sia fortemente condizionato alla tipologia di prodotto. La filiera corta si addice, prevalentemente, ai prodotti orticoli, vitivinicoli e trasformati e non alle produzioni frutticole né a tutti quei prodotti (ad es. alcuni cereali) che possono arrivare al consumatore solo dopo una trasformazione non facilmente attuabile in azienda.] (FONTE 4) [8]

Fattori determinanti per i consumatori che influiscono sulla scelta di utilizzazione del canale corto

[Motivazioni d'acquisto: due indagini. Un’indagine condotta da Agri2000 durante la manifestazione Sana del settembre 2006 su un campione di 1200 visitatori ha messo in evidenza che la domanda di qualità e di freschezza dei prodotti costituisce la principale motivazione d’acquisto presso il produttore per il 70% degli intervistati; il 43% ha indicato anche la possibilità di instaurare un rapporto diretto con i produttori e il 25% la volontà di sostenere l’economia agricola locale. La convenienza è solo al quinto posto, con il 14% delle preferenze, preceduta dalla maggiore sicurezza alimentare, indicata dal 19% degli intervistati. Da un sondaggio condotto dalla Coldiretti durante il 2007, la principale motivazione d’acquisto tramite questo canale è il risparmio (30% degli intervistati), seguito dalla possibilità di instaurare un rapporto diretto con i produttori (25%), le garanzie di freschezza, qualità e genuinità del prodotto (24%), la salvaguardia delle tradizioni e della cultura enogastronomia del territorio (12%) e infine per il 9% il minore inquinamento, il risparmio di energia e la difesa dell’ambiente legati al consumo dei prodotti locali.

Tra gli aspetti che possono attirare i consumatori verso il canale diretto, vi sono quindi anche quelli di tipo ambientale e socio-culturale: Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale della spesa alimentare:

  • cibo “a chilometro zero”
  • minore impatto della vendita diretta per quanto riguarda la eliminazione di scarti e residui collegati all’uso del packaging richiesto dalla distribuzione moderna.
  • spesso il canale della vendita diretta diventa lo strumento ideale di diffusione dei prodotti biologici e da agricoltura integrata, ottenuti per definizione con minore uso di input chimici.

Per quanto riguarda l'aspetto socio-culturale: Rapporto diretto con le aziende agricole che diventa una occasione per recuperare un contatto con il mondo rurale, spesso dimenticato non solo in termini di freschezza e genuinità dei prodotti, ma anche di conoscenza dei cicli stagionali e delle peculiarità colturali locali e in più in generale di riscoperta della cultura rurale.] FONTE 2 [9]

Il Prezzo "giusto" nella filiera corta

[Anche se lo sviluppo delle filiere corte si inquadra in più complesse dinamiche di evoluzione del sistema agro-alimentare, in cui i processi di rilocalizzazione e di riavvicinamento tra produzione e consumo hanno cause, significati e implicazioni che vanno oltre gli aspetti puramente economici (Goodman, 2003; Renting et al., 2003; Watts et al., 2005; Rossi et al., 2008; Brunori et al., 2007 e 2009), la problematica della distribuzione del valore lungo la filiera e, in particolare, dei prezzi dei prodotti al consumo, è di fatto diventata centrale. In effetti, tali iniziative si configurano in molti casi come un tentativo di rimuovere i diversi fattori che stanno alla base delle “ingiustizie” veicolate dagli attuali andamenti e livelli dei prezzi:

  • possono ridurre i costi complessivi di produzione e distribuzione del cibo attraverso la riduzione dei chilometri percorsi dal cibo e del numero di passaggi di intermediazione;
  • rappresentano un’alternativa ai canali distributivi dominanti, e quindi possono contribuire ad evitare gli squilibri di potere contrattuale lungo la filiera;
  • possono consentire l’accesso al mercato a categorie di produttori e a tipologie di prodotti, che difficilmente possono accedere ai canali distributivi più moderni;
  • agevolano la trasmissione delle informazioni tra produttori e consumatori circa le caratteristiche e gli effetti dei processi produttivi e dei prodotti, consentendo al prezzo che si forma sui mercati di tenere meglio in considerazione le esternalità positive e negative generate dai processi produttivi, soprattutto in termini di effetti sociali e ambientali;
  • infine appaiono luoghi ideali per impostare nuove modalità di rapporto produzione-consumo improntate a valori etici e morali e alternative al mercato convenzionale, promuovendo quindi una revisione degli stessi stili di produzione e di consumo.

Con la relazione di José Bové (Parlamento europeo, 2010), si chiede una maggior trasparenza nella costruzione del prezzo dei prodotti agricoli e alimentari, migliori condizioni di concorrenza e accesso al mercato di tutti i partecipanti, la rimozione degli abusi derivanti da posizioni dominanti sul mercato da parte dell’industria e della distribuzione. Inoltre, si sottolinea l’importanza di raggiungere prezzi che coprano i costi di produzione, di prestare maggiore attenzione a sistemi alternativi di scambio, di ridurre la distanza percorsa dal cibo nel giungere al consumatore finale (food miles), di sostenere le pratiche di sostenibilità ambientale. In particolare, si sollecita la necessità di incentivare iniziative che possano portare il produttore più vicino al consumatore, attraverso l'attuazione di "misure di promozione del concetto di "cibi locali", e in particolare di azioni volte a promuovere ed informare il consumatore sulle speciali caratteristiche di tali prodotti, i loro benefici sulla salute e i vantaggi economici che presentano." (Parlamento europeo, 2010).

Ci sono approcci molto diversi da parte dei Mercati esistenti per affrontare la problematica del prezzo:

  • La “non azione": mercati senza iniziative e strumenti di controllo o monitoraggio dei prezzi (a maggior parte dei Mercati si colloca in questa categoria)
  • Il monitoraggio con informazione e confronto dei prezzi. Questo strumento si basa sulla scelta di monitorare i prezzi rilevabili su altri canali di distribuzione presenti sul territorio, in modo da poterne confrontare i risultati con i prezzi praticati nel mercato/spaccio. Il riferimento è spesso ai prezzi della GDO e ai prezzi al dettaglio a livello locale;
  • La regolazione del livello massimo dei prezzi mediante confronto con altri canali. Lo strumento prevede la fissazione di tetti massimi di prezzo calcolati sulla base dei prezzi rilevati su altri mercati, in alcuni casi a livello nazionale (SMS consumatori), in altri a livello locale (mercato all'ingrosso locale, dettaglio, vendita diretta in azienda);
  • Il calcolo dei costi di produzione. Lo strumento prevede la ricostruzione di costi di riferimento relativi a singoli prodotti e aree territoriali, con l’obiettivo di disporre di un valore “standard” che possa essere utile sia come strumento di giustificazione di prezzi superiori rispetto a quelli riscontrabili su altri canali, sia in modo da evitare che possano essere arbitrariamente fissati prezzi troppo elevati;
  • Il riferimento a convenzioni “non di prezzo”. In queste situazioni l’attenzione non è rivolta in primis al prezzo, quanto piuttosto all’interazione attorno ai significati attribuiti alla produzione e al consumo. Il non ricorrere ad interventi specifici sul prezzo fa parte di una strategia rivolta a far sì che i partecipanti allo scambio si concentrino su altri valori e possano sviluppare una visione comune, che vada al di là della soddisfazione di obiettivi di tipo meramente privato, consentendo di trovare coerenza anche rispetto ad obiettivi di tipo pubblico (giustizia sociale e ambientale).

L’enfasi creatasi attorno al prezzo contrasta tuttavia con lo spirito delle iniziative di filiera corta, la cui finalità non è tanto di raggiungere un prezzo “basso”, quanto un prezzo “equo”, in grado di riconoscere un giusto valore ai prodotti.

In sintesi, possono essere evidenziati due grandi “poli di gravitazione” per quanto riguarda le scelte effettuate relativamente al tema del prezzo giusto (Marescotti et al., 2010a e 2010b):

  • da un lato vi sono quei meccanismi che affrontano il tema del prezzo giusto da un punto di vista strettamente economico : il focus è diretto sui benefici economici che produttori e consumatori possono trarre dall accorciamento della filiera. Questo approccio induce a optare per la scelta di meccanismi di determinazione del prezzo improntati più al lato del mercato, con l’esposizione e il confronto dei prezzi rilevati sugli altri canali, o la previsione di tetti massimi dei prezzi;
  • dall’altro lato sono all’opera quei meccanismi che considerano il prezzo giusto, tenendo maggiormente in considerazione, accanto agli aspetti economici, gli effetti e i valori sociali e ambientali, e dunque in una visione più “collettiva”. Il prezzo giusto è dunque quello che consente di tener conto dei benefici sociali e ambientali generati da un sistema “alternativo” di produzione e consumo. Questo approccio porta a dare maggiore risalto agli aspetti relativi alla comunicazione dei “valori” del prodotto (e dei relativi processi produttivi impiegati per realizzarlo) e al tema del costo (sociale) di produzione. Questo secondo approccio è rafforzato dalla considerazione che i consumatori che frequentano i Mercati dei produttori non sono così sensibili al “prezzo”. Le indagini condotte nel corso della ricerca (Rocchi et al., 2010) e gli studi effettuati sul comportamento del consumatore mostrano, infatti, che presso i Mercati dei produttori i consumatori cercano soprattutto “valore” trasparenza.

Evidentemente entrambi gli approcci sono legittimi e possono essere funzionali ai diversi obiettivi che gli organizzatori e partecipanti dei mercati dei produttori agricoli possono porsi.

Nonostante l’eterogeneità degli approcci al prezzo giusto e i limiti che essi presentano, la discussione sul criterio più opportuno da seguire per intervenire sul prezzo sembra aver generato un più generale processo di ripensamento e ri-definizione di aspetti specifici dei modelli dominanti di produzione-consumo. In questo senso, i mercati dei produttori si confermano nell’assumere un ruolo di grande importanza. Come nicchie di innovazione di sistema (Brunori et al., 2009), essi si configurano come luoghi privilegiati dove è possibile sperimentare nuovi approcci al cibo e nuove pratiche per la sua produzione e il suo consumo. ] (FONTE 9)[10]

filiera corta VS filiera lunga

I canali distributivi

Possibili canali di distribuzione:

  • diretti (vendita in azienda) ---> è una forma di commercializzazione in grado di mettere in contatto produttori e consumatori eliminando i passaggi intermedi della filiera: l’agricoltore può quindi riacquisire autonomia decisionale circa le proprie scelte produttive e commerciali (Cicatiello e Franco, 2008), di incrementare la remunerazione dei fattori produttivi impiegati, evitando una dispersione di valore lungo i vari passaggi della filiera, di contenere i costi di produzione, rispettando la stagionalità delle produzioni, di favorire il mantenimento e lo sviluppo delle aree rurali, creando una fitta rete di rapporti sociali, economici e culturali strettamente legata al proprio territorio (Aguglia, 2009).
  • corti (vendita presso mercati locali, negozi specializzati, consegna a domicilio, ristoranti) ---> Un ulteriore circuito breve, oltre alla vendita diretta al consumatore, è quello che viene definito canale corto. In questo caso si fa riferimento alla vendita che prevede, almeno, un “passaggio”.
  • tradizionali (ingrosso, supermercati) ---> tradizionale organizzazione della distribuzione, che ha, come punti di forza, i grandi quantitativi di prodotti disponibili e l’ampio assortimento dei prodotti offerti, il tutto concentrato presso un unico punto vendita (Castaldo, 2005). ] (FONTE 4)[11]

La diversa concezione del mercato

[Insieme alle produzioni biologiche e alle indicazioni geografiche, la filiera corta ha dimostrato come la libera circolazione delle merci non debba necessariamente portare alla standardizzazione dei prodotti e dei territori, e come il mercato unico europeo non sia di per sé incompatibile con la costruzione di sistemi alimentari territoriali in grado di rispondere ad una domanda sempre più diversificata e sensibile a temi etici. La partecipazione attiva di nuovi soggetti sul mercato favorisce – come nel caso degli ogm, dell’olio di palma, dell’impronta ecologica, del benessere animale, del fair trade - l’ibridazione della sfera di mercato con la sfera pubblica (Brunori et al., 2013), sviluppando nel consumatore il senso della responsabilità proprio del concetto di cittadinanza e portandolo a rivedere le routine di consumo. Se in una concezione di mercato di tipo convenzionale il comportamento del consumatore è del tutto indipendente dalla preoccupazione per gli altri e per il bene della comunità, il concetto di mercato che si afferma nel caso della filiera corta è fortemente permeato dai temi etici.] (FONTE 6) [12]

Contrapposizione

[Alla cosiddetta “filiera lunga” o con “circuiti lunghi” si contrappone la “filiera corta” o “a circuito breve”] FONTE 5 [13] [Al momento sembra vi sia la compresenza di

  • una dimensione commerciale all’interno della quale l’offerta alimentare è molto ampia, di qualità standardizzata, appiattita su marche più o meno note (centro commerciale/ipermercato)
  • e della dimensione basata su rapporti personali e pochi prodotti ma di elevata qualità (mercato contadino, negozi biologici e di prodotti tipici, gruppi di acquisto solidale).] (FONTE 2)[14]

[Non sorprende, dunque, che il dibattito che ha accompagnato le filiere corte abbia visto una contrapposizione tra ‘locavori’ – consumatori che scelgono di orientare i propri consumi su prodotti di origine locale - e ‘globavori’ – che al contrario sono indifferenti all’origine del prodotto che scelgono (Desroches, Shimizu, 2012). Le filiere corte sono infatti viste da molti come perno di sistemi alimentari più etici, con una identificazione tra filiere corte e ‘good food’ e tra filiere globali e ‘bad food’ (Johnston et al., 2011; Stuckler, Nestle, 2012).] (FONTE 8) [15] [La “filiera lunga” si realizza attraverso “circuiti lunghi”, che presuppongono un frazionamento ed una delocalizzazione delle singole attività produttive, vari intermediari commerciali, lunghi tragitti di percorrenza. Questo tipo di filiera, dapprima considerato massimamente efficiente è stato ultimamente variamento criticato da un punto di vista economico complessivo che include aspetti ambientali e sociali. Tuttavia la filiera lunga come anche quella corta risultano di volta in volta più o meno efficienti a seconda dei diversi contesti locali e situazioni di mercato in cui operano.] (FONTE 5) [16]

[L’impatto delle filiere corte rispetto alle filiere convenzionali dipende dalla specifica configurazione che le filiere assumono (Born, Purcell, 2006). E’ per questo motivo che la definizione normativa delle filiere corte rappresenta un aspetto centrale rispetto alla stima degli impatti. Il progetto Glamur4, sottolinea delle distinzioni tra le filiere locali e quelle globali:

  • Per quello che riguarda la valutazione dell’impatto economico, la produzione scientifica finora pubblicata pone l’attenzione sui seguenti vantaggi della filiera corta rispetto alla lunga: benessere aggiuntivo generato dal valore trattenuto nel territorio (Lev et al., 2003); incremento di benessere personale che può derivare dai prezzi più contenuti, dall’aumento della libertà di scelta tra modalità di distribuzione e dalla enfasi sui prodotti freschi, locali e di stagione (Sini, 2009; Aguglia, 2009; Belletti et al., 2010).
  • Per quello che riguarda gli impatti ambientali, gli studi hanno mostrato che l’uso di indicatori troppo semplificati come le ‘food miles’, che calcolano la semplice distanza tra luogo di produzione e luogo di vendita, rischiano di trasmettere informazioni incomplete rispetto alla complessità dei fattori che determinano la sostenibilità.
  • Riguardo agli impatti sociali ci sono chiari esempi di come la filiera corta possa generare una migliore distribuzione del potere negoziale lungo la filiera: la minore distanza sociale migliora la capacità dei consumatori di acquisire informazioni riducendo l’asimmetria informativa (Lombardi et al. 2012), mentre le filiere globali tendono a deresponsabilizzare i consumatori oscurando il costo sociale delle merci (Goodman, 2002; Cicatiello, Franco, 2008).
  • Per quello che riguarda l’impatto nei confronti della salute pubblica, nei mass media è sempre più frequente l’accostamento delle filiere globali a modelli di nutrizione errati e quello delle filiere corte ad una dieta più salutare. Nuove ipotesi di ricerca su questi aspetti riguardano l’importanza degli effetti indiretti che le filiere corte possono produrre, ad esempio sui comportamenti dei consumatori. In quanto mezzi di comunicazione di valori non commerciali, le filiere corte possono trasmettere in modo più coerente norme per una corretta nutrizione.
  • Per quanto riguarda l’impatto etico, infine, è stato suggerito che la filiera corta, consentendo una diretta relazione tra consumatore e produttore, favorisce una scelta più consapevole da parte dei consumatori e al tempo stesso un più pronto adeguamento dei produttori ai valori dei consumatori.]FONTE 8 [17]

Filiera corta e lunga: non sempre alternative

[Non sempre filiera corta e lunga hanno un rapporto antagonistico nel medesimo contesto, ma vi sono ambiti, nei quali questi due circuiti di produzione e sbocco possono coesistere. Infatti accade che in ambito distrettuale si appiattisca il dualismo (Castellani, 2007) tra filiera corta e lunga, e le diverse tipologie di impresa che ne trovano la convenienza di volta in volta si avvantaggino delle opportunità offerte da ciascuna di esse o da entrambe. Le imprese di medie dimensioni, in particolare, possono fruire anche contemporaneamente di queste opposte modalità di produzione e vendita, laddove si crea il “luogo economico” che ne rende opportuno l’utilizzo. Può essere cioè contemporaneamente presente una -anche parziale- delocalizzazione del circuito produttivo, tipica della filiera lunga, che viene sfruttata per ridurre i costi di produzione pure da parte di imprese di non grandi dimensioni (13), ed una vendita sia mediante filiera corta, sia mediante filiera lunga, ma con incorporati i vantaggi della reputazione del prodotto tipici della filiera corta ed avvalorati dalla contemporanea presenza di essa (14). Se riferiti alla sola vendita i due circuiti possono infatti valorizzarsi reciprocamente in presenza di un prodotto di alta qualità che coniuga all’interno ed all’esterno il marketing del prodotto con quello del territorio. ] (FONTE 5) [18]

[Non di rado, la filiera corta rappresenta un canale complementare e sinergico con la filiera lunga, come nel caso del settore del vino dove la vendita diretta svolge un ruolo crescente in aziende peraltro vocate alle esportazioni (Contò, 2015; Francioni et al., 2017).] (FONTE 6) [19]

Tipologie

[Ogni mercato di produttori è un mezzo per accorciare la filiera. Hanno lo stesso scopo, e possono ottenere gli stessi risultati, i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), le esperienze di CSA (Community Supported Agriculture) ed ogni altro esempio di vendita diretta.] FONTE 1 [20]

Farmers' market

[I farmers’ market o green market fanno particolare riferimento ai prodotti agricoli delle coltivazioni e dell’allevamento. Si trattta di un fenomeno già ampiamente sperimentato in altri Paesi europei, in cui operano già dai primi anni Novanta, e soprattutto negli Usa dove hanno iniziato ad affermarsi fino dai primi anni Settanta, ma con una rilevante differenza rispetto al modello prevalente in Italia: i prodotti venduti sono principalmente alimenti di consumo quotidiano, non contraddistinti da particolari caratteristiche qualitative. ]FONTE 5 [21] [Il modello dei farmers’ markets è stato quindi importato dagli Stati Uniti. Rispetto alle esperienze estere, nel nostro paese solo di recente si è inquadrato il fenomeno della vendita diretta e sembra emergere un’enfasi al sostegno del canale focalizzato sui prodotti tipici locali, che aiutano a conoscere il territorio circostante e a far crescere il turismo.] (FONTE 2) [22]

GAS

[Spesso i Gas emergono da associazioni informali di stampo ecologico-etico, o da piccoli gruppi di famiglie che vivono in uno stesso paese, accomunate dal desiderio di supportare il tessuto produttivo agricolo locale e, per estensione, lo sviluppo del proprio territorio. L’iniziativa ha origine non dal produttore, ma dalla capacità dei consumatori di auto organizzarsi spontaneamente, secondo logiche ispirate appunto alla solidarietà nei confronti dei produttori, di altri consumatori e in particolare verso i soggetti più svantaggiati, anche in altre zone del mondo (da cui l’attenzione in generale per i prodotti del commercio Equo e Solidale). Si forma così un vero e proprio gruppo che dialoga e si struttura al suo interno in base alle caratteristiche e ai bisogni ed è in stretto contatto con il produttore ed il luogo di produzione. I consumatori, il cui profilo è variegato, sono generalmente più sensibili al tema delle foodmiles, della sostenibilità ambientale e attenti alla qualità e alla salubrità dei prodotti. La richiesta principale del consumatore è che ci sia un rapporto equo tra la qualità dei prodotti e il prezzo rispetto ai supermercati e ai mercati rionali, unitamente all’interesse verso il recupero di valori immateriali, come ad esempio le ricette antiche, le tradizioni gastronomiche, la tipicità delle produzioni locali.] (FONTE 3)[23]

Box Scheme (‘vendita in cassetta’)

[Molti produttori agricoli, per avvicinarsi ai consumatori finali senza intermediari, non si limitano alla semplice vendita in azienda dei propri prodotti ma hanno attivato altri canali di commercializzazione, come la consegna a domicilio di cassette con la spesa della settimana, che variano nelle dimensioni e nei contenuti secondo le preferenze dei consumatori, una volta a settimana in giorni prestabiliti, secondo le richieste pervenute. ] (FONTE 3)[24]

Community supported agriculture (Csa)

[I cosiddetti Community Supported Agriculture (Csa), costituiscono una forma diretta di partenariato commerciale tra uno o più agricoltori e un gruppo di sostenitori/consumatori. Questi ultimi garantiscono una parte del bilancio operativo legato all’attività agricola, attraverso l’abbonamento a una o più “quote” del raccolto della stagione sottoscritto al principio dell’annata agraria, assumendo così, assieme al coltivatore, alcuni dei costi e dei rischi dell’attività agricola stessa.] (FONTE 3)[25]

Vendita diretta in azienda

[Alcune tipologie di aziende hanno cominciato a sperimentare nuovi modi, più diretti e indipendenti, di proporre i propri prodotti sul mercato, con lo scopo di valorizzarne le particolarità (Raffaelli et al., 2009). Le esperienze di vendita diretta aziendale sono quindi diversificate:

  • Le malghe alpine in Trentino ne sono l’esempio eclatante: ogni malga produce il proprio formaggio, che è unico e irriproducibile, in quanto emerge da un insieme di variabili geografiche (altitudine, esposizione del versante), produttive (tipo di pascolo) e tecniche, e lo vende direttamente sia in loco, ai turisti che durante l’estate si recano in vetta per escursioni e passeggiate, o in autunno, al rientro in paese, ai concittadini. L’accorciamento della filiera è quindi visto, in questi casi, come un modo di valorizzare il proprio prodotto riuscendo a proporlo sul mercato “fuori dagli standard”.
  • cooperazione di realtà piccole, in poco accessibili che operano in presenza di oggettive difficoltà ambientali – climatiche, geografiche, logistiche
  • Un altro esempio è la vendita dei propri prodotti di aziende dedite soprattutto all’agricoltura sociale e all’inserimento al lavoro di persone svantaggiate.
  • Si registrano poi interessanti esperienze di cooperazione fra gli agricoltori con lo scopo di condividere l’attivazione di un canale di vendita diretto, soprattutto per prodotti ad alto valore aggiunto come i biologici o i trasformati.
  • diversificazione dell’attività agricola con l’inserimento di iniziative didattiche, ristorazione e ricezione turistica. ] (FONTE 3)[26]

I dati sulla vendita diretta in Italia: i numeri

[In Italia, la filiera corta rappresenta un fenomeno abbastanza sviluppato: ci sono 270.497 aziende agricole che vendono direttamente ai consumatori e che rappresentano il 26% del numero totale delle aziende agricole (nel 2007, erano il 22,1% di tutte le aziende in Italia, e il 5% in più rispetto al 2000), 1.367 Farmers’ Market che negli ultimi due anni sono aumentati del 44% e 890 Gruppi d'acquisto solidale (Franco, Marino, 2012).] (FONTE 7) [27]

[Dal secondo rapporto dell’Osservatorio nazionale sulla vendita diretta riferito al 2007, che la Coldiretti ha creato insieme ad Agri 2000, emerge che le aziende che praticano la vendita diretta ammontano a 57.530 unità, con un incremento del 18% rispetto al 2005 e del 48% rispetto al 2001. Esse rappresentano il 6,1% del totale delle aziende agricole iscritte alle Camere di Commercio. L’area geografica nella quale è maggiore la presenza delle imprese con vendita diretta è il Nord, con una incidenza circa del 43%, seguito dal Centro, con il 34%. Prendendo in considerazione la quota di aziende con vendita diretta rispetto al totale delle aziende agricole di ciascuna regione, le prime 5 regioni risultano la Toscana (20,3%), l’Abruzzo (20,3%), la Liguria (15,7%), la Lombardia (13,8%) e il Trentino Alto Adige (13,5%). La vendita diretta è diffusa soprattutto nelle aziende del comparto vitivinicolo (37,2% del totale), ma una quota importante è rappresentata anche dalle aziende che offrono prodotti ortofrutticoli (27,7%) e dalle aziende del comparto olivicolo (19,5%), ma sono in crescita anche prodotti come i formaggi ed il miele. Si può ipotizzare che la vendita diretta rappresenti il canale privilegiato di prodotti per i quali è determinante la percezione di freschezza e di salubrità da parte del consumatore, quindi per frutta e verdura; per prodotti ad alto valore aggiunto, quali vino e olio, il fattore risparmio nell’acquisto “alla fonte” diventa determinante o, a parità di prezzo, la garanzia di qualità influisce sulla disponibilità a sostenere la spesa elevata che in genere questi prodotti comportano.

Il luogo nel quale più frequentemente viene organizzata la vendita è rappresentato dagli stessi locali dell’azienda, con il 63,4% del totale; seguito dai mercati e dalle fiere locali (24%), mentre le aziende che si stanno organizzando con l’allestimento di negozi aziendali rappresentano il 14%. Infine, il valore delle vendite in Italia nel 2007 è stimato in 2,5 miliardi di euro, il 4,1% in più rispetto all’anno precedente. Vino (47%) e ortofrutta (28%) rappresentano congiuntamente il 75% del valore complessivo del canale. ] (FONTE 2)[28]

un’analisi sulle imprese della filiera corta

In base ai dati raccolti mediante un’indagine diretta1 che ha coinvolto 226 produttori, scelti in considerazione della localizzazione geografica e per schema di filiera corta, si sa che…: [Le aziende sono localizzate prevalentemente nelle aree collinari e distano in media 25 km dai principali mercati di sbocco delle produzioni e ciò comporta effetti positivi, soprattutto in termini di riduzione delle esternalità negative legate ai trasporti quali l’emissione di anidride carbonica, l’inquinamento atmosferico, il traffico, il numero d’incidenti e l’inquinamento acustico (Defra, 2005). Il 45% delle aziende del panel attua metodi di produzione a basso impatto ambientale e quasi il 40% di esse annovera negli ordinamenti colturali una quota rilevante di superfici a prati e pascoli permanenti, mentre le aziende con superfici ricadenti in aree d’interesse ecologico e quelle con superfici a bosco hanno sostanzialmente una minore consistenza all’interno del panel (rispettivamente 17% e 20%). L’età media degli imprenditori intervistati è piuttosto bassa (41 anni) e ben il 67% delle aziende è condotto da imprenditori giovani, soprattutto di sesso maschile. La dimensione media aziendale è piuttosto cospicua (circa 25 ettari) e oltre la metà delle aziende censite ha una dimensione di 17 ettari. Le produzioni aziendali sono rappresentate prevalentemente dai prodotti ortofrutticoli; altri prodotti di un certo volume sono i trasformati di frutta e ortaggi e l’olio che sono prodotti da circa un quarto delle imprese, oltre che i derivati del latte. Fa eccezione il vino, offerto soltanto dal 10% dei produttori. Le produzioni zootecniche rivestono, invece, un ruolo decisamente minore rispetto alle colture vegetali. Sul piano ambientale, le aziende campionate presentano un buon livello di diversificazione colturale: circa 3/4 delle superfici aziendali sono occupate perlomeno da tre colture e ciò si traduce in un minore ricorso alla pratica della monocoltura e probabilmente in una maggiore varietà delle unità di paesaggio e nel miglioramento della biodiversità. Le superfici coltivate con metodo di produzione biologico incidono nella misura del 40% in termini di Sau; la presenza delle superfici biologiche è condizionata probabilmente dalla domanda dei consumatori delle filiere corte che si concentrano sui prodotti di qualità (Marino et al., 2013b). Si conferma un quadro in cui le aziende che aderiscono a forme di filiera corta tendono a sviluppare tecniche più sostenibili a livello ambientale, che hanno un impatto positivo sulla biodiversità, sul paesaggio e sulle risorse naturali del territorio e, in tal senso, la filiera corta rappresenta un’opportunità per ridurre le esternalità negative dell'agricoltura sull'ambiente (Aguglia, 2009). Dal punto di vista sociale, nelle aziende prestano lavoro, in media, 6 unità, di cui 2 familiari e 2 donne. Nell’ambito della forza-lavoro, i coadiuvanti familiari e le donne incidono nella misura del 34% e 35%. La quota di lavoratori giovani (pari al 25% del totale) appare qui abbastanza diffusa, mentre è piuttosto rara nel settore agricolo nazionale. L’incidenza dei lavoratori disabili e dei pensionati è invece piuttosto marginale. La filiera corta offre, dunque, buone opportunità per lo sviluppo delle attività dei giovani imprenditori e comporta la necessità di assumere personale extra-familiare per coprire le aumentate necessità di lavoro, creando ulteriori opportunità d’impiego per i residenti delle zone rurali. Minore è, invece, la capacità della filiera corta di assicurare integrazioni di reddito ai pensionati che si dedicano all’agricoltura e sbocchi occupazionali alle fasce più deboli della forza lavoro come le persone con disabilità e ciò limita sicuramente l’impatto sociale di queste esperienze di filiera corta sull’occupazione delle fasce deboli della popolazione (Marino et al., 2012). Passando al confronto tra le filiere. Le aziende che vendono ai Gas presentano quote più consistenti di superficie biologica negli ordinamenti produttivi, mentre le aziende con la maggiore estensione colturale ricadente in aree protette si annoverano nelle tipologie VD e Apf, con quest'ultima che include anche alcune aziende con superfici a bosco. Le aziende Csa si caratterizzano per l’incidenza delle superfici a prati e pascoli. Le aziende VD registrano fabbisogni lavorativi maggiori rispetto alle altre aziende, evidenziate dal numero di occupati e dal rapporto tra le unità lavorative e superficie agricola utilizzata. Le aziende che vendono nei farmers’ market si caratterizzano per la partecipazione femminile al lavoro più elevata. Le aziende che vendono ai Gas presentano una consistenza rilevante degli imprenditori e occupati giovani. Le differenze economiche tra le aziende sono piuttosto ridotte. In ogni caso, le aziende Apf presentano valori della produzione standard più elevati rispetto alle altre aziende, riguardo le colture orticole, frutticole e quelle olivicole e viticole. Le aziende FMs, Gas e Apf registrano, invece, valori maggiori nelle produzioni zootecniche. In sintesi, i produttori Gas mostrano una chiara propensione per quasi tutte le dimensioni della sostenibilità, con particolare riferimento alla consistenza delle superfici coltivate con metodo di produzione biologico, all’intensità di lavoro, alla presenza d’imprenditori e occupati giovani, ai ricavi delle produzioni zootecniche. Le aziende dei FMs si caratterizzano per l’incidenza dei coadiuvanti familiari e, in misura minore, per una lieve vitalità economica, evidenziata dai ricavi delle produzioni zootecniche. Le aziende con vendita diretta presentano un’attitudine maggiore per gli aspetti ambientali relativi alla consistenza delle superfici ricadenti in aree protette e occupazionali. Le aziende pluri-filiera si contraddistinguono sul piano ambientale, anch’esse per la presenza di superfici ricadenti nelle aree protette, oltre che per l’incidenza dei prati e dei pascoli e per i boschi; queste aziende si distinguono sul piano economico, per i valori delle produzioni ortofrutticole e per quelle di olio e vino. ] (FONTE 7)[29]

modelli aziendali della vendita diretta

[Insieme di caratteristiche strutturali e di contesto che possono essere riconosciute nelle aziende dedite alla vendita diretta (Marsden 2004, Battershill e Gilg 1998).) La caratteristica principale della vendita diretta è la totale autonomia decisionale dell’imprenditore che ritorna ad essere protagonista della filiera e a poter effettuare liberamente le sue scelte produttive e commerciali (Cicatiello, Franco, 2008). Su un campione statistico di 12.265 osservazioni totali relative alle diverse regioni italiane, ottenuto dalla rilevazione Rica per il 2005 (3), le aziende che presentano la vendita diretta sono 3.005, equivalenti al 24,5% del totale. La tabella 2 riassume le principali caratteristiche emerse dall’analisi descrittiva di questo campione di aziende. Per quanto riguarda l’imprenditore e la famiglia, risulta che la conduzione delle aziende che hanno attivato il canale corto di commercializzazione avviene per il 94% dei casi in via diretta. L’età prevalente del conduttore è quella più elevata, ovvero dai 60 anni in poi ed il 73% è costituita da uomini. Nel 34,3% dei casi si riscontra la presenza di un reddito extrafamiliare da pensione. Passando alle variabili che descrivono le caratteristiche strutturali ed economiche dell’impresa, emerge che gran parte delle aziende si trova in collina, affiancato da un 23% di imprese localizzate in montagna. In termini di SAU, le aziende con vendita diretta sono prevalentemente di piccola dimensione: esse si distribuiscono per il 40% del totale nella classe inferiore a 4,8 ettari, quindi le piccolissime imprese, e per il 35% in quella tra 4,8 e 11,17 ettari. A conferma di ciò, la SAU media delle aziende che esercitano la vendita diretta è di 12 ettari. In termini di orientamento tecnico economico delle aziende (OTE), circa il 36% del totale è dedita alla colture permanenti, in particolare vino, olivo e frutta, il 10% alle colture erbacce e il 19% non presenta una specializzazione in quanto dedita a una combinazione di colture diverse. La classe di dimensione economica prevalente è quella inferiore alle 8 UDE, seguita dalla classe immediatamente più elevata, quella tra 8 e 16 UDE.

Tabella 2 - Le caratteristiche prevalenti delle aziende con vendita diretta Fonte: elaborazioni INEA su dati RICA 2005
Caratteristiche frequenza in %
conduttore età > 60 anni 41
sesso maschile 73
reddito extrafamiliare da pensione 34
azienda zona altimetrica, collina 65
dimensione < 4,8 ha 40
OTE c. permanenti 36
UDE < 8 40
ripartizione geografica Sud Italia 51

Le regioni nelle quali risulta più diffusa l’attività di vendita diretta sono la Puglia, le Marche, la Toscana, la Campania e la Sicilia. In sintesi, sul territorio vi sarebbe la compresenza di due modelli aziendali distinti inclini alla vendita diretta, quello delle piccole imprese familiari, che impiegano metodi tradizionali di produzione e quello delle imprese di maggiori dimensioni, collegate in maniera migliore con i potenziali utenti e più aperte alle innovazioni produttive e commerciali. ] (FONTE 2) [30]

Riferimenti normativi

Indicazioni a livello comunitario

[Le recenti misure italiane a favore degli agricoltori derivano anche dalle indicazioni a livello comunitario relative alla politica di sviluppo rurale 2007-2013.](fonte 2)[31] [Con la nuova politica di sviluppo rurale europea il sostegno alle filiere corte diventa un importante strumento per il mantenimento della vitalità delle aree rurali. La definizione che il testo legislativo proposto dalla commissione dà di filiera corta è tuttavia di carattere molto generale: una filiera di approvvigionamento formata da un numero limitato di operatori economici che si impegnano a promuovere la cooperazione, lo sviluppo economico locale e stretti rapporti socio-territoriali tra produttori e consumatori. La definizione citata ci indica i principi che dovranno essere precisati nella regolamentazione nazionale e regionale. Il “numero limitato di operatori economici” andrà quantificato, soprattutto in relazione al numero di passaggi intermedi. L’impegno a “promuovere la cooperazione ecc.” dovrà essere verificato attraverso atti concreti.] (FONTE 8)[32] [Nel nuovo regolamento per lo sviluppo rurale le filiere corte sono menzionate come uno degli strumenti di realizzazione di uno degli obiettivi del regolamento (articolo 5) e precisamente: “promuovere l'organizzazione della filiera agroalimentare e la gestione dei rischi nel settore agricolo, con particolare riguardo ai seguenti aspetti: (a) migliore integrazione dei produttori primari nella filiera agroalimentare attraverso i regimi di qualità, la promozione dei prodotti nei mercati locali, le filiere corte, le associazioni di produttori e le organizzazioni interprofessionali". Per realizzare questi obiettivi, “Gli Stati membri possono inserire nei programmi di sviluppo rurale dei sottoprogrammi tematici, che contribuiscano alla realizzazione delle priorità dell'Unione in materia di sviluppo rurale e rispondano a specifiche esigenze riscontrate, in particolare per quanto riguarda: .... (d) le filiere corte” (articolo 8). ] (FONTE 8)[33]

[La Politica Agricola Comune, per il periodo 2014-2020, guarda alla filiera corta come elemento strategico, sia nell’ambito degli obiettivi generali di miglioramento della competitività e della redditività delle aziende agricole, sia nell’ambito degli incentivi all’organizzazione delle filiere agroalimentari nelle zone rurali anche con riferimento alla migliore integrazione degli agricoltori nella filiera.] (Davide Marino) [34]

Leggi italiane

[Come sottolinea Adornato (2013), Il concetto di ‘filiera corta’ emerge solo a partire dal 2001 con il d.lg. n. 228/2001, noto anche come legge di Orientamento e modernizzazione del settore agricolo (Sirsi, 2008; Alabrese, 2008). Da allora le filiere corte sono state oggetto di attenzione da parte del legislatore, soprattutto per quello che riguarda tre principali tipologie: la vendita diretta in azienda, i mercati degli agricoltori, i gruppi di acquisto. (FONTE 8)[35] Per quello che riguarda la vendita diretta, il d.leg. 228/2001 consente agli imprenditori agricoli di vendere direttamente al dettaglio, “...in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende...”. Con la legge finanziaria del 2007 (legge n. 296/2006) il legislatore ha agevolato la creazione di mercati agricoli riservati alla vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli(FONTE 8)[36] (stabilendo che spetta ai comuni autorizzare i mercati agricoli che devono soddisfare determinati standard e promuovendo azioni di informazione per i consumatori sulle caratteristiche qualitative dei prodotti agricoli posti in vendita (2) FONTE 2)[37]).

A livello regionale

Su questa base alcune regioni hanno sviluppato specifiche politiche di intervento. [Tra le prime la regione Piemonte, nella quale la vendita diretta rappresenta il 6-7% del commercio agroalimentare, è praticata da circa 3.300 imprese agricole e ha previsto per il 2009 una dotazione finanziaria di 700 mila euro [link]. In Toscana, nel 2007, nasce il Progetto "Filiera Corta", con contributi regionali a fondo perduto dell'80%.](FONTE 2)[38]. [La legge regionale della Liguria del 2012 regola i farmers’ markets (L.R. 30/04/2012, n. 19). Il legislatore si è occupato anche dei gruppi di acquisto solidali5. La legge finanziaria del 2007 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) ne introduce una definizione, per equipararli ad attività non commerciale e pertanto ad esentarli da eventuali obblighi fiscali (Cristiani, 2008). Successivamente, alcune regioni hanno introdotto misure specifiche di sostegno a questi gruppi. In particolare, l’Umbria (L.R. 10/02/2011, n. 1), la Calabria (L.R. 18/07/2011, n. 23) e la Puglia (L.R. 13/12/2012, n. 43). A segnare l’evoluzione della materia, la legge della provincia autonoma di Trento include i gruppi di acquisto solidale definiti ai sensi della legge 2007 tra i “soggetti impegnati nell’economia solidale” (art. 2 comma 3 L.P. 17/06/2010, n. 13).](FONTE 8)[39]

Conclusioni: il futuro(normativo e non) / critiche/ obiettivi futuri

[Le filiere corte sono oggi viste come un fattore di innovazione e di riequilibrio dell’intero sistema, in competizione ma non necessariamente in opposizione ad altre configurazioni. In primo luogo, uscendo da un circuito ‘alternativo’ le filiere corte saranno sempre di più tenute a dimostrare l’effettivo livello di sostenibilità, anche nel confronto con le filiere lunghe (Tregear, 2011). In secondo luogo, alle filiere corte potrebbe essere richiesto di contribuire in modo sostanziale al consolidamento dei sistemi alimentari urbani. Sotto questo aspetto, molto dipenderà da come si orienterà il quadro di policy.](FONTE 6)[40]

Filiere corte come strumento di politiche per la sostenibilità

[Nella filiera corta il tema dell’accesso al cibo è legato in maniera innovativa alla sostenibilità dei sistemi alimentari (Belletti, Mancini, 2012) e territoriali. Un accesso ristretto agli alimenti sostenibili, per ragioni fisiche (prevalenza di supermercati e mancanza di accesso a cibi freschi) o per ragioni economiche (alimenti dell’agricoltura biologica a volte troppo cari), è considerato, infatti, un ostacolo per la transizione generalizzata alla sostenibilità (Brunori et al., 2012). Gli schemi di filiera si propongono, di conseguenza, l’obiettivo di costruire un sistema di approvvigionamento alimentare alternativo con obiettivi di sostenibilità e democrazia alimentare (Rossi, Brunori, 2011), che garantisca l’accesso ad alimenti sostenibili (Fonte, 2013; Fonte, Salvioni, 2013), sotto il punto di vista ambientale, sociale ed economico.]FONTE 7 [41]

[Le iniziative di filiera corta possono contribuire ad un obiettivo:, la transizione dei sistemi alimentari verso la sostenibilità. A tal fine sembra necessario un ammodernamento nelle politiche in materia degli strumenti di analisi, ed una maggiore flessibilità dei meccanismi di supporto e dei criteri di selezione delle misure. Qui di seguito identifichiamo quattro diverse aree di politica pubblica all’interno delle quali il supporto alle filiere corte potrebbe essere previsto.

Tabella 1 - Aspetti della filiera corta strumentali alle politiche di intervento
Prodotti Punti critici Valori comunicati
Green economy Agricoltura bio, prodotti da razze e varietà locali logistica, packaging, gestione degli sprechi ridotto impatto ambientale, consumo sostenibile
Sviluppo locale e regionale Prodotti da agricoltura locale distribuzione del valore aggiunto, occupazione, qualità della governance e livello di formalizzazione identità locale, legame tra prodotto e territorio
Politiche settoriali prodotti differenziati certificazione della qualità e della provenienza qualità del prodotto, trasparenza
Strategie urbane in funzione degli obiettivi strategici localizzazione dei punti vendita, creazione di capitale sociale qualità della vita, rapporto città-campagna, consumo sostenibile, salvaguardia delle aree agricole periurbane

](fonte 8) [42]

Quale futuro normativo per le filiere corte?

[È infatti necessario perfezionare l’attuale situazione normativa mediante una legge quadro nazionale di riferimento alla quale possano armonicamente adeguarsi le singole differenti normative regionali.

  • Elementi vincolanti più stringenti per assicurare il mantenimento delle caratteristiche peculiari di questa modalità di vendita: potrebbe consentire di controllare e certificare provenienza, tipicità, freschezza (tempo massimo in ore che intercorre dalla raccolta alla vendita, interessante per gli ortofrutticoli), modalità di produzione e qualità dei prodotti, nonché trasparenza del relativo prezzo, in modo da valorizzare i peculiari punti di forza del prodotto stesso. Il decreto non è tanto restrittivo, sia in relazione alle caratteristiche del prodotto da esitare nei mercati agricoli di vendita diretta (7), sia con riferimento ai soggetti abilitati alla vendita e alla provenienza aziendale del prodotto da essi commercializzato (8). Ciò può essere un bene, perché consente il libero esplicarsi di un ventaglio ampio di possibilità, che dà una certa discrezionalità e respiro alle imprese facilitando il superamento di determinati punti debolezza (9), tuttavia questo può anche permettere il verificarsi di qualche evenienza che renda realizzabile il rischio di snaturamento dell'attività (10).
  • Incentivi per agevolare un corretto sviluppo del settore: possono consistere in ulteriori agevolazioni fiscali, sostegni di tipo finanziario o di supporto organizzativo. In linea generale, politiche a favore della filiera corta possono essere attuate attraverso interventi che prevedono incentivi diretti ed anche indiretti.

Consideriamo alcuni rilevanti punti di debolezza: la filiera corta si riferisce ad un mercato di nicchia, i consumi sono limitati, soprattutto all'esterno dei grossi agglomerati urbani e delle zone di consolidata attrazione turistica. Per realizzare l'ulteriore espansione dellai domanda potrebbero essere messi in atto allo stesso tempo generi di interventi differenziati: A) Azioni tese alla valorizzazione e promozione (con pubblicità) del prodotto locale, azioni di marketing del prodotto connesse al marketing del territorio, con iniziative varie (fiere, manifestazioni culturali e folcloristiche) atte ad incrementare l’attrattività territoriale e dei prodotti. Ciò esalterebbe i punti di forza riferibili alla tipicità del prodotto ed al buon collegamento della vendita diretta con il turismo enogastronomico (Gardini, Lazzarin, 2007). B) Misure di aiuto al consumo destinate alle fasce più deboli di consumatori, con sovvenzioni attraverso buoni-pasto spendibili nei farmers market. C) Incentivi di vario genere (fiscali o finanziari) alle imprese di ristorazione e catering che utilizzino prodotto locale. D) Interventi ancora di tipo istituzionale, finalizzati questa volta a convogliare ulteriori categorie di consumo nel canale della filiera corta (promuovendo il naturale legame tra essa e le produzioni a basso impatto ambientale) Si tratta in tutti questi casi di interventi indiretti. Il rimedio per altre criticità richiede invece interventi più direttamente indirizzati alla attività di vendita tramite filiera corta. Interventi di tipo diretto, costituiti da: E) Incentivi indirizzati agli investimenti dei piccoli produttori per la commercializzazione tramite filiera corta. F) Concessione di permessi di vendita in aree di proprietà dei singoli Comuni, debitamente attrezzate (concessione prevista dall’attuale decreto ministeriale, ma attuata finora in modo poco diffuso). G) Promozione di studi mirati su problematiche specifiche di marketing H) Attivazione di supporti istituzionali di tipo organizzativo finalizzati alla razionalizzazione dei percorsi di certificazione igienico-sanitaria e di qualità dei prodotti, alla programmazione ed aggregazione dell’offerta ed alla riduzione dei costi connessi alla logistica.](FONTE 5) [43]

Evoluzione della filiera corta

[I mercati alimentari di quartiere hanno rappresentato per lungo tempo una delle fonti principali di approvvigionamento di prodotti freschi (ortofrutta, latticini, carne e pesce) per gli abitanti delle città, ma la loro importanza è rapidamente diminuita a causa, da un lato dell’evoluzione dell’industria alimentare e dell’avvento della grande distribuzione organizzata, dall’altro del cambiamento e della differenziazione degli stili di vita e di consumo.](FONTE 2) [44]

[Le filiere corte sono state identificate in origine come esempi di resistenza degli agricoltori alla modernizzazione e poi alla globalizzazione del sistema alimentare (van der Ploeg et al., 2000). Attraverso una maggiore prossimità con i consumatori, gli agricoltori possono sviluppare strategie autonome di marketing basate non solo sulla prossimità, ma anche sulla trasmissione di valori ‘alternativi’ incorporati nel prodotto, come la sostenibilità, la biodiversità, la tradizione culturale, la solidarietà. Non a caso l’analisi delle filiere corte si è andata sviluppando soprattutto nella letteratura delle ‘Alternative food networks’ (Goodman, 2012) e in quella dei sistemi agricoli locali (Tregear et al., 2007; Bowen, Mutersbaugh, 2013), assumendo al loro interno significati anche piuttosto diversi ma caratterizzati da una carica innovativa rispetto ai modelli convenzionali (Marsden et al., 2000).] (FONTE 8) [45] [

  • Inizialmente, le filiere corte sono state interpretate come ‘resistenza’ da parte di soggetti deboli, prima di tutto gli agricoltori, minacciati dalla marginalizzazione (Van der Ploeg et al., 2000). In quella fase, la filiera corta rappresentava per i piccoli agricoltori uno strumento per la riappropriazione di quote di valore aggiunto che nel corso della modernizzazione erano state erose dai soggetti forti della filiera.
  • Progressivamente, le filiere corte sono apparse come una delle molteplici forme dei cosiddetti ‘Networks alimentari alternativi’ (Alternative Food Networks) (Renting et al., 2000), canali commerciali appropriati alla commercializzazione di prodotti differenziati ad alto valore aggiunto, in grado di remunerare meglio l’azienda familiare e al tempo stesso comunicare ai consumatori valori – la cultura rurale, il rapporto con la natura - che i sistemi convenzionali non erano in grado o non volevano comunicare.

Dallo studio delle filiere corte come ‘resistenza contadina’, in altre parole, si è passati a studiare le filiere corte come esempio di nuovi paradigmi di sviluppo agricolo (Van der Ploeg et al., 2000).

Se i “network alimentari alternativi” si sono andati evolvendo mantenendo una forte componente ideologica e il radicalismo delle origini, puntando su forme organizzative innovative come i gruppi di acquisto solidale o le community supported agriculture (Fonte et al. 2011; Brunori et al., 2012), l’affermarsi, in Italia e a livello internazionale di Slow Food (Leitch, 2003), ha traghettato molte delle tematiche care ai suddetti Network nel discorso istituzionale. La recente saldatura tra Slow Food e Coldiretti attraverso la presidenza di Campagna Amica (movimento che oggi conta una rete fittissima di farmers’ markets e punti di vendita diretta in tutta Italia) affidata a Carlo Petrini rappresenta il culmine di questo processo, e suggerisce l’emergere di un ‘blocco sociale’ con una fortissima influenza sul quadro politico. D’altronde, di fronte alla crescente sensibilità dei consumatori nei confronti del cibo, il sistema convenzionale è andato modificando i propri modelli di business, accogliendo la sfida della qualità e diversità, in molti casi incorporando messaggi e modelli organizzativi introdotti dalla filiera corta (Fonte, 2006; Carbone, 2016). In questa fase, la filiera corta viene interpretata come ‘nicchia di innovazione’, capace di introdurre in un sistema altrimenti bloccato dal paradigma della modernizzazione elementi di innovazione dal basso, e dunque potenziale oggetto di politiche di sostegno finalizzate all’innovazione di sistema (Seyfang e Smith, 2007; Brunori et al., 2008). Non è un caso che il sostegno alla filiera corta sia, nel più recente quadro strategico per lo sviluppo rurale, esplicitamente menzionata tra le possibili priorità dei piani di sviluppo rurale (Tarangioli, 2012; Brunori e Bartolini, 2013). Grazie agli strumenti dello sviluppo rurale, la filiera corta è diventata parte di strategie regionali di costruzione di sistemi alimentari locali le cui finalità rispecchiano le condizioni specifiche del contesto di riferimento, come il rafforzamento delle identità locali in sinergia con i sistemi turistici (Guarino, Doneddu 2011; Tanasa, 2014), o il consolidamento dei legami tra città e campagna attraverso la rilocalizzazione dei consumi (Grando, 2009; Press et al., 2017). ] (FONTE 6)[46]

Vantaggi e limiti della filiera corta

[I dibattuti vantaggi della filiera corta (Bullock et. al., 2000; Hilchey et. al., 2000) consistono essenzialmente nella sostenibilità di questa modalità di vendita dai diversi punti di vista:

  • economico: prezzi dei beni alimentari più contenuti (3) per gli acquirenti e più remunerativi per i produttori;
  • ambientale: riduzione, nella cosiddetta offerta “a chilometro zero”, dei consumi energetici e dell'inquinamento legato al trasporto e alla frigo-conservazione, che tra l’altro la coniuga almeno in teoria -seppure non in pratica (Franco, 2007)- alle produzioni biologiche (4);
  • sociale: controllo diretto del prezzo e della qualità da parte dei consumatori, maggiore freschezza e salubrità dei prodotti deperibili, rapporto di fiducia e scambio di informazioni senza intermediari tra produttori e consumatori, circuiti indotti e cumulativi di sviluppo rurale in aree marginali.

Si tratta dunque di vantaggi che non si limitano esclusivamente ad una riduzione dei prezzi all’acquisto per i consumatori e nel soddisfacente prezzo di vendita per i produttori, ma consistono anche nella predisposizione della domanda a ricercare il prodotto tipico, o comunque locale, cui si attribuiscono una serie di valenze che aggiungono valore alla merce in sé stessa considerata, come risulta da studi effettuati al riguardo sulla disponibilità a pagare (AA VV., Ohio State University, 2008). Queste ultime motivazioni di consumo riferibili alla valenza culturale del cibo sono legate a fasce di reddito medio alte, disposte a pagare addirittura un premium price per i prodotti locali, così come il risparmio sul prezzo di vendita può essere invece motivazione prevalente per le fasce di reddito più deboli. In relazione alla sostenibilità ambientale, analizzata in particolare dagli studi sui food miles (AA VV., Defra, 2005), c'è tuttavia un filone scientifico che ha un atteggiamento critico riguardo ai vantaggi dell'offerta a chilometro zero. Infatti ciò che si deve considerare nella valutazione della sostenibilità non è soltanto il costo ambientale del trasporto, ma si deve tener conto anche di una “ecologia di scala” (Schlich, Fleissner, 2005), che compiuti i risparmi energetici connessi alla dimensione più o meno ampia delle aziende di produzione e trasformazione, consentendo di considerare nell’insieme tutti i costi comparati ambientali delle produzioni ottenute e commercializzate da differenti tipologie di imprese nelle diverse parti del globo. Quanto alla sostenibilità economica, non si possono trascurare alcuni elementi in contrasto. Ad esempio si deve tener conto del fatto che non sempre a livello locale i prezzi dei prodotti scambiati nell'ambito della filiera corta sono più bassi per i consumatori di quelli offerti dalle grandi catene di vendita che operano con notevoli economie di scala nella filiera lunga. Con particolare riferimento ai prezzi si potrebbe obiettare che in un mercato concorrenziale s’impone automaticamente l’unicità del prezzo per prodotti indifferenziati come tradizionalmente erano quelli agricoli. Tuttavia ormai esiste una differenziazione anche per i prodotti agricoli, che non svolgono più soltanto la basilare funzione di nutrimento, ma incorporano in vario modo il soddisfacimento di altre esigenze. Queste ultime possono spaziare dal time saving ad aspetti legati alle succitate valenze culturali, ambientali, alla salubrità o alla tipicità del gusto, presumibilmente o realmente riscontrabili nei prodotti commercializzati tramite filiera corta. Di conseguenza, il mercato non risulta perfettamente concorrenziale. E per questo i prodotti -in qualche modo differenziati- venduti nei farmers’ market possono avere prezzi differenziati (5), anche indipendentemente dal loro differente costo di produzione e, in particolare, di commercializzazione. Con più specifico riferimento agli aspetti sociali, invece, resta salvo il fatto del controllo diretto del prezzo e della qualità da parte dei consumatori, del loro rapporto umano con i produttori (6), e anche della maggiore indipendenza degli agricoltori nelle scelte produttive (Cicatiello, Franco, 2008), con conseguente soddisfazione morale. Inoltre la filiera corta, che senza dubbio valorizza appieno il capitale umano e sociale, nonché le risorse naturali locali, può innescare processi di sviluppo endogeno sia in aree rurali marginali dei Paesi sviluppati, sia nel contesto locale di Paesi sottosviluppati. In questi ultimi può efficacemente opporsi a fenomeni di progressivo impoverimento, sia di risorse naturali che di risorse umane, legati all’introduzione non oculata e massiccia di modelli produttivi esterni (Shiva, 1995 e 2008), per produzioni intensive indirizzate all’esportazione. La filiera corta peraltro non costituisce certamente la soluzione più indicata per tutti i problemi, e in determinati contesti, dove non trova la sua naturale collocazione, ovvero il suo particolare “luogo economico” (Serpieri,1950), risulta meno efficiente della filiera lunga. In generale essa risulta particolarmente idonea a risolvere le difficoltà di aziende di piccole dimensioni, multifunzionali, che offrono prodotti di nicchia (locali tipici e/o biologici). Appare invece poco adeguata in tutte le situazioni in cui prevalgono le dimensioni d’impresa medio grandi e si creano economie di scala di tipo economico ed ecologico, quando l’offerta aziendale è specializzata e costituisce una consistente massa critica di prodotto che può trovare maggiore facilità di sbocco in un mercato più ampio di quello locale. In queste situazioni può risultare più vantaggiosa la filiera lunga. ] (FONTE 5)[47]

[In conclusione, si può constatare che, almeno per alcuni settori produttivi e per alcune tipi di azienda, la filiera corta costituisce una quota non trascurabile del valore della produzione, e può rappresentare un’interessante opzione per recuperare redditività. ](FONTE 4)[48]

I DUE LIBRI

"Agricoltura urbana e filiere corte. Un quadro della realtà italiana", Davide Marino, EAN: 9788891748058

La filiera corta rappresenta una forma di mercato in grado di promuovere un’economia sostenibile e il processo di consolidamento di questa forma di commercializzazione andrebbe incentivata mediante strumenti economici, ma soprattutto di regolamentazione degli spazi e di facilitazione logistica (Marino e Mastronardi, 2013). Contestualmente, è necessario lavorare sulle imprese affinchè le loro strategie vadano incontro alla domanda di sostenibilità espressa dai consumatori.

LA DOMANDA

  • GAS L’identificazione con la domanda da parte dei consumatori è ovvia
  • FARMERS’ MARKET Si tratta di mercati organizzati dagli agricoltori in collaborazione con le istituzioni locali, ma i FM vengono aperti per rispondere ad una domanda specifica dei consumatori

La filiera corta rende possibile la sperimentazione di nuove forme di commercializzazione, modulabili in relazione agli interessi dei produttori e dei consumatori e con ricadute positive per la collettività/comunità locale, spostando il baricentro sul territorio, sulla qualità dei processi di produzione e consumo e su un modello di sviluppo rurale basato sulla multifunzionalità e sulla sostenibilità.

Tutte le imprese produttrici sono potenzialmente interessate da questa particolare forma di vendita; tuttavia, esistono delle differenze significative tra le imprese.

  • Le aziende più grandi, potendo sostenere i costi di produzione a fronte della disponibilità di innovazione tecnologica e di volumi adeguati di produzione, hanno un approccio non esclusivo alla filiera corta, che affiancano ai tradizionali canali di sbocco sul mercato
  • per quelle più piccole, invece, il circuito breve o la vendita diretta rappresentano una valida alternativa per le loro stessa sopravvivenza, la quale, oltretutto, costituisce un requisito fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio. Per queste ultime si ritiene possa essere vantaggioso operare all’interno di una rete di soggetti, esperienze e strumenti, in modo da potersi, per così dire, riabituare alla dimensione commerciale del loro mestiere e facilitare le loro capacità comunicative e relazionali.

"I farmers' market: la mano visibile del mercato. Aspetti economici, sociali e ambientali delle filiere corte", Clara Cicatiello e Davide Marino, EAN: 9788856856026

  • Quale può essere il contributo di una diversa struttura della filiera alimentare rispetto alle efficienza dell'attuale sistema alimentare globale? Il valore delle filiere corte consiste nel proporre un diverso modello non solo di commercializzazione ma di sistema alimentare nel quale, per motivi economici e sociali, l'accesso al cibo potrebbe essere maggiormente garantito.
  • Accorciare la filiera può fornire risposte positive all'esigenza di produrre più cibo con una maggiore efficienza nell'uso delle risorse? non Sembra scontato che la filiera corta possa dare risposte positive a tutti i fenomeni ambientali;  ad esempio, recenti calcoli della Lincoln University dimostrano che la Carbon footprint dell’Agnello prodotto in Nuova Zelanda e consumato in Inghilterra  è decisamente Inferiore a quella della produzione inglese, pur tenendo Conto dei trasporti. D'altra parte il contatto diretto tra produzione e consumo potrebbe avere un impatto positivo nella riduzione della quota di cibo che resta invenduta punto la valutazione ambientale deve quindi incorporare, oltre al concetto di foodmiles, Anche altri aspetti che vanno dalla biodiversità al paesaggio, e che al tempo stesso tengano conto dei flussi del risorse.

Note

Bibliografia

  • Laura Angela Ceriotti, Food strategy e multifunzionalità nella filiera corta del riso, Novara, Interlinea, 2015, ISBN 978-88-6857-041-5.
  • Davide Marino, Agricoltura urbana e filiere corte. Un quadro della realtà italiana, Milano, Franco Angeli, 2017.
  • Davide Marino, Clara Cicatiello, I farmers' market: la mano visibile del mercato. Aspetti economici, sociali e ambientali delle filiere corte, Milano, Franco Angeli, 2012.

Collegamenti esterni

Voci correlate

  • CONCLUDERE LA VOCE, PERFEZIONARE IN BASE ALLE LEZIONI DI LAB SCRITTURA E RACCOMANDAZIONI/DOMANDE SU DISCUSSIONE O A LEZIONE
  • CONSEGNARE LA VOCE
  • sistema la def di gas, farmers market e altre tipologia (magari con fonte treccani?)