Utente:Gioval/Sandbox
La filiera corta (o canale corto o vendita diretta) è una filiera produttiva caratterizzata da un numero limitato e circoscritto di passaggi produttivi, e in particolare di intermediazioni commerciali, che possono portare anche al contatto diretto fra il produttore e il consumatore. È maggiormente diffusa in agricoltura, soprattutto per quei prodotti che non necessitano di processi di trasformazione, come il riso[1] o quasi tutti i prodotti ortofrutticoli freschi.
Si tratta una strategia alternativa che crea filiere indipendenti dalla grande distribuzione, basate sulla produzione locale. Quindi è un sistema alimentare territoriale in cui si riducono gli intermediari della catena del cibo e le distanze che il cibo stesso percorre (food miles). Questo fa sì che i produttori assumano un ruolo centrale.[2]
La filiera corta contribuisce al rafforzamento delle economie locali[3] e favorisce il progresso nel campo delle produzioni sostenibili; infatti la filiera corta dà priorità a prodotti biologici, tipici e di produzione familiare.[4]
Il termine ‘corta’ si riferisce a tre dimensioni:
- prossimità geografica: misurata come distanza fisica tra chi produce e chi consuma
- prossimità sociale: suggerisce un rapporto di fiducia e solidarietà tra produttore e consumatore, che condividono tradizioni e identità territoriali
- prossimità economica: gli scambi di mercato sono circoscritti all’interno di un territorio.[5]
L'importanza strategica della filiera corta
Il fattore prezzo
In una filiera corta è più semplice ottenere un prezzo giusto perchè chi produce è a conoscenza dei costi reali dell’agricoltura e della produzione del cibo. I guadagni dei distributori possono essere suddivisi equamente, in modo che i produttori possano ricevere il giusto compenso, e i consumatori sanno esattamente cosa pagano.[6]
Rispetto al canale tradizionale, nel canale diretto i prodotti sono solitamente più convenienti per i consumatori, grazie al contenimento dei costi di produzione e l’assenza di intermediazione. Il prezzo risulta inoltre più trasparente a livello di formazione lungo la filiera. L’Antitrust , in un’indagine del 2007 sulla filiera ortofrutticola, evidenzia che il ricarico medio sul prezzo finale è del 77% nel caso di acquisto diretto e del 300% nel caso di presenza di 3-4 intermediari. Secondo una stima della Cia, acquistando direttamente dal produttore il risparmio va dal 30 al 35 per cento. Oltre ai consumatori, anche il produttore può ottenere un guadagno più equo in base ai fattori produttivi impiegati e può riappropriarsi di una parte del valore che usualmente si disperde nei vari passaggi lungo la filiera.[7]
La problematica della distribuzione del valore lungo la filiera e, in particolare, dei prezzi dei prodotti al consumo, è centrale. In merito a questo, le filiere corte:
- possono ridurre i costi complessivi di produzione e distribuzione del cibo attraverso la riduzione dei chilometri percorsi dal cibo e del numero di passaggi di intermediazione;
- rappresentano un’alternativa ai canali distributivi dominanti, e quindi possono contribuire ad evitare gli squilibri di potere contrattuale lungo la filiera;
- possono consentire l’accesso al mercato a categorie di produttori e a tipologie di prodotti, che difficilmente possono accedere ai canali distributivi più moderni;
- agevolano la trasmissione delle informazioni tra produttori e consumatori circa le caratteristiche e gli effetti dei processi produttivi e dei prodotti, consentendo al prezzo che si forma sui mercati di tenere meglio in considerazione le esternalità positive e negative generate dai processi produttivi, soprattutto in termini di effetti sociali e ambientali;
- infine appaiono luoghi ideali per impostare nuove modalità di rapporto produzione-consumo improntate a valori etici e morali e alternative al mercato convenzionale, promuovendo quindi una revisione degli stessi stili di produzione e di consumo.
Ci sono approcci molto diversi da parte dei Mercati esistenti per affrontare la problematica del prezzo. In sintesi, possono essere evidenziati due grandi “poli di gravitazione” per quanto riguarda le scelte effettuate relativamente al tema del prezzo giusto:
- da un lato vi sono quei meccanismi che affrontano il tema del prezzo giusto da un punto di vista strettamente economico : il focus è diretto sui benefici economici che produttori e consumatori possono trarre dall accorciamento della filiera. Questo approccio induce a optare per la scelta di meccanismi di determinazione del prezzo improntati più al lato del mercato, con l’esposizione e il confronto dei prezzi rilevati sugli altri canali, o la previsione di tetti massimi dei prezzi;
- dall’altro lato l’attenzione non è rivolta solo all’aspetto economico e il prezzo considerato giusto è quello che consente di tener conto dei benefici sociali e ambientali generati da un sistema “alternativo” di produzione e consumo. Questo approccio porta a dare maggiore risalto agli aspetti relativi alla comunicazione dei “valori” del prodotto e al tema del costo (sociale) di produzione.
Evidentemente entrambi gli approcci sono legittimi e possono essere funzionali ai diversi obiettivi che gli organizzatori e partecipanti dei mercati dei produttori agricoli possono porsi.
L’enfasi creatasi attorno al prezzo contrasta tuttavia con lo spirito delle iniziative di filiera corta, la cui finalità non è tanto di raggiungere un prezzo “basso”, quanto un prezzo “equo”, in grado di riconoscere un giusto valore ai prodotti.
Nonostante l’eterogeneità degli approcci, la discussione sul criterio più opportuno da seguire per intervenire sul prezzo sembra aver generato un più generale processo di ripensamento e ri-definizione di aspetti specifici dei modelli dominanti di produzione-consumo. In questo senso, i mercati dei produttori si confermano nell’assumere un ruolo di innovazione di sistema (Brunori et al., 2009), luoghi in cui è possibile sperimentare nuove nuove pratiche per la produzione e il suo consumo del cibo.[8]
Fattori determinanti per l'imprenditore che influiscono sulla scelta di utilizzazione del canale corto
Il canale corto, dal lato dell’agricoltore, ha diversi vantaggi:
- anche le imprese che si trovano in aree marginali o di piccolissimi produttori hanno l’opportunità di vendere i propri prodotti
- si riducono i costi di produzione:
- il rispetto della stagionalità dei prodotti, permette di limitare l’uso dell’energia necessaria
- vendendo a livello territoriale, si evita il trasporto su lunghe distanze, risparmiando quindi in costi di conservazione, imballaggio e carburante.[9]
La filiera corta, tuttavia, non è conveniente per tutti gli agricoltori.
- le grandi aziende prediligono il canale tradizionale
- per far fronte alle maggiori difficoltà legate all’attività produttiva, le aziende agricole di montagna e collina utilizzano maggiormente i canali alternativi
- le aziende gestite da soggetti più scolarizzati e con maggiore esperienza sono più restii ai canali tradizionali e preferiscono altre modalità di vendita
- la filiera corta è più adatta ai prodotti orticoli, vitivinicoli e trasformati e non alle produzioni frutticole né a tutti quei prodotti (ad es. alcuni cereali) che possono arrivare al consumatore solo dopo una trasformazione non facilmente attuabile in azienda. [10]
Fattori determinanti per i consumatori che influiscono sulla scelta di utilizzazione del canale corto
Oltre alla convenienza, le principali motivazioni d’acquisto che attirano i consumatori verso il canale diretto sono molteplici.
- la garanzia di qualità e freschezza dei prodotti
- la possibilità di rapportarsi direttamente con i produttori
- la volontà di sostenere l’economia locale
- Aspetto ambientale: il minore inquinamento, il risparmio di energia e la difesa dell’ambiente legati al consumo dei prodotti locali (cibo “a chilometro zero”, minore utilizzo di packaging, spesso prodotti biologici ottenuti per definizione con minore uso di input chimici)
- Aspetto socio-culturale: occasione per riscoprire il mondo rurale e quindi salvaguardare le tradizioni la cultura enogastronomica del territorio[11]
Filiera corta e filiera lunga a confronto
I canali distributivi
Possibili canali di distribuzione:
- diretti (vendita in azienda): nessun passaggio intermedio: l’agricoltore ha l’autonomia decisionale, evitando una dispersione di valore lungo i vari passaggi della filiera
- corti (vendita presso mercati locali, negozi specializzati, ...): insieme alla vendita diretta al consumatore, il canale corto è un ulteriore circuito breve in cui la vendita prevede almeno un “passaggio”
- tradizionali (ingrosso, supermercati): canale caratterizzato da grandi quantità di prodotti e ampiezza dei prodotti offerti, tutto in un unico punto vendita.[12]
La diversa concezione del mercato
Nel caso della filiera corta il mercato fa riferimento a sistemi alimentari più etici ed è molto diverso da quello della concezione classica, in cui il bene della collettività è più marginale. Il consumatore, nel circuito breve, ha una visione più ampia che lo induce a rivalutare i consueti comportamenti di consumo.[13]
[Non sorprende, dunque, che il dibattito che ha accompagnato le filiere corte abbia visto una contrapposizione tra ‘locavori’ – consumatori che scelgono di orientare i propri consumi su prodotti di origine locale - e ‘globavori’ – che al contrario sono indifferenti all’origine del prodotto che scelgono (Desroches, Shimizu, 2012).[ (FONTE 8) QUI POTRESTI CITARE
Contrapposizione
- nella filiera lunga l’offerta alimentare è ampia e di qualità standardizzata, mentre nella filiera corta si vendono pochi prodotti ma di elevata qualità[14]
- la “filiera lunga” prevede dei “circuiti lunghi”, cioè vari intermediari e lunghi tragitti di percorrenza[15], mentre la filiera corta: riduce al minimo gli intermediari ed è una dimensione basata su rapporti personali[14]
- Dal punto di vista dell’impatto economico, i vantaggi della filiera corta rispetto alla lunga sono: benessere generato dal valore trattenuto nel territorio, dai prezzi più contenuti, dall’aumento della libertà di scelta tra modalità di distribuzione e dalla enfasi sui prodotti freschi, locali e di stagione.
- Per quello che riguarda gli impatti ambientali, gli studi hanno mostrato che l’uso di indicatori troppo semplificati come le ‘food miles’, che calcolano la semplice distanza tra luogo di produzione e luogo di vendita, rischiano di trasmettere informazioni incomplete rispetto alla complessità dei fattori che determinano la sostenibilità.
- Riguardo agli impatti sociali, nella filiera corta, la minore distanza sociale migliora la capacità dei consumatori di acquisire informazioni, mentre le filiere globali tendono ad oscurare il costo sociale delle merci
- Per quello che riguarda l’impatto nei confronti della salute pubblica, si accostano le filiere globali a modelli di nutrizione errati e quello delle filiere corte ad una dieta più salutare. Nuove ipotesi di ricerca su questi aspetti riguardano l’importanza degli effetti indiretti che le filiere corte possono produrre, ad esempio sui comportamenti dei consumatori. In quanto mezzi di comunicazione di valori non commerciali, le filiere corte possono trasmettere in modo più coerente norme per una corretta nutrizione.[16]
Filiera corta e lunga: non sempre alternative
La filiera lunga come anche quella corta risultano di volta in volta più o meno efficienti a seconda dei diversi contesti locali e situazioni di mercato in cui operano. Ci sono ambiti in cui filiera corta e lunga possono coesistere nel medesimo contesto. Infatti alcune imprese trovano convenienti le opportunità offerte da entrambe e possono quindi fruire anche contemporaneamente di queste opposte modalità di produzione e vendita. I due circuiti possono infatti valorizzarsi reciprocamente in presenza di un prodotto di alta qualità che coniuga il marketing del prodotto con quello del territorio.[17]
[Non di rado, la filiera corta rappresenta un canale complementare e sinergico con la filiera lunga, come nel caso del settore del vino dove la vendita diretta svolge un ruolo crescente in aziende peraltro vocate alle esportazioni (Contò, 2015; Francioni et al., 2017).] (FONTE 6) [18] (CITAZIONE?)
Tipologie
[Ogni mercato di produttori è un mezzo per accorciare la filiera. Hanno lo stesso scopo, e possono ottenere gli stessi risultati, i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), le esperienze di CSA (Community Supported Agriculture) ed ogni altro esempio di vendita diretta.] FONTE 1 [19]
Farmers' market
[I farmers’ market o green market fanno particolare riferimento ai prodotti agricoli delle coltivazioni e dell’allevamento. Si trattta di un fenomeno già ampiamente sperimentato in altri Paesi europei, in cui operano già dai primi anni Novanta, e soprattutto negli Usa dove hanno iniziato ad affermarsi fino dai primi anni Settanta, ma con una rilevante differenza rispetto al modello prevalente in Italia: i prodotti venduti sono principalmente alimenti di consumo quotidiano, non contraddistinti da particolari caratteristiche qualitative. ]FONTE 5 [20] [Il modello dei farmers’ markets è stato quindi importato dagli Stati Uniti. Rispetto alle esperienze estere, nel nostro paese solo di recente si è inquadrato il fenomeno della vendita diretta e sembra emergere un’enfasi al sostegno del canale focalizzato sui prodotti tipici locali, che aiutano a conoscere il territorio circostante e a far crescere il turismo.] (FONTE 2) [21]
GAS
[Spesso i Gas emergono da associazioni informali di stampo ecologico-etico, o da piccoli gruppi di famiglie che vivono in uno stesso paese, accomunate dal desiderio di supportare il tessuto produttivo agricolo locale e, per estensione, lo sviluppo del proprio territorio. L’iniziativa ha origine non dal produttore, ma dalla capacità dei consumatori di auto organizzarsi spontaneamente, secondo logiche ispirate appunto alla solidarietà nei confronti dei produttori, di altri consumatori e in particolare verso i soggetti più svantaggiati, anche in altre zone del mondo (da cui l’attenzione in generale per i prodotti del commercio Equo e Solidale). Si forma così un vero e proprio gruppo che dialoga e si struttura al suo interno in base alle caratteristiche e ai bisogni ed è in stretto contatto con il produttore ed il luogo di produzione. I consumatori, il cui profilo è variegato, sono generalmente più sensibili al tema delle foodmiles, della sostenibilità ambientale e attenti alla qualità e alla salubrità dei prodotti. La richiesta principale del consumatore è che ci sia un rapporto equo tra la qualità dei prodotti e il prezzo rispetto ai supermercati e ai mercati rionali, unitamente all’interesse verso il recupero di valori immateriali, come ad esempio le ricette antiche, le tradizioni gastronomiche, la tipicità delle produzioni locali.] (FONTE 3)[22]
Box Scheme (‘vendita in cassetta’)
[Molti produttori agricoli, per avvicinarsi ai consumatori finali senza intermediari, non si limitano alla semplice vendita in azienda dei propri prodotti ma hanno attivato altri canali di commercializzazione, come la consegna a domicilio di cassette con la spesa della settimana, che variano nelle dimensioni e nei contenuti secondo le preferenze dei consumatori, una volta a settimana in giorni prestabiliti, secondo le richieste pervenute. ] (FONTE 3)[23]
Community supported agriculture (Csa)
[I cosiddetti Community Supported Agriculture (Csa), costituiscono una forma diretta di partenariato commerciale tra uno o più agricoltori e un gruppo di sostenitori/consumatori. Questi ultimi garantiscono una parte del bilancio operativo legato all’attività agricola, attraverso l’abbonamento a una o più “quote” del raccolto della stagione sottoscritto al principio dell’annata agraria, assumendo così, assieme al coltivatore, alcuni dei costi e dei rischi dell’attività agricola stessa.] (FONTE 3)[24]
Vendita diretta in azienda
[Alcune tipologie di aziende hanno cominciato a sperimentare nuovi modi, più diretti e indipendenti, di proporre i propri prodotti sul mercato, con lo scopo di valorizzarne le particolarità (Raffaelli et al., 2009). Le esperienze di vendita diretta aziendale sono quindi diversificate:
- Le malghe alpine in Trentino ne sono l’esempio eclatante: ogni malga produce il proprio formaggio, che è unico e irriproducibile, in quanto emerge da un insieme di variabili geografiche (altitudine, esposizione del versante), produttive (tipo di pascolo) e tecniche, e lo vende direttamente sia in loco, ai turisti che durante l’estate si recano in vetta per escursioni e passeggiate, o in autunno, al rientro in paese, ai concittadini. L’accorciamento della filiera è quindi visto, in questi casi, come un modo di valorizzare il proprio prodotto riuscendo a proporlo sul mercato “fuori dagli standard”.
- cooperazione di realtà piccole, in poco accessibili che operano in presenza di oggettive difficoltà ambientali – climatiche, geografiche, logistiche
- Un altro esempio è la vendita dei propri prodotti di aziende dedite soprattutto all’agricoltura sociale e all’inserimento al lavoro di persone svantaggiate.
- Si registrano poi interessanti esperienze di cooperazione fra gli agricoltori con lo scopo di condividere l’attivazione di un canale di vendita diretto, soprattutto per prodotti ad alto valore aggiunto come i biologici o i trasformati.
- diversificazione dell’attività agricola con l’inserimento di iniziative didattiche, ristorazione e ricezione turistica. ] (FONTE 3)[25]
I dati sulla vendita diretta in Italia: i numeri
[In Italia, la filiera corta rappresenta un fenomeno abbastanza sviluppato: ci sono 270.497 aziende agricole che vendono direttamente ai consumatori e che rappresentano il 26% del numero totale delle aziende agricole (nel 2007, erano il 22,1% di tutte le aziende in Italia, e il 5% in più rispetto al 2000), 1.367 Farmers’ Market che negli ultimi due anni sono aumentati del 44% e 890 Gruppi d'acquisto solidale (Franco, Marino, 2012).] (FONTE 7) [26]
[Dal secondo rapporto dell’Osservatorio nazionale sulla vendita diretta riferito al 2007, che la Coldiretti ha creato insieme ad Agri 2000, emerge che le aziende che praticano la vendita diretta ammontano a 57.530 unità, con un incremento del 18% rispetto al 2005 e del 48% rispetto al 2001. Esse rappresentano il 6,1% del totale delle aziende agricole iscritte alle Camere di Commercio. L’area geografica nella quale è maggiore la presenza delle imprese con vendita diretta è il Nord, con una incidenza circa del 43%, seguito dal Centro, con il 34%. Prendendo in considerazione la quota di aziende con vendita diretta rispetto al totale delle aziende agricole di ciascuna regione, le prime 5 regioni risultano la Toscana (20,3%), l’Abruzzo (20,3%), la Liguria (15,7%), la Lombardia (13,8%) e il Trentino Alto Adige (13,5%). La vendita diretta è diffusa soprattutto nelle aziende del comparto vitivinicolo (37,2% del totale), ma una quota importante è rappresentata anche dalle aziende che offrono prodotti ortofrutticoli (27,7%) e dalle aziende del comparto olivicolo (19,5%), ma sono in crescita anche prodotti come i formaggi ed il miele. Si può ipotizzare che la vendita diretta rappresenti il canale privilegiato di prodotti per i quali è determinante la percezione di freschezza e di salubrità da parte del consumatore, quindi per frutta e verdura; per prodotti ad alto valore aggiunto, quali vino e olio, il fattore risparmio nell’acquisto “alla fonte” diventa determinante o, a parità di prezzo, la garanzia di qualità influisce sulla disponibilità a sostenere la spesa elevata che in genere questi prodotti comportano.
Il luogo nel quale più frequentemente viene organizzata la vendita è rappresentato dagli stessi locali dell’azienda, con il 63,4% del totale; seguito dai mercati e dalle fiere locali (24%), mentre le aziende che si stanno organizzando con l’allestimento di negozi aziendali rappresentano il 14%. Infine, il valore delle vendite in Italia nel 2007 è stimato in 2,5 miliardi di euro, il 4,1% in più rispetto all’anno precedente. Vino (47%) e ortofrutta (28%) rappresentano congiuntamente il 75% del valore complessivo del canale. ] (FONTE 2)[27]
un’analisi sulle imprese della filiera corta
In base ai dati raccolti mediante un’indagine diretta1 che ha coinvolto 226 produttori, scelti in considerazione della localizzazione geografica e per schema di filiera corta, si sa che…: [Le aziende sono localizzate prevalentemente nelle aree collinari e distano in media 25 km dai principali mercati di sbocco delle produzioni e ciò comporta effetti positivi, soprattutto in termini di riduzione delle esternalità negative legate ai trasporti quali l’emissione di anidride carbonica, l’inquinamento atmosferico, il traffico, il numero d’incidenti e l’inquinamento acustico (Defra, 2005). Il 45% delle aziende del panel attua metodi di produzione a basso impatto ambientale e quasi il 40% di esse annovera negli ordinamenti colturali una quota rilevante di superfici a prati e pascoli permanenti, mentre le aziende con superfici ricadenti in aree d’interesse ecologico e quelle con superfici a bosco hanno sostanzialmente una minore consistenza all’interno del panel (rispettivamente 17% e 20%). L’età media degli imprenditori intervistati è piuttosto bassa (41 anni) e ben il 67% delle aziende è condotto da imprenditori giovani, soprattutto di sesso maschile. La dimensione media aziendale è piuttosto cospicua (circa 25 ettari) e oltre la metà delle aziende censite ha una dimensione di 17 ettari. Le produzioni aziendali sono rappresentate prevalentemente dai prodotti ortofrutticoli; altri prodotti di un certo volume sono i trasformati di frutta e ortaggi e l’olio che sono prodotti da circa un quarto delle imprese, oltre che i derivati del latte. Fa eccezione il vino, offerto soltanto dal 10% dei produttori. Le produzioni zootecniche rivestono, invece, un ruolo decisamente minore rispetto alle colture vegetali. Sul piano ambientale, le aziende campionate presentano un buon livello di diversificazione colturale: circa 3/4 delle superfici aziendali sono occupate perlomeno da tre colture e ciò si traduce in un minore ricorso alla pratica della monocoltura e probabilmente in una maggiore varietà delle unità di paesaggio e nel miglioramento della biodiversità. Le superfici coltivate con metodo di produzione biologico incidono nella misura del 40% in termini di Sau; la presenza delle superfici biologiche è condizionata probabilmente dalla domanda dei consumatori delle filiere corte che si concentrano sui prodotti di qualità (Marino et al., 2013b). Si conferma un quadro in cui le aziende che aderiscono a forme di filiera corta tendono a sviluppare tecniche più sostenibili a livello ambientale, che hanno un impatto positivo sulla biodiversità, sul paesaggio e sulle risorse naturali del territorio e, in tal senso, la filiera corta rappresenta un’opportunità per ridurre le esternalità negative dell'agricoltura sull'ambiente (Aguglia, 2009). Dal punto di vista sociale, nelle aziende prestano lavoro, in media, 6 unità, di cui 2 familiari e 2 donne. Nell’ambito della forza-lavoro, i coadiuvanti familiari e le donne incidono nella misura del 34% e 35%. La quota di lavoratori giovani (pari al 25% del totale) appare qui abbastanza diffusa, mentre è piuttosto rara nel settore agricolo nazionale. L’incidenza dei lavoratori disabili e dei pensionati è invece piuttosto marginale. La filiera corta offre, dunque, buone opportunità per lo sviluppo delle attività dei giovani imprenditori e comporta la necessità di assumere personale extra-familiare per coprire le aumentate necessità di lavoro, creando ulteriori opportunità d’impiego per i residenti delle zone rurali. Minore è, invece, la capacità della filiera corta di assicurare integrazioni di reddito ai pensionati che si dedicano all’agricoltura e sbocchi occupazionali alle fasce più deboli della forza lavoro come le persone con disabilità e ciò limita sicuramente l’impatto sociale di queste esperienze di filiera corta sull’occupazione delle fasce deboli della popolazione (Marino et al., 2012). Passando al confronto tra le filiere. Le aziende che vendono ai Gas presentano quote più consistenti di superficie biologica negli ordinamenti produttivi, mentre le aziende con la maggiore estensione colturale ricadente in aree protette si annoverano nelle tipologie VD e Apf, con quest'ultima che include anche alcune aziende con superfici a bosco. Le aziende Csa si caratterizzano per l’incidenza delle superfici a prati e pascoli. Le aziende VD registrano fabbisogni lavorativi maggiori rispetto alle altre aziende, evidenziate dal numero di occupati e dal rapporto tra le unità lavorative e superficie agricola utilizzata. Le aziende che vendono nei farmers’ market si caratterizzano per la partecipazione femminile al lavoro più elevata. Le aziende che vendono ai Gas presentano una consistenza rilevante degli imprenditori e occupati giovani. Le differenze economiche tra le aziende sono piuttosto ridotte. In ogni caso, le aziende Apf presentano valori della produzione standard più elevati rispetto alle altre aziende, riguardo le colture orticole, frutticole e quelle olivicole e viticole. Le aziende FMs, Gas e Apf registrano, invece, valori maggiori nelle produzioni zootecniche. In sintesi, i produttori Gas mostrano una chiara propensione per quasi tutte le dimensioni della sostenibilità, con particolare riferimento alla consistenza delle superfici coltivate con metodo di produzione biologico, all’intensità di lavoro, alla presenza d’imprenditori e occupati giovani, ai ricavi delle produzioni zootecniche. Le aziende dei FMs si caratterizzano per l’incidenza dei coadiuvanti familiari e, in misura minore, per una lieve vitalità economica, evidenziata dai ricavi delle produzioni zootecniche. Le aziende con vendita diretta presentano un’attitudine maggiore per gli aspetti ambientali relativi alla consistenza delle superfici ricadenti in aree protette e occupazionali. Le aziende pluri-filiera si contraddistinguono sul piano ambientale, anch’esse per la presenza di superfici ricadenti nelle aree protette, oltre che per l’incidenza dei prati e dei pascoli e per i boschi; queste aziende si distinguono sul piano economico, per i valori delle produzioni ortofrutticole e per quelle di olio e vino. ] (FONTE 7)[28]
modelli aziendali della vendita diretta
[Insieme di caratteristiche strutturali e di contesto che possono essere riconosciute nelle aziende dedite alla vendita diretta (Marsden 2004, Battershill e Gilg 1998).) La caratteristica principale della vendita diretta è la totale autonomia decisionale dell’imprenditore che ritorna ad essere protagonista della filiera e a poter effettuare liberamente le sue scelte produttive e commerciali (Cicatiello, Franco, 2008). Su un campione statistico di 12.265 osservazioni totali relative alle diverse regioni italiane, ottenuto dalla rilevazione Rica per il 2005 (3), le aziende che presentano la vendita diretta sono 3.005, equivalenti al 24,5% del totale. La tabella 2 riassume le principali caratteristiche emerse dall’analisi descrittiva di questo campione di aziende. Per quanto riguarda l’imprenditore e la famiglia, risulta che la conduzione delle aziende che hanno attivato il canale corto di commercializzazione avviene per il 94% dei casi in via diretta. L’età prevalente del conduttore è quella più elevata, ovvero dai 60 anni in poi ed il 73% è costituita da uomini. Nel 34,3% dei casi si riscontra la presenza di un reddito extrafamiliare da pensione. Passando alle variabili che descrivono le caratteristiche strutturali ed economiche dell’impresa, emerge che gran parte delle aziende si trova in collina, affiancato da un 23% di imprese localizzate in montagna. In termini di SAU, le aziende con vendita diretta sono prevalentemente di piccola dimensione: esse si distribuiscono per il 40% del totale nella classe inferiore a 4,8 ettari, quindi le piccolissime imprese, e per il 35% in quella tra 4,8 e 11,17 ettari. A conferma di ciò, la SAU media delle aziende che esercitano la vendita diretta è di 12 ettari. In termini di orientamento tecnico economico delle aziende (OTE), circa il 36% del totale è dedita alla colture permanenti, in particolare vino, olivo e frutta, il 10% alle colture erbacce e il 19% non presenta una specializzazione in quanto dedita a una combinazione di colture diverse. La classe di dimensione economica prevalente è quella inferiore alle 8 UDE, seguita dalla classe immediatamente più elevata, quella tra 8 e 16 UDE.
Caratteristiche | frequenza in % | |
---|---|---|
conduttore | età > 60 anni | 41 |
sesso maschile | 73 | |
reddito extrafamiliare da pensione | 34 | |
azienda | zona altimetrica, collina | 65 |
dimensione < 4,8 ha | 40 | |
OTE c. permanenti | 36 | |
UDE < 8 | 40 | |
ripartizione geografica Sud Italia | 51 |
Le regioni nelle quali risulta più diffusa l’attività di vendita diretta sono la Puglia, le Marche, la Toscana, la Campania e la Sicilia. In sintesi, sul territorio vi sarebbe la compresenza di due modelli aziendali distinti inclini alla vendita diretta, quello delle piccole imprese familiari, che impiegano metodi tradizionali di produzione e quello delle imprese di maggiori dimensioni, collegate in maniera migliore con i potenziali utenti e più aperte alle innovazioni produttive e commerciali. ] (FONTE 2) [29]
Riferimenti normativi
Indicazioni a livello comunitario
[Le recenti misure italiane a favore degli agricoltori derivano anche dalle indicazioni a livello comunitario relative alla politica di sviluppo rurale 2007-2013.](fonte 2)[30] [Con la nuova politica di sviluppo rurale europea il sostegno alle filiere corte diventa un importante strumento per il mantenimento della vitalità delle aree rurali. La definizione che il testo legislativo proposto dalla commissione dà di filiera corta è tuttavia di carattere molto generale: una filiera di approvvigionamento formata da un numero limitato di operatori economici che si impegnano a promuovere la cooperazione, lo sviluppo economico locale e stretti rapporti socio-territoriali tra produttori e consumatori. La definizione citata ci indica i principi che dovranno essere precisati nella regolamentazione nazionale e regionale. Il “numero limitato di operatori economici” andrà quantificato, soprattutto in relazione al numero di passaggi intermedi. L’impegno a “promuovere la cooperazione ecc.” dovrà essere verificato attraverso atti concreti.] (FONTE 8)[31] [Nel nuovo regolamento per lo sviluppo rurale le filiere corte sono menzionate come uno degli strumenti di realizzazione di uno degli obiettivi del regolamento (articolo 5) e precisamente: “promuovere l'organizzazione della filiera agroalimentare e la gestione dei rischi nel settore agricolo, con particolare riguardo ai seguenti aspetti: (a) migliore integrazione dei produttori primari nella filiera agroalimentare attraverso i regimi di qualità, la promozione dei prodotti nei mercati locali, le filiere corte, le associazioni di produttori e le organizzazioni interprofessionali". Per realizzare questi obiettivi, “Gli Stati membri possono inserire nei programmi di sviluppo rurale dei sottoprogrammi tematici, che contribuiscano alla realizzazione delle priorità dell'Unione in materia di sviluppo rurale e rispondano a specifiche esigenze riscontrate, in particolare per quanto riguarda: .... (d) le filiere corte” (articolo 8). ] (FONTE 8)[32]
[La Politica Agricola Comune, per il periodo 2014-2020, guarda alla filiera corta come elemento strategico, sia nell’ambito degli obiettivi generali di miglioramento della competitività e della redditività delle aziende agricole, sia nell’ambito degli incentivi all’organizzazione delle filiere agroalimentari nelle zone rurali anche con riferimento alla migliore integrazione degli agricoltori nella filiera.] (Davide Marino) [33]
Leggi italiane
[Come sottolinea Adornato (2013), Il concetto di ‘filiera corta’ emerge solo a partire dal 2001 con il d.lg. n. 228/2001, noto anche come legge di Orientamento e modernizzazione del settore agricolo (Sirsi, 2008; Alabrese, 2008). Da allora le filiere corte sono state oggetto di attenzione da parte del legislatore, soprattutto per quello che riguarda tre principali tipologie: la vendita diretta in azienda, i mercati degli agricoltori, i gruppi di acquisto. (FONTE 8)[34] Per quello che riguarda la vendita diretta, il d.leg. 228/2001 consente agli imprenditori agricoli di vendere direttamente al dettaglio, “...in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende...”. Con la legge finanziaria del 2007 (legge n. 296/2006) il legislatore ha agevolato la creazione di mercati agricoli riservati alla vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli(FONTE 8)[35] (stabilendo che spetta ai comuni autorizzare i mercati agricoli che devono soddisfare determinati standard e promuovendo azioni di informazione per i consumatori sulle caratteristiche qualitative dei prodotti agricoli posti in vendita (2) FONTE 2)[36]).
A livello regionale
Su questa base alcune regioni hanno sviluppato specifiche politiche di intervento. [Tra le prime la regione Piemonte, nella quale la vendita diretta rappresenta il 6-7% del commercio agroalimentare, è praticata da circa 3.300 imprese agricole e ha previsto per il 2009 una dotazione finanziaria di 700 mila euro [link]. In Toscana, nel 2007, nasce il Progetto "Filiera Corta", con contributi regionali a fondo perduto dell'80%.](FONTE 2)[37]. [La legge regionale della Liguria del 2012 regola i farmers’ markets (L.R. 30/04/2012, n. 19). Il legislatore si è occupato anche dei gruppi di acquisto solidali5. La legge finanziaria del 2007 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) ne introduce una definizione, per equipararli ad attività non commerciale e pertanto ad esentarli da eventuali obblighi fiscali (Cristiani, 2008). Successivamente, alcune regioni hanno introdotto misure specifiche di sostegno a questi gruppi. In particolare, l’Umbria (L.R. 10/02/2011, n. 1), la Calabria (L.R. 18/07/2011, n. 23) e la Puglia (L.R. 13/12/2012, n. 43). A segnare l’evoluzione della materia, la legge della provincia autonoma di Trento include i gruppi di acquisto solidale definiti ai sensi della legge 2007 tra i “soggetti impegnati nell’economia solidale” (art. 2 comma 3 L.P. 17/06/2010, n. 13).](FONTE 8)[38]
Conclusioni: il futuro(normativo e non) / critiche/ obiettivi futuri
[Le filiere corte sono oggi viste come un fattore di innovazione e di riequilibrio dell’intero sistema, in competizione ma non necessariamente in opposizione ad altre configurazioni. In primo luogo, uscendo da un circuito ‘alternativo’ le filiere corte saranno sempre di più tenute a dimostrare l’effettivo livello di sostenibilità, anche nel confronto con le filiere lunghe (Tregear, 2011). In secondo luogo, alle filiere corte potrebbe essere richiesto di contribuire in modo sostanziale al consolidamento dei sistemi alimentari urbani. Sotto questo aspetto, molto dipenderà da come si orienterà il quadro di policy.](FONTE 6)[39]
Filiere corte come strumento di politiche per la sostenibilità
[Nella filiera corta il tema dell’accesso al cibo è legato in maniera innovativa alla sostenibilità dei sistemi alimentari (Belletti, Mancini, 2012) e territoriali. Un accesso ristretto agli alimenti sostenibili, per ragioni fisiche (prevalenza di supermercati e mancanza di accesso a cibi freschi) o per ragioni economiche (alimenti dell’agricoltura biologica a volte troppo cari), è considerato, infatti, un ostacolo per la transizione generalizzata alla sostenibilità (Brunori et al., 2012). Gli schemi di filiera si propongono, di conseguenza, l’obiettivo di costruire un sistema di approvvigionamento alimentare alternativo con obiettivi di sostenibilità e democrazia alimentare (Rossi, Brunori, 2011), che garantisca l’accesso ad alimenti sostenibili (Fonte, 2013; Fonte, Salvioni, 2013), sotto il punto di vista ambientale, sociale ed economico.]FONTE 7 [40]
[Le iniziative di filiera corta possono contribuire ad un obiettivo:, la transizione dei sistemi alimentari verso la sostenibilità. A tal fine sembra necessario un ammodernamento nelle politiche in materia degli strumenti di analisi, ed una maggiore flessibilità dei meccanismi di supporto e dei criteri di selezione delle misure. Qui di seguito identifichiamo quattro diverse aree di politica pubblica all’interno delle quali il supporto alle filiere corte potrebbe essere previsto.
Prodotti | Punti critici | Valori comunicati | |
---|---|---|---|
Green economy | Agricoltura bio, prodotti da razze e varietà locali | logistica, packaging, gestione degli sprechi | ridotto impatto ambientale, consumo sostenibile |
Sviluppo locale e regionale | Prodotti da agricoltura locale | distribuzione del valore aggiunto, occupazione, qualità della governance e livello di formalizzazione | identità locale, legame tra prodotto e territorio |
Politiche settoriali | prodotti differenziati | certificazione della qualità e della provenienza | qualità del prodotto, trasparenza |
Strategie urbane | in funzione degli obiettivi strategici | localizzazione dei punti vendita, creazione di capitale sociale | qualità della vita, rapporto città-campagna, consumo sostenibile, salvaguardia delle aree agricole periurbane |
](fonte 8) [41]
Quale futuro normativo per le filiere corte?
[È infatti necessario perfezionare l’attuale situazione normativa mediante una legge quadro nazionale di riferimento alla quale possano armonicamente adeguarsi le singole differenti normative regionali.
- Elementi vincolanti più stringenti per assicurare il mantenimento delle caratteristiche peculiari di questa modalità di vendita: potrebbe consentire di controllare e certificare provenienza, tipicità, freschezza (tempo massimo in ore che intercorre dalla raccolta alla vendita, interessante per gli ortofrutticoli), modalità di produzione e qualità dei prodotti, nonché trasparenza del relativo prezzo, in modo da valorizzare i peculiari punti di forza del prodotto stesso. Il decreto non è tanto restrittivo, sia in relazione alle caratteristiche del prodotto da esitare nei mercati agricoli di vendita diretta (7), sia con riferimento ai soggetti abilitati alla vendita e alla provenienza aziendale del prodotto da essi commercializzato (8). Ciò può essere un bene, perché consente il libero esplicarsi di un ventaglio ampio di possibilità, che dà una certa discrezionalità e respiro alle imprese facilitando il superamento di determinati punti debolezza (9), tuttavia questo può anche permettere il verificarsi di qualche evenienza che renda realizzabile il rischio di snaturamento dell'attività (10).
- Incentivi per agevolare un corretto sviluppo del settore: possono consistere in ulteriori agevolazioni fiscali, sostegni di tipo finanziario o di supporto organizzativo. In linea generale, politiche a favore della filiera corta possono essere attuate attraverso interventi che prevedono incentivi diretti ed anche indiretti.
Consideriamo alcuni rilevanti punti di debolezza: la filiera corta si riferisce ad un mercato di nicchia, i consumi sono limitati, soprattutto all'esterno dei grossi agglomerati urbani e delle zone di consolidata attrazione turistica. Per realizzare l'ulteriore espansione dellai domanda potrebbero essere messi in atto allo stesso tempo generi di interventi differenziati: A) Azioni tese alla valorizzazione e promozione (con pubblicità) del prodotto locale, azioni di marketing del prodotto connesse al marketing del territorio, con iniziative varie (fiere, manifestazioni culturali e folcloristiche) atte ad incrementare l’attrattività territoriale e dei prodotti. Ciò esalterebbe i punti di forza riferibili alla tipicità del prodotto ed al buon collegamento della vendita diretta con il turismo enogastronomico (Gardini, Lazzarin, 2007). B) Misure di aiuto al consumo destinate alle fasce più deboli di consumatori, con sovvenzioni attraverso buoni-pasto spendibili nei farmers market. C) Incentivi di vario genere (fiscali o finanziari) alle imprese di ristorazione e catering che utilizzino prodotto locale. D) Interventi ancora di tipo istituzionale, finalizzati questa volta a convogliare ulteriori categorie di consumo nel canale della filiera corta (promuovendo il naturale legame tra essa e le produzioni a basso impatto ambientale) Si tratta in tutti questi casi di interventi indiretti. Il rimedio per altre criticità richiede invece interventi più direttamente indirizzati alla attività di vendita tramite filiera corta. Interventi di tipo diretto, costituiti da: E) Incentivi indirizzati agli investimenti dei piccoli produttori per la commercializzazione tramite filiera corta. F) Concessione di permessi di vendita in aree di proprietà dei singoli Comuni, debitamente attrezzate (concessione prevista dall’attuale decreto ministeriale, ma attuata finora in modo poco diffuso). G) Promozione di studi mirati su problematiche specifiche di marketing H) Attivazione di supporti istituzionali di tipo organizzativo finalizzati alla razionalizzazione dei percorsi di certificazione igienico-sanitaria e di qualità dei prodotti, alla programmazione ed aggregazione dell’offerta ed alla riduzione dei costi connessi alla logistica.](FONTE 5) [42]
Evoluzione della filiera corta
[I mercati alimentari di quartiere hanno rappresentato per lungo tempo una delle fonti principali di approvvigionamento di prodotti freschi (ortofrutta, latticini, carne e pesce) per gli abitanti delle città, ma la loro importanza è rapidamente diminuita a causa, da un lato dell’evoluzione dell’industria alimentare e dell’avvento della grande distribuzione organizzata, dall’altro del cambiamento e della differenziazione degli stili di vita e di consumo.](FONTE 2) [43]
[Le filiere corte sono state identificate in origine come esempi di resistenza degli agricoltori alla modernizzazione e poi alla globalizzazione del sistema alimentare (van der Ploeg et al., 2000). Attraverso una maggiore prossimità con i consumatori, gli agricoltori possono sviluppare strategie autonome di marketing basate non solo sulla prossimità, ma anche sulla trasmissione di valori ‘alternativi’ incorporati nel prodotto, come la sostenibilità, la biodiversità, la tradizione culturale, la solidarietà. Non a caso l’analisi delle filiere corte si è andata sviluppando soprattutto nella letteratura delle ‘Alternative food networks’ (Goodman, 2012) e in quella dei sistemi agricoli locali (Tregear et al., 2007; Bowen, Mutersbaugh, 2013), assumendo al loro interno significati anche piuttosto diversi ma caratterizzati da una carica innovativa rispetto ai modelli convenzionali (Marsden et al., 2000).] (FONTE 8) [44] [
- Inizialmente, le filiere corte sono state interpretate come ‘resistenza’ da parte di soggetti deboli, prima di tutto gli agricoltori, minacciati dalla marginalizzazione (Van der Ploeg et al., 2000). In quella fase, la filiera corta rappresentava per i piccoli agricoltori uno strumento per la riappropriazione di quote di valore aggiunto che nel corso della modernizzazione erano state erose dai soggetti forti della filiera.
- Progressivamente, le filiere corte sono apparse come una delle molteplici forme dei cosiddetti ‘Networks alimentari alternativi’ (Alternative Food Networks) (Renting et al., 2000), canali commerciali appropriati alla commercializzazione di prodotti differenziati ad alto valore aggiunto, in grado di remunerare meglio l’azienda familiare e al tempo stesso comunicare ai consumatori valori – la cultura rurale, il rapporto con la natura - che i sistemi convenzionali non erano in grado o non volevano comunicare.
Dallo studio delle filiere corte come ‘resistenza contadina’, in altre parole, si è passati a studiare le filiere corte come esempio di nuovi paradigmi di sviluppo agricolo (Van der Ploeg et al., 2000).
Se i “network alimentari alternativi” si sono andati evolvendo mantenendo una forte componente ideologica e il radicalismo delle origini, puntando su forme organizzative innovative come i gruppi di acquisto solidale o le community supported agriculture (Fonte et al. 2011; Brunori et al., 2012), l’affermarsi, in Italia e a livello internazionale di Slow Food (Leitch, 2003), ha traghettato molte delle tematiche care ai suddetti Network nel discorso istituzionale. La recente saldatura tra Slow Food e Coldiretti attraverso la presidenza di Campagna Amica (movimento che oggi conta una rete fittissima di farmers’ markets e punti di vendita diretta in tutta Italia) affidata a Carlo Petrini rappresenta il culmine di questo processo, e suggerisce l’emergere di un ‘blocco sociale’ con una fortissima influenza sul quadro politico. D’altronde, di fronte alla crescente sensibilità dei consumatori nei confronti del cibo, il sistema convenzionale è andato modificando i propri modelli di business, accogliendo la sfida della qualità e diversità, in molti casi incorporando messaggi e modelli organizzativi introdotti dalla filiera corta (Fonte, 2006; Carbone, 2016). In questa fase, la filiera corta viene interpretata come ‘nicchia di innovazione’, capace di introdurre in un sistema altrimenti bloccato dal paradigma della modernizzazione elementi di innovazione dal basso, e dunque potenziale oggetto di politiche di sostegno finalizzate all’innovazione di sistema (Seyfang e Smith, 2007; Brunori et al., 2008). Non è un caso che il sostegno alla filiera corta sia, nel più recente quadro strategico per lo sviluppo rurale, esplicitamente menzionata tra le possibili priorità dei piani di sviluppo rurale (Tarangioli, 2012; Brunori e Bartolini, 2013). Grazie agli strumenti dello sviluppo rurale, la filiera corta è diventata parte di strategie regionali di costruzione di sistemi alimentari locali le cui finalità rispecchiano le condizioni specifiche del contesto di riferimento, come il rafforzamento delle identità locali in sinergia con i sistemi turistici (Guarino, Doneddu 2011; Tanasa, 2014), o il consolidamento dei legami tra città e campagna attraverso la rilocalizzazione dei consumi (Grando, 2009; Press et al., 2017). ] (FONTE 6)[45]
Vantaggi e limiti della filiera corta
[I dibattuti vantaggi della filiera corta (Bullock et. al., 2000; Hilchey et. al., 2000) consistono essenzialmente nella sostenibilità di questa modalità di vendita dai diversi punti di vista:
- economico: prezzi dei beni alimentari più contenuti (3) per gli acquirenti e più remunerativi per i produttori;
- ambientale: riduzione, nella cosiddetta offerta “a chilometro zero”, dei consumi energetici e dell'inquinamento legato al trasporto e alla frigo-conservazione, che tra l’altro la coniuga almeno in teoria -seppure non in pratica (Franco, 2007)- alle produzioni biologiche (4);
- sociale: controllo diretto del prezzo e della qualità da parte dei consumatori, maggiore freschezza e salubrità dei prodotti deperibili, rapporto di fiducia e scambio di informazioni senza intermediari tra produttori e consumatori, circuiti indotti e cumulativi di sviluppo rurale in aree marginali.
Si tratta dunque di vantaggi che non si limitano esclusivamente ad una riduzione dei prezzi all’acquisto per i consumatori e nel soddisfacente prezzo di vendita per i produttori, ma consistono anche nella predisposizione della domanda a ricercare il prodotto tipico, o comunque locale, cui si attribuiscono una serie di valenze che aggiungono valore alla merce in sé stessa considerata, come risulta da studi effettuati al riguardo sulla disponibilità a pagare (AA VV., Ohio State University, 2008). Queste ultime motivazioni di consumo riferibili alla valenza culturale del cibo sono legate a fasce di reddito medio alte, disposte a pagare addirittura un premium price per i prodotti locali, così come il risparmio sul prezzo di vendita può essere invece motivazione prevalente per le fasce di reddito più deboli. In relazione alla sostenibilità ambientale, analizzata in particolare dagli studi sui food miles (AA VV., Defra, 2005), c'è tuttavia un filone scientifico che ha un atteggiamento critico riguardo ai vantaggi dell'offerta a chilometro zero. Infatti ciò che si deve considerare nella valutazione della sostenibilità non è soltanto il costo ambientale del trasporto, ma si deve tener conto anche di una “ecologia di scala” (Schlich, Fleissner, 2005), che compiuti i risparmi energetici connessi alla dimensione più o meno ampia delle aziende di produzione e trasformazione, consentendo di considerare nell’insieme tutti i costi comparati ambientali delle produzioni ottenute e commercializzate da differenti tipologie di imprese nelle diverse parti del globo. Quanto alla sostenibilità economica, non si possono trascurare alcuni elementi in contrasto. Ad esempio si deve tener conto del fatto che non sempre a livello locale i prezzi dei prodotti scambiati nell'ambito della filiera corta sono più bassi per i consumatori di quelli offerti dalle grandi catene di vendita che operano con notevoli economie di scala nella filiera lunga. Con particolare riferimento ai prezzi si potrebbe obiettare che in un mercato concorrenziale s’impone automaticamente l’unicità del prezzo per prodotti indifferenziati come tradizionalmente erano quelli agricoli. Tuttavia ormai esiste una differenziazione anche per i prodotti agricoli, che non svolgono più soltanto la basilare funzione di nutrimento, ma incorporano in vario modo il soddisfacimento di altre esigenze. Queste ultime possono spaziare dal time saving ad aspetti legati alle succitate valenze culturali, ambientali, alla salubrità o alla tipicità del gusto, presumibilmente o realmente riscontrabili nei prodotti commercializzati tramite filiera corta. Di conseguenza, il mercato non risulta perfettamente concorrenziale. E per questo i prodotti -in qualche modo differenziati- venduti nei farmers’ market possono avere prezzi differenziati (5), anche indipendentemente dal loro differente costo di produzione e, in particolare, di commercializzazione. Con più specifico riferimento agli aspetti sociali, invece, resta salvo il fatto del controllo diretto del prezzo e della qualità da parte dei consumatori, del loro rapporto umano con i produttori (6), e anche della maggiore indipendenza degli agricoltori nelle scelte produttive (Cicatiello, Franco, 2008), con conseguente soddisfazione morale. Inoltre la filiera corta, che senza dubbio valorizza appieno il capitale umano e sociale, nonché le risorse naturali locali, può innescare processi di sviluppo endogeno sia in aree rurali marginali dei Paesi sviluppati, sia nel contesto locale di Paesi sottosviluppati. In questi ultimi può efficacemente opporsi a fenomeni di progressivo impoverimento, sia di risorse naturali che di risorse umane, legati all’introduzione non oculata e massiccia di modelli produttivi esterni (Shiva, 1995 e 2008), per produzioni intensive indirizzate all’esportazione. La filiera corta peraltro non costituisce certamente la soluzione più indicata per tutti i problemi, e in determinati contesti, dove non trova la sua naturale collocazione, ovvero il suo particolare “luogo economico” (Serpieri,1950), risulta meno efficiente della filiera lunga. In generale essa risulta particolarmente idonea a risolvere le difficoltà di aziende di piccole dimensioni, multifunzionali, che offrono prodotti di nicchia (locali tipici e/o biologici). Appare invece poco adeguata in tutte le situazioni in cui prevalgono le dimensioni d’impresa medio grandi e si creano economie di scala di tipo economico ed ecologico, quando l’offerta aziendale è specializzata e costituisce una consistente massa critica di prodotto che può trovare maggiore facilità di sbocco in un mercato più ampio di quello locale. In queste situazioni può risultare più vantaggiosa la filiera lunga. ] (FONTE 5)[46]
[In conclusione, si può constatare che, almeno per alcuni settori produttivi e per alcune tipi di azienda, la filiera corta costituisce una quota non trascurabile del valore della produzione, e può rappresentare un’interessante opzione per recuperare redditività. ](FONTE 4)[47]
I DUE LIBRI
"Agricoltura urbana e filiere corte. Un quadro della realtà italiana", Davide Marino, EAN: 9788891748058
La filiera corta rappresenta una forma di mercato in grado di promuovere un’economia sostenibile e il processo di consolidamento di questa forma di commercializzazione andrebbe incentivata mediante strumenti economici, ma soprattutto di regolamentazione degli spazi e di facilitazione logistica (Marino e Mastronardi, 2013). Contestualmente, è necessario lavorare sulle imprese affinchè le loro strategie vadano incontro alla domanda di sostenibilità espressa dai consumatori.
LA DOMANDA
- GAS L’identificazione con la domanda da parte dei consumatori è ovvia
- FARMERS’ MARKET Si tratta di mercati organizzati dagli agricoltori in collaborazione con le istituzioni locali, ma i FM vengono aperti per rispondere ad una domanda specifica dei consumatori
La filiera corta rende possibile la sperimentazione di nuove forme di commercializzazione, modulabili in relazione agli interessi dei produttori e dei consumatori e con ricadute positive per la collettività/comunità locale, spostando il baricentro sul territorio, sulla qualità dei processi di produzione e consumo e su un modello di sviluppo rurale basato sulla multifunzionalità e sulla sostenibilità.
Tutte le imprese produttrici sono potenzialmente interessate da questa particolare forma di vendita; tuttavia, esistono delle differenze significative tra le imprese.
- Le aziende più grandi, potendo sostenere i costi di produzione a fronte della disponibilità di innovazione tecnologica e di volumi adeguati di produzione, hanno un approccio non esclusivo alla filiera corta, che affiancano ai tradizionali canali di sbocco sul mercato
- per quelle più piccole, invece, il circuito breve o la vendita diretta rappresentano una valida alternativa per le loro stessa sopravvivenza, la quale, oltretutto, costituisce un requisito fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio. Per queste ultime si ritiene possa essere vantaggioso operare all’interno di una rete di soggetti, esperienze e strumenti, in modo da potersi, per così dire, riabituare alla dimensione commerciale del loro mestiere e facilitare le loro capacità comunicative e relazionali.
"I farmers' market: la mano visibile del mercato. Aspetti economici, sociali e ambientali delle filiere corte", Clara Cicatiello e Davide Marino, EAN: 9788856856026
- Quale può essere il contributo di una diversa struttura della filiera alimentare rispetto alle efficienza dell'attuale sistema alimentare globale? Il valore delle filiere corte consiste nel proporre un diverso modello non solo di commercializzazione ma di sistema alimentare nel quale, per motivi economici e sociali, l'accesso al cibo potrebbe essere maggiormente garantito.
- Accorciare la filiera può fornire risposte positive all'esigenza di produrre più cibo con una maggiore efficienza nell'uso delle risorse? non Sembra scontato che la filiera corta possa dare risposte positive a tutti i fenomeni ambientali; ad esempio, recenti calcoli della Lincoln University dimostrano che la Carbon footprint dell’Agnello prodotto in Nuova Zelanda e consumato in Inghilterra è decisamente Inferiore a quella della produzione inglese, pur tenendo Conto dei trasporti. D'altra parte il contatto diretto tra produzione e consumo potrebbe avere un impatto positivo nella riduzione della quota di cibo che resta invenduta punto la valutazione ambientale deve quindi incorporare, oltre al concetto di foodmiles, Anche altri aspetti che vanno dalla biodiversità al paesaggio, e che al tempo stesso tengano conto dei flussi del risorse.
Note
- ^ Laura Angela Ceriotti.
- ^ FONTE 1.
- ^ FONTE 1.
- ^ FONTE 8.
- ^ FONTE 8.
- ^ FONTE 1.
- ^ FONTE 2.
- ^ FONTE 9.
- ^ FONTE 2.
- ^ FONTE 4.
- ^ FONTE 2.
- ^ FONTE 4.
- ^ FONTE 6.
- ^ a b FONTE 2.
- ^ FONTE 5.
- ^ FONTE 8.
- ^ FONTE 5.
- ^ FONTE 6.
- ^ FONTE 1.
- ^ FONTE 5.
- ^ FONTE 2.
- ^ FONTE 3.
- ^ FONTE 3.
- ^ FONTE 3.
- ^ FONTE 3.
- ^ FONTE 2.
- ^ FONTE 2.
- ^ FONTE 2.
- ^ FONTE 2.
- ^ FONTE 2.
- ^ FONTE 8.
- ^ FONTE 8.
- ^ Davide Marino.
- ^ FONTE 8.
- ^ FONTE 8.
- ^ FONTE 2.
- ^ FONTE 2.
- ^ FONTE 8.
- ^ FONTE 6.
- ^ FONTE 7.
- ^ FONTE 8.
- ^ FONTE 8.
- ^ FONTE 6.
- ^ FONTE 6.
- ^ FONTE 6.
- ^ FONTE 6.
- ^ FONTE 4.
Bibliografia
- Laura Angela Ceriotti, Food strategy e multifunzionalità nella filiera corta del riso, Novara, Interlinea, 2015, ISBN 978-88-6857-041-5.
- Davide Marino, Agricoltura urbana e filiere corte. Un quadro della realtà italiana, Milano, Franco Angeli, 2017.
- Davide Marino, Clara Cicatiello, I farmers' market: la mano visibile del mercato. Aspetti economici, sociali e ambientali delle filiere corte, Milano, Franco Angeli, 2012.
Collegamenti esterni
- La filiera corta, su fondazioneslowfood.com.
- Laura Aguglia, La filiera corta: una opportunità per agricoltori e consumatori, su agriregionieuropa.univpm.it, 2009.
- Davide Marino, Aurora Cavallo, Francesca Galli, Clara Cicatiello, Ilaria Borri, Patrizia Borsotto, Daniela De Gregorio, Luigi Mastronardi, Esperienze di filiera corta in contesti urbani. Alcuni casi studio, su agriregionieuropa.univpm.it, 2013.
- Ilaria Borri, Patrizia Borsotto, Alessandro Corsi, La scelta della filiera corta degli agricoltori biologici piemontesi, su agriregionieuropa.univpm.it, 2009.
- Maria P. Sini, Aspetti del dibattito sulla “filiera corta”, su agriregionieuropa.univpm.it, 2009.
- Gianluca Brunori, Francesca Galli, Filiera corta e politiche alimentari: quali scenari?, su agriregionieuropa.univpm.it, 2017.
- Luigi Mastronardi, Agostino Giannelli, La sostenibilità dell’agricoltura periurbana: un’analisi sulle imprese della filiera corta, su agriregionieuropa.univpm.it, 2016.
- Gianluca Brunori, Fabio Bartolini, La filiera corta: le opportunità offerte dalla nuova Pac, su agriregionieuropa.univpm.it, 2013.
- Giovanni Belletti, Andrea Marescotti, Silvia Innocenti, Adanella Rossi, Prezzo giusto e filiera corta: una lettura dell’esperienza dei mercati dei produttori agricoli in Toscana, su agriregionieuropa.univpm.it, 2010.
Voci correlate
- CONCLUDERE LA VOCE, PERFEZIONARE IN BASE ALLE LEZIONI DI LAB SCRITTURA E RACCOMANDAZIONI/DOMANDE SU DISCUSSIONE O A LEZIONE
- CONSEGNARE LA VOCE
- sistema la def di gas, farmers market e altre tipologia (magari con fonte treccani?)