La filiera corta (o canale corto o vendita diretta) è una filiera produttiva caratterizzata da un numero limitato e circoscritto di passaggi produttivi, e in particolare di intermediazioni commerciali, che possono portare anche al contatto diretto fra il produttore e il consumatore. È maggiormente diffusa in agricoltura, soprattutto per quei prodotti che non necessitano di processi di trasformazione, come il riso[1] o quasi tutti i prodotti ortofrutticoli freschi.

Si tratta una strategia alternativa che crea filiere indipendenti dalla grande distribuzione, basate sulla produzione locale, in cui si riducono gli intermediari della catena del cibo e le distanze che il cibo stesso percorre.[2] Questo contribuisce al rafforzamento delle economie locali e favorisce il progresso nel campo delle produzioni sostenibili.

Il termine "corta" si riferisce a tre dimensioni:

  • prossimità geografica: misurata come distanza fisica tra chi produce e chi consuma
  • prossimità sociale: suggerisce un rapporto di fiducia e solidarietà tra produttore e consumatore, che condividono tradizioni e identità territoriali
  • prossimità economica: gli scambi di mercato sono circoscritti all'interno di un territorio.[3]

L'importanza strategica della filiera corta

Il fattore prezzo

Rispetto al canale tradizionale, nel canale corto i prodotti sono solitamente più convenienti per i consumatori, grazie al contenimento dei costi di produzione e all'assenza di intermediazione. Oltre ai consumatori, anche il produttore può ottenere un guadagno più equo in base ai fattori produttivi impiegati e può riappropriarsi di una parte del valore che usualmente si disperde nei vari passaggi lungo la filiera.[4]

In merito alla distribuzione del valore lungo la filiera e, in particolare, dei prezzi dei prodotti al consumo, le filiere corte:

  • possono ridurre i costi complessivi di produzione e distribuzione del cibo attraverso la riduzione dei chilometri percorsi dal cibo e del numero di passaggi di intermediazione
  • rappresentano un'alternativa ai canali distributivi dominanti, e quindi possono contribuire ad evitare gli squilibri di potere contrattuale lungo la filiera
  • possono consentire l'accesso al mercato a categorie di produttori e a tipologie di prodotti che difficilmente possono accedere ai canali distributivi più moderni
  • facilitano il passaggio di informazioni tra produttori e consumatori, consentendo al prezzo che si forma sui mercati di tenere meglio in considerazione le caratteristiche dei processi produttivi e gli effetti sociali e ambientali
  • promuovono una revisione degli stili di produzione e di consumo tipici del mercato convenzionale, puntando all'innovazione del sistema.

I Mercati esistenti seguono criteri molto diversi tra loro per valutare il prezzo:

  • da un lato affrontano il tema del prezzo giusto da un punto di vista strettamente economico: benefici economici che produttori e consumatori possono trarre dall'accorciamento della filiera
  • dall'altro lato, considerano anche i benefici sociali e ambientali generati da un sistema alternativo di produzione e consumo. Questo approccio porta a dare maggiore risalto agli aspetti relativi alla comunicazione dei valori del prodotto e al tema del costo (sociale) di produzione.

Entrambi gli approcci possono essere funzionali ai diversi obiettivi che gli organizzatori e partecipanti dei mercati dei produttori agricoli possono porsi.[5]

Fattori determinanti per l'imprenditore che influiscono sulla scelta di utilizzazione del canale corto

Il canale corto, dal lato dell'agricoltore, favorisce la riduzione dei costi di produzione:

  • l'energia necessaria è ridotta perchè viene rispettata la stagionalità dei prodotti
  • i costi di imballaggio, conservazione e carburante sono minimi poichè si evita il trasporto su lunghe distanze[4]

La filiera corta, tuttavia, in determinati contesti, dove non trova la sua naturale collocazione, risulta meno efficiente della filiera lunga.

  • Le aziende più grandi hanno un approccio non esclusivo alla filiera corta, che affiancano ai tradizionali canali di sbocco sul mercato
  • per quelle più piccole, che offrono prodotti di nicchia (locali tipici e/o biologici), il circuito breve o la vendita diretta sono spesso fondamentali per la loro stessa sopravvivenza.[6] Per esempio, le piccole aziende agricole di montagna e collina, che si trovano in aree marginali, utilizzano i canali alternativi per far fronte alle maggiori difficoltà legate all’attività produttiva.

Inoltre, per quanto riguarda il tipo di prodotto, la filiera corta è più adatta ai prodotti orticoli, vitivinicoli e trasformati e non alle produzioni frutticole né a tutti quei prodotti (ad es. alcuni cereali) che possono arrivare al consumatore solo dopo una trasformazione non facilmente attuabile in azienda. [7]

Fattori determinanti per i consumatori che influiscono sulla scelta di utilizzazione del canale corto

Oltre alla convenienza, le principali motivazioni d’acquisto che attirano i consumatori verso il canale diretto sono molteplici:

  • la garanzia di qualità e freschezza dei prodotti
  • la possibilità di rapportarsi direttamente con i produttori
  • la volontà di sostenere l'economia locale
  • l'aspetto ambientale: il minore inquinamento, il risparmio di energia e la difesa dell’ambiente legati al consumo dei prodotti locali (cibo a chilometro zero, minore utilizzo di packaging, spesso prodotti biologici ottenuti per definizione con minore uso di input chimici)
  • l'aspetto socio-culturale: è un'occasione per riscoprire il mondo rurale e quindi salvaguardare le tradizioni la cultura enogastronomica del territorio[4]

Filiera corta e filiera lunga a confronto

Principali differenze:

  • Nella concezione classica di mercato il bene della collettività è più marginale. Nel caso della filiera corta, invece, il mercato fa riferimento a sistemi alimentari più etici: il consumatore ha una visione più ampia che lo induce a rivalutare i consueti comportamenti di consumo.[8]
  • nella filiera lunga l'offerta alimentare è ampia e di qualità standardizzata, mentre nella filiera corta si vendono pochi prodotti ma di elevata qualità[4]
  • la filiera lunga prevede dei circuiti lunghi, cioè vari intermediari e lunghi tragitti di percorrenza[9], mentre la filiera corta riduce al minimo gli intermediari ed è basata sui rapporti personali[4]
  • dal punto di vista dell’impatto economico, i vantaggi della filiera corta rispetto alla lunga sono: valore trattenuto nel territorio e prezzi più contenuti
  • per quello che riguarda gli impatti ambientali, la filiera corta dà più importanza ai prodotti freschi, locali e di stagione. Questo comporta una riduzione dei consumi energetici e dell'inquinamento legato al trasporto e alla frigo-conservazione. L’uso di indicatori troppo semplificati come la distanza tra luogo di produzione e luogo di vendita, rischiano però di trasmettere informazioni inesatte sulla sostenibilità: oltre al costo ambientale del trasporto, bisogna considerare anche molti altri aspetti. [10]
  • riguardo agli impatti sociali, nella filiera corta, la minore distanza sociale migliora la capacità dei consumatori di acquisire informazioni (rapporto di fiducia e scambio di informazioni senza intermediari tra produttori e consumatori), mentre le filiere globali tendono ad oscurare il costo sociale delle merci
  • per quello che riguarda l’impatto nei confronti della salute pubblica, si accostano le filiere globali a modelli di nutrizione errati e quello delle filiere corte ad una dieta più salutare. In quanto mezzi di comunicazione di valori non commerciali, le filiere corte possono trasmettere in modo più coerente norme per una corretta nutrizione e hanno effetti indiretti sui comportamenti dei consumatori.[3]

Filiera corta e lunga: non sempre alternative

La filiera lunga come anche quella corta risultano di volta in volta più o meno efficienti a seconda dei diversi contesti locali e situazioni di mercato in cui operano. Ci sono ambiti in cui filiera corta e lunga possono coesistere nel medesimo contesto. Infatti, alcune imprese trovano convenienti le opportunità offerte da entrambe e possono quindi fruire anche contemporaneamente di queste opposte modalità di produzione e vendita. I due circuiti possono infatti valorizzarsi reciprocamente in presenza di un prodotto di alta qualità.[9] Un esempio tipico è il settore del vino, dove la vendita diretta svolge un ruolo crescente in aziende che esportano i propri prodotti in tutto il mondo.[8]

Tipologie

I modelli di filiera corta si propongono come strumento per innovare i sistemi alimentari offrendo maggiore sostenibilità, sotto il punto di vista ambientale, sociale ed economico.[11]

Farmers market

Si tratta di mercati organizzati dagli agricoltori in collaborazione con le istituzioni locali, che vengono aperti per rispondere ad una domanda specifica dei consumatori.[6] In Europa, il modello dei farmers market è stato importato dagli Stati Uniti intorno agli anni Novanta. Rispetto alle esperienze estere, nel nostro paese sembra emergere un'enfasi al sostegno del canale focalizzato sui prodotti tipici locali, che aiutano a conoscere il territorio circostante e a far crescere il turismo.[4]

GAS (Gruppi di Acquisto Solidale)

I GAS emergono da associazioni informali di stampo ecologico-etico, o da piccoli gruppi di famiglie che vivono in uno stesso paese, accomunate dal desiderio di supportare il tessuto produttivo agricolo locale e, per estensione, lo sviluppo del proprio territorio. L’iniziativa ha origine non dal produttore, ma dalla capacità dei consumatori di auto organizzarsi spontaneamente, secondo logiche ispirate appunto alla solidarietà nei confronti dei produttori, di altri consumatori e in particolare verso i soggetti più svantaggiati. Si forma così un vero e proprio gruppo che dialoga e si struttura al suo interno in base alle caratteristiche e ai bisogni ed è in stretto contatto con il produttore ed il luogo di produzione. I consumatori, il cui profilo è variegato, sono generalmente più sensibili al tema delle foodmiles, della sostenibilità ambientale e attenti alla qualità e alla salubrità dei prodotti. La richiesta principale del consumatore è che ci sia un rapporto equo tra la qualità dei prodotti e il prezzo rispetto ai supermercati e ai mercati rionali, unitamente all’interesse verso il recupero di valori immateriali, come ad esempio le ricette antiche, le tradizioni gastronomiche, la tipicità delle produzioni locali.[12]

Box Scheme (‘vendita in cassetta’)

Molti produttori agricoli, per avvicinarsi ai consumatori finali senza intermediari, non si limitano alla semplice vendita in azienda dei propri prodotti ma hanno attivato altri canali di commercializzazione, come la consegna a domicilio di cassette con la spesa della settimana, che variano nelle dimensioni e nei contenuti secondo le preferenze dei consumatori.[12]

Community-supported agriculture (Csa)

Le community-supported agriculture (Csa), costituiscono una forma diretta di partenariato commerciale tra uno o più agricoltori e un gruppo di consumatori. Questi ultimi garantiscono una parte del bilancio operativo legato all’attività agricola, attraverso l’abbonamento a una o più quote del raccolto della stagione sottoscritto al principio dell'annata agraria, assumendo così, assieme al coltivatore, alcuni dei costi e dei rischi dell’attività agricola stessa.[12]

Vendita diretta in azienda: varianti

Alcune tipologie di aziende hanno cominciato a sperimentare nuovi modi, più diretti e indipendenti, di proporre i propri prodotti sul mercato, con lo scopo di valorizzarne le particolarità (Raffaelli et al., 2009). Le esperienze di vendita diretta aziendale sono quindi diversificate:

  • valorizzazione del prodotto in quanto unico e irriproducibile, riuscendo a proporlo sul mercato "fuori dagli standard".
  • cooperazione di realtà piccole, poco accessibili che operano in presenza di oggettive difficoltà ambientali - climatiche, geografiche, logistiche
  • vendita dei propri prodotti di aziende dedite soprattutto all’agricoltura sociale e all'inserimento al lavoro di persone svantaggiate
  • diversificazione dell'attività agricola con l’inserimento di iniziative didattiche, ristorazione e ricezione turistica.[12]

Riferimenti normativi

Indicazioni a livello comunitario

Nela riforma della Politica Agricola Comune (PAC) 2014-2020, la filiera corta è centrale nel raggiungimento degli obiettivi europei in materia di sviluppo rurale.[6]

Leggi italiane

Con il decreto legislativo 228 del 2001, dà inizio alla definizione normativa del concetto di filiera corta e, in particolare, delle sue tipologie: la vendita diretta in azienda, i mercati degli agricoltori, i gruppi di acquisto. Con la legge n. 296 del 2006 il legislatore ha incentivato la creazione di mercati agroalimentari riservati alla vendita diretta,[3] stabilendo che i comuni devono autorizzare i mercati agricoli che soddisfano determinati standard e promuovere azioni di informazione per i consumatori sulle caratteristiche qualitative dei prodotti agricoli in vendita.[4]

A livello regionale

Alcune regioni hanno sviluppato specifiche politiche di intervento.

  • In Toscana nel 2007 nasce il Progetto "Filiera Corta", con contributi regionali a fondo perduto dell'80%.[4].
  • La legge regionale della Liguria del 2012 regola i farmers' market (L.R. 30/04/2012, n. 19).
  • Alcune regioni hanno introdotto misure specifiche di sostegno ai gruppi di acquisto solidali. In particolare, l’Umbria (legge regionale n.1 del 10/02/2011), la Calabria (legge regionale n.23 del 18/07/2011) e la Puglia (legge regionale n.43 del 13/12/2012). A segnare l’evoluzione della materia, la legge della provincia autonoma di Trento include i gruppi di acquisto solidale tra i "soggetti impegnati nell’economia solidale" (art. 2 comma 3 L.P. 17/06/2010, n. 13).[3]

Evoluzione della filiera corta

Gli agricoltori hanno da principio identificato nelle filiere corte la lotta alla globalizzazione del sistema alimentare, come strumento per riappropriarsi quote di valore aggiunto che nel corso della modernizzazione erano state erose dai soggetti forti della filiera. Avvicinandosi ai consumatori, gli agricoltori possono quindi trasmettere i valori ‘alternativi’ incorporati nel prodotto, come la sostenibilità, la biodiversità, la tradizione culturale, la solidarietà.[3]

Le filiere corte hanno assunto nel tempo una struttura sempre più definita e regolamentata, integrandosi nel mondo degli Alternative Food Networks, canali che coniugano la vendita di prodotti di qualità con la diffusione di valori quasi assenti nei mercati tradizionali.

In seguito, questo modello ha influenzato il legislatore, grazie all'attenzione sempre maggiore dei consumatori al tema del cibo. Nelle più recenti politiche per lo sviluppo rurale, la filiera corta è infatti menzionata come strumento per il rafforzamento delle identità locali, il potenziamento del turismo e il consolidamento dei legami tra città e campagna.[8]

Note

Bibliografia

  • Laura Angela Ceriotti, Food strategy e multifunzionalità nella filiera corta del riso, Novara, Interlinea, 2015, ISBN 978-88-6857-041-5.
  • Davide Marino, Agricoltura urbana e filiere corte. Un quadro della realtà italiana, Milano, Franco Angeli, 2017.
  • Davide Marino, Clara Cicatiello, I farmers' market: la mano visibile del mercato. Aspetti economici, sociali e ambientali delle filiere corte, Milano, Franco Angeli, 2012.

Collegamenti esterni

Voci correlate