Menare il can per l'aia
Menare il can per l'aia è un modo di dire colloquiale della lingua italiana. Chi mena il can per l'aia continua a parlare di un argomento senza mai arrivare al dunque, oppure cerca di cambiare discorso per evitare un argomento sgradito.
Origine
Si tratta di un'espressione di origine abbastanza antica, come dimostra l'uso di due termini ormai scomparsi nell'italiano contemporaneo: menare nel senso di condurre e l'aia, il cortile interno delle fattorie; tuttavia è adoperata ancor oggi con una certa frequenza.
Se il senso figurato è chiaro, ovvero compiere azioni inutili, l'origine della locuzione rimane misteriosa.
Nelle note al Malmantile riacquistato (1688), Paolo Minucci si limita a segnalare che «L'aia è un luogo troppo piccolo per un cane da caccia abituato a spazi più ampi, a boschi e luoghi scoscesi».
Forse l'immagine è metaforica: come il cane si aggira per l'aia senza mai trovare ciò che gli serve, così la lingua di chi parla si muove a vuoto senza mai arrivare al punto.
Secondo un'altra interpretazione, chi mena il can per l'aia cerca di creare confusione (liberando, appunto, il cane nell'aia, in mezzo alle galline) per evitare di focalizzare l'attenzione su ciò che è sgradito.
Esempi
- Non meno il can per l'aia; parlar soglio laconico.
Carlo Goldoni, Torquato Tasso, atto primo, scena nona
- La baronessa cercava di scavar terreno anch'essa, in aria disinvolta, facendosi vento e menando il can per l'aia.
Giovanni Verga, Mastro Don Gesualdo, capitolo V