Pithecusa
Pithecusa (in greco Pithekoussai o Pithecusae,che significa "isola delle scimmie") è considerata il più antico stanziamento greco in Italia e la sua fondazione viene fatta risalire alla prima metà dell'VIII secolo a.C. (770 a.C. ca.) dai Greci di Eretria e di Calcide (Eubea), sull'isola di Ischia[1].
Secondo lo storico greco Strabone (Geogr., V, 4, 9), la ricchezza dell'isola era dovuta alla ricchezza agraria spontanea e alla lavorazione dell'oro, disciplina che gli Euboici avevano portato con loro e mantenuta viva. Dai risultati archeologici provenienti dallo studio della necropoli si deduce che la comunità euboica sull'isola di Ischia era principalmente dedita allo scambio e alla lavorazione artigianale. Sono state ritrovate ceramiche a decorazione geometrica, nella quale fanno la loro prima comparsa le figurazioni umane, con una certa significativa presenza di scene di navigazione e di naufragio.
Inoltre a Pithecusa si registra la più antica firma di arte vasaia greca finora pervenuta (testimonianza ne è la Coppa di Nestore). A Pithecusa si lavorava anche il ferro, come dimostrato dal rinvenimento di uno scarto di fibula e scorie, probabilmente provenienti dall'Isola d'Elba e dalle colline metallifere della Toscana, attestate in località Mazzola. La necropoli presenta l'aspetto di un emporio al quale affluiscono merci e mercanti di varia origine. I contatti commerciali con le città della costa siriana, in particolare con il sito di al-Mina, sono documentati da una grande quantità di oggetti di importazione orientale, quali sigilli incisi di fattura siriaca, ceramica fenicia, scarabei egizi o di imitazione fenicia. Il sito di Pithecusa era gestito da un gruppo aristocratico proprietario di navi ed era caratterizzato da una comunità dedita prevalentemente all'artigianato e alle attività marinare. Tra i segni che dimostrano la fisionomia aristocratica del ceto dominante è la coppa rodia, detta di Nestore (del seconda metà dell'VIII sec. a.C.), parte del corredo di un fanciullo di circa dieci anni, che rimanda ad uno dei primi esempi fino ad oggi attestati di pratica conviviale. Nell'iscrizione che vi è graffita l'autore vanta la capacità di essere presi, grazie al vino della sua coppa, dal desiderio di "Afrodite dalle belle corone".