Quinto Furio Pacilio Fuso, in latino Quintus Furius Pacilius Fusus (Roma, ... – Roma, 431 a.C.), è stato un politico romano del V secolo a.C.

Quinto Furio Pacilio Fuso
Pontefice massimo della Repubblica romana
Nome originaleQuintus Furius Pacilius Fusus
FigliGaio Furio Pacilio Fuso
GensPacilia
Gens d'adozioneFuria
PadreGaio Pacilio
Pontificato maxdal 449 a.C. al 431 a.C.

Biografia

Appartenente alla Gens Pacilia, fu pontifex maximus dal 449 a.C. al 431 a.C. Eletto alla massima carica religiosa romana, sostenne l'opposizione al secondo collegio dei decemviri [1] [2] a seguito della drammatica morte di Verginia, uccisa dal proprio padre Lucio Verginio per sottrarla ai desideri sessuali di Appio Claudio Sabino, membro estremamente influente dello stesso decemvirato [3] .

La rivolta popolare che ne seguì, con la plebe si era ritirata sul Mons Sacer, indusse il senato ad abolire il decemvirato e ripristinare il potere dei tribuni della plebe [1].

Pertanto, fu affidato a Quinto Furio Pacilio Fuso, in qualità di pontifex maximus, il compito di tenere i comizi in cui furono nuovamente selezionati i tribuni della plebe [4] [5] .

 
Esposizione delle tavole in bronzo recanti la cosiddetta legge delle "Dodici Tavole"

Pochi mesi dopo Quinto Furio Pacilio Fuso partecipò alla cerimonia per l'esposizione pubblica, nel Foro cittadino, delle leggi delle XII tavole [6] (duodecim tabulae; duodecim tabularum leges), la più antica opera legislativa di Roma, secondo la tradizione, riportata da Tito Livio, redatta negli anni 451 e 450 a.C. per volontà della plebe, allo scopo di rendere più conoscibile e certo il diritto, fino ad allora tramandato oralmente e applicato di volta in volta, caso per caso, in forza dell’interpretazione segreta ed esclusiva del Collegio dei pontefici, all'epoca appartenenti al solo patriziato.

Considerate, dunque, dai Romani, fonte di tutto il diritto pubblico e privato (fons omnis publici privatique iuris) [7] , come ricordato da Tito Livio, i consoli dell'anno 449 a.C. Lucio Valerio Potito e Marco Orazio Barbato [8] le fecero incidere su 12 tavole di bronzo, purtroppo andate perdute nel saccheggio di Roma da parte dei Galli di Brenno nel 390 a.C..

Secondo lo storico Ettore Pais [9] i redattori si sarebbero limitati a redigere per iscritto gli antichi mores, trattandosi, dunque, di una raccolta delle consuetudini precedentemente esistenti ed oralmente tramandate.

 
La pubblicazione delle XII tavole in un'incisione ottocentesca

Le leggi delle XII tavole coprivano, meritoriamente l'intero campo del diritto (diritto sacro, pubblico, penale, privato), compreso il processo; sembra che le prime tre tavole riguardassero il processo civile e l'esecuzione forzata, la quarta il diritto di famiglia, la quinta le successioni mortis causa, la sesta i negozi giuridici, la settima le proprietà immobiliari, l'ottava e la nona i delitti e i processi penali, la decima norme di diritto costituzionale, mentre le ultime due (che prevedevano, "ex multis", il divieto di matrimonio fra patrizi e plebei) avrebbero avuto carattere di appendice.

Le leggi delle XII tavole sono state per lungo tempo oggetto di studio, dapprima da parte del Collegio dei pontefici, presieduto nei primi diciotto anni seguiti alla loro prubblicazione, per l'appunto, da Quinto Furio Pacilio Fuso, in qualità di pontifex maximus, e poi, soltanto verso la fine del III sec. a.C., dei primi giuristi laici, che alla loro esegesi dedicarono le proprie opere scritte [10] .

Note

  1. ^ a b Smith, p. 461.
  2. ^ Livio, Ab urbe condita, Libro III, 38,1.
  3. ^ Smith, p. 767.
  4. ^ Tito Livio, III, 54
  5. ^ T. Robert S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, I, New York, 1952, p. 49.
  6. ^ Livio, Ab urbe condita, Libro III, 57, 10.
  7. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, III, 34.6.
  8. ^ Livio, Ab urbe condita, Libro III, 44, 55.
  9. ^ Storia di Roma, 2 voll., 1898-99.
  10. ^ https://www.treccani.it/enciclopedia/dodici-tavole/