Pensiero di Hegel

Cenni biografici
Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda, 27 agosto 1770 – Berlino, 14 novembre 1831) è stato uno dei massimi filosofi di tutti i tempi.
Compiuti gli studi classici a Stoccarda, si iscrisse all'Università di Tubinga, dove strinse amicizia con il filosofo Friedrich Schelling. Terminati gli studi di filosofia, Hegel lavorò come precettore privato. Nel 1801 si trasferì a Jena, dove terminò uno dei suoi capolavori: la complessa Fenomenologia dello spirito (1807).
Nel 1817 pubblicò un'esposizione completa e sistematica della sua filosofia, l'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. Nel 1818 gli venne offerta la cattedra di filosofia che era stata di Johann Fichte all'Università di Berlino, dove rimase fino alla morte, avvenuta nel 1831 a causa di una epidemia di colera.
Scritti teologici giovanili
Nel periodo trascorso a Berna e a Francoforte, dal 1794 al 1800, Hegel redasse i saggi, pubblicati postumi col titolo di Scritti teologici giovanili.
Nello scritto Religione popolare e cristianesimo (1794), religione popolare (Volksreligion) è la religione che Hegel definisce soggettiva perché impegna la fantasia e il cuore della singola persona ed è insieme pubblica, perché s'identifica con i costumi e le istituzioni di un popolo, come avveniva nella religione della polis greca. La città - Stato greca, secondo Hegel, che riprende motivi di Hölderlin, Schiller e Lessing, è una comunità organica di persone le quali sono, in modo concreto (concretum, cresciuto insieme), cittadini e religiosi insieme, ove si realizza la vera libertà che esclude sia le forme oppressive della comunità sull'individuo che l'indipendenza di ogni individuo dalla comunità; vera libertà è la possibilità di realizzare la propria volontà nella realtà politica, sociale e religiosa della comunità alla quale si appartiene.
Il cristianesimo è invece una religione privata e soggettiva, vissuta cioè, in quanto privata, in un rapporto personale tra l'individuo e Dio, ma è anche oggettiva, ossia fondata sugli scritti testamentari e su dogmi ed è tutelata e prescritta da un ceto particolare, separato dal resto dei cittadini, il clero. Le società dove domina religiosamente il cristianesimo sono comunità non organiche di persone le quali sono in modo astratto, (abstractum, tirato fuori), cioè separatamente, cittadini e religiosi.
Nella Vita di Gesù (1795) Hegel ne espone la biografia - senza riferimenti all'incarnazione, ai miracoli, alla sua divinità e alla resurrezione - e l'insegnamento, considerato equivalente alla legge morale kantiana, sulla scorta della Religione entro i limiti della sola ragione di Kant. Gesù ha essenzialmente insegnato l'imperativo categorico kantiano: «Fate che valga per voi quel che volete che valga come legge universale fra gli uomini».
Ne La positività della religione cristiana (1796) Hegel rintraccia nell'ambiente e nella cultura ebraica, incapace di cogliere la spiritualità dell'etica cristiana, legata com'è all'esteriorità del formalismo farisaico, la causa dell'involuzione della religione naturale in una religione positiva, ossia tradotta in dogmi, perché fondata sulla rivelazione divina e sulla struttura autoritaria della Chiesa.
Ebreo che si rivolge a ebrei, Gesù è costretto a presentarsi come Messia, a fondare il cristianesimo sulla rivelazione di Dio, a operare miracoli, a istituire un sacerdozio che ne conservi l'insegnamento, negando la libertà di pensiero: in questo modo la ragione diviene passiva e non legislativa.
Se nel popolo ebreo a predominare è lo spirito di separatezza – in quanto popolo eletto opposto agli altri popoli, che vive in una natura che si contrappone ostilmente all'uomo, diversamente da quello greco - il popolo ebreo è un popolo infelice, che non vivendo l'armonia di una religione popolare vive una coscienza infelice, caratterizzata dalla separazione tra sé e Dio.
Ma Cristo si è anche contrapposto al kantismo e all'ebraismo, predicando non tanto il rispetto della legge, ma l'amore. Smentendo quanto sostenuto negli scritti precedenti - del resto non destinati alla pubblicazione - ne Lo spirito del cristianesimo e il suo destino (1799) Hegel afferma la superiorità della legge morale di Gesù sulla legge kantiana del dovere, vista come un'etica ebraica interiorizzata. L'amore è superiore al dovere perché "nell'amore viene meno ogni pensiero di dovere", il comportamento che ha per base l'amore non è più uniformato all'ubbidienza a una legge. Come l'incarnazione di Cristo è il congiungimento di umano e divino, di naturale e soprannaturale, così l'amore è la conciliazione di ciò che è separato, è l'unità degli uomini ottenuta non naturalmente ma dopo l'esperienza della separazione.
L'ultimo degli scritti teologici è il Frammento di sistema (1800), composto avendo presente i Discorsi di Schleiermacher, nei quali la religione è il sentimento di compenetrazione di finito e infinito, unione mistica di umano e divino. Ma qui il finito e l'infinito sono intesi come termini assolutamente separati, distinti, senza alcuna relazione tra loro; tuttavia il finito, in quanto vita, "ha in sé la possibilità d'innalzarsi alla vita infinita", ha la possibilità di confluire, mediante la ragione che realizza dialetticamente l'unità dei due distinti momenti, nell'infinità della vita divina, oltre ogni distinzione e riflessione. Nel Frammento di sistema sono già introdotti alcuni termini che diverranno centrali nella filosofia hegeliana: finito, infinito, momento, dialettica, intelletto, ragione, spirito.
Dalla religione popolare all' Assoluto
Stranamente in Hegel assistiamo a un processo inverso a quello che ha caratterizzato il percorso del pensiero in Fichte e Schelling: questi iniziano da problematiche filosofiche e arrivano a soluzioni religiose. In Hegel avviene l'opposto e questo non per una conversione a rovescio, dalla religione alla filosofia, ma perché egli trova un concetto di filosofia nuovo capace anche di risolvere i problemi religiosi.
Nell'ambiente accademico di Tubinga, dove opera il giovane Hegel ,c'è una corrente legata alla tradizione filosofica religiosa: il cosiddetto "indirizzo soprannaturale" che tende a difendere la religione naturale. È in questo filone religioso che Hegel pensa si debba procedere a un rinnovamento culturale e politico per l'umanità e in particolare per il popolo tedesco, tramite una nuova religione popolare che realizzi un'armonia tra le religioni razionali (soggettive) e quelle positive, rivelate (oggettive). Questa nuova religione unirà nell'uomo ragione e sensibilità e lo avvierà alla felicità. Tramite essa poi si supererà quella scissione tra il cittadino e lo Stato e tra il fedele e la Chiesa che segna la crisi del popolo tedesco. Questa nuova religione porterà al rinnovamento morale e politico della Germania.
Una religione popolare e priva di dogmi era quella dell'Ellade antica dove il sacerdote svolgeva anche una funzione pubblica. Il cittadino greco si identificava nella vita dello stato e della chiesa. Con l'avvento del Cristianesimo ecclesiastico e dogmatico si è verificata invece la separazione dell'individuo dalla vita politica e religiosa. Questo non accadeva con la religione predicata da Gesù che era fondata sull’unità degli aspetti razionali e sensibili dell'uomo , ed era quindi più vicina al mondo greco, capace di godere della natura e di vivere la vita religiosa in comunanza con quella politica. Il mondo greco quindi espressione di quella totalità-unione che si è persa con la morte di Cristo.
Questo è avvenuto per il legalismo (la legge di Mosè) dell’ambiente giudaico dove si è sviluppata la dottrina cristiana che ha trasformato questa religione in senso ecclesiastico e dogmatico operando una scissione tra l’individuo e la totalità. La sottomissione alla legge mosaica o a quella dei dominatori che tenevano in schiavitù il popolo d'Israele, ha causato il passaggio dalla fede morale e spontanea a alla fede nell'autorità.
Si deve al popolo ebraico infatti questa scissione tra l’uomo e Dio. Nella loro antica storia l'origine di questa separazione è' stata l’esperienza del diluvio che ha portato gli ebrei a concepire una natura ostile da cui poteva salvarli solo il loro potente Dio trascendente e lontano da loro: il Dio di Mosè che ha dato loro le tavole dei comandamento. L’uomo e la natura sono niente, Dio è tutto. Quindi per gli ebrei la natura è nemica, e diversi e ostili sono gli altri uomini, poiché essi soli sono il popolo eletto che non deve confondere l’unico Dio con gli dei di altri popoli.
Occorre quindi una nuova religione in grado di conciliare con l’amore la vita politica con quella religiosa, l’umano col divino. Con l’amore, unendo il finito con l’infinito, il soggetto fa tutt'uno con l'oggetto, l'umano si riconcilia con il divino, così che noi abbiamo la possibilità di cogliere la totalità, l’Assoluto, unione di finito ed infinito.
La definizione dell'Assoluto
Se ogni definizione è una relativizzazione, pretendere di definire l'Assoluto comporta necessariamente includere nella sua "definizione" ciò che non può rimanere escluso da lui, poiché esso è una totalità onnicomprensiva che non può avere nulla fuori di sé. Quindi si dovrà definire l'Assoluto come
- unione di finito e infinito, ma anche come
- non unione e cioè opposizione di finito ed infinito.
Afferma a proposito Hegel, che per essere infinito deve anche essere finito, ossia deve includere la finitezza al suo interno.
Ed è proprio l'opposizione, la negazione, l'antitesi, la caratteristica essenziale dello sviluppo dialettico della realtà: l'opposizione è la molla della vita, l'elemento dell'infinito progresso. Questo allora vuol dire che l'Assoluto come opposizione coincide con la realtà-opposizione, l'Assoluto è immanente alla realtà, è il Deus sive Natura di Spinoza.
Ecco spiegata la presunta conversione a rovescio: la problematica religiosa ha portato Hegel a scoprire un nuovo concetto filosofico tramite il quale la filosofia potrà raggiungere l'Assoluto.[1]
La critica delle filosofie precedenti
La critica agli illuministi
Appare immediata la contrapposizione sussistente fra Hegel e gli Illuministi: mentre il primo, crede nell'identità fra ragione e realtà, i secondi assumono la ragione come unico giudice della realtà. E mentre per Hegel la ragione è una costante della Storia, per gli illuministi la ragione è presente solo in determinate epoche storiche, contrapponendo le età illuminate alle epoche buie.
La critica a Kant
Hegel, come già i pre-romantici e i romantici, critica Kant per il suo dualismo, ovvero per la contrapposizione fra fenomeno e noumeno. In questo modo Kant dimostra di non avere la concezione dell'Assoluto che implica il superamento tra finito ed infinito nell'Assoluto. In secondo luogo, Hegel critica l'intento di Kant di volere realizzare una filosofia del finito, vale a dire la sua missione di rintracciare soltanto l'esistenza delle colonne d'Ercole della conoscenza umana, cioè della Ragione oltre la quale c'è l'inconoscibilità razionale della metafisica. Ma se Kant si propone di criticare la Ragione ancor prima di conoscerla, egli non farà altro che tentare di imparare a nuotare, prima ancora di buttarsi in acqua. La ragione invece può cogliere l'Assoluto. Bisogna restituire al popolo tedesco la metafisica. «Un popolo senza metafisica è come un tempio senza santuario».
La critica ai Romantici
Il rapporto fra Hegel e i romantici è abbastanza complesso. Pur vivendo nel medesimo periodo storico, bisogna ricordare che Hegel non è un romantico, bensì un'idealista. Nei Romantici è il sentimento, la fede, l' intuizione , che Hegel definisce come «romantiche fantasticherie», a primeggiare su qualunque altra facoltà umana. È la Ragione il principio primo del pensiero e della realtà. I Romantici narcisisticamente si chiudono in sé stessi, perdono ogni contatto con il mondo.
Tuttavia è inevitabile riscontrare in Hegel la partecipazione a questo particolare momento storico, riscontrabile specialmente nell'anelare all'infinito. Si potrebbe pertanto dire che Hegel, più che essere separato dai Romantici, è piuttosto un momento a sé particolare di quel periodo.
La critica a Fichte
Si è detto che la filosofia di Fichte è paragonabile a una semiretta, di cui si conosce il punto di inizio, ma di cui non è possibile intravedere la fine. Hegel accusa Fichte in due punti: Fichte, pur tentando, non risolve affatto il dualismo, poiché assume l'oggetto come semplice ostacolo, comunque separato, come finzione voluta dall'Io, per esercitare la sua assoluta libertà. L'assoluto è visto semplicemente come un ideale da raggiungere, una meta che però non si realizza mai. In Ficthe dunque c'è la concezione dell'Assoluto come opposizione di finito ed infinito ma manca l'unione perché questo corre lungo la retta non raggiungendo mai il non io che sempre gli si ripropone davanti.
La critica a Schelling
Nella filosofia di Schelling, invece, l'Assoluto è correttamente indicato come unione di finito ed infinito che vive nell'arte ma manca la caratteristica dell'opposizione poiché per questa occorre che i due elementi dell'opposizione siano distinti mentre invece in Schelling costituiscono un'unità indifferenziata. Questo concetto dell'Assoluto è paragonabile ad una notte in cui tutte le vacche sono nere. Qui vale la figura del cerchio dove come nell'unità indifferenziata ogni punto si confonde con il precedente.
La critica a Jacobi
Nel saggio Fede e sapere, pubblicato nel 1802 sul "Giornale critico della filosofia", diretto insieme con Schelling, Hegel critica, oltre Kant e Fichte, anche Jacobi il cui fideismo esprime la dottrina del sapere immediato,senza le mediazioni razionali, facendo un salto dal soggetto all'oggetto senza cogliere la razionalità che, superando metodicamente l'opposizione tra soggetto e oggetto, perviene allo stesso risultato. Nell'Enciclopedia scriverà che «...la filosofia del sapere immediato va così oltre nelle sue astrazioni che vuole la determinazione dell'esistenza inseparabilmente congiunta, non solo col pensiero di Dio, ma anche con le rappresentazioni del mio corpo e delle cose esterne...la differenza tra l'affermazione del sapere immediato e la filosofia si riduce a questo...che si contrappone al filosofare.» E altrove, ironicamente, scriverà che il salto mortale di Jacobi dall'uomo a Dio è mortale...solo per la filosofia. Ricorrere alla fede implica necessariamente l'esclusione della filosofia.
I capisaldi del sistema hegeliano
Per comprendere al meglio il pensiero di Hegel, è necessario chiarire innanzitutto i punti fondamentali della sua dottrina che sono:
La realtà come Spirito infinito
La realtà non è sostanza ma Soggetto, Spirito. Il soggetto inteso come attività, processo,automovimento: un'acquisizione moderna questa resa possibile ad Hegel dalla scoperta kantiana dell' "io penso" (l' appercezione trascendentale). La realtà dunque è Spirito infinito non è più rappresentata dalla sostanza staticamente al di sotto delle cose ricoperte dalla loro apparenza fenomenica. La realtà è soggetto, attività, automovimento. Non sono le cose che procedono dall'Assoluto ma l'Assoluto è questo stesso procedere.
Cosicché le vicende del mondo non sono estranee alla storia dello Spirito. La storia del mondo è la storia stessa di Dio, è la storia dell'avvento dello Spirito, del realizzarsi della ragione.
Identità fra ragione e realtà
La ragione, a differenza di quanto affermava Kant, non è semplicemente uno strumento della mente umana, bensì un principio metafisico, che diviene e si sviluppa nel mondo.La razionalità dunque non è pura astrazione,è presente nel mondo come insieme delle leggi che lo regolano(infatti il mondo non è una realtà caotica, un susseguirsi disordinato di eventi, bensì è dominato da un'ordine razionale). La realtà ha una sua struttura razionale("inconsapevole o alienata" nella Natura e "consapevole" nell'uomo).Se un'azione avviene, ci dev'essere un'altra azione che l'ha causata, dunque esiste un'affinità, o meglio una identità fra essere e dover essere, dunque un evento che non è necessario non si realizza.
- Con la prima parte della formula ("ciò che è razionale è reale"), Hegel vuole dire che ciò che è ragionevole diventa realtà, si attua in forme concrete. Un ideale razionale prima o poi si realizza. E se non si realizza, vuol dire che non è razionale. Quindi, secondo Hegel, gli ideali e i programmi politici che non si sono mai tradotti in atto, si sono dimostrati, proprio per questo, irrazionali e senza alcun valore, delle vane fantasie di esaltati. Per sapere se un programma o un'ideologia è giusta, è razionale, bisogna vedere se si attua concretamente nella storia. [2]
- La seconda parte della formula ("ciò che è reale è razionale") dice che in tutto ciò che è reale (nella natura e nella storia) si può rintracciare un'intrinseca razionalità. La realtà, cioè l'insieme dei fenomeni naturali e degli eventi storici, non è una materia caotica, caratterizzata dal caso, ma ha un suo sviluppo logico, poiché è il manifestarsi di una struttura razionale (l'Idea, o Ragione), che è inconsapevole nella natura e consapevole nell'uomo.Tutto ciò che esiste deve poter essere compreso. Non esiste veramente nulla che la nostra ragione non sia in grado di capire.
Reale ed esistente
Con l'affermazione suddetta della complementarietà fra reale e razionale, Hegel non vuole comunque sostenere che tutto ciò che accade è da considerarsi razionale (e quindi necessario e giusto) nei minimi particolari. È vero che il reale è razionale, cioè perfettamente necessario, ma non è vero che tutto ciò che esiste in un determinato momento è da considerarsi reale. Hegel, infatti, distingue fra reale ed esistente. Solo gli aspetti più profondi e universali dell'esistenza sono reali e quindi razionali. Invece, le manifestazioni particolari dell'esistenza (ciò che è contingente e inessenziale) non sono veramente reali. Ad esempio, sul piano politico, veramente reali non sono i sentimenti e le passioni degli individui, ma sono reali e razionali le istituzioni e soprattutto lo Stato. Analogamente, sul piano naturale, veramente reale non è il singolo fenomeno, come, per esempio, l'iridescenza dell'arcobaleno, ma lo sono ben più le leggi fisiche che lo determinano.
Reale non è, dunque, per Hegel, il particolare, l'individuo, ma l'universale.
Funzione giustificatrice della filosofia
Una volta appurato che la realtà è ragione, e che tutto ciò che avviene è razionale, si tratta di stabilire qual è il compito della filosofia. Hegel lo riscontra nel semplice prendere atto della realtà quale essa è. La filosofia non deve prefiggersi di trasformare la realtà, come dirà Marx. La filosofia, essendo la più alta e compiuta manifestazione dell'Assoluto, non può essere presente in ogni stadio del pensiero umano, ma solo alla fine del percorso, quando la realtà è già compiuta e non vi è più nulla da trasformare. Ecco dunque che la filosofia altro non deve se non giustificare.
Ad ogni modo, anche se si ammette l'esistenza dell'accidentale nella natura e nella storia, la trama essenziale del mondo, gli aspetti che contano nell'universo, restano, per Hegel, razionali e necessari. E se il reale è razionale, per Hegel la filosofia deve sostanzialmente accettare la realtà presente, senza contrapporre ad essa degli ideali alternativi (poiché la realtà, sostanzialmente, è già come deve essere). Compito della filosofia è prendere atto della realtà storica e giustificarla con la ragione.
In particolare, la filosofia del diritto deve mostrare la razionalità, e cioè la positività, dell'epoca attuale e delle sue istituzioni politiche, per esempio dello Stato. Hegel afferma che «la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero». La filosofia non può superare la propria età, non può prevedere il futuro; non dev'essere promotrice di progresso, non deve annunciare nuove epoche. La filosofia cerca, invece, di comprendere il presente, e di dimostrarne, con la riflessione, l'intrinseca necessità.
La filosofia non ha il compito di trasformare la società, di determinarla o guidarla, ma di spiegarla. La filosofia, però, può spiegare la realtà solo al termine del suo processo di realizzazione. Infatti, un periodo storico può essere pienamente compreso solo al termine del suo sviluppo, quando ha espresso tutte le sue potenzialità.
Hegel sostiene che la filosofia è simile all'uccello sacro a Minerva (la civetta) che inizia il suo volo solo al crepuscolo, quando il sole è già tramontato. Hegel, con questa metafora, vuole dire che la filosofia sorge quando una civiltà ha ormai compiuto il suo processo di formazione e si avvia al suo declino. Così, al tramonto degli stati ionici nell'Asia Minore sorge la filosofia ionica. Con la decadenza di Atene nasce la filosofia di Platone e di Aristotele. A Roma la filosofia si diffonde solo al tramonto della repubblica e col regime dittatoriale degli imperatori, ecc.
La dialettica
L'Assoluto, per Hegel, è fondamentalmente divenire. La legge che regola tale divenire - e cioè la legge dell'Assoluto - è la dialettica. La dialettica è in primo luogo la legge della razionalità, cioè il principio universale che fissa i rapporti fra i concetti opposti del pensiero. Ma la dialettica è anche la legge della realtà, cioè chiave stessa dell'universo, dato che la realtà (la natura e il mondo umano della storia) è una manifestazione della razionalità. La dialettica è una proprietà dei pensieri e una proprietà delle cose. Anche il mondo, in ogni sua parte, nella natura e nella storia, porta le tracce di questa legge.
Il concetto di dialettica, nella tradizione filosofica, ha ricevuto significati diversi. Per Kant, dialettica è l'attività della ragione che si dibatte in insanabili contraddizioni quando abbandona il terreno dell'esperienza. Per Fichte dialettico è lo sviluppo dell'Io che procede attraverso tre momenti: uno positivo (tesi), uno negativo di opposizione (antitesi), e uno di conciliazione degli opposti tramite limitazione (sintesi).
Hegel riprende la concezione triadica fichtiana secondo cui i rapporti fra i concetti si articolano in tre momenti (tesi, antitesi e sintesi). Questi termini, però, Hegel li usa poche volte, preferendo un linguaggio un po' più complesso:
- il 1° momento è definito intellettivo astratto
- il 2° momento è definito razionale negativo o dialettico
- il 3° momento è definito razionale positivo o speculativo.
Il momento intellettivo astratto
Il 1° momento intellettivo astratto consiste nel considerare i concetti opposti del pensiero come del tutto distinti e separati gli uni dagli altri. Questo modo di pensare i concetti opposti, come sussistenti di per sé e senza influenze reciproche (il bene distinto dal male, la vita dalla morte, ecc.), è opera dell'intelletto, che si lascia guidare dal principio di identità e di non contraddizione, secondo cui ogni cosa è uguale a se stessa ed è assolutamente diversa dalle altre.
Per l'intelletto, ad esempio, il bene è bene e basta, e per esistere non ha bisogno che di se stesso, la vita è vita e basta, ecc. Si tenga presente che per Hegel l'intelletto è la facoltà del dividere, del classificare, che separa e irrigidisce i concetti. La ragione, invece, è la facoltà che li mette in movimento e ne coglie l'unità.
L'intelletto è il pensiero astratto, la ragione è il pensiero concreto.
Il momento razionale negativo
Nel 2° momento razionale negativo o dialettico, interviene appunto la ragione, che mette in evidenza i limiti dell'intelletto: infatti la ragione dimostra che ogni concetto, per essere compreso, non dev'essere isolato da tutti gli altri, ma, al contrario, va messo in relazione con la sua negazione, col suo opposto e l'opposizione per Hegel è la molla della realtà: il bene, per essere compreso, va messo in relazione coll'esperienza concreta del male, ecc.
Infatti, il bene è tale solo in rapporto al male: chi non conosce il male non conosce nemmeno il bene. Per spiegare ciò che una cosa è bisogna chiarire ciò che essa non è. Secondo Hegel, se isoliamo totalmente un concetto dal suo opposto, questo concetto perde di significato e addirittura si confonde e si rovescia nel suo opposto.
Il momento razionale positivo
Nel 3° momento, razionale positivo o speculativo, la ragione si rende conto che ogni coppia di idee opposte si trova sempre contenuta in un'altra idea superiore che ne rappresenta la sintesi, ossia la loro correlazione. L'idea del vendere è l'opposto di quella del comprare, ma l'una non può sussistere senza l'altra, ed entrambe sono contenute nell'idea del commercio (sintesi) che le mette in correlazione.
Il terzo momento è detto anche della negazione della negazione, giacché in esso gli opposti vengono negati nella loro negatività (cioè nella loro separazione) e affermati nella loro unità in un concetto superiore. Il terzo momento è detto anche del superamento, parola italiana che traduce il tedesco Aufhebung, che, in realtà, ha due significati: 1° togliere via, 2° conservare. Infatti nel terzo momento gli opposti sono tolti dal loro isolamento e conservati nella loro unità.
Ma la sintesi, a sua volta, diviene tesi di una successiva triade, e così via. In tal modo lo spirito passa da sintesi particolari a sintesi sempre più vaste. Ad esempio, il mercato è solo una delle componenti di una sintesi più vasta, la società, e questa di una sintesi ancora più ampia, lo Stato, ecc.
Il processo dialettico per Hegel non è, però, a sintesi aperta, ma a sintesi chiusa. Se il processo fosse aperto, cioè se non si concludesse mai, l'Assoluto non avrebbe mai il pieno possesso di se stesso. Di conseguenza, Hegel opta per una dialettica a sintesi finale chiusa, cioè per una dialettica che ha un ben preciso punto di arrivo (lo Spirito Assoluto). Pertanto, solo la sintesi finale è propriamente il Vero. La Verità definitiva si comprende solo alla fine del processo dialettico, quando ne abbiamo percorso tutte le articolazioni.
La logica hegeliana e quella aristotelica
La logica dialettica di Hegel è diversa dalla logica aristotelica. Questa aveva per suoi princìpi fondamentali il principio di identità e quello di non contraddizione, secondo cui gli opposti non possono mai stare insieme. Invece, per Hegel il reale è proprio un insieme (una sintesi) di opposti. La logica aristotelica, dunque, non serve; o, per meglio dire, è la logica dell'intelletto, non della ragione.
Una volta trasferita dal mondo dei concetti a quello della natura e della storia, la dialettica si svolge logicamente. I vari momenti (tesi, antitesi e sintesi) si succedono logicamente gli uni agli altri. Sennonché Hegel pensa che anche nella natura e nella storia la sintesi sia sempre il solo momento concreto, mentre tesi e antitesi restano astratti una volta superati. La sintesi è il solo momento concreto perché costituisce il fine che guida lo sviluppo dialettico dei due momenti precedenti che ne costituiscono i passi intermedi e che esistono solo in funzione di essa.
La sintesi è cronologicamente ultima ma logicamente prima.
Per esempio, nello sviluppo di una pianta dal seme (tesi), al fiore (antitesi), al frutto (sintesi), è il frutto che guida lo sviluppo dell'organismo e che costituisce il fine verso cui il seme e il fiore tendono. Anche nella realtà naturale e storica lo sviluppo avviene per negazioni: il seme per diventare fiore deve morire, negarsi, ma anche il fiore per diventare frutto (sintesi) deve morire. Analogamente, il bambino diviene adolescente solo se come bambino muore, e l'adolescente diventa adulto negando se stesso. Ogni negazione è un'ulteriore determinazione. Il fiore nega la realtà del seme ma dà senso alla vita del seme, traduce la sua fine in una vita ulteriore e più progredita.
La concezione dialettica del mondo elaborata da Hegel è fondamentalmente ottimistica: infatti anche il momento dell'opposizione (dell'antitesi) è benefico. La vita e la storia dell'uomo sono indubbiamente caratterizzate da drammi, fratture, contrasti e contraddizioni; tuttavia tali fratture sono necessarie, altrimenti la vita e la storia stesse verrebbero del tutto meno. Se il seme non “morisse” in quanto seme, non si trasformerebbe in fiore e non ci sarebbe sviluppo. Il negativo è l'ostacolo su cui si esercita la libertà dell'uomo e il progresso dell'umanità.
Il divenire dell'identità viene rappresentato da Hegel con esempi e in termini più generali, con una notazione letterale, tipica del rigore matematico. Aristotele, fondatore della logica, era solito a sua volta rappresentare i concetti di logica con delle lettere, e con tale simbologia enunciava le proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva degli enti.
Hegel mostra non solo la valenza di quelle proprietà, ma che una qualunque identità del tipo "A = B", non è mai un'identità statica, ma un'identità dinamica, che diviene nel tempo (tesi: A = A; antitesi: B != A, B= (!A); sintesi: A = (!A)).
Note
- ^ Plotino ed Hegel: la dialettica, movimento di pensiero ed essere. L'Assoluto di Hegel è l'Uno di Plotino in senso rovesciato. Hegel stesso noterà che come il sistema di Plotino conclude la filosofia greca, quello di Hegel conclude la filosofia moderna, affermando gli stessi concetti ma portandoli su un piano immanente, con un maggiore dettaglio e ad un livello massimo di consapevolezza. Mentre l'Uno di Plotino restava collocato su un piano mistico e trascendente, a partire dal quale generava il divenire e si disperdeva nella molteplicità senza una ragione apparente, l'Assoluto hegeliano entra lui stesso nel divenire per rendere ragione di sé. L'Uno viene identificato così con la molteplicità stessa, la quale attraverso successivi passaggi giunge alla fine a diventare consapevole di sé e a riconoscersi nell'Assoluto. La prospettiva plotiniana risulta dunque capovolta: in Plotino, la consapevolezza che l'Uno ha di sé è posta all'origine, e si affievolisce man mano che esso si disperde nel molteplice; in Hegel, invece, l'Uno si trova all'inizio disperso nel molteplice, e prenderà coscienza di sé solo alla fine acquistando concretezza nel suo percorso attraverso il mondo. In tal modo però Hegel sovverte la logica di non-contraddizione, facendo coincidere l'Uno col suo contrario, cioè con la molteplicità stessa. L'Assoluto hegeliano è l'Uno-Tutto, è una realtà che non trascende gli enti finiti, ma è ad essi immanente. È il nodo dell'albero delle essenze platoniche, collocate non più al vertice, ma identificate con la dialettica stessa del pensiero e dell'essere. Pensando all'Assoluto si finisce inevitabilmente (per necessità filosofica) per parlare di essere e non-essere. Analogamente, dalla posizione dell'Assoluto nasce l'antitesi fra essere e non-essere. Questi due termini originariamente contrapposti e inconciliabili vengono ora fatti coincidere. Il successivo passo di sintesi trova così un punto di arrivo nel divenire. Il primo passaggio della filosofia è quindi il movimento Assoluto--->essere/non-essere--->divenire. Segue: divenire---->nascita/morte-->ente. In Hegel certezza e verità tornano a coincidere, così come pensiero ed essere, ma in forma mediata. Le tesi, antitesi e sintesi si trovano sia nel pensiero di chiunque parli dell'Assoluto, sia in particolare nella prima manifestazione di questi concetti nella storia del pensiero filosofico, che nell'essere. Finché si parla di entità percepibili con la nostra mente soltanto, è chiaro che una dialettica del pensiero corrisponde anche una dialettica dell'essere, perché l'unico essere di cui si può parlare è la nostra mente, il pensiero stesso. Meno ovvio è quando si parla di enti sensibili, in cui l'antitesi e la sintesi non sono solo chiare alla mente e al pensiero, ma devono anche esserlo all'essere percepito dai sensi
- ^ Questa prima parte della formula riprende evidentemente la conclusione cartesiana del cogito ergo sum per il quale è veramente razionale ciò che trova la sua corrispondenza nella realtà
Bibliografia
Opere maggiori di Hegel con relativa traduzione italiana
- Fenomenologia dello spirito, a c. di E. De Negri, Firenze, 1933, numerose riedizioni.
- La scienza della logica, a c. di A. Moni, Bari, 1924, numerose riedizioni.
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- Lineamenti di filosofia del diritto, a c. di F. Messineo, Bari, 1913, nuova edizione a c. di A. Plebe, 1954, numerose riedizioni.
- Introduzione alla storia della filosofia (1818)
Saggi su Hegel
- Benedetto Croce, Saggio sullo Hegel, Bibliopolis, Napoli,2006
- Karl Lowith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, Torino, Einaudi, 1949
- Giorgy Lukàcs, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, Einaudi, 1960
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Voci correlate