Laureato all'Università di Tokyo nel 1954, è stato allievo di Kenzō Tange ed ha fatto parte del suo studio. Nel 1963 ha fondato l'"Arata Isozaki Atelier", che oggi è divenuto "Arata Isozaki & Associates". Isozaki ha vinto nel 1986 la medaglia d'oro del RIBA. In Italia un suo progetto ha vinto la gara internazionale per la nuova uscita monumentale degli Uffizi a Firenze, che è stato completato fino al progetto esecutivo, ma non verrà realizzato. Ha realizzato il Palasport Olimpico di Torino, che durante le Olimpiadi del 2006 ha ospitato le gare di hockey su ghiaccio. L'architetto ha inoltre progettato uno dei tre nuovi grattacieli nel moderno quartiere CityLife di Milano: il Dritto, e affiancato da lo Storto e il Curvo. Dal 2005 ha aperto insieme ad Andrea Maffei, suo socio italiano, lo studio Arata Isozaki & Andrea Maffei Associati srl a Milano per sviluppare nuovi progetti in Italia.
Isozaki è morto il 29 dicembre 2022, all'età di 91 anni.[2]
Uso del calcestruzzo armato
Durante la prima fase della sua carriera (1959–1973), Arata Isozaki diede forma a un linguaggio architettonico fortemente legato al contesto del dopoguerra giapponese, distinguendosi per l’uso espressivo del calcestruzzo a vista. In questo periodo, Isozaki operò principalmente nel sud del Giappone, in particolare nella sua città natale Ōita, dove realizzò alcune delle sue opere più significative, tra cui il Centro medico di Oita (1959–1960).
Quest’ultima rappresenta un esempio significativo dell’influenza congiunta del Brutalismo occidentale e del Movimento metabolista giapponese nelle opere di Isozaki. Come osservato da Reyner Banham (1976), il Centro medico di Oita si distingue per l’uso audace del calcestruzzo grezzo, impiegato non solo come materiale strutturale ma come vero e proprio mezzo espressivo. La matericità del calcestruzzo, lasciata volutamente esposta, non si limita a sostenere l’edificio, ma ne costituisce il linguaggio architettonico dominante.
Questa fase iniziale dell’opera di Isozaki si inserisce pienamente nel clima architettonico del Giappone degli anni Sessanta, fortemente influenzato dalla costruzione nel 1959 del Museo Nazionale d’Arte Occidentale di Le Corbusier a Tokyo. L’uso del calcestruzzo da parte di Isozaki, tuttavia, si distingue per una maggiore enfasi sulla percezione dello spazio, superando la tradizionale logica dei pilotis “massicci” o della texture ruvida: le sue strutture sono composte da elementi modulari ripetuti, capaci di rivelare visivamente il proprio processo costruttivo.
Nell’ultima fase della sua carriera, compresa tra il 2001 e il 2020, Arata Isozaki ha portato avanti una riflessione architettonica globale, caratterizzata da un uso innovativo delle tecnologie digitali e da un’interazione organica tra forma, struttura e materiali. In questa fase, il calcestruzzo armato ha avuto un ruolo chiave all’interno della poetica costruttiva dell’architetto, soprattutto nei progetti europei di maggior rilievo come il Palazzo del Nuoto di Torino e la torre per uffici Allianz Tower (o Torre Isozaki) a Milano.
Il Palazzo del Nuoto di Torino progettato da Arata Isozaki & Associates, ArchA e Arup, si inserisce in un’ampia area dedicata allo sport, nella zona della piazza d’armi di Torino, comprendente anche il Palasport Olimpico (2002-2006). In quest’opera, il calcestruzzo armato è stato impiegato come materiale strutturale principale. La scelta non è stata solo legata alla resistenza meccanica o alla durabilità, ma anche alla capacità di rispondere alle esigenze formali e spaziali imposte dal progetto. Il calcestruzzo ha permesso di realizzare una struttura complessa e allo stesso tempo fluida, capace di accogliere grandi flussi di persone e di garantire la stabilità e la sicurezza richieste per una sede olimpica. Questo materiale è stato impiegato sia in opera che in elementi prefabbricati, per garantire resistenza al fuoco, velocità costruttiva e qualità esecutiva. Le strutture interne verticali e orizzontali dell’edificio sono realizzate in calcestruzzo armato, così come le strutture interrate, i solai e le gradonate delle tribune. L’adozione di elementi prefabbricati ha permesso di spostare molte operazioni fuori dal cantiere, aumentando la durabilità e ottimizzando le tempistiche. Le tribune, ad esempio, sono realizzate con elementi prefabbricati a L o S, a seconda della luce strutturale. Il calcestruzzo armato costituisce anche l’ossatura di base su cui si innesta la grande copertura in acciaio: i controventi orizzontali e le briglie di collegamento tra i correnti superiori e inferiori delle capriate permettono il trasferimento delle azioni orizzontali fino alle colonne e alle strutture in calcestruzzo sottostanti. Questo sistema strutturale consente di limitare gli spostamenti della copertura, garantendone la stabilità e l’interazione con le facciate vetrate.
La Torre Allianz a Milano, completata nel 2015 all'interno del masterplan CityLife, è un altro esempio rappresentativo dell’uso del calcestruzzo nelle opere del progettista. Alta 200 metri, la torre è concepita come una “colonna infinita”, in omaggio a Brancusi, e si distacca dalla tradizionale composizione in base, shaft e coronamento. In questo caso, l’uso del calcestruzzo ha contribuito in maniera determinante a costruire una massa verticale continua e rigorosa, esaltando la dimensione astratta e universale dell’architettura. Sebbene l’involucro esterno e la struttura portante siano in gran parte affidati all’acciaio e al vetro, le fondazioni, i nuclei rigidi e le strutture interrate si basano su un sistema in calcestruzzo armato, elemento fondamentale per garantire la stabilità dell’intero edificio e l’efficienza degli impianti.
Il calcestruzzo, in entrambi i progetti, assume quindi un ruolo sia tecnico che espressivo, diventando il supporto materiale di una ricerca che, in questa fase dell’opera di Isozaki, cerca nuove vie tra l’organicismo formale, la modularità strutturale e la visione urbana globale. Non più legato esclusivamente al contesto giapponese, l’uso del calcestruzzo in questi interventi europei riflette una strategia progettuale capace di interpretare le sfide della contemporaneità, rispondendo al tempo stesso a esigenze funzionali, simboliche e costruttive.
Brunilde Barattucci e Bianca Di Russo, Arata Isozaki architetture 1959-1982, Roma, Officina, 1983, SBNUFI0001431.
AA.VV., Arata Isozaki. Opere e progetti, Milano, Electa, 1994, ISBN88-435-4942-1.
Andrea Maffei, Arata Isozaki - Palahockey, in "Area", n. 75, luglio/agosto 2004, pp. 125-126. URL consultato il 25 gennaio 2016 (archiviato dall'url originale l'11 marzo 2008).
Numero monografico, in "Area", n. 80, maggio/giugno 2005, SBNRCA0720392.
Laura Andreini, Arata Isozaki: Nara Centennial Hall, in "Area", n. 48, settembre/dicembre 2005. URL consultato il 25 gennaio 2016 (archiviato dall'url originale il 28 giugno 2013).
AA.VV, ARATA ISOZAKI | Sperimentazione e visione tra Oriente e Occidente, LEZIONI DI ARCHITETTURA E DESIGN, n. 14, Corriere della Sera, 2016.
Lehmann Steffen, The extraordinary life and work of Arata Isozaki (1931–2022): Seven decades of visionary architecture, Journal of Chinese Architecture and Urbanism, 2023.