Parlamento italiano
Template:Politica Italia Il Parlamento della Repubblica Italiana è l'Organo costituzionale titolare della funzione legislativa. Il Parlamento ha una struttura bicamerale perfetta, poiché composto da due Camere aventi funzioni identiche: la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica.
La prima è formata da 630 Deputati e la seconda da 315 Senatori cui vanno aggiunti i Senatori di diritto e a vita (Presidenti emeriti della Repubblica) ed i Senatori a vita. Secondo il disposto dell'art. 59 della Costituzione essi sono cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario, e sono nominati dal presidente della Repubblica.
Il Parlamento in seduta comune
Nei casi previsti dalla Costituzione il Parlamento si riunisce in seduta comune. Come avverte l'articolo 55 comma 2 della carta fondamentale l'ipotesi sancita da questo articolo è tassativa non suscettibile di modifica o di applicazione per via analogica. In dottrina ci sono dibattiti circa la possibilità che le camere in seduta comune diano vita ad un organo differente. In realtà sarebbe come affermare che la corte costituzionale nei giudizi di incriminazione al Presidente della Repubblica ove si aggiungono 16 giudici a quelli ordinari (che sono 15) dia vita ad un organo differente. In definitiva le camere si riuniscono in seduta comune solo per i casi prescritti dalla costituzione (ovvero l'elezione di persona come il presidente o i giudici della corte costituzionale) non danno vita ad un organo completamente differente anche se le funzioni sono espressamente differenti da quelle delle due camere.[senza fonte]
Questo organo si riunisce presso gli uffici della Camera dei Deputati a Palazzo Montecitorio ed è presieduto dal presidente della Camera con il proprio ufficio di presidenza (art. 63 Cost.).
Il Parlamento in seduta comune si riunisce per l'elezione del presidente della Repubblica, per la quale ai parlamentari si aggiungono i rappresentanti delle Regioni (art. 83 Cost.); per l'elezione dei cinque membri della Corte costituzionale di nomina parlamentare, con la maggioranza attualmente prevista dei due terzi per le prime tre votazioni, e successivamente a maggioranza dei tre quinti dell'Assemblea (art. 135 Cost.); per l'elezione di un terzo dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura, anche qui con la maggioranza attualmente prevista dei due terzi per le prime tre votazioni, e successivamente a maggioranza dei tre quinti dell'Assemblea (art. 104 Cost.); ogni nove anni per procedere alla compilazione di un elenco di 45 cittadini fra i quali estrarre a sorte i sedici giudici aggregati ai fini del giudizio d'accusa contro il presidente della Repubblica (art. 135 Cost.); per assistere al giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione da parte del presidente della Repubblica (art. 91 Cost.); infine, per la messa in stato di accusa dello stesso presidente della Repubblica nei casi di alto tradimento e attentato alla Costituzione (art. 90 Cost.). In tutte le altre ipotesi, le camere si riuniscono separatamente.
Lo status parlamentare
La Costituzione descrive lo status parlamentare negli artt. 67, 68 e 69.
L'art. 67 (cosiddetto divieto di mandato imperativo) dispone che «ogni membro del parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato», ossia riceve un mandato generale da parte del corpo elettorale, il quale non è suscettibile di iniziative di revoca né da parte dell'ambito territoriale (collegio) che l'ha eletto, né da parte del partito di affiliazione; mandato generale il cui rispetto non può essere sindacato in termini giuridici (così come invece avviene per il mandato previsto dal Codice civile), ma solo (eventualmente) in termini politici, nelle forme e nei modi previsti dalla Costituzione (quindi, principalmente, con le consultazioni elettorali).
Nell'art. 68 trovano espressione, invece, gli istituti dell'insindacabilità e dell'inviolabilità, laddove si prescrive, rispettivamente, che «i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni» e che «senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza».
Sia l'insindacabilità sia l'inviolabilità non rappresentano prerogative del singolo parlamentare, ma sistemi di tutela della libera esplicazione delle funzioni del Parlamento, contro indebite ingerenze da parte della magistratura (ma costituiscono anche il portato del talora minaccioso passato in cui la magistratura non costituiva un autonomo potere, ma era sottoposta al governo).
Per ciò che, in particolare, concerne l'insindacabilità, essa consiste nell'irresponsabilità penale, civile, amministrativa e disciplinare per le opinioni espresse dai membri delle Camere nell'esercizio delle loro funzioni. Particolarmente controversa è l'interpretazione concernente questa disposizione: quando un'opinione è espressa nell'esercizio delle funzioni parlamentari ? Il contenzioso costituzionale a riguardo ha dato modo alla Corte costituzionale di precisare la distinzione tra attività politica ed attività istituzionale del parlamentare e, anche con riguardo a quest'ultima, tra attività insindacabile e attività sindacabile in quanto lesiva di altri principi o diritti costituzionali(e in particolare dell'onore come espressione della pari dignità umana).
L'inviolabilità, invece, rappresenta il residuo derivante dalla riforma operata con legge costituzionale n. 3 del 1993, che ha cancellato il precedente istituto dell'autorizzazione a procedere nel caso di condanna con sentenza definitiva.
Infine, a norma dell'art. 69, «i membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge»: ribaltando l'opposto principio enunciato dallo Statuto albertino, si afferma la necessità (e irrinunciabilità) dell'indennità, da intendersi strettamente collegata con l'art. 3 (principio di eguaglianza) e con il sopra richiamato art. 67 (divieto di mandato imperativo).
Oltre all'indennità sono riconosciuti al Parlamentare numerosi benefici quali la libera circolazione sulle reti ferroviarie, stradali, marittime, ecc.
Bicameralismo perfetto
Il sistema parlamentare italiano si caratterizza per il bicameralismo perfetto: nessuna camera può vantare una competenza che non sia anche dell'altra camera. Invece sotto l'aspetto dell'elettorato attivo e passivo vi sono sostanziali differenze tra le due: la camera dei deputati comprende 630 deputati eletti da tutti i cittadini che abbiano compiuto 18 anni, mentre sono eleggibili tutti i cittadini che abbiano compiuto almeno 25 anni. Invece i senatori sono eletti dai cittadini che abbiano compiuto almeno 25 anni, e devono avere almeno 40 anni (art. 56/69 della costituzione).
Prerogative delle camere
Le camere del parlamento italiano godono di stupidi privilegi :
- Autonomia regolamentare: Ogni camera redigendo un proprio regolamento si amministra e si sviluppa il proprio lavoro secondo la volontà dei parlamentari e del presidente della camera.
- Autonomia finanziaria Le camere decidono autonomamente l'ammontare delle risorse necessarie allo svolgimento delle proprie funzioni.
- Immunità della sede: Decisione su chi può essere ammesso all'interno degli edifici in cui si svolgono le sedute. Naturalmente il presidente della Camera, avendo un potere elevato, può svolgere questo compito.
- Giustizia domestica (autodichia): Le controversie relative allo stato giuridico ed economico dei dipendenti sono sottratte al giudice comune e sono riservati agli organi interni al parlamento.
Organizzazione interna del Parlamento
La disciplina dell'organizzazione del Parlamento e delle Camere è dettata, innanzi tutto, dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari (a favore dei quali esiste una riserva prevista dalla stessa Carta costituzionale).
Organi necessari (in quanto previsti direttamente dal testo costituzionale) sono il presidente, l'ufficio di presidenza e le commissioni (permanenti). A questi si affiancano altri organi previsti dai regolamenti (gruppi, proiezione parlamentare dei partiti, e giunte, con funzioni tecniche; ma anche la conferenza dei capigruppo, cui spetta la competenza di fissare il programma e il calendario dei lavori), da deliberazioni delle Camere o da leggi (che assumono spesso la forma di commissione, monocamerale o bicamerale). L'ufficio di presidenza della Camera ed il consiglio di presidenza del Senato rappresentano tutti i gruppi parlamentari. Hanno compiti amministrativi e compiti che riguardano la disciplina interna e l'organizzazione. In riferimento alle funzioni amministrative interne, l'ufficio ed il consiglio di presidenza godono del potere regolamentare e decidono sui ricorsi contro gli atti dell'amministrazione della Camera (art.12 r.c. e r.s.).
In virtù del principio di rappresentatività, sono le stesse Camere a giudicare dei titoli di ammissione dei loro membri (con decisione assunta dall'assemblea su proposta della giunta per le elezioni). Sempre per lo stesso principio, perché possano esprimere legittimamente una decisione è necessaria la presenza della maggioranza dei membri del collegio (quorum strutturale[1], che si presume esistente salvo verifica), e la decisione stessa si assume approvata quando gode del voto favorevole della maggioranza dei voti espressi (quorum funzionale[2]; con diverse norme, alla Camera e al Senato, circa il computo degli astenuti). Gli astenuti alla Camera non vengono considerati votanti (e ciò determina un abbassamento del quorum di maggioranza richiesto), mentre al Senato sì, determinando un aumento del quorum per la deliberazione. In ipotesi tassativamente indicate dalla Costituzione (e accomunate dall'espressione di una funzione parlamentare diversa da quella di indirizzo politico, e genericamente qualificabile come garanzia), si richiedono maggioranze qualificate, ossia superiori alla maggioranza dei votanti.
Dal principio di rappresentatività (e dal principio di sovranità popolare) deriva inoltre la pubblicità delle sedute. Delle sedute dell'assemblea, infatti, è redatto resoconto sommario e stenografico, e sono attrezzate apposite tribune per ospitare il pubblico. Delle sedute delle commissioni, invece, è redatto solo un resoconto sommario (pubblicato sul Bollettino delle giunte e delle commissioni), ed è possibile seguire lo svolgimento dei loro lavori mediante un sistema audiovisivo a circuito chiuso. Al contrario, il verbale di seduta è documento riservato (la cui visione fu negata, nel 1959, anche alla Corte costituzionale).
In seguito alla legge costituzionale n. 3 del 1963, entrambe le Camere sono elette per una durata di cinque anni (periodo denominato con il termine legislatura), e non possono essere prorogate se non in caso di guerra. Possono invece essere anticipatamente sciolte dal presidente della Repubblica (ma non negli ultimi sei mesi del suo mandato, a meno che questi non coincidano - in tutto o in parte - con gli ultimi sei mesi della legislatura), sentiti i rispettivi Presidenti (la prassi sviluppatasi vede lo scioglimento come uno strumento da utilizzarsi solo ove non sia possibile instaurare un rapporto fiduciario tra il Parlamento e il governo).
Le camere restano in carica fino alla prima riunione delle nuove Camere per evitare un possibile vuoto legislativo (istituto della prorogatio, da non confondere con la proroga). La prima riunione delle nuove Camere deve avvenire entro i 20 giorni successivi alle elezioni, che, a loro volta, devono svolgersi entro 70 giorni (e non prima di 45) dalla fine della legislatura.
Le funzioni del Parlamento
Alle due Camere spettano la funzione legislativa, di revisione costituzionale, di indirizzo, di controllo e di informazione nonché altre funzioni normalmente esercitate da altri poteri: ovvero la funzione giurisdizionale e la funzione amministrativa.
Funzione legislativa
L'iter legis, ossia il procedimento che porta alla formazione di una legge, è così schematizzabile:
L'iniziativa spetta al governo, ai singoli parlamentari (che devono presentare la proposta di legge alla loro camera d'appartenenza), ai cittadini (che devono presentare una proposta formulata in articoli e accompagnata dalle firme di 50.000 elettori), ai singoli Consigli regionali e al CNEL.
L'iniziativa, una volta pervenuta ad una delle due Camere, deve essere assegnata ad una commissione competente per materia perché svolga una preliminare attività istruttoria (avvalendosi anche dei pareri formulati da altre commissioni, e in particolare dalle così dette «commissioni filtro»).
A questo punto, il procedimento può seguire due strade diverse. Nel procedimento normale la commissione competente si riunisce in sede referente e, formulata una relazione e nominato un relatore, trasmette la competenza alla formulazione e all'approvazione del testo all'assemblea. Il tutto deve avvenire in non più di 4 mesi alla Camera e di 2 mesi al Senato. Una volta approdato in una Camera, avviene la discussione generale, a cui segue l'esame (e il voto) articolo per articolo, le dichiarazioni di voto ed in ultimo la votazione generale, che normalmennte avviene e in modo palese (il voto segreto è previsto per materie che implicano scelte dettate dalla coscienza individuale). Se il progetto ottiene la votazione positiva di una Camera, passa all'altro ramo del parlamento che la deve votare senza ulteriori modifiche. In caso di modifiche, il testo ritorna all'altra Camera che lo deve riapprovare. Se il testo ripete questo procedimento più volte si parla di "navette" o palleggiamento.
Questa procedura è obbligatoria per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi (art. 72 Cost.). In tutte le altre ipotesi, si potrà avere una procedura speciale: la commissione permanente potrà riunirsi in sede redigente (sarà di competenza dell'assemblea, cioè, la sola approvazione finale) oppure deliberante o legislativa (l'intero iter parlamentare si svolge in seno alla commissione), fatta salva in entrambi i casi la possibilità per 1/10 dei membri della Camera che sta procedendo, 1/5 dei membri della commissione o per il governo di chiedere il ritorno alla procedura normale.
Procedure particolari sono previste per la conversione di decreti legge, la legge annuale comunitaria, la legge di bilancio annuale preventivo (e relativa finanziaria), la legge annuale di semplificazione e altre leggi di cui si decide l'urgenza.
Approvato lo stesso testo in entrambi i rami del Parlamento, questo verrà trasmesso al presidente della Repubblica, perché entro un mese provveda alla promulgazione, salva la possibilità di chiedere alle Camere, con messaggio motivato, una nuova deliberazione (ipotesi nella quale la promulgazione è atto dovuto). Una volta promulgata, la legge sarà quindi pubblicata - a cura del ministro della Giustizia - sulla Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore dopo il periodo di vacatio legis (15 giorni, a meno che non sia altrimenti stabilito).
La rigidità della nostra costituzione è garantita dalla predisposizione di organi e misure di controllo attraverso i quali si apportano le modifiche che il tempo o i cambiamenti socio-politici rendono indispensabli. In questo consiste la funzione di revisione costituzionale.
Questo processo (secondo l'art. 138 della costituzione italiana) si articola in 2 possibili fasi: la prima in cui le camere procedono ad una votazione parlamentare attraverso una doppia delibera; se in entrambe le camere la votazione positiva è superiore ai 2/3 la revisione è passata e viene direttamente mandata al presidente della repubblica per la promulgazione, in caso si raggiungesse una maggioranza assoluta ma non superiore ai 2/3 si prevede che alcuni soggetti, 1/5 dei componenti di ciascuna camera, 5 consigli regionali, e 500 000 elettori, possono richiedere di sottoporre a votazione elettorale il testo votato in parlamento. Tale referendum definito costituzionale può essere esercitato nei 3 mesi succesivi alla pubblicazione nella gazzetta ufficiale ai fini notiziari del testo della deliberazione legislativa.
Il primo referendum di questo tipo si è tenuto il 7 ottobre 2001, e ha registrato la conferma - da parte del corpo elettorale - della legge costituzionale n. 3 del 2001. Inoltre doppia delibera da parte delle camere avviene attraverso un esame incrociato, cioè una volta approvata in prima lettura da una camera, la legge viene trasmessa all'altra senza la seconda deliberazione della prima; in seconda lettura difatti si procede con solo una votazione finale senza la possibilità di introdurre emendamenti.
L'art. 139 della costituzione stabilisce l'unico vero limite espresso nell'esercizio del potere di revisione costituzionale e consiste nella forma repubblicana dello Stato. Sussistono inoltre altri limiti considerati impliciti cioè non vengono modificati gli articoli che contengono i pricipi supremi dello stato nonché i valori su cui si fonda la costituzione italiana (sovranità popolare, unità ed indivisibilità dello stato...)
Funzione di controllo e indirizzo
Il parlamento, oltre alla funzione legislativa, esercita anche funzioni di controllo sul governo e funzioni di indirizzo politico.
La funzione di controllo si esplica in mozioni, risoluzioni e ordini del giorno, nonché negli strumenti conoscitivi delle interrogazioni e delle interpellanze.
La funzione di indirizzo politico, invece, si concreta nel rapporto fiduciario che deve sussistere tra Parlamento e governo, oggettivizzato nella mozione di fiducia, nella questione di fiducia e nella mozione di sfiducia (che può essere rivolta all'intero governo oppure anche a un singolo ministro). Altri strumenti di indirizzo politico sono le mozioni, le risoluzioni e gli ordini del giorno di istruzione al governo.
Una profonda integrazione tra funzione legislativa, funzione di controllo e funzione di indirizzo si registra, infine, negli atti che vengono svolti nella così detta sessione di bilancio, e che vanno dall'approvazione DPEF del documento di programmazione economica e finanziaria all'approvazione della legge finanziaria e dei bilanci.
Funzione di inchiesta
A norma dell'art. 82 della Costituzione, «ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione parlamentare d'inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria». Il Parlamento, ossia, per adempiere alla sua funzione di organo attraverso il quale si esercita in forma ordinaria la sovranità popolare, può adottare penetranti strumenti conoscitivi e coercitivi (gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria) per sottoporre all'esame proprio - e di conseguenza del popolo sovrano - fatti e argomenti su cui sia particolarmente viva l'attenzione sociale.
Funzione di revisione costituzionale
La rigidità della costituzione è garantita da determinati organi e misure di controllo i quali attraverso "iter precisi" apportano le modifiche che il passare del tempo o i vari cambiamenti socio-politici rendono necessari. L'organo competente alla revisione costituzione è proprio il Parlamento che attraverso una doppia delibera da parte di ciascuna camera entro tre mesi può approvare tale modifica. La delibera si effettua con un esame incrociato della legge, cioè viene prima approvata dalla prima camera e poi passa all'altra senza la seconda delibera dalle prima. Successivamente in meno di tre mesi deve essere deliberata la seconda votazione della prima casa e anche dell'altra. Questo particolare iter viene naturalmente bloccato se nel passare le deliberazioni non ottengono almeno una maggioranza assoluta. Nel caso alla fine di questo procedimento si fosse raggiunta una maggioranza superiore ai 2/3 la legge passa al presidente della Repubblica, che ha la facoltà di promulgarla. Nel caso raggiungesse una maggioranza assoluta ma inferiore ai 2/3 l'atto può essere impugnato da 1/5 dei componenti di ciascuna camera, oppure da 5 consigli regionali, 500.000 elettori e può essere richiesto un referendum costituzionale. Questo deve svolgersi in una domenica tra 50 e 60gg dopo. La differenza da quello abrogativo è principalmente l'atto di cui si tratta, che al posto di essere una legge già in vigore in questo caso è una legge costituzionale o di revisione; altra differenza è che nel suo iter di passaggio non ci sarà un controllo esercitato dalla corte costituzionale; un'altra differenza inoltre è che non c'è un quorum prestabilito quindi anche le forze politiche di minoranza potrebbero raggiungere più consensi.
Il processo decisionale nel Parlamento della Prima Repubblica
La fine dell’era De Gasperi coincide con l’inizio di un periodo di forte instabilità governativa che caratterizza la seconda (1953-58) ed anche la terza legislatura (1958-63). Grazie all’indebolimento della DC inizia la lenta ma progressiva attuazione delle istituzioni di garanzia previste dalla Costituzione. In Parlamento si apre una fase caratterizzata dalla continua crescita dell’influenza delle opposizioni ed in particolare quella di sinistra.
Dalla terza legislatura in poi cresce la produzione di leggi in commissione, approvate quasi sempre con il consenso, magari solo tacito, dell’opposizione, cui in questo campo la Costituzione assegna una sorta di potere di veto. Infatti, la richiesta di spostare una certa proposta di legge dalla procedura semplificata, in commissione, a quella ordinaria – e quindi in aula – può significare in molti casi che difficilmente la proposta verrà approvata. Spesso, la proposta non riesce neanche ad arrivare al voto finale e viene “insabbiata”.
Quindi, mentre nella sede legislativa più visibile – l’aula – la contrapposizione fra maggioranza e opposizione resta forte, nei luoghi più riservati delle commissioni permanenti si sviluppa progressivamente una certa collaborazione, che il più delle volte si traduce nello scambio di favori reciproci.
Il culmine della tendenza a coinvolgere l’opposizione nel processo decisionale del Parlamento – una tendenza definita “proporzionalistica”, in quanto tende ad attribuire un ruolo a tutti i partiti, più o meno in proporzione alla loro forza – è raggiunto nel 1971 con la riforma dei regolamenti parlamentari.
Infatti, l’aspetto più significativo della riforma è il peso attribuito alla conferenza dei capigruppo – che riunisce tutti i presidenti dei gruppi parlamentari insieme al presidente dell’assemblea – cui spetta decidere dell’intera programmazione dei lavori parlamentari. Il punto cruciale è che la conferenza deve decidere all’unanimità: in questo modo viene attribuito alle opposizioni un formidabile potere di veto. Da tutto il processo è vistosamente assente il governo, che per vedere le sue proposte esaminate non può agire direttamente ma deve ricorrere ai capigruppo dei partiti della maggioranza parlamentare, fatto che non può non indebolire la posizione e che rende comunque più complesso il processo di attuazione del programma di governo.
Gli anni ’70 sono gli anni in cui il PCI è massicciamente coinvolto in tutto il processo legislativo. La settima legislatura (1976-79) vede l’emergere della maggioranza parlamentare della Solidarietà nazionale, che comprende ufficialmente, accanto ai partiti di centro-sinistra, anche il Pci.
La collaborazione fra il Pci e gli altri partiti durerà però poco, soprattutto per la difficoltà di far convivere all’interno della stessa maggioranza parlamentare posizioni politiche molto distanti fra loro.
Inoltre la presenza di nuovi partiti – come quello radicale che elegge nel 1976 4 deputati e 18 deputati nel 1979 – rende sempre più difficile far funzionare in modo passabilmente efficiente il processo legislativo.
La riforma del 1971, per funzionare in modo soddisfacente, richiede infatti un accordo fra tutte le forze politiche di rilievo e quindi un forte accentramento del processo decisionale. In caso contrario, la programmazione dei lavori parlamentari sarebbe diventata – come di fatto avviene – sempre più difficile.
Con l'ostruzionismo parlamentare il Partito Radicale denuncia il metodo decisionale dei partiti italiani, che da oltre trent'anni affida alle segreterie di partito le principali decisioni[3]. Con oltre 160 interventi in aula per richiamo al regolamento, i deputati radicali si oppongono alle interpellanze e alle interrogazioni che non ottengono risposta dal governo; all’abuso del ricorso ai decreti legge (oltre 150 dal 1976 al 1979) che la Costituzione prevede possa essere usato solo in “casi straordinari di necessità ed urgenza”; al mancato accesso all'informazione parlamentare, ancora precluso ai cittadini, ai giornalisti ed agli stessi deputati; alla contemporaneità delle votazioni delle camere e delle commissioni, che porta i deputati a votare velocemente senza aver partecipato al processo formativo della legge.
Contro questa pratica si schiera soprattutto il Pci e uno dei suoi leader, Giovanni Berlinguer, che chiede di riformare il Parlamento perché troppo permissivo rispetto agli equilibri tra maggioranze (cui spetterebbe l'efficienza) e minoranze (alla ricerca di spazi di vacuo garantismo).
Con gli anni ’80, gli anni che vedono prevalere la maggioranza di pentapartito, si assiste ad una lenta inversione di tendenza che porta ad un relativo rafforzamento della maggioranza parlamentare e dello stesso governo. Nel 1981 sono ampliati i poteri dei presidente della camere, che sono ora in grado di decidere qualora la conferenza dei capigruppo non riesca a trovare un accordo. Vengono poi limitati gli interventi dei parlamentari – che spesso era stati adoperati a fini ostruzionistici – e, fra il 1988 e il 1990, viene ridotto l’uso del voto segreto, in precedenza molto ampio. Infine, nel 2008 è finalmente riconosciuto al governo un ruolo nella programmazione dei lavori parlamentari, stabilendo la necessità che la conferenza dei capigruppo tenga conto anche delle sue richieste.
E’ però solo dopo il 1992, e i profondi cambiamenti che avvengono dopo quella data, che la posizione del governo e della sua maggioranza viene sensibilmente rafforzata.
Note
- ^ Secondo l'articolo 64 comma 3 della Costituzione, ogni seduta ed ogni deliberazione di ciascuna camera e del parlamento, non è valida se non è presente la maggioranza dei componenti. Ciò significa che il numero legale della seduta si raggiunge con la partecipazione alla stessa della metà più uno degli appartenenti alla camera o al senato.
- ^ Secondo l'articolo 64 comma 3 della Costituzione, ogni deliberazione di ciascuna Camera e del Parlamento, per essere valida deve essere votata dalla metà più uno dei presenti, ossia deve ottenere una maggioranza semplice, salvo che la Costituzione in particolari casi o materie non indichi che sia necessario raggiungere una maggioranza qualificata. Per il calcolo del quorum per le deliberazioni, i regolamenti interni delle due Camere applicano due diversi sistemi: alla Camera sono considerati come assenti gli astenuti; diversamente, al Senato, gli astenuti sono inseriti tra i voti per il calcolo del quorum.
- ^ Convegno Gruppo Parlamentare Radicale 10, 11, 12 ottobre 1978 Il Parlamento nella Costituzione e nella realtà, 10, 11, 12 ottobre 2000