Giacomo David

tenore italiano

Giacomo David (o Davide) (Presezzo, 1750Bergamo, 1830) è stato un tenore italiano particolarmente famoso a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo.

Biografia

Padre dell'altrettanto famoso Giovanni, si sa pochissimo degli inizi della sua carriera. Egli si esibì comunque a partire dagli anni settanta nei principali teatri italiani, ed in particolar modo al San Carlo di Napoli e a La Fenice di Venezia, alla cui inaugurazione prese anzi parte personalmente intepretando il ruolo di Eraclide ne I giochi d'Agrigento di Paisiello. Alla Scala esordì nel 1800 e ricomparve spesso in seguito interpretando, tra l'altro, prime rappresentazioni di opere di Mayr, come la Lodoïska e la Ginevra di Scozia. Raramente all'estero, egli fu però particolarmente longevo, essendo la sua carriera perdurata, pare, fino al primo ventennio dell'ottocento, con un repertorio basato su autori come, oltre ai citati Paisiello e Mayr, Bertoni, Cimarosa, Guglielmi , Sarti e Zingarelli. Punto di riferimento di una vera e propria scuola tenoristica bergamasca, alla quale appartennero figure come Andrea Nozzari e il figlio Giovanni, suoi allievi e poi coppia aurea dell'operismo rossiniano, e come Domenico Donzelli, Giovanni Battista Rubini e Marco Bordogni, David morì, rimpianto, nella sua città, nel 1830.

Caratteristiche artistiche

Giacomo David rappresenta il prototipo del tenore baritonale di fine settecento, dotato di notevole volume di voce, ma non privo di squillo sia pure eseguito in falsettone. La caratteristica che lo contraddistinse rispetto ai suoi contemporanei fu comunque la grande capacità virtuosistica che gli assicurò, in vita, una fama senza pari e che iniziò a porre le basi del mito del tenore quale si sarebbe poi affermato in epoca romantica. Virtuosista acrobatico, egli però fu anche tra coloro (gli ultimi castrati Girolamo Crescentini e Gaspare Pacchierotti, i tenori Ettore Babini e Giovanni Ansani, le primedonne Brigida Banti, Luísa Todi de Agujar e Giuseppina Grassini) che si opposero alla deriva del belcanto nella seconda metà del '700, con la sua corsa incontrollata verso le vette assurde dei superacuti e la coloratura fine a sé stessa, e che cercarono invece di recuperare, come ha scritto Rodolfo Celletti, "la passione e il vigore" che avevano caratterizzato la stagione aurea del canto nel primo '700 e che contribuirono quindi a porre le basi di quello che sarebbe stato, di lì a poco, "il gran finale rossiniano".

Bibliografia

  • Rodolfo Celletti, Storia del belcanto, Discanto Edizioni, Fiesole, 1983, pp. 112
  • Salvatore Caruselli (a cura di), Grande enciclopedia della musica lirica, Longanesi &C. Periodici S.p.A., Roma, ad nomen

Voci correlate