Utente:Eva4/sandbox

Versione del 20 mar 2009 alle 02:17 di Eva4 (discussione | contributi) (Bougainville e guerra 7 anni)
Louis-Antoine de Bougainville ritratto da Jean-Pierre Franquel

Louis Antoine, conte di Bougainville (Parigi, 11 novembre 1729Parigi, 31 agosto 1811) è stato un esploratore, navigatore e matematico francese.

Gli esordi

Nato a Parigi l'11 o il 12 novembre 1729, era figlio di un notaio e fratello dello storico Jean-Pierre de Bougainville. Inizialmente si dedicò agli studi di diritto e di matematica divenendo avvocato, ma abbandonò presto questa professione per entrare nell'esercito (1753), nel corpo dei moschettieri. Nel 1754 scrisse un saggio sul calcolo integrale come supplemento al trattato di Guillaume de l'Hôpital sul calcolo differenziale; questo testo gli aprì le porte, nel 1756, della Royal Society di Londra, dove era stato inviato l'anno precedente come segretario dell'ambasciata francese.

La guerra dei sette anni

Nel 1756 si recò nel Canada francese (Nuova Francia) come capitano dei dragoni e aiutante di campo del generale Louis-Joseph de Montcalm e combatté attivamente contro gli inglesi nella cosiddetta guerra franco-indiana, capitolo nordamericano della guerra dei sette anni (1756-1763). Distintosi nella conquista di Fort Oswego (1756) e in quella di Fort William Henry (1757)[1], venne ferito nella vittoriosa difesa di Fort Carillon (1758)[2] e rientrò quindi in patria per ottenere ulteriori aiuti alla spedizione francese. Ritornò in Canada nel 1759 con la croce di San Luigi e con il titolo di colonnello, ma senza i rinforzi richiesti.

Dal 1766 al 1769, Bougainville compì un viaggio esplorativo di circumnavigazione dell'intero pianeta. Nel corso di questa spedizione, nel 1768 in Brasile, il botanico Philibert Commerson che partecipava al viaggio assieme ad altri scienziati, scoprì un nuovo genere di piante che più tardi descriverà come Bougainvillea in suo onore.

Bougainville è stato inumato al Panthéon escluso il suo cuore che è invece sepolto nel Cimetière du Calvaire a Montmartre.

Opere

Voyage autour du monde par la frégate la Boudeuse et la flûte l'Etoile, Club des libraires, Parigi, 1858

Note

  1. ^ É su questo episodio storico che si basa il romanzo di James Fenimore Cooper L'ultimo dei Mohicani (1826).
  2. ^ Divenuto poi celebre con il nome inglese di Fort Ticonderoga.


Acragante (dal greco Ακράγας e dal latino Acragas; ... – ...) è stato un cesellatore greco dell’argento forse del V secolo a.C..

La segnalazione di Plinio

Tutto quel che sappiamo di questo antico incisore greco si trova in un passo della Naturalis historia[1] di Plinio il Vecchio. Nel XXXIII libro del suo trattato naturalistico, infatti, parlando di mineralogia e soprattutto di metallurgia, Plinio elenca una serie di cesellatori in argento particolarmente famosi, citando per primo Mentore come il più rinomato, seguito nella graduatoria della celebrità da Acragante, Boeto e Mys. Egli ricorda che ai suoi tempi (I secolo d.C.) opere di questi tre artisti erano ancora conservate in alcuni templi dell’isola di Rodi. Quelle di Boeto si trovavano nel tempio di Atena Lindia (sull’acropoli della cittadina costiera di Lindos), quelle di Acragante erano degli scifi cesellati con centauri e baccanti ed erano custoditi nel tempio di Dioniso (poco distante dal precedente), quelle di Mys infine raffiguravano sileni e cupidi ed erano anch’esse nel tempio di Dioniso. Il passo di Plinio si conclude segnalando che Acragante si era conquistato grande fama anche cesellando coppe con scene di caccia.

Di lui non ci è noto altro: non dove, non come, non quando nacque, visse o morì. Poco di più sappiamo di Boeto, citato dallo stesso Plinio anche fra gli scultori[2] e che dovrebbe essere vissuto o forse nato a Calcedonia se non a Cartagine, stando almeno a una citazione di Pausania nella Periegesi della Grecia. Qualche notizia supplementare abbiamo per Mys

Il passo di Plinio, citando insieme i tre artisti, induce a ritenere che fossero tutti più o meno della stessa epoca e, poiché Mys dovrebbe essere contemporaneo di Fidia, li si può collocare sul finire del V secolo a.C.

La ripresa del Vasari

poi ripreso anche da Giorgio Vasari in Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori[3].

Note

  1. ^ «Proximi ab eo [Mentore] in admiratione Acragas et Boëthus et Mys fuere. Exstant omnium opera hodie in insula Rhodiorum, Boëthi apud Lindiam Minervam, Acragantis in templo Liberi patris in ipsa Rhodo Centauros Bacchasque caelati scyphi, Myos in eadem aede Silenos et Cupidines. Acragantis et venatio in scyphis magnam famem habuit.»
    (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXIII, 155, o 12, 55}
  2. ^ Naturalis Historia, XXXIV, 84, o 8, 19
  3. ^ «Dopo costui [Mentore] nella medesima arte ebbero gran nome uno Acragante, uno Boeto et un altro chiamato Mys, dei quali nella isola di Rodi si vedevano per i templi in vasi sacri molto belle opere, e di quel Boeto spezialmente Centauri e Bacche fatti con lo scarpello in idrie et in altri vasi molto begli, e di quello ultimo un Cupido et uno Sileno di maravigliosa bellezza.»
    (Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, edizione del 1568, II, XXXIX. Per la verità il testo non è del Vasari ma è contenuto in una «Lettera di messer Giovambattista di messer Marcello Adriani a messer Giorgio Vasari nella quale brevemente si racconta i nomi e l’opere de’ più eccellenti artefici antichi in pittura, in bronzo et in marmo, qui aggiunta acciò non ci si desideri cosa alcuna di quelle che appartenghino alla intera notizia e gloria di queste nobilissime arti», inserita dal Vasari nella prima parte del suo libro. Come si può notare, la traduzione del passo di Plinio è piuttosto libera, tanto da attribuire le opere di Acragante a Boeto.)


Fonti

  • Charles Peter Mason, "Acragas (2)", in William Smith, A Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Boston (MA), Little, Brown and co., 1867; I, 14.


http://www.perseus.tufts.edu/cgi-bin/ptext?doc=Perseus%3Atext%3A1999.02.0137&query=head%3D%232370


vasi di Pompei http://books.google.it/books?id=KK4OAAAAQAAJ&pg=PA1&lpg=PA1&dq=tempio+bacco+rodi&source=web&ots=yyOx9po0yE&sig=Gf9BIz93td4Aedzf9xnTg9-2NSw&hl=it&sa=X&oi=book_result&resnum=4&ct=result#PPP3,M1

stefano ticozzi (dizionario) http://books.google.it/books?id=0ownAAAAMAAJ

e http://books.google.it/books?id=0ownAAAAMAAJ&pg=PA27&lpg=PA27&dq=tempio+bacco+rodi&source=web&ots=1h8rdV0tq3&sig=hhIQGvrDrzFzYBpwkGvsuZAxLCM&hl=it&sa=X&oi=book_result&resnum=1&ct=result



Nicola Consiglio (Bisceglie, 21 febbraio 1874Bisceglie, 3 dicembre 1975) è stato un giurista italiano, esperto di affari ecclesiastici.

Laureatosi brillantemente in giurisprudenza all’Università di Napoli nel 1896, entrò in magistratura nel 1900 e fu assegnato quale pretore a Trani. Successivamente venne chiamato alla Direzione generale per gli affari di culto presso il Ministero della Giustizia dove si occupò della spinosa questione del santuario di Pompei dopo la morte del suo fondatore Bartolo Longo (1926). Benché cattolico liberale e non allineato al fascismo, fu stretto collaboratore del ministro Alfredo Rocco, che lo volle come successore di Domenico Barone nelle trattative con Francesco Pacelli[1], il cardinal Pietro Gasparri e monsignor Francesco Borgongini Duca per l’elaborazione tecnica e la stesura dei Patti Lateranensi del 1929. Redasse inoltre la legge del 1930 [2] che dava disciplina e riconoscimento giuridico alle comunità israelitiche, anche questa frutto di incontri e trattative bilaterali[3] e accolta favorevolmente dalla maggior parte delle Comunità Ebraiche italiane[4]. Passato alla Direzione generale degli affari penali, qui terminò la sua carriera nel 1941 per raggiunti limiti di età con il titolo di procuratore generale onorario della Corte di Cassazione.

Oltre all’adorata moglie, la nobildonna Matilde Carcano figlia del duca Domenico Carcano di Trani, amò appassionatamente la sua città natale, Bisceglie, dove era solito ritornare appena poteva staccarsi dagli impegni del lavoro e dove per tutti era “sua eccellenza”. La sua casa in via Giulio Frisari 27, dimora avita fin dal Settecento (cui risale la struttura con loggiato interno su due piani) contenente dipinti di scuola napoletana e di Salvator Rosa, è tuttora nota come Palazzo Consiglio. Qui poté festeggiare il secolo di vita, omaggiato fra gli altri dall’arcivescovo di Bisceglie, monsignor Giuseppe Carata. I suoi concittadini ne hanno perpetuato la memoria intitolandogli una via.

Note

  1. ^ Avvocato e giurista della Santa Sede, era il fratello dell'allora nunzio apostolico in Germania Eugenio Pacelli, poi papa Pio XII. Morì un mese prima della firma dei Patti.
  2. ^ Regio decreto n. 1731 del 30 ottobre 1930 sulle Comunità israelitiche e sull'Unione delle medesime (e il Regio decreto n. 1561 del 19 novembre 1931 con le relative norme attuative), abrogati nel 1989 in seguito all'approvazione parlamentare della nuova intesa (febbraio 1987) fra la Repubblica Italiana e l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Legge n. 101 dell'8 marzo 1989).
  3. ^ In ambito ebraico, il Regio decreto del 1930 è talora denominato anche "Legge Falco" per sottolineare il ruolo determinante che vi ebbe il giurista ebreo Mario Falco.
  4. ^ Giulio Disegni, Ebraismo e libertà religiosa in Italia: dal diritto all'uguaglianza al diritto alla diversità, Torino, Einaudi, 1983, p. 120.


FONTIIIIII e rendere + sobrio.


Unione delle comunità ebraiche italiane


Giorgio Melchiori
Cresciuto alla scuola di anglistica creata da Mario Praz alla Sapienza di Roma, Giorgio Melchiori si dedicò all’attività accademica fin dai primi anni della Seconda guerra mondiale, dopo una breve parentesi come redattore presso l’agenzia ANSA di Roma. Fu l’Università di Torino a vedere i suoi esordi, ma nel 1947 ritornò a Roma, prima alla Sapienza e quindi all’Università Roma Tre, dove insegnò a lungo lingua e letteratura inglese divenendo col tempo una sorta di figura mitologica, un “mostro sacro” ammirato dai colleghi e idolatrato dai suoi studenti. Autore prolifico di saggi critici, la ricchezza della sua produzione non andò mai a scapito dell’alta qualità della ricerca, sia quando affrontò le scelte antologiche dei Poeti metafisici inglesi (Milano, 1964) e di John Donne (Milano, 1983), sia nelle approfondite indagini sull’opera dell’irlandese James Joyce (Joyce barocco, Bulzoni; Joyce: il mestiere dello scrittore, Einaudi). Tuttavia, l’autore cui dedicò le sue maggiori e migliori attenzioni fu William Shakespeare (Shakespeare: politica e contesto economico, Bulzoni; Shakespeare all’opera. I drammi nella librettistica italiana, Bulzoni).

Apprezzato maestro di tutti gli anglisti italiani, Melchiori fu riconosciuto come uno dei più autorevoli esperti di letteratura in lingua inglese e un vero e proprio specialista di Shakespeare, tanto da essere insignito nel 1991 del titolo di “Commander of the British Empire”. Fu anche membro onorario dell’International James Joyce Foundation e dello Shakespeare Birthplace Trust, socio della British Academy, dell’Accademia delle Scienze e dell’Accademia dei Lincei, vincitore del premio Grinzane Cavour per traduttori nel 1986 e del premio di storia letteraria Natalino Sapegno nel 2005. Nella sua vasta bibliografia, ricca di edizioni critiche di singoli drammi shakespeariani, spiccano due opere fondamentali: l’edizione critica del Teatro completo di Shakespeare per “I Meridiani” della Mondadori (9 volumi, 1976-91) e il saggio Shakespeare. Genesi e struttura delle opere (Laterza, 1999? 2001) in cui ricostruì il processo creativo del “bardo”, inquadrandolo nel contesto di una vita dedicata per intero a una professione soggetta alle esigenze dello spettacolo, alle condizioni sempre mutevoli delle scene londinesi, ai condizionamenti e agli stimoli di un pubblico variegato e partecipe, e infine alle interferenze di una censura sempre vigile in un clima di profonda e rapida evoluzione.

Con altri due noti anglisti italiani, Nemi D’Agostino e Agostino Lombardo, anch’essi allievi di Mario Praz, nel 1975 pubblicò Teatro elisabettiano. Marlowe, Webster, Ford (Accademia Olimpica).

Bibliografia