Uthar

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Template:Personaggio della trilogia dell'eredità

«Ogni uomo abile si tenga pronto, altrimenti userò le vostre budella come guanciali!»

Uthar è un personaggio del Ciclo dell'Eredità, la saga fantasy scritta da Christopher Paolini. È uno dei marinai amici di Jeod che collaborano al furto dell'Ala di Drago nel corso di Eldest.

Descrizione

Uthar è descritto grande e grosso, di aspetto torvo, taciturno, con un codino che gli ricade sulle spalle, mani annerite dal catrame e molte cicatrici. È il classico marinaio, superstizioso. Infatti, si oppone alla presenza di Brigit, sostenendo che porti sfortuna avere una donna su una nave.

Storia

Uthar faceva parte degli equipaggi delle navi di Jeod, incaricate di rifornire i Varden attraverso il Surda. Fedele al suo superiore e ai Varden, era scampato agli attacchi delle navi da parte dell'Impero (ciclo dell'eredità. Quando Roran Garrowsson e i trecenti profughi di Carvahall giungono a Teirm, Uthar ed altri pochi marinai fedeli ai Varden sono praticamente intrappolati in città. La loro copertura è ormai saltata e non possono reagire. Quando Jeod propone loro di partecipare al furto di una grande nave dell'Impero, l'Ala di Drago, accettano. Roran e Uthar si impossessano della nave, e, una volta imbarcati i profughi, Uthar prende il comando della nave, guidandola lontano da Teirm. Uthar si dimostra un capitano esperto, riuscendo a tenere la distanza con gli inseguitori dell'Impero. Quando Roran propone l'attraversamento dell'Occhio del Cinghiale, un terribile gorgo, Uthar ragionevolmente si oppone, ma alla fine si lascia convincere. L'operazione riesce grazie al lavoro di remi dei profughi. Arrivati nel Surda, Uthar rimane sulla nave (molti profughi scendono invece nella città surdana di Dauth). Roran e Jeod convincono i rimanenti a dirigersi alle Pianure Ardenti per supportare i Varden in battaglia. Qui Uthar dirige le baliste della nave contro i soldati imperiali. Si presuppone che sia successivamente rimasto fra i Varden.

Note

  1. ^ Cristopher Paolini, Eldest, Milano, Fabbri, 2005.pag 752