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Lucio Valerio Potito, in latino Lucius Valerius Potitus (... – ...), è stato un politico e militare romano del V sec. a.C..
Biografia
Lucio Valerio apparteneva al ramo Potito della nobile gens Valeria, un'antica gens patrizia dell'antica Roma. Era il figlio di Marco Valerio Voluso Massimo, console nel 505 a.C., il fratello di Manio Valerio Voluso Massimo, dittatore nel 494 a.C. e il padre di Lucio Valerio Potito, console nel 449 a.C.
Nel 486 a.C. ricopre la carica di questore e sostiene l'accusa di alto tradimento contro il popolare console plebeo Spurio Cassio Vecellino. Al termine del processo quest'ultimo, al termine del suo mandato, viene condannato a morte, e Valerio Potito diviene molto impopolare[1].
Primo consolato (483 a.C.)
Lucio Valerio venne eletto console nel 483 a.C. insieme a Marco Fabio Vibulano, che era al primo dei suoi tre incarichi[2] ma, essendo estremamente inviso per l'episodio di Spurio Cassio, la sua elezione rese la plebe furiosa. I tribuni della plebe si battono affinché venga votata una legge agraria favorevole alla plebe, ma i consoli si oppongono con tutte le loro forze[3]. Valerio Potito si mette alla testa dell'esercito e sconfigge i Volsci, ma senza risultati apprezzabili[4]. A questa situazione si andarono assommando, a Roma e nella campagne, presagi funesti basati sull'interpretazione delle viscere animali e sull'osservazione del volo degli uccelli, spiegandole con il mancato rispetto delle prescrizioni nei rituali religiosi. Il solo risultato delle paure dovute alla collera degli dei fu la condanna a morte della vestale Oppia, sepolta viva, così come voleva la tradizione, per esser venuta meno al voto di castità[5].
Secondo consolato (470 a.C.)
Viene eletto console una seconda volta con Tiberio Emilio Mamercino. Durante il loro mandato viene messo sotto processo, alla fine del suo mandato, l'ex console Appio Claudio Inregillense Sabino, sia per la sua opposizione alla legge agraria e ai tribuni della plebe che per la difesa dei patrizi che si accaparrano il territorio statale, l'ager publicus. I due consoli vengono inviati a combattere contro due popoli nemici di Roma, Valerio Potito contro gli Equi e Emilio Mamercino contro i Sabini. Gli Equi rifiutano la battaglia, ma quando il console cerca di espugnare il loro campo, gli elementi si scatenano; questo viene interpretato come un segno delle divinità e quindi l'attacco viene interrotto e viene invece devastato il territorio nemico. Nel frattempo il collega Tiberio Emilio, conduce una guerra simile contro i Sabini[6]; nessuna delle guerre condotte dai due consoli si conclude[7], ed esse continueranno negli anni successivi[8].
Note
- ^ Tito Livio, Ab urbe condita libri, Libro II, 41, ???.
- ^ Dionigi, Antichità romane, Libro VIII, 68, 1.
- ^ Tito Livio, Ab urbe condita libri, Libro II, 42, 6.
- ^ Dionigi, Antichità romane, Libro VIII, Cap. 87-88.??????
- ^ Tito Livio, Ab urbe condita libri, Libro II, 42, 10-12.
- ^ Tito Livio, Ab urbe condita libri, Libro ???, ???.
- ^ Tito Livio, Ab urbe condita libri, Libro II, 62, xxx.
- ^ Tito Livio, Ab urbe condita libri, Libro II, 63-64.
Voci correlate
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