What'd I Say
What'd I Say è una canzone del cantante rhythm and blues Ray Charles, pubblicata nel 1959 come singolo divisa in due parti. Venne improvvisata una tarda sera del 1958, quando Charles e la sua orchestra, nonostante avessero suonato l'intero repertorio, avevano ancora del tempo prima del termine del loro spettacolo; la reazione di gran parte del pubblico fu così entusiasta che Charles decise che l'avrebbe incisa.[1] Dopo una serie di successi R&B, questo nuovo brano portò Charles nel mainstream della musica pop e segnò la diffusione di un nuovo sottogenere del rhythm and blues, il soul, unendo finalmente tutti gli elementi che Charles aveva creato dalla registrazione di I Got a Woman nel 1954. Le influenze di musica gospel combinate con le allusioni sessuali nel testo la resero non solo molto popolare ma anche motivo di controversie tra il pubblico sia bianco che di colore. Permise a Ray Charles di ottenere il suo primo disco d'oro ed è stata una delle canzoni più influenti nella storia della musica.[2] Per il resto della sua carriera, Charles ha chiuso tutti i concerti con questo pezzo.
What'd I Say singolo discografico | |
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Artista | Ray Charles |
Pubblicazione | 13 luglio 1959 |
Durata | 6 min : 30 s |
Dischi | 1 |
Tracce | 3 |
Genere | Soul |
Etichetta | Atlantic Records |
Produttore | Jerry Wexler |
Registrazione | 18 febbraio 1959 |
Note |
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Ray Charles - cronologia | |
Singolo precedente Night Time Is the Right Time (1959) Singolo successivo
I'm Movin' On (1959) |
Nel 2002 è stata inserita dalla Biblioteca del Congresso nel National Recording Registry e da Rolling Stones al decimo posto della sua lista delle 500 migliori canzoni.
Contesto
Nel 1958 Ray Charles aveva 27 anni e da 10 incideva soprattutto musica R&B per le etichette Downbeat e Swingtime, con uno stile simile a quello di Nat King Cole e Charles Brown. Nel 1954 firmò con l'Atlantic Records e fu incoraggiato dai produttori Ahmet Ertegün e Jerry Wexler ad allargare il suo repertorio. Più tardi Wexler avrebbe ricordato che il successo della Atlantic Records non era dovuto all'esperienza degli artisti, ma all'entusiasmo verso la musica: «Di fare dischi non ne sapevamo un cazzo, ma ci divertivamo».[3] Ertegün e Wexler capirono che un approccio passivo era il metodo migliore per spronare l'artista.
«Mi resi conto che la cosa migliore che potessi fare con Ray era lasciarlo in pace.»
Dal 1954 fino ai primi anni '60 Charles si esibì per 300 giorni all'anno con un orchestra di sette membri e un trio canoro, anch'esso sotto contratto con la Atlantic, chiamato The Cookies che cambiava il nome in The Raelettes quando si esibiva con lui.[3] Nel 1954 Charles iniziò a mischiare suoni e strumenti tipici della musica gospel con testi più laici. Il primo esperimento fu I Got a Woman, basata sulle melodie degli standard gospel My Jesus Is All the World to Me e I Got a Savior (Way Across Jordan). Fu il primo disco di Ray Charles che attirò l'attenzione del pubblico bianco, ma gli elementi gospel provocarono disagio in parte degli ascoltatori di colore; Charles più tardi affermò che l'unione di diversi generi musicali non fu una decisione voluta.[5]
Nel dicembre 1958 ci fu il successo di Night Time Is the Right Time, un'ode alla sensualità cantata con una delle Raelettes, Margie Hendricks, che al tempo aveva una relazione con il cantante.
Dal 1956, inoltre, Charles si portava in tour un piano elettrico Wurlitzer personale perché non si fidava della qualità di quelli che gli venivano forniti sul posto. Nelle occasioni in cui lo suonava, veniva deriso dagli altri musicisti.[6]
Composizione e registrazione
Secondo l'autobiografia di Ray Charles, il pezzo nacque casualmente durante un'improvvisazione per esaurire il tempo prima della fine di un concerto nel dicembre 1958.[7][8] What'd I Say è un'eccezione, in quanto Charles non ha mai provato in pubblico una canzone prima di registrarla. Neanche lui ricorda dove avesse luogo quel concerto, ma Mike Evans, in Ray Charles: The Birth of Soul, lo colloca a Brownsville, Pennsylvania.[9] Si trattava di uno spettacolo durante un ballo che sarebbe dovuto durare 4 ore,[1] con mezz'ora di pausa e termine intorno alle 2 del mattino. Charles e la sua band avevano terminato le canzoni dopo la mezzanotte, ma mancavano ancora dodici minuti. A quel punto il cantante disse alle Raelettes: «Perderò un po' di tempo, voi seguitemi e basta».[10]
Cominciando col piano elettrico, suonò quello che si sentiva sul momento: una serie di riffs, passando a un pianoforte per quattro ritornelli supportati da un ritmo di percussioni latino come la conga. La canzone poi cambiò quando Charles cominciò a cantare versi improvvisati, semplici e senza alcun legame tra loro. La struttura è quella di un blues in 12 misure con elementi gospel,[11][12] mentre tra le prime righe ci sono influenze di uno stile boogie-woogie che Ahemt Ertegün attribuisce a Clarence "Pinetop" Smith, che era solito indicare i passi di danza da eseguire attraverso i testi.[6] A metà dell'esibizione, Charles disse alle Raelettes che avrebbero dovuto ripetere quello che faceva, trasformando così la canzone in un botta e risposta tra l'artista, le Raelettes e gli strumenti a fiato dell'orchestra, che si chiamavano tra di loro con urli e lamenti estatici e colpi di corni.[11]
Charles sentì subito la reazione del pubblico entusiasta e danzante. Molte persone gli si avvicinarono al termine dello spettacolo per chiedergli dove avrebbero potuto acquistare il disco. La canzone fu riproposta per molte sere di fila con il pubblico che reagiva sempre allo stesso modo, convincendo così il cantante a chiamare Jerry Wexler e dirgli che aveva qualcosa di nuovo da incidere.
«Non credo nel darmi preavvisi da solo, ma capii che quella canzone lo meritava»
Lo studio della Atlantic Records aveva appena acquistato un registratore a 8 tracce e l'ingegnere acustico Tom Dowd stava ancora imparando a usarlo. Nel febbraio 1959 Charles e la sua orchestra registrarono finalmente What'd I Say nella piccola sala della Atlantic. Dowd ricorda che non sembrava tanto speciale ai tempi della registrazione: durante quella sessione era la seconda di due canzoni e tutti rimasero più impressionati dalla prima, Tell the Truth.
«La registrammo nello stesso modo in cui avevamo registrato tutte le altri. Ray, le ragazze e la band dal vivo nello studio piccolo, senza nessuna aggiunta. Tre o quattro registrazioni, ed era finita. La prossima!»
Col senno di poi Nesushi Ertegün, fratello di Ameth, riconobbe la straordinaria qualità sonora della canzone in rapporto alle dimensioni ridotte dello studio e l'alto livello tecnologico degli strumenti di registrazione utilizzati; il suono è pulito al punto che si può sentire Charles tenere il tempo durante il botta e risposta senza musica.[6]
Il lavoro in studio durò poco perché l'orchestra aveva perfezionato la canzone durante il tour,[14] sebbene a Dowd non mancarono i problemi. Il primo riguardava la lunghezza della canzone, che durava oltre sette minuti e mezzo, quando la durata media delle canzoni trasmesse alla radio era due minuti e mezzo. In più, anche se i testi non erano osceni, i suoni emessi dal cantante e le coriste nei botta e risposta preoccupavano il tecnico e i produttori. In precedenza, infatti, il pezzo Money Honey di Clyde McPhatter era stato vietato in Georgia, ma Ahmet Ertegün e Wexler l'avevano pubblicato lo stesso, rischiando l'arresto.[15] Ray Charles era consapevole del problema, ma difendeva la sua canzone: «Non sono abituato a interpretare le mie canzoni, ma se non riesci a capire What'd I Say, allora c'è qualcosa che non va, o non sei abituato ai dolci suoni dell'amore.»[10]
L'ingegnere del suono risolse i problemi di registrazione realizzando tre versioni della canzone, la privò di alcuni richiami ambigui e la divise in due parti di circa tre minuti incise su un unico disco, chiamandole What'd I Say Part I e What'd I Say Part II e divise da un finto intermezzo dove gli altri musicisti si fermano e supplicano a Charles di continuare, terminando poi con un frenetico finale. Più tardi Dowd affermò che l'ipotesi di non pubblicare il disco, che uscì invece nel luglio 1959,[16][3] non era mai stata presa in considerazione: «Sapevamo che sarebbe diventata una hit, nessun dubbio a riguardo».[17]
Accoglienza
Nonostante i primi giudizi fossero tiepidi (ad esempio quello di Billboard),[18] la segreteria della Atlantic Records iniziò a ricevere chiamate dai distributori. Le stazioni radiofoniche si rifiutavano di metterla in onda perché troppo carica sessualmente, ma l'etichetta discografica non volle ritirare i dischi dai negozi. Come risposta alle lamentele, nel luglio 1959 venne pubblicata una versione meno "spinta" che portò la canzone alla posizione numero 26 della classifica in poche settimane. Billboard pubblicò una nuova recensione che a distanza di mesi, a differenza della prima, considerava l'opera come il più forte disco pop che l'artista avesse mai prodotto fino a quel momento.[18] Alla fine What'd I Say raggiunse la prima posizione della classifica Hot R&B/Hip-Hop Singles & Tracks, la sesta della Billboard Hot 100 e divenne il primo disco d'oro della carriera di Ray Charles,[19] oltre alla canzone più fruttuosa per la Atlantic Records del periodo.[15]
Molte radio (sia di pubblico in prevalenza bianco che di colore) non vollero trasmettere il pezzo a causa del «dialogo tra il cantante e le voci d'accompagnamento che partiva in chiesa e terminava in camera da letto», citando le parole di un critico.[20] Le allusioni erotiche erano ovvie agli ascoltatori, ma c'era un aspetto più profondo della fusione tra la musica nera gospel e quella R&B che non piaceva al pubblico afroamericano: la musica, poiché faceva parte della società Americana, rappresentava anche la segregazione razziale, e molti lamentavano l'avvicinamento al gospel da parte di musicisti laici, oltre al fatto che venisse messo sul mercato per gli ascoltatori bianchi.[20] Durante molti concerti negli anni '60 gli organizzatori arrivarono al punto di chiamare la polizia, preoccupati che scoppiassero risse a causa della frenesia che scorreva tra la folla durante l'esibizione.[21]
La controversia morale che si era venuta a creare intorno alla canzone è stata attribuita alla sua popolarità; in un'intervista rilasciata tempo dopo la pubblicazione, Charles riconobbe che il beat era accattivante, ma che il pubblico fosse attratto dal testo allusivo.
«"Guarda la ragazza con l'anello col diamante. Lei sa come agitare 'quella cosa' ". Non era l'anello col diamante che gli interessava.»
What'd I Say fu il primo esempio di crossover nel genere rock and roll, allora in crescita, di Ray Charles, che colse l'opportunità datagli dal ritrovato successo e annunciò a Ertegün e Wexler che stava valutando l'ipotesi di firmare con la ABC-Paramount Records (che poi cambiò il nome in ABC Records) entro la fine del 1959.[22] Mentre l'artista negoziava con la nuova etichetta, la Atlantic pubblicò un album dei suoi successi, intitolato anch'esso What'd I Say.
Cover
Fra gli artisti che hanno cantato una cover del brano si ricordano:
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Note
- ^ a b (EN) Feb 18, 1959: Ray Charles records "What'd I Say" at Atlantic Records, su history.com. URL consultato il 18-07-2010.
- ^ (EN) The Songs That Shaped Rock and Roll, su rockhall.com. URL consultato il 20-07-2010.
- ^ a b c (EN) Blair Jackson, "Recording Notes: Classic Tracks: Ray Charles' 'What'd I Say', su mixonline.com, 130-132. URL consultato il 18-07-2010.
- ^ Creswell, 1978, p. 722.
- ^ Evans, 2007, p. 71
- ^ a b c Evans, 2007, p. 109.
- ^ Charles and Ritz, 1978, p. 189.
- ^ Lydon, 1998, p. 153.
- ^ Evans, 2007, p. 107.
- ^ a b c Charles and Ritz, 1978, p. 191.
- ^ a b Stephens, Robert W. (Spring 1984). "Soul: A Historical Reconstruction of Continuity and Change in Black Popular Music", The Black Perspective in Music, 12 (1), pp. 21–43.
- ^ Stewart, Alexander (October 2000). "'Funky Drummer': New Orleans, James Brown and the Rhythmic Transformation of American Popular Music", Popular Music, 19 (3) pp. 293–318.
- ^ Lydon, 1998, p. 157.
- ^ Ertegün, 2001, p. 118.
- ^ a b Evans, 2007, p. 110.
- ^ Lydon, 1998, p. 158.
- ^ Creswell, 2006, p. 721.
- ^ a b Lydon, 1998, p. 164.
- ^ a b (EN) Ben Fong-Torres, The Rolling Stone Interview: Ray Charles, in RS 126, rollingstone.com, 18-01-1973. URL consultato il 20-07-2010.
- ^ a b Evans, 2007, p. 111.
- ^ Lydon, 1998, pp. 195, 204.
- ^ Charles and Ritz, 1978, pp. 194–195.
Bibliografia
- (EN) Charles, Ray e Ritz, David (1978). Brother Ray: Ray Charles' Own Story, The Dial Press. ISBN 0-8037-0828-9
- (EN) Creswell, Toby (2006). 1001 Songs: The Greatest Songs of All Time and the Artists, Stories, and Secrets Behind Them, Thunder's Mouth Press. ISBN 1-56025-915-9
- (EN) Ertegün, Ahmet (ed., 2001). "What'd I Say?": The Atlantic Story: 50 Years of Music, Welcome Rain Publishers. ISBN 1-56649-048-0
- (EN) Evans, Mike (2007). Ray Charles: The Birth of Soul, Omnibus Press. ISBN 1846093418
- (EN) George, Nelson (1988). The Death of Rhythm & Blues. Pantheon Books. ISBN 0-394-55238-5
- (EN) Larson, Thomas (2004). The History of Rock and Roll, Kendall/Hunt Publishing Company. ISBN 0-7872-9969-3
- (EN) Lydon, Michael (1998). Ray Charles: Man and Music, Riverhead Books. ISBN 1-57322-132-5