Utente:Franz van Lanzee/Sandbox 2

Dalla Russia all'Isola d'Elba

  Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna di Russia e Sesta coalizione.
 
Napoleone durante la ritirata dalla Russia, dopo la disfatta della Grande Armata (1813)

Sul finire del 1811, l'impero francese aveva ormai raggiunto la sua massima espansione: la Francia stessa si era ingrandita annettendosi i Paesi Bassi, i paesi tedeschi affacciati sul Mare del Nord, le regioni italiane corrispondenti agli attuali Piemonte, Liguria, Toscana e Lazio, le Province illiriche e la regione spagnola della Catalogna. Il resto dell'Europa continentale era in un modo o nell'altro assoggettato alla Francia: la Danimarca era da tempo alleata dei francesi, il Ducato di Varsavia, la Confederazione del Reno e la Confederazione Elvetica erano fantocci controllati dal governo di Parigi, il Regno d'Italia aveva come monarca lo stesso Napoleone, mentre il fratello Giuseppe ed il maresciallo Murat governavano rispettivamente sulla Spagna e sul Regno di Napoli; perfino l'Impero austriaco e la Prussia erano stati costretti a stipulare trattati di alleanza con la Francia, mentre in Svezia si era da poco insediato come Principe Ereditario l'ex maresciallo Bernadotte. All'infuori del Regno Unito e dei suoi traballanti alleati iberici, l'unica potenza continentale rimasta a contrastare l'egemonia francese era rappresentata dall'Impero russo.

Dalla firma del trattato di Tilsit nel luglio del 1807, i rapporti tra i due imperi erano andati progressivamente deteriorandosi[1]. Principali motivi d'attrito erano rappresentati dall'applicazione da parte della Russia delle disposizioni del blocco continentale, e dalle dispute sul Ducato di Varsavia[1]: l'introduzione del blocco aveva provocato una grave crisi economica in Russia, e di conseguenza la sua applicazione era andata progressivamente diminuendo; per quanto riguarda la questione della Polonia, l'esistenza di uno stato indipendente in una regione da tempo oggetto delle mire espansionistiche della Russia era vista come una provocazione dalla corte di San Pietroburgo. Ulteriori contrasti erano andati accumulandosi nel tempo: il tiepido appoggio dato dalla Russia alla Francia nella guerra del 1809, i contatti diplomatici avviati da Napoleone con l'Impero ottomano e l'occupazione francese del Ducato di Olenburg[2], non avevano fatto altro che far precipitare le relazioni tra le due nazioni ai minimi storici. Per la fine del 1811, Napoleone aveva ormai deciso di intraprendere una spedizione militare contro la Russia; un tentativo di mediazione in extremis, intrapreso nell'aprile del 1812, si risolse in un nulla di fatto per via delle richieste russe giudivate irricevibili dall'imperatore[1]. Per il maggio del 1812, le forze francesi ed alleate vennero ammassate in Polonia in vista della nuova campagna: in totale, Napoleone poteva disporre grosso modo di 675.000 uomini, 500.000 dei quali entrarono prima o poi in territorio russo (il resto rimase di guarnigione in Polonia o in Germania)[1][3]; circa metà della fanteria ed un terzo della cavalleria non era di origine francese[1]: c'erano contingenti tedeschi e svizzeri, italiani e napoletani, spagnoli e portoghesi, e perfino truppe prussiane ed austriache. La dimensione stessa raggiunta dalla Grande Armée escludeva un controllo totale da parte dell'imperatore su di essa: Napoleone comandava solo il contingente principale, all'incirca 400.000 uomini, schierato al centro; il maresciallo Macdonald guidava un'armata franco-prussiana incaricata di proteggere l'ala sinistra del contingente principale, mentre l'ala destra era protetta dal Corpo Ausiliario austriaco del generale Schwarzenberg, con altre truppe francesi in appoggio.

La sera del 23 giugno 1812, l'avanguardia della colossale armata francese guadò il fiume Niemen, dando così inizio alla campagna di Russia; in confronto alla Grande Armée, le forze messe in campo dai russi erano inizialmente esigue, sebbene in rapido aumento: contrapposta all'armata principale di Napoleone vi era l'armata del generale Barclay de Tolly, ministro della guerra e comandante in capo delle forze russe, forte di circa 130.000 uomini, con una seconda armata di 48.000 uomini sotto il generale Bragation in appoggio poco più a nord[4]; in aggiunta a queste forze, l'ammiraglio Pavel Vasilievič Čičagov stava raccogliendo altri 100.000 uomini nell'Ucraina meridonale, mentre altre truppe erano in via di formazione tra Riga e San Pietroburgo sotto il generale Peter Wittgenstein[4]. Vista la schiacciante inferiorità numerica, Barclay de Tolly e Bragation iniziarono una lenta ritirata verso est, facendo terra bruciata dei territori attraversati[5]; per almeno tre volte Napoleone cercò di aggirare una delle due armate russe per annientarla separatamente, ma tutte le volte i russi riuscirono a sottrarsi ripiegando verso est: a mano a mano che i francesi si spingevano in avanti all'inseguimento dei russi, la loro situazione logistica peggirava sempre di più, con numerosi soldati messi fuori combattimento dalle malattie e dalle marce massacranti. Seppur efficace, la strategia messa in atto da Barclay de Tolly attirò sul generale molte critiche, e questi si vide costretto a sospendere la ritirata per dare battaglia ai francesi[6]; le due armate si affrontarono il 17 agosto nella battaglia di Smolensk: i francesi ottennero una vittoria, ma ancora una volta i russi si sottrassero all'annientamento con una veloce ritirata verso est. Con la stagione che iniziava ad essere troppo avanzata per poter portare avanti la campagna, Napoleone si vide davanti due linee d'azione[7]: poteva trascorrere l'inverno a Smolensk, per riprendere i combattimenti con la bella stagione, ma ciò avrebbe obbligato l'imperatore a lasciare l'esercito ed a rientrare a Parigi per occuparsi delle questioni di governo, dando ai russi l'opportunità di attaccare la Grande Armée mentre lui era assente; in alternativa, poteva sfruttare gli ultimi giorni di bel tempo per portare avanti l'azione, marciando su Mosca e sperando che la caduta della città spingesse lo zar a chiedere la pace. Napoleone scelse questa seconda linea d'azione, anche se le truppe sotto il suo diretto comando cominciavano a diminuire: a causa delle perdite e della necessità di distaccare reparti per proteggere i territori conquistati, al momento della partenza da Smolensk il nucleo centrale della Grande Armée era ora ridotto a 156.000 uomini[7].

Ormai sommerso dalle critiche dopo la sconfitta di Smolensk, Barclay de Tolly venne sollevato dal comando e rimpiazzato dall'anziano generale Kutuzov, molto più ben visto dagli ambienti militari[7]. Kutuzov, le cui forze ammontavano ora a circa 120.000 uomini, avrebbe preferito proseguire nella tattica della ritirata davanti all'armata francese, ma venne convinto ad opporre resistenza all'invasore davanti Mosca; tra il 5 ed il 7 settembre, le due armate si affrontarono nella battaglia di Borodino: lo scontro, sanguinosissimo, venne vinto dai francesi, ma Kutuzov riuscì a sganciare il suo esercito ed a mantenerlo coeso. Il 15 settembre, le forze francesi fecero il loro ingresso a Mosca, semideserta dopo la fuga di gra parte della popolazione; poco dopo l'ingresso dei francesi, la città venne avvolta da numerosi incendi, che imperversarono fino al 20 settembre distruggendo almeno tre quarti dell'area urbana[8]. Le forze di Napoleone trascorsero un mese accampate nella zona di Mosca, mentre l'imperatore avviava contatti diplomatici con lo zar al fine di pervenire ad un accordo; gli approvvigionamenti erano ormai un problema serio, con le bande di guerriglieri russi e di cosacchi intente ad attaccare i convogli di rifornimento ed i reparti francesi isolati. Il 19 ottobre, con l'inverno ormai iniziato ed i rifornimenti quasi esauriti, Napoleone condusse il suo esercito, ridoto a circa 95.000 uomini[9], fuori da Mosca verso i depositi approntati a Smolensk; inizialmente, l'imperatore tentò di dirigere la sua armata su una strada più meridionale di quella presa all'andata, ma, dopo uno scontro con l'armata di Kutuzov a Maloyaroslavets il 24 ottobre, venne costretto a deviare sulla strada già percorsa, ormai devastata. Kutuzov decise di non ingaggiare più le forze francesi, ma decise di incalzarle mantenendo la sua armata tra di loro e le regioni meridionali della Russa, più ricche di rifornimenti; allo stesso tempo, mentre i cosacchi ed i guerriglieri continuavano a logorare le forze francesi, le forze di Wittgenstein da nord e di Čičagov da sud dovevano convergere sulla via di ritirata del nemico, onde stritolarlo tra le tre armate russe avanzanti. La fame, il freddo e le incursioni dei cosacchi scompaginavano sempre di più i reparti francesi; la situazione peggiorò ancora di più quando il 9 novembre l'armata raggiunse Smolensk, solo per scoprire che i magazzini erano già stati saccheggiati dalle truppe che l'avevano preceduta.




L'esercito russo utilizzò per quanto possibile la strategia della terra bruciata ritirandosi fino a fermarsi nella battaglia di Borodino, il 7 settembre, che a causa della sua drammaticità li obbligò a lasciare libera la strada verso Mosca, conquistata il 14 settembre. Alessandro I rifiutò la resa e Napoleone, senza un chiaro segno di vittoria, si vide costretto a ritirarsi[10] dopo che il governatore, principe Fyodor Rostopchin, ordinò l'incendio totale della città. Così cominciò la disastrosa "Gran ritirata", con 370.000 morti e 200.000 prigionieri. In novembre, rimanevano solo 27.000 soldati per attraversare il fiume Beresina. Napoleone lasciò il suo esercito per tornare a Parigi e preparare la difesa della Polonia dall'avanzata russa. La situazione non era così disperata come poteva sembrare all'inizio: i russi avevano perso 400.000 uomini, tuttavia avevano il vantaggio di alcune linee di rifornimento più vicine e potevano rinnovare le loro truppe con maggiore rapidità dei francesi.

Allo stesso tempo la guerra d'indipendenza spagnola giunse ad una svolta definitiva. Nella battaglia di Vitoria (21 giugno 1813), il Duca di Wellington sconfisse Giuseppe Bonaparte ed i francesi si videro obbligati ad abbandonare la Spagna attraversando i Pirenei.

 
Napoleone alla battaglia di Lipsia (1813)

Vedendo un'opportunità in questa storica sconfitta di Napoleone, la Prussia tornò in guerra; Napoleone credette di poter creare un nuovo esercito tanto grande come quello che aveva mandato in Russia, e rinforzò rapidamente i suoi effettivi nell'est da 30.000 a 130.000 uomini che successivamente arrivarono a 400.000. Gli alleati si videro da lui infliggere 40.000 perdite nelle battaglie di Lützen (2 maggio 1813) e Bautzen (dal 20 al 21 maggio), entrambe combattute da un totale di 250.000 uomini divenendo così le più grandi battaglie di tutte le guerre napoleoniche.

L'armistizio venne dichiarato il 4 giugno e continuò fino al 13 agosto, tempo durante il quale entrambe le parti tentarono di recuperare il milione di perdite che complessivamente avevano avuto da aprile. Anche in questo periodo gli alleati negoziarono per portare l'Austria ad un confronto aperto con la Francia, e riuscirono a formare due eserciti austriaci per circa 800.000 uomini confinati sul fronte tedesco, con una riserva strategica di 350.000, usata per appoggiare le operazioni di confine.

Napoleone poté portare il grosso delle forze imperiali nella regione fino a circa 650.000 uomini, benché solo 250.000 stessero sotto il suo comando diretto, con altri 120.000 agli ordini di Nicolas Charles Oudinot e 30.000 sotto Davout. La Confederazione del Reno diede a Napoleone il grosso delle forze restanti, essendo Sassonia e Baviera i principali contributori. Inoltre, il Regno di Napoli di Murat ed il Regno d'Italia di Eugène de Beauharnais avevano una forza alleata totale di 100.000 uomini, mentre fra 150.000 e 200.000 uomini provenienti dalla Spagna furono costretti a ritirarsi per contrastare le forze spagnole e britanniche che raggiunsero circa le 150.000 unità. Pertanto, 900.000 soldati francesi in totale si opposero su tutti i fronti di battaglia a circa un milione di effettivi alleati, senza includere le riserve strategiche che si stavano formando in Germania. Le apparenze, tuttavia, ingannavano un po' poiché molti dei soldati tedeschi che combattevano nelle linee francesi non erano niente affatto affidabili, ed erano sempre disposti a disertare verso l'esercito alleato. È ragionevole allora dire che Napoleone non potè contare su più di 450.000 uomini in Germania, la qual cosa significava che nonostante tutti i suoi tentativi e propositi, era numericamente superato nel rapporto di due a uno.

Verso la fine dell'armistizio, Napoleone sembrò avere recuperato l'iniziativa a Dresda, dove vinse un esercito alleato numericamente superiore, infliggendogli enormi perdite, mentre i francesi ne soffrirono relativamente poche. Tuttavia, la sufficienza dei suoi marescialli da una parte e la sua mancanza di sicurezza nel resto dell'offensiva, costò loro la perdita del vantaggio parziale che questa significativa vittoria potè assicurare.

 
L'esercito russo entra a Parigi (30 marzo 1814)

Nella battaglia di Lipsia in Sassonia (dal 16 al 19 ottobre del 1813), anche chiamata "battaglia delle Nazioni", 191.000 francesi lottarono contro più di 450.000 alleati, venendo sconfitti e costretti a ritirarsi in Francia. Napoleone lottò in una serie di battaglie, compresa la battaglia di Arcis-sur-Aube, in Francia, ma a poco a poco fu obbligato a retrocedere davanti alla superiorità dei suoi avversari. Durante questi giorni ebbe luogo la campagna dei sei giorni, nella quale l'Imperatore francese vinse diverse battaglie contro le truppe nemiche che avanzavano verso Parigi, ma non riuscì mai a condurre al campo di battaglia più di 70.000 uomini durante tutta la campagna, di fronte a più di mezzo milione di truppe alleate. Nel trattato di Chaumont, del 9 marzo, gli alleati decisero di mantenere la Coalizione fino alla sconfitta definitiva di Napoleone.

Gli alleati entrarono a Parigi il 30 marzo del 1814. Napoleone, deciso a lottare e incapace di accettare la perdita di potere, durante la campagna calcolò di inserire come rinforzo 900.000 reclute fresche, ma poté mobilitarne solo una frazione. Inoltre, i suoi schemi sempre più irreali per la vittoria lasciarono passo ad una realtà senza speranze. Napoleone abdicò il 6 aprile a seguito del trattato di Fontainebleau. Il 1º ottobre ebbe inizio il congresso di Vienna che stabilì la nuova suddivisione politica del continente europeo.

Napoleone fu esiliato all'isola d'Elba, e si restaurò la dinastia Borbonica in Francia sotto Luigi XVIII.



  • Philip Haythornthwaite, Le grandi battaglie napoleoniche, Osprey Publishing, 2005, ISBN 84-9798-181-2
  1. ^ a b c d e Haythornthwaite 2005, vol. 56 pp. 3 - 10
  2. ^ Il cui sovrano era il cognato dello zar
  3. ^ Gerosa 1995, p. 443, riporta un totale di 610.000 uomini schierati in Polonia, con altri 37.000 giunti a campagna iniziata
  4. ^ a b Haythornthwaite 2005, vol. 55 pp. 13 - 14
  5. ^ Gerosa 1995, p. 445
  6. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 57 p. 9
  7. ^ a b c Haythornthwaite 2005, vol. 58 pp. 3 - 8
  8. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 61 pp. 8 - 9. Se gli incendi furono provocati dai saccheggiatori francesi o da incendiari russi sguinzagliati dal sindaco Fyodor Rostopchin, è ancora argomento controverso; in ogni caso, i russi avevano provveduto a rimuovere o distruggere tutti gli equipaggiamenti antincendio presenti in città.
  9. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 62 p. 3
  10. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore napo2