Palazzo Bonet

palazzo storico di Palermo

Palazzo Bonet è un palazzo quattrocentesco di Palermo sito nel quartiere storico della Kalsa o Mandamento Tribunali.

La facciata laterale del palazzo

Storia

L'edificio venne edificato dalla famiglia Bonet, famiglia originaria della Catalogna che ricopriva cariche politiche e militari a Palermo. Gaspare Bonet negli anni 80 del XV secolo decide la costruzione di un proprio palazzo, l'area scelta veniva chiamata della Guzzetta e si trovava all'interno del mercato dei Lattarini. La data esatta di inizio dei lavori di costruzione non è nota, ma si ipotizza intorno al 1485, l'unico documento che ci aiuta a datare il cantiere è il contratto stipulato nell'aprile del 1488 con lo scultore Andrea Mancino, appartenente alla scuola di Domenico Gagini, il contratto prevedeva il taglio dei materiali su pietra e marmo. Si ipotizza che il completamento dell'edificio sia avvenuto nei primi anni 90 del quattrocento, infatti nel 1490 Francesco Abatellis richiedeva, per il suo palazzo, opere marmoree simili a quelle di Palazzo Bonet.

Nel 1549 l'edificio venne ceduto in usufrutto ai padri Gesuiti, ma nel 1951 Ottavio Bonet, discendente di Gaspare, se ne riappropriò non contento dell'accordo economico. Nel 1604 lo stesso Ottavio Bonet donò il palazzo a Don Francesco Bologna; la famiglia Bologna effettuò, durante il suo possesso, alcune modifiche esterne all'edificio, come la modifica delle bifore in grandi finestroni architravati, la decorazione dei solai lignei del piano nobile e, probabilmente, la prima mano di intonaco a rivestimento delle fronti in pietra a vista.

Nel 1618 l'edificio venne acquistato dall’attiguo convento di S. Maria della Misericordia, da questo momento iniziarono i lavori per adeguare l'edificio alle esigenze conventuali. Fra le modifiche degne di nota possono annoverarsi la realizzazione in copertura di un volume edilizio utile a costituire lo “stenditoio” del convento, caratterizzato da ampie archeggiature, la sopraelevazione della torre angolare convertita in campanile, l’eliminazione dei merli con l’abbassamento del solaio di copertura per ricavare una ulteriore elevazione; ancora, la chiusura delle grandi finestre in corrispondenza del piano nobile, sostituite da una serie di più piccole aperture, il tamponamento delle finestre a piano terra e l’apertura di porte di botteghe da concedere in affitto, oltre alla generale e diffusa frammentazione dei volumi interni, con l’introduzione di nuovi sistemi di divisori e di ulteriori orizzontamenti.

Intorno alla metà del XVII secolo la costruzione del convento doveva essere già a buon punto, con il chiostro in fase di completamento, il grande scalone che avrebbe collegato la fabbrica conventuale al primigenio palazzo quasi ultimato. La percezione unitaria delle fronti, avvenne presumibilmente nel 1771, quando si decise di sopraelevare l’ala del convento sulla via S. Anna per realizzare un nuovo coro e nuovi dormitori per i frati; nell’ambito dell’unificazione funzionale dei due organismi architettonici, si inserisce la trasformazione della torre angolare del palazzo Bonet in campanile, così come ben documentato dalla pianta di Gaetano Lazzara del 1703. Dalla fine del XVIII secolo, l’edificio fu interessato da massicci interventi di sostituzione di brani murari nelle parti basamentali, come si può osservare dall’analisi della pezzatura e della natura geologica dei conci, oltre che dalla presenza di fori aventi inclinazione verso l’esterno nello spessore murario che lascerebbero in questo modo supporre l’impiego di sistemi di puntellamento. Il terremoto del marzo 1823 provocò gravi danni alla chiesa, tanto che il 27 luglio 1825 Francesco I autorizzava il convento ad ipotecare i beni di sua proprietà per la restaurazione delle fabbriche della chiesa del detto Convento . Circa eventuali danni al convento non si fa invece esplicito riferimento; tuttavia, la presenza di catene metalliche con testa filettata e piastre nervate in ghisa, di chiara matrice ottocentesca, farebbero ipotizzare consolidamenti eseguiti per fronteggiare i danni. Al XIX secolo, epoca di grande crisi finanziaria per i Francescani, dovrebbe risalire la creazione del piano ammezzato, che parcellizzava il corpo di fabbrica destinato un tempo ai locali di servizio del palazzo Bonet, per la realizzazione di appartamenti dapprima affittati e in seguito venduti a privati. Tutto ciò contribuì a determinare forti modifiche, soprattutto in facciata: si aprirono nuovi vani, si realizzarono balconi e sporti, senza alcuna regola di corrispondenza dei vuoti e senza alcun rispetto per la qualità estetica della preesistenza. L’insediamento nel 1818 nell’edificio delle Regie Scuole Normali, attraverso contratto di locazione con i religiosi, provocò radicali cambiamenti dell’assetto distributivo, di cui l’elemento più evidente fu costituito da una scala a struttura voltata in mattoni pieni -ubicata nel corpo settentrionale- che collegava il cortile al primo piano. Come è noto, con Regio Decreto del 7 luglio 1866 che sanciva la soppressione degli Ordini religiosi, gli edifici conventuali e le chiese della città passarono allo Stato, ed il convento da allora in poi fu adibito a varie destinazioni d’uso. Dal 1870 il secondo piano di Palazzo Bonet diventò quartiere delle Guardie Daziarie Municipali e Ufficio Amministrativo dei Dazi Comunali e del Saggio del Gas; l’8 Gennaio 1872 l’Amministrazione per il Fondo di Culto cedeva e consegnava al Comune di Palermo i locali dell’ex convento e la Chiesa di S. Anna per destinarli ad uffici. Alcuni ambienti di piano terra all’interno del chiostro furono riservati ai Bersaglieri Municipali-Guardie Daziarie. Risale invece 1878 l’utilizzo dei locali al primo piano quale sede del liceo classico Umberto I: tale circostanza determinò ulteriori e drastici cambiamenti nella distribuzione dei locali, sebbene gli stessi da tempo erano già stati destinati ad usi scolastici. Nel 1898 il Comune commissionava all’ing. Pietro Giordano il rilievo dell’intero complesso conventuale, che rappresentò una istantanea delle fabbriche alla fine di quel secolo; in particolare, tale rilievo ha consentito di individuare la presenza dell’ex stenditoio del convento e della scala per accedervi, dimostrando come risultasse errata la datazione agli anni Cinquanta . Il terremoto del 1968 colse le fabbriche durante una delle innumerevoli ristrutturazioni; gli edifici conventuali vennero dichiarati inagibili, probabilmente più per interessi economico-politici che per reali motivazioni di messa in sicurezza, poiché nessuna grave lesione o dissesto strutturale supportava tale provvedimento. Il complesso conventuale veniva abbandonato nell’aprile del 1996, data di inizio dei lavori di restauro. Questi curati dall'Ufficio del Centro Storico si basavano su una progettazzione della Società ITALTER s.p.a. Con l’amara consapevolezza dell’inadeguatezza delle indagini conoscitive preliminari al progetto effettuate, i lavori di restauro iniziarono nel 1996 avviando due fondamentali interventi: la dismissione dei recenti (anni 50)intonaci esterni, effettuata con le cautele del caso, e la demolizione delle evidenti superfetazioni non storicizzate che, oltre a compromettere la lettura dell’edificio, ne mutavano i comportamenti strutturali. A dirigere i Lavori furono chiamati gli architetti Mario Li Castri e Carmelo Bustinto e l'ing. Giuseppe Letizia. L’attivazione del cantiere fece riscoprire anche il rifugio antiaereo –dimenticato- risalente al secondo conflitto mondiale, posto al di sotto della pavimentazione del chiostro e che le indagini geognostiche già redatte non avevano rilevato, provvedendo altresì ad una nuova campagna di saggi per ottenere una dettagliata conoscenza del terreno di fondazione, sia attraverso trivellazioni che tramite indagini soniche effettuate sulle murature. Soprattutto la dismissione degli intonaci e le indagini conoscitive sulle strutture murarie hanno consentito di riportare alla luce il partito architettonico di pregio appartenente all’antica facies della fabbrica rinascimentale. Il “cantiere della conoscenza” si rivelò così una fase imprescindibile di collazione di dati utili per nuovo indirizzo progettuale da mettere in atto, ben differente da quello in precedenza appaltato; in particolare, tale mutato atteggiamento fu motivato anche dal ritrovamento di alcune porzioni dell’originario Palazzo Bonet, che sinteticamente enumeriamo: - il loggiato su pilastri ottagoni con archi ogivali, che era stato tamponato e già comunque individuato dai precedenti progettisti; - l’accesso alla corte dal vicolo dei Corrieri descritto dai documenti d’archivio; - le bifore del piano nobile e, ritrovamento del tutto insperato, anche una delle snelle colonne in marmo di Carrara con capitello e base perfettamente integra e completa; - un portale con cornice archiacuta, di cui il progetto originario non teneva conto prevedendo la demolizione dell’edificio di appartenenza per la realizzazione di una palestra. Questo ed altri edifici elencali limitrofi, ai piani terra erano costituiti da una maglia chiusa di archi in pietra da taglio ed ai piani superiori risultavano parte integrante dell’impianto conventuale; la ricerca storica confermava la loro alienazione dalla proprietà francescana solo in tempi recenti, e pertanto passibili di recupero e valorizzazione; - le finestre “alla catalana” di piano terra con cornice a bastone e decorazione floreale; - le bifore del piano nobile “alla pisanisca” lungo la fronte settentrionale della corte, più piccole rispetto a quelle reperite sulle fronti esterne e l’arco a tutto centro in pietra da taglio utile ad uno degli accessi al piano terra; - l’apparecchio murario in pietra da taglio costituito da massicci cantonali che incorniciano campi murari con tessitura muraria di minore qualità materico-costruttiva; - un pregevole pavimento maiolicato in corrispondenza di un pianerottolo di disimpegno al di sotto della scala con struttura voltata di mattoni pieni, realizzata –come peraltro in precedenza precisato- alla fine dell’Ottocento per consentire l’accesso autonomo al liceo Umberto I; - ancora, l’andamento di alcune porzioni superstiti di cornice nelle murature che indicavano la giacitura di una scala che dalla corte del palazzo immetteva allo scalone che invece dal chiostro conduceva al primo piano del convento, come evidenziato e confermato dalla presenza di un portale in pietra da taglio. Questo ritrovamento e l’assenza di murature di fondazione di eventuali collegamenti verticali nella corte facevano ipotizzare che la scala seicentesca in realtà fosse stata realizzata sfruttando parzialmente una struttura precedente, giustificando altresì l’importanza del grande arco posto sulla fronte settentrionale della corte, che segna l’avvio dello scalone monumentale del palazzo. La rimozione selettiva dell’intonaco dello scalone, ha consentito di rinvenire altresì varie bucature di porte e finestre, che per tipologia e materiali sono attribuibili alla fabbrica rinascimentale; ciò confermerebbe l’ipotesi che lo scalone del convento fosse sorto laddove presumibilmente prima esisteva un vicolo di accesso al viridario del palazzo. Questa congettura spiegherebbe, inoltre, l’anomalia costituita da un lato del palazzo non ortogonale agli altri. Si potrebbe sempre ricondurre a tali considerazioni la presenza di una piccola bifora che al piano terra si apre in un angolo della corte, quasi come se un braccio del cortile fosse stato aggiunto successivamente. Purtroppo, l’esiguità dei riscontri documentari sulle prime fasi costruttive della fabbrica non ci consente di avere certezze sulla sua genesi edificatoria; tuttavia, l’osservazione attenta e diretta ha consentito di giungere alle considerazioni che di seguito si riportano. Il piano ammezzato risultava chiaramente una evidente superfetazione dei primi del secolo e interferiva con il sistema delle bucature rettangolari di matrice catalana che davano luce alta ai locali di piano terra. La monofora al piano nobile non costituiva poi “una originaria bifora” come riportato nella relazione storica a corredo del primo progetto redatto dall’ITALTER, bensì un originario accesso spostato e monumentalizzato probabilmente in tempi recenti, ipotesi suffragata dall’utilizzo di un profilato ad I quale architrave. Il terzo piano era -come dimostrato dai documenti d’archivio, dalla pianta del Lazzara e dal rilievo del Giordano- già esistente sin dai primi del XVIII secolo; la sua edificazione va collocata temporalmente all’epoca dell’accorpamento del palazzo al convento; circa la destinazione d’uso, esso era adibito a lavanderia e stenditoio coperto per i frati, ipotesi questa già sottolineata e confermata dal ritrovamento sul posto di un lavatoio scavato in un blocco di calcare. L’attenta lettura dei materiali e la potenzialità di ricerca che offre un cantiere di restauro ha inoltre consentito l’elaborazione della seguente ipotesi: - esistevano già delle case in parte dell’area su cui si costruì la dimora dei Bonet, probabilmente con accesso dal portale con soprastante ghiera rinvenuto nel corpo su vicolo dei Corrieri. I saggi geognostici hanno rilevato al di sotto di questa zona edificata la presenza di un banco di biocalcarenite superficiale, e quindi l’esistenza di aree non alluvionali, costituendo essa stessa il limite del bordo alluvionale del porto interno del Kemonia; - con i depositi alluvionali, a partire dall’XI secolo circa, il bordo del porto interno si ritira progressivamente sino a scomparire, dando vita al piano della Guzzetta; si rendono così disponibili nuove aree edificabili ed i Bonet -giunti in città al seguito degli Aragonesi - acquistano case e terreni liberi per costruirvi la loro domus magna, accorpando le unità edilizie esistenti o per acquisto diretto o tramite la nota ed utilizzata Prammatica di Re Martino. Gran parte dell’area viene destinata a giardino proprio per la fertilità dei terreni alluvionali; il terreno coltivabile risultava perimetrato da due attraversamenti pubblici, il vicolo su cui i Francescani erigeranno nel ‘600 lo scalone e l’attuale bordo occidentale del chiostro che, anche dopo la realizzazione dello stesso, mantiene ancora oggi l’uso pubblico; - la successiva evoluzione e trasformazione della fabbrica è nota attraverso i riscontri documentari e passa attraverso l’acquisizione del palazzo ai Francescani, con la trasformazione del viridario in chiostro, la saturazione del vicolo con lo scalone, la trasformazione della torre in campanile, la realizzazione della loggia stenditoio e le manomissioni ottocentesche precedentemente descritte ed enumerate.

Architettura

Nella prima metà del XV secolo si iniziano a seguire nuove influenze iberiche tardo-gotiche e temi rinascimentali, in particolare vediamo che alla tradizione locale vengono sovrapposte due differenti correnti, quella lombarda e quella catalana.

I documenti non ci danno altresì elementi utili a comprendere in che modo siano stati accorpati fra loro più edifici preesistenti; il cantiere di restauro ci aiuta a ritenere che diversificati corpi di case vennero acquisite ed accorpate, di cui rimasero superstiti quegli elementi ritenuti di pregio, quali i portali ancora rintracciabili nel corpo orientale del palazzo.

Riguardo alla matrice tipologica, il palazzo Bonet annovera proprio le costanti “peculiari” dei palazzi quattrocenteschi: l’edificio si presenta come un blocco compatto i cui limiti spaziali sono sottolineati da cantonali in pietra viva; i merli di coronamento, la torre e la colonna con lo stemma araldico angolari costituiscono elementi diffusi e dall’unico significato, quello cioè di significare l’affermazione e il prestigio del proprietario e del suo casato.

Il piano terra presenta allo stato attuale sulla piazza e su strada aperture rettangolari caratterizzate da cornici e delicate decorazioni scultoree che testimoniano la continua presenza degli scalpellini e dei maestri lapicidi per tutta la durata del cantiere ; queste illuminavano dall’alto i locali adibiti a magazzini, stalle e cucine; tali finestre sostituirono presumibilmente originarie feritoie o piccole monofore trecentesche. Rileviamo come se in termini di impianto e caratteri tipologici la fabbrica testimonia uniformità a modelli precostituiti ed iterati, nel campo della decorazione si rintracciano invece elementi differenti ed originali, indici di quell’eclettismo e delle diverse matrici culturali appannaggio di maestranze operanti nei cantieri pubblici e privati. Il cortile centrale, dalla forma pseudo quadrangolare, si qualifica alla stregua di spazio interno determinante sia dal punto di vista distributivo che funzionale; ad esso si accede per mezzo di un andito e di un loggiato, quasi a voler segnalare il passaggio dall’esterno al cuore della casa in modo progressivo e filtrato: dal buio dell’androne alla penombra del porticato. Non è dato con precisione ubicare la sede della scala, giacché non è stata trovata alcuna traccia; l’ipotesi della presenza di una scala escuberta alla catalana viene in parte confutata dal mancato ritrovamento nel cortile di strutture fondali di tale collegamento verticale, anche se ciò appare anomalo perché elemento tipico dell’architettura palaziale del periodo risulta il sistema patio-loggia-scala-salone di rappresentanza. La loggia è contrassegnata da tre archi acuti impostati su pilastri ottagoni; riteniamo utile sottolineare come l’utilizzo dell’arco acuto avvicini la fabbrica più alla corrente lombarda goticheggiante che a quella catalana. L’arco depresso, utilizzato già a palazzo Speciale e a palazzo Marchesi, qui non viene riproposto. La pianta a “C” era come riferito chiusa nel lato libero dal muro di cinta di un giardino al quale si accedeva dal cortile; anche la presenza del giardino è per G. Bellafiore un elemento del lessico aragonese , rinvenuto anche nei palazzi napoletani e messinesi. Il piano nobile risulta invece caratterizzato da ampi saloni e da grandi bifore, queste ultime in pietra di intaglio dalla perfetta stereotomia, con esile colonnina centrale in marmo di Carrara; le foglioline alla base della colonna sono analoghe al motivo decorativo delle colonne del cortile di Palazzo Abatellis, ad ulteriore dimostrazione della derivazione di esso dal modello di riferimento costituito proprio dal palazzo Bonet.

Quanto ai principali caratteri costruttivi, le strutture murarie sono realizzate con calcarenite conchiliare dalla cromia grigio-beige (i banchi più antichi), in conci abbozzatamente squadrati messi in opera con poca malta, mentre per i cantonali, i portali, le mostre di finestre ed altre aperture, gli elementi modanati, si utilizzarono conci di intaglio e con lavorazioni accessorie, gli orizzontamenti di piano erano costituiti da solai a doppio ordito decorati all’intradosso da pitture policrome.

Dalla descrizione dei corpi di fabbrica, desumiamo quale fosse la configurazione della fronte principale (sull’attuale via S. Anna) a quel momento, infatti si parla di tre porte grandi che corrispondono cioè una per l’intrata di ditta casa, l’altra intra la vanella della Correria (attuale vicolo dei Corrieri) et l’altra de lo medesimo giardino che corrisponde in detta vanella vicino la chiesa . Con l’acquisizione di casa Bonet e del suo giardino i Padri francescani poterono mettere in pratica i loro grandiosi programmi: fu possibile realizzare, infatti, il refettorio e il chiostro.

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