Pier della Vigna

politico, scrittore e letterato italiano
«L'animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo con morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.»

Pier delle Vigne o della Vigna (in latino Petrus de Vinea; Capua, ca. 1190Toscana, 1249) fu un politico, scrittore e letterato italiano del Regno di Sicilia.

Biografia

Nacque a Capua, intorno al 1190. Una lettera in cui Terrisio d'Atina esprimeva a studenti e professori dell'Università di Bologna, il cordoglio per la morte del maestro Bene da Firenze, potrebbe forse dedursi che Pier delle Vigne fu allievo di Bene allo Studium bolognese[1],

Iniziò la sua carriera nel 1220 come notaio al servizio dell'imperatore Federico II di Svevia. Nel 1225 divenne giudice della Magna Curia, una carica per la quale si vide affidare diverse missioni diplomatiche. Nel 1231 giocò un ruolo di grande importanza per la realizzazione delle Costituzioni di Melfi, codice legislativo emanato da Federico II nel castello della città lucana, considerato uno dei più significativi componimenti della storia del diritto.

La sua carriera proseguì con la nomina nel 1247 a protonotario della corte capo della cancelleria imperiale e logoteta (funzionario preposto al bilancio ed ai conti) finché non fu arrestato a Cremona nel febbraio del 1249.

I motivi dell'arresto non sono mai stati chiariti: si è ipotizzata una congiura o un'accusa di corruzione. Secondo una fonte, fu fatto accecare dall'imperatore nella Rocca di Federico II di San Miniato: ignoto anche il motivo della sua morte, avvenuta poco dopo, per suicidio o per le conseguenze dell'accecamento. Tutte le altre ipotesi sulla sua caduta in disgrazia e sulla sua morte sono da considerare mere congetture.

Pier della Vigna è noto per essere citato nella Divina Commedia precisamente nel XIII canto dell'Inferno. Dante Alighieri, ponendolo nella selva dei suicidi, lo assolve dall'accusa di aver tradito l'imperatore.

Pier della Vigna è considerato il massimo esponente della prosa latina medievale; la sua opera più nota è l'Epistolario latino nel quale applica i precetti della retorica delle artes dictandi. Ha dato un contributo anche allo sviluppo del volgare di scuola siciliana con alcune canzoni, anche se solamente due sono a lui attribuibili con certezza, ed un sonetto di corrispondenza con Jacopo da Lentini e Jacopo Mostacci sulla natura dell'amore.

Note

Bibliografia

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