Cappella Sassetti

cappella nella chiesa di Santa Trinita a Firenze

La Cappella Sassetti è l'ultima cappella del transetto sinistro della chiesa di Santa Trinita a Firenze. La sua straordinaria importanza è data dal bellissimo ciclo di affreschi con le Storie di San Francesco d'Assisi in ottimo stato di conservazione e da molti considerato come il capolavoro di Domenico Ghirlandaio. Opera di grande raffinatezza, è ricca di simboli e allusioni, nonché di preziosi spaccati sui personaggi e sul mondo dell'epoca.

Veduta generale della cappella

Storia

 
Francesco Sassetti, committente inginocchiato, affreschi di Domenico Ghirlandaio

Francesco Sassetti (1421-1490), era un ricco banchiere, uomo di fiducia della famiglia Medici, per i quali dirigeva il Banco Medici. Acquistò nel 1478 in Santa Trinita, una delle basiliche preferite dalle ricche famiglie fiorentine, la cappella dedicata a San Francesco, dopo aver ricevuto il rifiuto di ritrarre il suo santo protettore Francesco nella chiesa dei rivali domenicani in Santa Maria Novella dove la sua famiglia aveva una cappella fin dal Trecento.

Affidò la decorazione all'artista di maggior fama del momento in città, il Ghirlandaio. Il meastro realizzò il ciclo di affreschi tra il 1483 e il 1486, nonostante gli affreschi siano datati in basso, sotto la figura di Francesco Sassetti e di sua moglie inginocchiati come XXV Decembris MCCCCLXXX, 25 dicembre 1480, una data simbolica della sottoscrizione della commissione con il Sassetti, mentre la pala centrale reca come anno il 1585, su un capitello.

Ghirlandaio fuse il tema religioso con uno più prettamente storico, cioè immortalare i committenti e la società fiorentina dell'epoca con i ritratti personoficati nei vari pessonaggi delle scene. Al centro dipinse l'Adorazione dei pastori su tela, verso la cui rappresentazione sembrano convergere gli affreschi intorno.

Gli affreschi e la pala sono anche di centrale importanza per lo studio dell'influenza della pittura fiamminga su quella italiana in generale e fiorentina in particolare: qui infatti si possono riconoscere i primi influssi del Trittico Portinari, la grande opera di Hugo van der Goes portata in città nel 1483 e ora esposta agli Uffizi.

La cappella è stata restaurata nel 2004.

Struttura della Cappella

 
Le pitture esterne
File:Santa Trinita, cappella Sasssetti, Domenico Ghirlandaio 9.JPG
Sepolcro di Francesco Sassetti di Giuliano da Sangallo

La cappella, con l'arco a sesto acuto e le volte a crociera, è in stile tipicamente gotico, come tutta la chiesa di Santa Trinita, ma le aggiunte rinascimentali si fusero bene con la struttura più antica.

Il ciclo affrescato di dispiega su tre pareti incorniciate da elementi architettonici fittizzi. Anche la pala d'altare è circondata da finge un rivestimento in marmo.

Alle due pareti laterali, sopra uno zoccolo all'altezza dell'altare, furono messe le tombe di Francesco Sassetti e di sua moglie Nera Corsi, sotto un arco decorato e dorato, una creazione di Giuliano da Sangallo. Davanti allo spettatore poi, ai lati dell'altare, appaiono le figure inginocchiate dei committenti, Nera Corsi a sinistra e Francesco sassetti a destra, mentre pregano verso la pala centrale con l'Adorazione dei Pastori, sempre di Ghirlandaio.

Gli affreschi di Ghirlandaio si trovano anche nella parete in alto del transetto, fuori dalla cappella e fino alla parte sopra la cappella successiva a sinistra. Questa zona fu imbiancata nel Settecento e gli affreschi furono riscoperti solo nel 1895, per questo sono in condizioni di conservazione peggiori. L'opera esterna è attribuita a tutti e tre i fratelli Ghirlandaio (Domenico, Davide e Benedetto) con aiuti, ed ha una perfetta prosepettiva studiata per essere guardata dal basso. Serve anche per attirare l'attenzione dello spettatore dalla navata verso la cappella che si trova in posizione un pò defilata.

La prima scena dipinta sopra la cappella è la Sibilla Tiburtina annuncia la nascita del Signore, da una leggenda sul tempo dell'Imperatore Augusto, il quale sarebbe venuto a sapere della nascita di un nuovo Redentore grazie alla Sibilla. Due figure, a sinistra la sibilla la quale potrebbe essere un ritratto della figlia di Francesco Sassetti si chiamava proprio Sibilla, guardano e indicano il sole sul quale compare il monogramma di Cristo, vedono quindi in maniera simbolica il sorgere di una nuova era. La scena è dipinta con un perfetto equilibrio tra le figure in primo piano e lo sfondo con il panorama di Roma, comprese le campagne circostanti, una raffigurazione del paesaggio innovativa rispetto ai canonici agglomerati di edifici che spuntano dalle mura.

In corrispondenza del pilatro del muro che divide le due cappelle in alto disegnato un preseguimento fittizio dell'architettura, sul quale poggia un David, come statua dipinta con uno scudo con lo stemma Sassetti, anteriore di 20 anni all'opera di Michelangelo, ma successivo di quasi 50 rispetto a quello di Donatello. Realizzato con la tecnica della grisaille, presenta delle dorature sui sandali, sulla corazza e sull'armatura. La figura del David era molto amata dai fiorentini perché simboleggiava le libertà cittadine, inoltre aveva un importante senso religioso, come antenato del Cristo e profeta (infatti il cartiglio recita "Saluti patriae et christianae gloriae e[x] s[ententia] s[enatus] p[opulique]).

Nella volta furono affrescate nelle vele le 4 Sibille circondate da aureole fiammeggianti e sedute su nuvole, recano dei cartigli con scritte in latino circa il loro presunto ruolo profetico descritto da Virgilio. le scritte riportano:

Hec teste Virgil Magnus, in ultima autem etate; Invisibile verbum palapabitur germinabit.

La prima sopra l'ingresso è la Sibilla Cumana, che profetizza dell'età dell'oro con la nascita di un bambino (secondo Virgilio IV egloga). Le altre sono quella Eritrea e l'Agrippa, mentre la quarta identificazione è incerta, forse la Cimmeria, priva di cartiglio. Per quanto riguarda la qualità pittorica, solo i volti sembrano di mano di Domenico, mentre i corpi, di proporzioni inesatte, con il disegno delle mani un po' incerto, fanno pensare a un lavoro di bottega.

Le Storie di San Francesco

 
Domenico Ghirlandaio, San Francesco rinuncia ai beni terreni

Il ciclo affrescato di dispiega su tre pareti incorniciate da elementi architettonici fittizzi e si legge su sei scene a partire dalla parte alta della parete sinistra, fino a quella bassa della parete sinistra che sono:

  1. La rinuncia ai beni terreni
  2. Il miracolo delle stimmate
  3. L'approvazione della Regola Francescana
  4. Il miracolo del fanciullo resuscitato (un evento legato alla famiglia Sassetti e non all'agiografia tradizionale del santo)
  5. La prova del fuoco
  6. La morte di San Francesco

Dal punto di vista dell'iconografia in genere si ritiene che il Ghirlandaio non conoscesse le Storie della Basilica di San Francesco di Assisi, ma certamente aveva visto quelle della Cappella Bardi in Santa Croce.

La rinuncia ai beni terreni

In alto nella parete sinistra, raffigura il giovane Francesco che ha rinunciato ai beni terreni spogliandosi delle vesti pubblicamente e mentre viene protetto dal vescovo di Perugia, il padre irato è trattenuto dietro di lui da alcuni individui, alcuni dicono solo sostenuto, come se ormai fosse già rassegnato alla sorte del figlio. La scena si svolge sullo sfondo di una città nordica che è stata riconosciuta come Ginevra o Lione dove il Sassetti aveva prestato servizio per i Medici. Le figure di contorno potrebbero essere opera dei fratelli di Domenico e della bottega.

Il miracolo delle stimmate

 
Domenico Ghirlandaio, Miracolo delle stimmate

in basso sulla parete sinistra rappresenta San Francesco inginocchiato con le braccia aperte a ricevere il segno divino da un gruppo di angeli celesti. Fu eseguito in 10 giornate e pur seguendo l'impostazione di Giotto in Santa Croce, il Ghirlandaio sembra predilire come modello più il rilievo marmoreo del pulpito, sempre in Santa Croce, opera di Benedetto da Maiano. Il miracolo avvenne alla Verna, la cui rocca è fedelmente riprodotta al centro dello sfondo, con una mirabile rappresentazione naturalistica forse senza precedenti. A destra si riconosce una città su un lago, una rappresentazione fantasiosa di Pisa della quale si riconosce abbatsanza chiaramente il Duomo e la Torre Pendente.

La realizzazione pittorica è eccellente, anche nelle parti più difficili come i volti, le mani sottili del Santo e il panneggio, con una pennellata rapida ed esperta peculiare del maestro. La luce divina dell'apparizione porta alcuni magici riflessi sul volto del santo e sul saio. Da notare anche l'abilità nel rappresentare un cervo in scorcio.

La conferma della regola

 
Domenico Ghirlandaio, La conferma della regola

Nella parete centrale in alto, rappresenta San Francesco che viene ricevuto da Papa Onorio III. La scena si inquadra con grande perizia ed originalità, all'interno di una cattedrale, facendo sì che l'arco della cappella sembri un arco della chiesa sulla quale si apre la scena. La scena è ambientata a Firenze anziché a Roma, con una chiara rappresentazione di Piazza della Signoria sullo sfondo (senza ancora la Fonatana del Nettuno), con la Loggia della Signoria (ancora senza statue) al centro e Palazzo Vecchio di fianco, dietro al quale si intravede l'aspetto della chiesa di San Pier Scheraggio, prima che fosse distrutta per far spazio agli Uffizi. La scelta di ambientare la scena a Firenze denota l'importanza data alla città, che nei circoli umanisti venivà considerata come la nuova Roma o la nuova Gerusalemme.

Un disegno ora a Berlino mostra come il Ghirlandaio avesse inizialmente pensato la scena in maniera più tradizionale, seguendo l'iconografia di Giotto in Santa Croce, senza i ritratti. Nell'elaborazione definitiva però creò i tre pianbi della scena, cioè la scalinata verso il basso, con alcune teste che emergono, la chiesa con la scena principale e lo sfondo. L'occhio dello spettatore veniva così guidato dalla serie di personaggi che compongono la scena. A destra in primo piano compaiono il Gonfaloniere di Giustizia Antonio Pucci, cognato di Francesco Sassetti, Lorenzo il Magnifico, Francesco Sassetti stesso e il figlio Federigo. Lorenzo è quello che tende la mano ad Agnolo Poliziano, in testa si figli del Magnifico che stanno salendo le scale dietro di lui: Giuliano futuro Duca di Nemours, Piero il Fatuo e Giovanni futuo Papa Leone X; chiudono il corteo gli altri educatori dei rampolli di casa Medici, Luigi Pulci e Matteo Franco.

Il Sassetti invece con un gesto della mano indica i suoi figli, dall'altra parte della scala a sinistra, Galeazzo, Teodoro e Cosimo.

La composizione, così originale e perfettamente armoniosa è uno dei vertici più alti dell'arte del Ghirlandaio.

Il miracolo del fanciullo resuscitato

 
Domenico Ghirlandaio, Il miracolo del fanciullo resuscitato

Detto anche il Fanciullo di Casa Spini resuscitato, si tratta della rappresentazione di un miracolo postumo di San Francesco, legato alla famiglia Sassetti e non a caso raffigurato nel punto centrale del ciclo di affreschi, nel quale fu attribuita al Santo un miracoloso intervento che resuscitò un bambino caduto da una finestra di Palazzo Spini, proprio nell'antistante Piazza Santa Trinita. Sebbene la scena sia cronologicamente l'ultima pare essere una continuazione delle storie vicine, fra le quali quella della morte è quella che sembra chiudere il ciclo. Come modello si dice che il Ghirlandaio si ispirò alla scena del Pagamento del Tributo di Masaccio nella Cappella Brancacci.

Il bambino risorto sta al centro del dipinto seduto con le mani giunte su un letto coperto da tessuti orientaleggianti. San Francesco apper in cielo e lo benedice, mentre ai due lati due gruppi di individui (uomini a destra, soprattutto donne a sinistra) assistono alla scena. In questi gruppi si concentrano un gran numero di ritratti di personaggi contemporanei, fra i quali si riconoscono innanzitutto i componenti della famiglia Sassetti. Le cinque donne a sinistra dovrebbero essere le figlie di Francesco sassetti, mentre gli uomini davantia destra i rispettivi mariti o fidanzati. L'ultimo uomo della prima fila a sinistra è lo stesso pittore che qui si autoritrasse in una fiera posizione con una mano sui fianchi. Curiosa è la presenza di una serva di colore, con il naso schiacciato e con le labbra tumide. Sulla destra si riconoscono i ritratti poi di alcuni ricchi personaggi fiorentini, come Maso degli Albizi, Agnolo Acciaiuoli e Palla Strozzi, mentre l'uomo in primo piano quasi girato di spalle è Neri di Gino Capponi. Le due ultime figure a destra rappresentano forse il Poliziano e il Fonzio.

La scena è ambientata in Piazza Santa Trinita ed è un eccezionale testimonianza che rappresenta con precisione l'aspetto della piazza nel '400, con la facciata della chiesa ancora romanica, con il severo Palazzo Spini Feroni ancora caratterizzato da un aspetto a fortezza e con il Ponte Santa Trinita allora spoglio e disadorno. Le tre figure dietro la bara potrebbero essere di aiuto, forse di Sebastiano Mainardi.

La prova del fuoco

 
Domenico Ghirlandaio, La prova del fuoco

In alto nella parete destra, rapresenta San Francesco che va a predicare dal sultano e questi lo incita a passare sopra al fuoco per dimostrare la sua santità e a sua volta San Francesco sfida i consiglieri del sultano. Lo schema compositivo ricalca abbastanza fedelmente la struttura dell'analogo affresco di Giotto in Santa Croce: il Sultano al centro, a destra San Francesco con i suoi confratelli e a sinistra i consiglieri del sultano, con l'innovazione però di mettere una figura di spalle in primo piano, che fa convergere l'attenzione sul centro della scena. Particolarmente dello è il manto cangiante di uno dei consiglieri, ma tutta la scena è di altissima qualità pittorica, con i volti dipinti con quella sicurezza di un grande maestro.

La morte di San Francesco

 
Domenico Ghirlandaio, Morte di san Francesco

Chiude la serie la scena in basso a destra, eseguita in 28 giornate, dove il santo giace morto disteso su un catafalco al centro di una grande chiesa rinascimentale, con svariate figure attorno. Chiara è la derivazione dal Giotto di Santa Croce (gli stessi gesti dei monaci per esempio), anche se il Ghirlandaio se ne distacca in diversi elementi, come l'impianto monumentale dello sfondo, e il diverso grado di emozioni che pervadono i presenti.

Le tre persone a destra sono padre, figlio e nipote non identificabili, forse legati alla famiglia Sassetti. A destra di nuovo il Poliziano e il Fonzio.

La pala dell' "Adorazione dei Pastori"

 
Domenico Ghirlandaio, Adorazione dei Pastori, Santa Trinita, Firenze

Realizzata nel 1485, la tavola di forma quadrata (167x167 cm) completa il ciclo con la rappresentazione sacra della Natività, o meglio, vista la presenza delle tre figure in primo piano, l'Adorazione dei pastori.

Si tratta di uno dei capolavori di Domenico e della pittura fiorentina in generale, dove per la prima volta sono chiari i segni dell'influenza della pittura fiamminga su quella fiorentina, dopo lo studio e la graduale assimilazione del celebre Trittico Portinari, la grande tavola fiamminga della natività, opera di Hugo van der Goes portata a Firenze nel 1483 dalla famiglia Portinari per la chiesa di Sant'Egidio, che arrivò come una meteora fulgida nella scena artistica fiorentina, influenzando profondamente i pittori rinascimentali che cercarono comprenderne le diversità e carpirne i segreti soprattutto nella resa della luce e nel naturalismo spettacolare. In particolare il Ghrilandaio fu il primo a riproporre il soggetto di Van der Goes, copiando abbastanza fedelmente il gruppo dei pastori sulla destra, fra i quali pose un suo autoritratto nel primo uomo a sinistra. La cornice riporta infatti la scritta "Ipsum quem genuit adoravit Maria" ("colui che adorava inginocchiato Maria"), forse un riferimento proprio all'autore stesso.

Inoltre tipicamente fiamminga è l'attenzione al dettaglio, dove però ogni oggetto ha un preciso ruolo simbolico, e la fine prospettiva aerea, con il paesaggio che sfuma in lontananza verso una minuta rappresentazione di colline e città. La città più lontana a destra è un riferimento a Gerusalemme con l'edificio a cupola, davanti alla quale sorge un albero secco con un ramo spezzato, simbolo della conquista della medesima. La città di sinistra invece è un'elaborazione di Roma, nella quale si riconoscono i sepolcri di due imperatori profetici, Augusto, con il mausoleo e Adriano, che si pensava sepolto sotto la Torre delle milizie, ma si intravede anche quella che sembra Santa Maria del Fiore, a ribadire il ruolo di Firenze come nuova Roma.

La pala è affiancata dagli affreschi dei due committenti inginocchiati, che si uniscono così alla sacra adorazione, formando così una specie di trittico a tecnica mista.

La scena si svolge su un prato fiorito, sul quale spicca a sinistra la figura di Maria in primo piano inginocchiata davanti al bambino che è appoggiato sul suo largo manto ed è separato da resto della scena da una quinta rappresentata da un sarcofago romano antico, sul quale compare un iscrizione: ("Ense cadens soly mo Pompei Fulvi[us] augur Numen aitquae me conteg[it] urna dabit") che allude alla venuta di un salvatore attraverso la profezia dell'augure Fulvio, ucciso con la spada da Pompeo durante la presa di Gerusalemme. Secondo questa infatti dal sarcofago che custodisce le sue spoglie sorgerà un dio, un riferimento alla vittoria di Cristo sul paganesimo, ma un esempio dello sdoganamento tipicamente rinascimentale degli antich (almeno fino alla presa di potere del Savonarola), dei quali si sottolinea ora il ruolo profetico nel passaggio verso l'era cristiana.

Vicino a Maria sta San Giuseppe che scruta il cielo, mentre dietro al sarcofago appaiono il bue e l'asinello (che secondo la patristica rappresentano rispettivamente gli ebrei e i pagani), infine a destra i tre pastori. Sullo sfondo si vedono i pastori con le greggi ai quali l'angelo sta annunciando la nascita del Signore, mentre sulla sinistra sta pervenendo il meastoso coreto dei magi, mentre sta passando sotto un arco di trionfo. Sull'arco è scritto "Gn[eo] Pompeo Magno Hircanus Pont[ifex] P[osuit]" (Pompeo infatti aveva conquistato Gerusalemme) e il passaggio al di sotto di esso ha anche un senso simbolico, inteso come il lasciarsi alle spalle l'era pagana. A sinistra i primi due magi sono già vicini e guardano una luce che si intravede sul tetto della capanna, la cometa, che brilla sul tetto di paglia sorretto da monumentali pilasti romani, uno dei quali reca sul capiotello la data MCCCCLXXXV (1485). Tutti questi elementi architettonici antichi simbolizzano, come il sarcofago, la nascita di Cristo come adempimento delle profezie dei testi sacri e la fine dell'attesa del Messia.

I tre sassi in primissimo piano, roccia naturale, pietra lavorata e mattone, sono un riferimento alla famiglia "Sassetti" e all'attività dell'uomo. Sopra di essi sta un cardellino, simbolo della passione e resurrezione di Cristo.

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