Monte Echia

altura di Napoli

Monte Echia (detto anche Pizzofalcone o Monte di Dio) è uno sperone roccioso, interamente in tufo giallo, ubicato nella parte meridionale della città di Napoli con direzione nord-sud.

Monte Echia da via Santa Lucia

Si staglia sul Golfo di Napoli fra il borgo di Santa Lucia ad est, la conca di Chiaja ad ovest e sovrasta l’isolotto di Megaride a sud.

Su di esso i Cumani fondarono nell'VIII secolo a.C.la colonia greca di Partenope, primo insediamento urbano della città di Napoli.[1]

Storia

Il villaggio era collegato con la spiaggia e il porto da una sola via di accesso, comodo approdo alla foce del fiume Sebeto, protetto dal colle stesso. Questo primo nucleo abitativo, baluardo militare, è stato semi abbandonato alla metà del VI secolo a.C. Insediamento satellite di una ben più ampia città, ha ripreso a vivere con la fondazione di Neapolis, nel 474 a.C., con il nome di Palepoli.

Inglobato nel castrum lucullanum (villa di Lucullo che si estendeva fino all’isola di Megaride) in Età Imperiale, ospitò i famosi giardini luculliani, pieni di piante esotiche e rare specie avicole.

 
Monte Echia, sulla sinistra di via Chiatamone

L’antico nome del monte, Platamon (sopravvissuto nel toponimo della via che corre alla sua base, via Chiatamone), significa "rupe scavata da grotte". All'interno di monte Echia si aprono infatti innumerevoli cavità, abitate sin dalla preistoria e fino all’età classica. Successivamente divennero sede di riti mitriaci, di cenobiti nel Medioevo e di orge nel XVI secolo. Queste ultime destarono enorme scandalo, spingendo il viceré Pedro de Toledo alla loro ostruzione[2].

Al medesimo viceré Don Pedro si deve l’ampliamento cinquecentesco che per la prima volta inglobò all’interno delle mura il monte Echia, ancora in epoca aragonese fortezza militare siti Perillos, propaggine esterna della città.

In seguito alla frana verificatasi la sera del 28 gennaio 1868, il Genio militare compì diverse perizie, volte ad accertare se l’evento catastrofico fosse stato determinato da un’errata costruzione dei muri di sostegno della scarpata; in quella occasione fu redatta, dall’ingegnere Alfonso Guerra, la prima pianta delle grotte del Monte Echia, per documentare l’esistenza di cavità alle quali si aveva accesso dagli edifici collocati lungo via Santa Lucia e via Chiatamone.

Alla fine del XIX secolo, con la costruzione di via Caracciolo e la colmata a mare, lo sperone del monte nei pressi di via Chiatamone fu ridimensionato.

Luoghi di interesse

Attualmente monte Echia fa parte del quartiere San Ferdinando. Fra gli edifici più importanti vi sono da segnalare:

 
Targa di Editto di dono al popolo della fonte d'acqua ferrata - 1731 - via Chiatamone

Da questo monte aveva origine la sorgente di un'acqua bicarbonato-alcalino-ferruginosa di origine vulcanica, nota ai napoletani di un tempo come acqua zuffregna o acqua ferrata. Dal nome delle anforette (le mummarelle) utilizzate per raccogliere e vendere ai banchi della città, quest'acqua era anche detta acqua di mummare.

La sorgente venne chiusa agli inizi degli anni settanta a causa di timori di contaminazioni per l'epidemia di colera, per poi essere restituita ai napoletani, dopo 27 anni e numerosi controlli, da quattro apposite fontanelle site in via Riccardo Filangieri di Candida Gonzaga, l'antica via del parco del castello, nei pressi di Palazzo Reale. Un'altra fontana della stessa fonte, donata nel 1731 al popolo del borgo di Santa Lucia, in via Chiatamone è ancora murata.

Trasporti

Note

  1. ^ Archemail.it Ricerche archeologiche della sopraintendenza di Napoli e Pompei, su archemail.it. URL consultato il 2 agosto 2012.
  2. ^ "In quel lito del mare giaceno le deliziose Grotte Platamonie fatte con artificio di mani per comune diletto di coloro che, per rinfrescare gl’immensi ardori dell’estate, passeggiavano quinci e si riparavano con spessi e sontuosi conviti, ricevendo dispogliati la grata aura e il desiderato fiato di ponente, e nudi tra le chiare onde a nuoto si difendeano dal noioso caldo". Benedetto di Falco, secolo XV. "Quivi, come narrasi, la gente allegra e spensierata accorreva a banchettare e a darsi spasso; finché i sollazzi mutati, poscia, in orgie scandalose, resero quei luoghi dei sozzi postriboli". Loise de Rosa, Cronache e Ricordi, 1452.
  3. ^ http://www.anm.it/Upload/RES/PDF/LINEE/E6_2012.pdf

Voci correlate

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