Nella storia culturale occidentale, Pitagora (570-495 a.C. circa) è considerato l'iniziatore e l'emblema stesso del vegetarianismo. Questa immagine del leggendario saggio greco è legata in primo luogo ai celebri versi delle Metamorfosi del poeta romano Ovidio, un testo scritto seicento anni dopo l'epoca in cui visse Pitagora:

«Per primo si scagliò contro l'abitudine di cibarsi di animali, per primo lasciò uscire dalla sua dotta bocca parole come le seguenti [...]: «Smettetela, uomini, di profanare i vostri corpi con cibi empi! Ci sono le messi, ci sono alberi stracarichi di frutti, ci sono turgidi grappoli d'uva sulle viti! Ci sono erbe dolci e tenere [...]. Avete a disposizione il latte e il miele profumato di timo. La terra nella sua generosità vi propone in abbondanza blandi cibi e vi offre banchetti senza stragi e sangue [...]. Che enorme delitto è ingurgitare viscere altrui nelle proprie, far ingrassare il proprio corpo ingordo a spese di altri corpi, e vivere, noi animali, della morte di altri animali[1]

I biografi e gli autori del mito pitagorico, fra cui lo stesso Ovidio, spiegano totalmente o in parte il vegetarianismo di Pitagora con la credenza nella metempsicosi[2]. Il Pitagora di Ovidio inoltre condanna anche il sacrificio rituale[3], ritenendo che la perversa dieta carnea, negazione della condizione felice dell'antica Età dell'oro, sia nata col sacrificio cruento agli dei: in tal modo, il vegetarianismo pitagorico si configura non soltanto come una scelta privata, ma anche come un rifiuto dai risvolti politici e sociali.

Nella metempsicosi credeva anche Empedocle (490-430 a.C. circa), dedito anch'esso alla dieta pitagorica e ugualmente contrario al sacrificio animale. Secondo la leggenda, dopo una vittoria olimpica alla corsa dei carri, per rispettare l'usanza che il vincitore sacrificasse un bue, fece fabbricare un bue di mirra, incenso e aromi, e lo distribuì secondo rito[4].

Il vegetarianismo era una componente centrale anche nella corrente religiosa dell'orfismo[5] (contemporanea al pitagorismo), e un aspetto importante della figura mitica di Orfeo era il suo rapporto con la natura e la sua vicinanza al mondo animale[6].

Sebbene con Aristotele (384-322 a.C.) venga negata agli animali la ragione, il logos, instaurandosi un confine netto tra l'uomo e l'animale, non tutti i suoi discepoli concordavano con questa visione, e sembra che molti siano stati vegetariani. Tra questi, Teofrasto (371-287 a.C), autore di un trattato sulla pietà, condanna il sacrificio cruento e il consumo di carne, affermando che uccidere un animale è ingiusto, perchè lo si priva della vita[7].

Plutarco (46-120 d.C.), in polemica con Aristotele e con le idee degli stoici secondo le quali non esisterebbe alcuna relazione di giustizia tra l'uomo e gli animali, nel suo dialogo Sull'intelligenza degli animali comincia con una condanna della caccia e della macellazione, in quanto fonte di insensibilità e crudeltà e quindi causa di un danno sociale, e presenta un gran numero di argomenti a favore della razionalità animale[8]. Nel saggio Del mangiar carne, invece, si concentra sull'orrore di quella che considera come un'inutile crudeltà, legata non alla povertà e alla necessità, ma all'arroganza della ricchezza:

«ma voi, uomini d’oggi, da quale follia e da quale assillo siete spronati ad aver sete di sangue, voi che disponete del necessario con una tale sovrabbondanza? Perché calunniate la terra, come se non fosse in grado di nutrirvi? [...] Non vi vergognate di mischiare i frutti coltivati al sangue delle uccisioni? Dite che sono selvatici i serpenti, le pantere e i leoni, mentre voi stessi uccidete altre vite, senza cedere affatto a tali animali quanto a crudeltà. Ma per loro il sangue è un cibo vitale, invece per voi è semplicemente una delizia del gusto[9]

Porfirio (232-309 d.C.), nell'Astinenza degli animali, tratta il sacrificio degli animali e il consumo della carne come uno sviluppo del sacrificio umano e del cannibalismo, e riconosce una piena continuità fra uomo e animale, rivendicando per quest'ultimo non solo la ragione, ma anche un linguaggio, pur se l'essere umano non è in grado di comprenderlo: «è infatti come se i corvi sostenessero che solo la loro è voce e che noi siamo privi di ragione perchè non diciamo parole facilmente riconoscibili ad essi[10]». Fondamentalmente, afferma Porfirio, gli argomenti dell'uomo contro la ragione animale sono dovuti alla ghiottoneria.

Tipici dei primi secoli cristiani sono gli eremiti e i monaci, consacrati ad una volontaria emarginazione sociale, e pur se il vegetarianismo non rappresentava un precetto (tanto che in alcuni monasteri si allevavano addirittura animali), molti eremiti e monaci mangiavano solo pane e in scarsa quantità, e alcuni rifiutavano anche gli alimenti cotti. Per l'asceta ortodosso questa pratica alimentare era vissuta essenzialmente come un sacrificio mirante alla purificazione dell'anima attraverso la mortificazione del corpo, ed era dunque una scelta che aveva a che fare solo con il rapporto personale con Dio[11].

Nel III secolo viene fondato il manicheismo, i cui iniziati non si cibavano nè di carne nè di uova e non bevevano vino – una forma di vegetarianismo che traeva origine dal loro sistema religioso, basato su una visione dualistica imperniata sul conflitto tra i due principi opposti della Luce e delle Tenebre[12].

Più tardi, tra il XII e il XIV secolo, si diffonde in Europa il catarismo: la convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del Male comportava la negazione dell'atto sessuale – considerato come un errore, soprattutto in quanto responsabile della procreazione, cioè della creazione di una nuova prigionia per un altro spirito – e pertanto i catari rifiutavano ogni alimento originato da un atto sessuale (carne e uova – ma non il pesce, in quanto in epoca medievale non era ancora nota la genesi per riproduzione sessuale degli animali acquatici)[13].

Nella seconda metà del Seicento, durante l'espansione coloniale della potenza inglese e l'avvio dello sfruttamento degli schiavi neri per la produzione dello zucchero, si aggiungono al vegetarianismo nuovi argomenti legati al mutamento del contesto storico. Una figura emblematica di questa fase è lo scrittore inglese Thomas Tryon (1634-1703), che denuncia il comportamento dell'europeo cristiano definendolo un oppressore intollerante il cui lusso e i cui sprechi «non possono essere mantenuti se non principalmente grazie alla grande Oppressione degli Uomini e degli Animali[14]».

Nel Settecento il vegetarianismo inizia ad essere un argomento sostenuto e diffuso dai medici, in nome della salute e delle caratteristiche dell'anatomia e della fisiologia umana che, a partire dall'apparato digerente, dalla dentatura e dalle mani, dimostrerebbero la natura vegetariana dell'uomo. Tra i più noti medici e scienziati fautori del vegetarianismo nell'Europa di questo periodo troviamo in Svezia Linneo (1707-1778) e i suoi discepoli, in Francia Louis Lémery (1677-1743) e Philippe Hecquet (1661-1737), in Inghilterra Edward Tyson (1651-1708), John Arbuthnot (1667-1735) (medico della famiglia reale inglese) e George Cheyne (1671-1743), in Italia Antonio Cocchi (1695-1758) – la cui influenza ebbe dimensioni internazionali e che nel 1743 pubblicò Del vitto pitagorico per uso della medicina, destinato ad essere più volte ristampato e tradotto sia nel Settecento che nell'Ottocento e a suscitare un vivo dibattito, soprattutto tra i medici italiani dell'epoca[15].

In questo periodo Voltaire (1694-1778) torna sulla questione della crudeltà verso gli animali e del vegetarianismo in numerose opere.

  • L'inglese John Frank Newton (1770-1825?) pubblica nel 1811 The Return to Nature, una difesa basata su testimonianze di tipico medico ed etnologico del regime vegetariano, adottato in quegli anni insieme al naturismo non solo da lui (che riusciva così a tenere a bada l'asma), ma dalla moglie, dai figli ancora bambini e da altri amici, tra cui il dottor William Lambe (1765-1847), docente all'università di Cambridge e fautore del vegetarianismo terapeutico, che applicò a molti suoi pazienti, e Percy Shelley (1792-1822), che in Vindication of Natural Diet indica la dieta carnea come un simbolo del lusso che, insieme ad altri falsi bisogni indotti tra i poveri, ritiene all'origine dello sfruttamento del lavoro e delle disuguaglianze sociali[16].

In Inghilterra, questo fermento del vegetarianismo nel panorama culturale del paese porterà, nella prima metà dell'Ottocento, alla nascita di un movimento vegetariano inglese e alla costituzione della Vegetarian Society, fondata il 30 settembre 1847 a Ramsgate, nel Kent. Alla sua prima assemblea annuale, tenutasi a Manchester, la società contava già 478 membri, l'anno dopo, all'incontro tenutosi a Londra, si decise di lanciare il primo periodico, The Vegetarian Messenger, e negli anni cinquanta dell'Ottocento il movimento si ampliò ulteriormente, creando una rete di sezioni[17].

Negli Stati Uniti dell'Ottocento troviamo molte vegetariane nel nascente movimento per i diritti delle donne – come vegetariana era stata già Mary Wollstonecraft (1759-1797), autrice nel 1792 di A Vindication of the Rights of Woman. Tra queste, Harriet Beecher Stowe (1811-1896), conosciuta per il suo La capanna dello zio Tom, che nel 1896 pubblicò un articolo sui diritti degli animali su Heart and Home, un periodico destinato al pubblico femminile, Margaret Fuller (1810-1850), che in Woman in the Nineteenth-Century affermava che l'integrazione della donna nella vita pubblica avrebbe portato ad una femminilizzazione della cultura che avrebbe posto fine a ogni forma di sofferenza, compresa l'uccisione degli animali per l'alimentazione umana, Elizabeth Stuart Phelps Ward (1844-1911), autrice di libri contro la vivisezione, e altre[18].

In Francia il vegetarianismo degli inizi dell'Ottocento è legato alla vita dello scrittore Jean Antoine Gleizès (1773-1843) che, abbandonati gli studi di medicina per ripugnanza verso la vivisezione, pose al centro della propria vita il vegetarianismo, l'armonia con la natura e la difesa degli animali. Lo scrittore trovò l'ambiente ideale per esprimere e diffondere il vegetarianismo nella setta dei Méditateurs de l'Antique, un gruppo di giovani artisti che visse in comune praticando il vegetarianismo dal 1795 al 1805.

Un'altra figura del vegetarianismo francese di questo periodo è il politico e poeta Alphonse de Lamartine (1790-1869) che, pur avendo in seguito abbandonato questo regime alimentare dopo essere stato cresciuto vegetariano dalla madre, nelle sue opere continuò ad insistere sul tema della crudeltà dell'uccisione degli animali e della dieta carnea[19].

Gleizès fu molto apprezzato anche dal compositore tedesco Richard Wagner, vegetariano e autore di scritti contro la vivisezione. Secondo Wagner, la marcia della civiltà e della scienza ha trasformato l'uomo in un feroce animale da preda, il quale si vanta di possedere una ragione che altro non è che una dissimulazione di cui gli animali, nella purezza dei loro sentimenti, sono incapaci. Nelle idee del compositore ci sono tuttavia anche influenze di un profondo antisemitismo, che lo condussero a incriminare il consumo di carne come il male che aveva contaminato la razza ariana[20].

L'inglese Howard Williams (1837-1931) pubblicò nel 1881 The Ethics of Diet, compendio degli argomenti per il vegetarianismo e delle biografie dei maggiori esponenti antichi e moderni. Nell'opera sono fusi gli argomenti etici e scientifici in un credo laico di «umanità, giustizia e compassione», che per l'autore rappresentano la sola vera religione universale, portatrice di una futura rivoluzione sociale basata sull'idea di giustizia universale[21].

Un'altra figura importante di questo periodo è l'inglese Henry S. Salt (1851-1939), vegetariano etico che difende instancabilmente con numerose opere quelli che comincia l'autore stesso a chiamare animal rights (diritti animali), all'interno di una più ampia visione umanitaria in cui si impegna attivamente per l'abolizione della pena di morte e la riforma carceraria. Salt vedeva anche una evidente contraddizione in chi dichiarava di battersi per la protezione degli animali continuando a seguire una dieta carnea. Nel 1891 fondò la Humanitarian League, per comabattere l'ingiustizia, la disuguaglianza e la crudeltà sia verso gli esseri umani sia verso gli altri animali[22].

Il celebre scrittore Lev Tolstoj (1828-1910) passa al vegetarianismo nel 1885, durante il suo periodo di profonda crisi spirituale che lo spinge ad adottare una posizione di difesa non-violenta per gli oppressi. L'autore nel suo Il primo passo indica il vegetarianismo quale primo passo verso un autocontrollo a cui tutti gli esseri umani dovrebbero aspirare. Nell'opera Tolstoj racconta delle sue visite ad un mattatoio e delle profonde impressioni che la vista degli animali uccisi ha lasciato in lui: «Non possiamo fingere di non sapere. Non siamo struzzi e non possiamo credere che se ci rifiutiamo di guardare ciò che non desideraimo vedere, questo non esisterà[23]».

Il politico e filosofo indiano Mohandas Gandhi (1869-1948) era cresciuto vegetariano secondo l'uso che prevaleva nella casta dei mercanti, nonostante da ragazzo compì in segreto esperimenti carnivori, concepiti come una sfida alla tradizione indù e all'imperialismo britannico. Trasferitosi a Londra a vent'anni per studiare legge, entrò presto in contatto con i membri della Vegetarian Society, di cui divenne prima socio e poi dirigente. Il suo impegno per la causa del vegetarianismo proseguì anche dopo, in Sudafrica, dove fondò due comuni vegetariane rurali[24].

Sul finire dell'Ottocento in Inghilterra il movimento vegetariano, dopo una fase di stagnazione, inizia a riprendersi velocemente, come dimostrano il numero di ristoranti vegetariani aperti in questo periodo (solo a Londra nel 1889 erano più di trenta). La composizione sociale del mondo vegetariano andava mutando: diminuivano i lavoratori e cresceva l'adesione nelle classi medie e tra gli intellettuali. Gli appassionati di ciclismo, sport appena nato, si organizzarono nel Vegetarian Cycling Club, e i periodici vegetariani non mancavano di registrare i successi degli atleti vegetariani. Il commediografo George Bernard Shaw (1856-1950), convertitosi alla dieta pitagorica dopo la lettura di Shelley, diede un notevole contributo alla diffusione della causa, battendosi anche contro la vivisezione e gli sport cruenti. Altre femministe inglesi di questo periodo furono vegetariane, come Charlotte Despard, leader della Woman's Freedom League, anch'essa convertita al vegetarianismo dalla lettura di Shelley e in contatto con Gandhi[25].

Agli inizi del Novecento l'industria alimentare inizia ad interessarsi delle potenzialità commerciali del vegetarianismo, e nel 1908 viene fondata l'International Vegetarian Union[26].

Nel novembre del 1944 nasce in Inghilterra, a Londra, la Vegan Society, fondata da Donald Watson, che vedeva l'abbandono di latte, latticini e uova come una logica conseguenza della scelta vegetariana, dato il legame tra la produzione di questi alimenti e l'industria dell'allevamento. I vegetariani tradizionali dell'epoca rifiutavano e contrastavano questa posizione, che fino agli anni sessanta sarebbe stata accusata di estremismo sociale e come pericolosa per la salute[27][28].

Durante gli anni sessanta il vegetarianismo sarà molto diffuso nel nascente movimento di rivolta giovanile antiautoritaria, come parte del rifiuto della vita borghese e della scelta di una povertà volontaria vissuta come indipendenza mentale e frugalità salubre per il corpo e lo spirito[29].

Nel 1975 viene pubblicato Liberazione animale, del filosofo australiano Peter Singer, la prima opera contemporanea sui diritti animali che conobbe una vasta diffusione internazionale. Con questo testo Singer fornisce argomenti razionali contro il pregiudizio e la discriminazione di specie (specismo) e indica il vegetarianismo come un obbligo etico nel rispetto della vita degli animali. Singer individua nella capacità di soffrire di un individuo la sola condizione per la sua appartenenza alla sfera dei diritti naturali e – sostiene l'autore – non esiste giustificazione morale del rifiuto di valutare la sofferenza di un essere senziente alla pari di quella di un altro, a prescindere dal colore della pelle, dal genere e dalla specie. In quest'ottica il piacere del palato offerto dalla carne animale all'uomo risulta di conseguenza irrilevante a fronte dei maltrattamenti subiti dall'animale nell'allevamento e della sua uccisione[30].

Liberazione animale, nonostante le numerose critiche di cui è stato oggetto, ha tuttavia consentito l'avvio per un dibattito filosofico e pubblico sui diritti animali. Tra le opere più importanti in questo campo, si inserisce I diritti animali, pubblicato qualche anno più tardi, nel 1983. L'autore, il filosofo statunitense Tom Regan, criticando e rigettando le posizioni di Singer, mira a dimostrare che la vita animale ha valore intrinseco e che quindi gli animali devono essere trattati non come mezzi, ma come fini: il vegetarianismo, pertanto, si configura nella teoria di Regan come una doverosa e logica conseguenza del fatto di riconoscere il diritto di vivere all'animale[31]. Nel corso degli anni e tutt'ora molti altri autori si sono confrontati su questi temi, e nonostante la diversità degli approcci sostenuti, tutti concordano nel ritenere il vegetarianismo – e, attualmente, in particolare il veganismo – una scelta morale obbligata.

Oggi il vegetarianismo si è consolidato come un fenomeno in genere socialmente meglio accettato e convenzionale, affiancato da una crescente diffusione di libri, siti internet e periodici dedicati e dalla nascita di associazioni locali e nazionali, e con una presenza di dimensioni crescenti sul mercato alimentare.

OK FINITO, DA RILEGGERE E TAGLIUZZARE







Note

  1. ^ Ovidio, Metamorfosi, pagg. 72-93. Cit. in: Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 16.
  2. ^ Ad esempio, Porfirio, in Vita di Pitagora, scrive: «è particolarmente noto a tutti in primo luogo che egli sostiene che l'anima è immortale e trasmigra in altre specie di esseri animati; oltre a ciò, che in periodi determinati ciò che una volta è esistito esiste una seconda volta e niente è assolutamente nuovo, e che si devono considerare della stessa specie tutti gli esseri che hanno vita». Cit. in: Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 19.
  3. ^ «Una vittima senza macchia, dal bellissimo aspetto (questo le è stato fatale!), ornata d'oro e cionta di bende, viene collocata davanti all'altare, ode preghiere di cui non capisce il senso, vede che le pongono tra le corna quelle messi che sono cresciute grazie alla sua fatica e infine viene colpita e arrossa di sangue il coltello che forse aveva intravisto poco prima, riflesso nell'acqua limpida. Ed ecco che i sacerdoti si affrettano a scrutare dentro le viscere strappate al suo petto ancor caldo [...]. E di queste osate cibarvi, uomini? Tanto grande è la vostra fame di cibi proibiti!» Ovidio, Metamorfosi, pagg. 130-138. Cit. in: Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 16.
  4. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 19.
  5. ^ «quando non si osava neppure gustare la carne di bue, nè si sacrificavano animali agli dei, bensì si offrivano focacce e frutti immersi nel miele e altri simili sacrifici puri, e quando ci si asteneva dalle carni, ritenendo contrario alla religione il mangiarne e macchiare di sangue gli altari degli dei: piuttosto gli uomini viventi allora avevano certi modi di vita che si chiamano orfici, rivolgendosi a tutto ciò che non ha vita e astenendosi al contrario da tutti gli esseri animati». Platone, Leggi, 782 c-d, cit. in G. Colli, La sapienza greca, tomo I, Adelpgi, Milano 2005, pag. 163.
  6. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 20.
  7. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 24.
  8. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 25.
  9. ^ Plutarco, Del mangiar carne. Trattati sugli animali, ed. Adelphi, Milano, 2001, a cura di Dario del Corno, traduzione e note di Donatella Magini.
  10. ^ Porfirio, Astinenza degli animali, III, 5,3. Cit. in Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 28.
  11. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pagg. 36-38.
  12. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 33.
  13. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 39.
  14. ^ Thomas Tryon, Friendly Advice to the Gentlemen-Planters of the East and West Indies, London, 1684, pag.166. Cit. in: Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 60.
  15. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pagg. 74-77.
  16. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pagg. 94-95.
  17. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 98.
  18. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pagg. 100-101.
  19. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pagg. 101-102.
  20. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 104.
  21. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 105.
  22. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pagg. 105, 108.
  23. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pagg. 105-106.
  24. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pagg. 107-108.
  25. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pagg. 109-110.
  26. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 111.
  27. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 123.
  28. ^ The Vegan Society, History
  29. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci Editore, 2008, pag. 124-125.
  30. ^ Peter Singer, Liberazione animale.
  31. ^ Tom Regan, I diritti animali.