Tullio Calcagno

presbitero e giornalista italiano

Tullio Calcagno (Terni, 10 aprile 1899Milano, 29 aprile 1945) è stato un presbitero e giornalista italiano, che aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Nel 1944 fondò la rivista "Crociata Italica", di cui divenne direttore, che divenne la più venduta nel territorio della Repubblica Sociale.

Tullio Calcagno

Biografia

L'infanzia e la gioventù

Nato da una famiglia povera di Terni il 10 aprile 1899, entrò in seminario all'età di 10 anni[1] Nel 1918 lasciò il seminario perché insieme ai cosiddetti "Ragazzi del '99", partecipò alla prima guerra mondiale arruolato nell'esercito. Nel 1924 divenne parroco della Cattedrale di Terni.

Fu inizialmente contrario alla firma del Concordato del 1929 da parte della Santa Sede[1], ma in seguito cambiò idea ritenendo che la firma di questo patto avrebbe causato un risveglio della religiosità cattolica in tutto il mondo[1].

Si avvicinò al fascismo in occasione della Guerra in Etiopia, divenendo un grande sostenitore del regime italiano[1]. Nel 1940 si schiera con i favorevoli alla guerra[1] e nel giugno del 1943 pubblica senza approvazione ecclesiastica Guerra di Giustizia, libro all'insegna della fedeltà alla Patria e all'alleato tedesco, al di sopra di ogni contingenza. Il 30 giugno fu convocato a Roma dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e redarguito al fine di convincerlo ad astenersi dalla politica attiva[2]

L'adesione alla Repubblica Sociale Italiana

Dopo l'armistizio di Cassibile aderì alla Repubblica Sociale Italiana presentandosi nella appena riaperta sezione fascista di Terni. La sua scelta politica finì con il metterlo in contrasto con la Santa Sede. La Convenzione di Ginevra vietava infatti agli stati neutrali, come la Santa Sede, di riconoscere una legittimità internazionale e diplomatica agli stati nati in occasione di conflitti bellici, come nel caso della RSI; Calcagno dissentiva con questa scelta, in realtà obbligata, e cominciò a distaccarsene nei comportamenti.

A partire da questa frattura con le autorità vaticane, iniziò a collaborare con riviste e quotidiani fascisti, come il Regime fascista[1], diretto allora dal gerarca Roberto Farinacci, segnalandosi subito per i suoi articoli molto aggressivi e attirandosi l'ostilità del vescovo di Cremona Giovanni Cazzani, che esortò i fedeli a diffidare di lui e lo sospese a divinis.

La "Crociata Italica"

 
Don Calcagno a Venezia parla ai fascisti veneziani

Calcagno, sostenuto in questo da Farinacci, anche lui in forte contrasto con il vescovo di Cremona che gli mise a disposizione i finanziamenti iniziali e la tipografia de "Il Regime fascista"[3], rispose fondando nel 1944 un nuovo giornale, la Crociata Italica[1] il cui primo numero uscì il 9 gennaio 1944 e che in breve tempo raggiunse la tiratura record per l'epoca di centomila copie[2] e diventando il giornale più venduto nel territorio della Repubblica Sociale[4]. In esso ribadì la propria fedeltà alla Chiesa cattolica romana:

«Siamo cattolici apostolici romani, figli devoti e membri vivi almeno d'abito e di proposito dell'unica Santa Chiesa e tali intendiamo e speriamo di restare, con la grazia di Dio, fino alla tomba, nell'eternità della Chiesa trionfante. Cattolici rispettosi della santa tradizione; ossequienti alla sacra gerarchia; osservanti (pur con le nostre debolezze) della santa legge; professanti fermissimamente la fede cristiana cattolica fino alla condanna dell'ultima eresia, il modernismo, sino al dogma dell'infallibilità, non solo della Chiesa Cattolica, come unica depositaria della divina rivelazione, ma anche del Papa, quando, come Capo della Chiesa e legittimo interprete della Sacra Scrittura e Tradizione, insegna ex cathedra, in materia di fede e di costumi, come argomento apodittico e definitivo di verità.»
 
Don Edmondo De Amicis, già cappellano delle CCNN in Africa Orientale in sostituzione di padre Reginaldo Giuliani[6] collaborò alla rivista. Fu ucciso dai partigiani il 26 aprile 1945

Fin dal primo numero della rivista don Calcagno si attirò l'ostilità delle gerarchie cattoliche che temevano l'iniziativa giudicata "un errore storico e un' eresia antitaliana"[7]. Visto il successo della rivista i tedeschi offrirono a don Calcagno appoggi e aiuti che furono da quest'ultimo rifiutati[8]. Alla rivista parteciparono anche altri parroci come don Edmondo De Amicis, don Antonio Padoan e fra Ginepro da Pompeiana che inviarono articoli[9].

Dalle colonne del nuovo quotidiano, il sacerdote attaccò violentemente tutta quella parte del clero che dopo aver lodato il fascismo anche con "manifestazioni solennissime" ne aveva preso le distanze nel momento della difficoltà[5]. Nel novembre 1944 pronunciò alla radio un durissimo discorso in cui prese le distanze dalla chiesa di Roma

«Noi Crociati Italiani abbiamo proclamato e proclamiamo alto e forte, senza ambiguità, che la nostra Patria, l'unica vera Patria è l'Italia che il 22 maggio strinse il Patto d'acciaio con la Germania, il 10 giugno 1940 scese in guerra contro le plutocrazie d'occidente, Francia e Inghilterra, a fianco della Germania, l'8 settembre 1943 non abbandonò e non tradì l'alleata Germania...Noi Crociati Italici, Re d'Italia sarà Cristo e solo Cristo, che non tradisce. A Lui e per Lui all'uomo che con migliore diritto di ogni altro appare da lui mandato a guidarci, Benito Mussolini, noi ubbidiremo fino alla morte..»

Lo scontro divenne talmente aspro che Calcagno fondò un'associazione con lo stesso nome della testata che si proponeva l'obiettivo, radicale e velleitario, di un'imponente riforma della Chiesa cattolica che portasse alla creazione di una Chiesa cattolica autocefala, cioè indipendente da quella romana e con un primate italiano distinto dal Papa di Roma: secondo lui, infatti, il sommo pontefice rivestiva un ruolo troppo universale per difendere adeguatamente gli interessi italiani[1].

La scomunica

Questo proponimento era troppo radicale per passare inosservato alle gerarchie cattoliche e il 24 marzo 1945, con il decisivo contributo dell'arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster, don Tullio Calcagno fu scomunicato[1]. A questo punto decise di chiudere il giornale e il 24 aprile 1945 di trasferirsi a Crema in casa di amici disposti ad aiutarlo. Qui fu trovato dai partigiani che tentarono di arrestarlo ma don Calcagno riuscì a fuggire[11] e a trovare rifugio presso presso il Vescovo della città Francesco Maria Franco. Il 27 il Vescovo lo trasferì presso il seminario comboniano[12] ma qui fu trovato dai partigiani ed arrestato e in serata trasferito a Milano dove condivise la prigionia con il cieco di guerra e medaglia d'oro Carlo Borsani. Il 29 aprile furono entrambi portati dalle scuole di viale Romagna dove un improvvisato "tribunale del popolo" che, nel caso di don Calcagno "con la semplice formale constatazione della sua identità personale"[13], li condannò alla fucilazione.

Condotti a piazzale Susa furono entrambi fucilati[1]. Don Calcagno, con indosso l'abito talare, ebbe solo il tempo di inginocchiarsi per farsi il segno della croce[13] prima di essere raggiunto dalla raffica. Un sacerdote della vicina chiesa di Santa Croce, accorso al rumore degli spari impartì alla salma l'estrema unzione sub condicione[14]. Per sfregio le salme furono poi trasportate su un carretto per la spazzatura e tumulate nel cimitero del Musocco, campo 10 in una tomba senza nome. Nel 1949, dopo ricerche effettuate dai fratelli[15], la salma fu traslata nel cimitero della sua città natale[1].

Note

  1. ^ a b c d e f g h i j k Gianna Giannini, Fascismo: biografie, don Calcagno, su storiaxxisecolo.it. URL consultato il 18-6-2010.
  2. ^ a b Don Tullio Calcagno, il prete che andò a morire con Mussolini, Francesco Lamendola
  3. ^ http://archiviostorico.corriere.it/1994/giugno/21/con_Dio_con_Duce_co_0_94062113355.shtml
  4. ^ Fascismo: biografie, don Calcagno
  5. ^ a b Silvio Bertoldi, Salò vita e morte della Repubblica Sociale Italiana, BUR, settembre 2005, pag 355
  6. ^ L'Illustrazione italiana n°8, anno LXIII, pag 315
  7. ^ http://archiviostorico.corriere.it/1994/giugno/21/con_Dio_con_Duce_co_0_94062113355.shtml
  8. ^ Silvio Bertoldi, Salò vita e morte della Repubblica Sociale Italiana, BUR, settembre 2005, pag 356
  9. ^ Silvio Bertoldi, Salò vita e morte della Repubblica Sociale Italiana, BUR, settembre 2005, pag 354
  10. ^ Silvio Bertoldi, Salò vita e morte della Repubblica Sociale Italiana, BUR, settembre 2005, pag 357
  11. ^ Silvio Bertoldi, Salò vita e morte della Repubblica Sociale Italiana, BUR, settembre 2005, pag 361
  12. ^ Emilio Cavaterra, Sacerdoti in grigioverde, Mursia, 1993, pag 160
  13. ^ a b Silvio Bertoldi, Salò vita e morte della Repubblica Sociale Italiana, BUR, settembre 2005, pag 362
  14. ^ http://archiviostorico.corriere.it/1994/giugno/21/con_Dio_con_Duce_co_0_94062113355.shtml
  15. ^ http://archiviostorico.corriere.it/1994/giugno/21/con_Dio_con_Duce_co_0_94062113355.shtml

Voci correlate