Inceneritore

impianto per lo smaltimento di rifiuti mediante combustione ad alta temperatura
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Gli inceneritori con recupero energetico, o anche termovalorizzatori, sono impianti che smaltiscono rifiuti (generalmente i rifiuti solidi urbani, che trattati adeguatamente vengono definiti CDR, ovvero combustibile derivato dai rifiuti) usandoli come combustibile per produrre calore e/o elettricità.

Inceneritori e termovalorizzatori: il quadro della situazione

Denominazione e utilità

 
Inceneritore di Kwai Chung, Hong Kong, attualmente dismesso

Spesso gli inceneritori vengono chiamati "termovalorizzatori". La differenza sostanziale rispetto a un semplice inceneritore è che un termovalorizzatore oltre a incenerire i rifiuti riutilizza parte del calore come in una piccola centrale elettrica, anche se con rendimenti molto inferiori.
Il termine "termovalorizzatore" è tuttavia criticato, in quanto il riuso ed il riciclo sono nettamente più "valorizzanti" dell'incenerimento: per esemplificare, si risparmia molta più energia riutilizzando e riciclando una bottiglia di plastica di quanta energia non si ricavi dalla sua combustione, perché quest'ultima permette di recuperare solo una minima parte dell'energia e delle materie prime consumate per produrla; d'altro canto – anche in una situazione ideale di alti valori di riciclo e recupero – è necessario smaltire, eventualmente anche mediante incenerimento, i rifiuti residui (si veda sotto).
Sono inoltre da considerare le emissioni più o meno tossiche che si ottengono con l'incenerimento, e che invece con il riciclo ed il riuso sono minori anche se difficilmente valutabili. Il termine "termovalorizzatore" appare dunque fuorviante, specie se – come ha fatto recentemente un noto politico italiano – si dipingono irresponsabilmente i "termovalorizzatori" come qualcosa che «trasforma i rifiuti in energia», come per magia, senza perdite energetiche, scorie o rilascio di inquinanti di alcun tipo. Sarebbe quindi opportuno utilizzare gli inceneritori esclusivamente per i rifiuti difficilmente riciclabili.

La stessa normativa italiana in materia non usa il termine "termovalorizzatore", bensì quello di "inceneritore", e anche nelle altre nazioni europee il termine termovalorizzatore non esiste. D'altronde, anche il solo termine inceneritore potrebbe essere considerato fuorviante e impreciso, perché i termovalorizzatori non producono solo cenere ma recuperano anche un minimo di energia. Perciò la soluzione migliore (anche se più lunga) è inceneritore con recupero energetico.

Contesto normativo e incentivi

In Italia, la produzione di energia elettrica tramite incenerimento dei rifiuti è indirettamente sovvenzionata dallo Stato per sopperire alla sua antieconomicità: infatti questa modalità di produzione è considerata impropriamente, come "da fonte rinnovabile" (assimilata) alla stregua di idroelettrico, solare, eolico e geotermico. Pertanto chi gestisce l'inceneritore – per otto anni dalla sua costruzione – può vendere al Grtn (il gestore della rete elettrica italiana) la propria produzione elettrica a un costo circa triplo rispetto a quanto può fare chi produce elettricità usando metano, petrolio o carbone. I costi di tali incentivi ricadono naturalmente sulle bollette, che comprendono una tassa per il sostegno delle fonti rinnovabili. Ad esempio nel 2004 il Grtn ha ritirato 56,7 TWh complessivi di elettricità da fonti "rinnovabili", di cui il 76,5% proveniente da termovalorizzatori e altri fonti assimilate, spendendo per questi circa 2,4 miliardi di euro.[1] A titolo di confronto, nel 2006 a seguito dell'introduzione degli incentivi in conto energia per il fotovoltaico sono stati stanziati solamente 4,5 milioni di euro per 300 MW di potenza.[2]

L'Unione Europea ha inviato una procedura d'infrazione all'Italia per gli incentivi dati dal governo italiano per produrre energia bruciando rifiuti inorganici e considerandola come "fonte rinnovabile". A tal proposito già nel 2003 Il Commissario UE per i Trasporti e l'Energia, Loyola De Palacio, in risposta ad una interrogazione dell'On. Monica Frassoni al Parlamento Europeo, ha ribadito (20.11.2003, risposta E-2935/03IT) il fermo no dell'Unione Europea all'estensione del regime di sovvenzioni europee per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, previsto dalla Direttiva 2001/77, all'incenerimento delle parti non biodegradabili dei rifiuti. Queste le affermazioni testuali del Commissario all'energia: «La Commissione conferma che, ai sensi della definizione dell'articolo 2, lettera b) della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile». Il fatto che una legge nazionale (Legge 39 del 1.3.2002, art. 43) proponga di includere, nell'atto di recepimento italiano della Direttiva 2001/77 (recepita in Italia col D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387), i «rifiuti tra le fonti energetiche ammesse a beneficiare del regime riservato alle fonti rinnovabili, ivi compresi i rifiuti non biodegradabili», non rende meno grave la palese violazione di quanto dettato dalla direttiva europea. Una contraddizione è presente nella direttiva comunitaria 2001/77/Ce, che autorizza in deroga l'Italia a considerare l'energia prodotta dalla quota non rinnovabile dei rifiuti nel complesso dell'elettricità prodotta da fonti rinnovabili ai fini del raggiungimento dell'obiettivo del 25% del totale nel 2010: proprio questa deroga è nel 2006 stata attaccata in sede di Parlamento europeo coll'emendamento (articolo 15 bis) alla legge Comunitaria 2006.[1]. La finanziaria 2007 ha tentato di escludere le fonti "assimilate" (fra cui gli inceneritori) da questi incentivi, concedendo però una deroga a tutti gli impianti già in funzione o autorizzati. Il fatto che, a detta di qualcuno, l'attività principale e più lucrosa degli inceneritori con recupero di energia sia lo smaltimento dei rifiuti e non l'ottenimento dei suddetti incentivi [3], è in parte smentita dalla intensa attività di pressione politica che si è scatenata intorno alla cancellazione degli incentivi nella finanziaria 2007.

Diffusione in Italia ed in Europa

I termovalorizzatori/inceneritori sono dotati di sistemi di controllo e riduzione delle emissioni che ne fanno, a detta di alcuni, una realtà compatibile con le esigenze di tutela ambientale, tanto che sono inseriti all'interno di svariati contesti urbani in tutto il mondo (ad esempio a Vienna, Parigi, Londra, Copenaghen e Tokyo). In Europa sono attivi attualmente 304 impianti di termovalorizzazione/incenerimento, in 18 Nazioni. Paesi quali Svezia, Danimarca e Germania ne fanno ampio uso; in Olanda (ad Avr e Amsterdam) sorgono i più grandi termovalorizzatori/inceneritori d'Europa, che permettono di smaltire fino ad un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti all'anno. Anche in Olanda comunque la politica è quella di bruciare sempre meno rifiuti per cercare di dismettere un giorno gli impianti esistenti. A tal proposito sono attuate amplissime forme di raccolta differenziata e riduzione alla fonte anche con una legge nazionale sul riutilizzo delle bottiglie di vetro e di plastica (ogni cittadino paga una cauzione sulle bottiglie di plastica e vetro che gli viene restituita con un bonus per il supermercato quando riconsegna le bottiglie negli speciali spazi presso i centri commerciali).

In Italia i termovalorizzatori sono ancora poco diffusi, anche a causa dei dubbi che permangono sulla nocività delle emissioni nel lungo periodo e delle resistenze di parte della popolazione: a Trezzo sull'Adda, in provincia di Milano, v'è uno dei più moderni termovalorizzatori/inceneritori in esercizio in Europa. A Brescia, in prossimità della città, c'è il termovalorizzatore più grande d'europa (750000 tonnellate l'anno: il triplo di quello di Vienna) che soddisfa da solo circa un terzo del fabbisogno di calore dell'intera città (1100 GWh/anno) e che, nonostante sia stato oggetto di diverse procedure di infrazione da parte dell'Unione Europea, nell'ottobre 2006 è stato proclamato «migliore impianto del mondo»[4] dal Waste to Energy Research and Technology Council,[5] un organismo indipendente formato da tecnici e scienziati di tutto il mondo e promosso dalla Columbia University di New York; suscita però qualche perplessità il fatto che questo organismo annoveri tra gli "enti finanziatori e sostenitori" la Martin GmbH,[6] che è tra i costruttori dell'inceneritore premiato. Nel resto del settentrione sono diffusi piccoli impianti a scarso livello tecnologico con basso rendimento, per i quali sono necessari dei rammodernamenti (come a Desio, Valmadrera e Cremona).

Funzionamento di un inceneritore a griglie

Il funzionamento di un termovalorizzatore tipico può essere suddiviso in sette fasi fondamentali:

  1. Arrivo dei rifiuti — Provenienti dagli impianti di selezione opportunamente dislocati sul territorio (ma anche direttamente dalla raccolta del rifiuto tal quale), i rifiuti sono conservati in un'area dell'impianto dotato di sistema di aspirazione, per evitare il disperdersi di cattivi odori. Con una gru i materiali sono depositati nel forno. La tecnologia di produzione della frazione combustibile (CDR) e sua termovalorizzazione sfrutta la preventiva disidratazione biologica dei rifiuti seguita dalla separazione degli inerti (metalli, minerali, ecc.) dalla frazione combustibile, che può essere termovalorizzata producendo energia elettrica con resa nettamente migliore rispetto all'incenerimento classico e con una sensibile diminuzione di impatto ambientale.[7]
  2. Combustione — Il forno è, solitamente, dotato di una o più griglie mobili per permettere il continuo movimento dei rifiuti durante la combustione. Una corrente d'aria forzata viene inserita nel forno per apportare la necessaria quantità di ossigeno che permetta la migliore combustione, mantenendo cosí alta la temperatura (fino a 1000 °C e più). Per mantenere tali temperature viene anche immesso del gas metano (da 4 a 19 m³ per tonnellata di rifiuti [senza fonte]).
  3. Produzione del vapore — La forte emissione di calore prodotta dalla combustione di metano e rifiuti porta a vaporizzare l'acqua in circolazione nella caldaia posta a valle, per la produzione di vapore.
  4. Produzione di energia elettrica — Il vapore generato mette in movimento una turbina che, accoppiata ad un motoriduttore ed alternatore, trasforma l'energia termica in energia elettrica.
  5. Estrazione delle scorie — Le componenti dei rifiuti che resistono alla combustione (circa il 10% del volume totale ed il 30% in peso, rispetto al rifiuto in ingresso) vengono raccolte in una vasca piena d'acqua posta a valle dell'ultima griglia. Le scorie, raffreddate in questo modo, sono quindi estratte e smaltite in discarice speciali. Separando preventivamente gli inerti dalla frazione combustibile si ottiene un abbattimento della produzione di scorie.
  6. Trattamento dei fumi — Dopo la combustione i fumi caldi passano in un sistema multi-stadio di filtraggio, per l'abbattimento del contenuto di agenti inquinanti sia chimici che solidi. Dopo il trattamento e il raffreddamento i fumi vengono rilasciati in atmosfera a circa 140° C.[8]
  7. Smaltimento ceneri — Le ceneri residue della combustione (circa il 30% in peso ed il 10% in volume del materiale immesso nell'inceneritore) sono normalmente classificate come rifiuti speciali non pericolosi, mentre le polveri fini (circa il 4% del peso del rifiuto in ingresso) intercettate dai sistemi di filtrazione sono normalmente classificate come rifiuti speciali pericolosi. Entrambe sono normalmente smaltite in discariche per rifiuti speciali; ci sono recenti esperienze di riuso delle ceneri pesanti.

Recupero energetico

Gli inceneritori a recupero energetico permettono di ricavare energia per produrre corrente elettrica e calore.

Scaldando del vapore, si alimentano delle turbine che producono elettricità, ma i rifiuti non sono un buon combustibile per la produzione di elettricità, perché avendo un basso potere calorifico lavorano a temperature molto inferiori rispetto alle centrali a combustibili fossili, producendo quindi vapore a pressione relativamente bassa e conseguentemente poca elettricità. Per ovviare a tale problema, come detto, viene aggiunto del metano per permettere la combustione.

Un'importante tecnologia abbinata ai termovalorizzatori è il teleriscaldamento, che grazie al recupero del calore prodotto, permette di aumentare notevolmente il rendimento energetico del termovalorizzatore. Va rilevato però che solo una piccola minoranza degli attuali termovalorizzatori è collegata a sistemi di teleriscaldamento.

L'efficienza energetica di un termovalorizzatore è variabile tra il 19 e il 27% se si recupera solo l'energia elettrica[9], ma aumenta molto col recupero del calore. Ad esempio, nel caso dell'inceneritore di Brescia si ha un rendimento del 26% in produzione elettrica e del 58% in calore recuperato, per un totale dell'84%.[10] Bisogna però considerare che non sempre il calore recuperato può essere effettivamente utilizzato (ad esempio, in estate potrebbe non essere sfruttato).

  Lo stesso argomento in dettaglio: Teleriscaldamento.

Scorie

L'incenerimento dei rifiuti produce scorie pari circa al 10-12% in volume e 15-20% in peso dei rifiuti introdotti, e in più ceneri per il 5%.[11]

  • Le ceneri volanti e le polveri intercettate dall'impianto di depurazione dei fumi sono rifiuti speciali, che come tali sono soggetti alle apposite disposizioni di legge e sono poi conferiti in discariche controllate.
  • Le scorie pesanti, formate dal rifiuto incombusto – acciaio, alluminio, vetro e altri materiali ferrosi, inerti o altro –, sono raccolte sotto le griglie di combustione e possono poi essere divise a seconda delle dimensioni e quindi riciclate.

Le scorie sono generalmente smaltite in discarica e (specie nel caso delle polveri, rifiuti speciali) costituiscono una grossa voce di spesa. Tuttavia, possono rivelarsi produttive: un esempio di riciclaggio delle scorie dei termovalorizzatori è l'impianto BSB di Noceto, nato dalla collaborazione fra CIAl (Consorzio Imballaggi Alluminio) e Bsb Prefabbricati: qui si trattano le scorie provenienti dai termovalorizzatori di Silea (provincia di Lecco) e di Hera (Rimini, Ferrara, Forlì, Ravenna): 30'000 tonnellate di rifiuti l'anno da cui si ricavano 25'000 tonnellate (83%) di materiale destinato alla produzione di calcestruzzo, 1.500 tonnellate (5%) di metalli ferrosi e 300 tonnellate (1%) di metalli non ferrosi di cui il 65% di alluminio. Le scorie e le ceneri vengono caricate su un nastro trasportatore; i rottami ferrosi più consistenti sono subito raccolti, quelli più piccoli vengono rimossi poi con un nastro magnetico; appositi macchinari separano dal resto i rimanenti metalli a-magnetici (prevalentemente alluminio); tutto il resto, miscelato con opportune dosi di acqua, inerti, cemento e additivi, e reso così inerte, va a formare calcestruzzo subito adoperato per la produzione di elementi per prefabbricati. E così, paradossalmente, il termovalorizzatore, nell'ideale comune spesso considerato l'antitesi della raccolta differenziata, può rivelarsi un valido alleato nella lotta per il riciclaggio. Inoltre, con un trattamento di questo genere, in quanto ultimo anello della catena del sistema di riciclaggio l'inceneritore può annullare del tutto il ricorso alla discarica, che è sempre la soluzione peggiore. Un'altra tecnologia che si sta sperimentando è la vetrificazione delle ceneri. Con questo sistema si inertizzano le ceneri, risolvendo il problema dello smaltimento delle stesse come rifiuti speciali, inoltre si studia la possibilità di un loro riutilizzo come materia prima per il comparto ceramico e cementizio (si veda anche sotto).

Altre tecnologie

Esistono alcune alternative ai classici termovalorizzatori a combustione a griglia.

Torcia al plasma

Una tecnologia molto interessante è la torcia al plasma, originariamente sviluppata per la Nasa allo scopo di mettere alla prova i materiali realizzati per resistere alle altissime temperature cui sono sottoposte le navicelle spaziali al rientro nell'atmosfera a causa dell'attrito. Il plasma generato dalla torcia comprende gas ionizzato a temperature comprese fra i 7.000 e i 13.000 °C: l'elevatissima quantità di energia, applicata ai rifiuti:

  • decompone le molecole organiche (in una zona di reazione dove la temperatura va dai 3.000 ai 4.000 °C), che, con l'aggiunta di vapore d'acqua, producono così un gas di sintesi simile a quello prodotto una volta nei gasogeni a carbone, e più precisamente composto di idrogeno (53%) e monossido di carbonio (33%), nonché anidride carbonica, azoto molecolare e metano (recuperato per produrre elettricità);
  • fonde i materiali inorganici e li trasforma in una roccia vetrosa simile alla lava, totalmente inerte e non nociva, che può essere usata come materiale da costruzione (in questo modo non può essere recuperato il materiale ferroso o l'alluminio come con le scorie degli inceneritori). In questa "lava" sono totalmente conglobati e quindi resi inerti tutti i metalli pesanti, perciò non si hanno ceneri volanti che li contengano. Tuttavia, si ipotizza che in procedimenti come questo si producano enormi quantità di nanopolveri, anche se non ci sono studi sulla loro effettiva composizione e dispersione nell'ambiente.

Questi sono gli unici scarti: il tipo di combustione non permette la produzione di nessun composto tossico o pericoloso come diossine, furani o ceneri (si veda però sotto). Per questo un reattore al plasma può anche trattare pneumatici, PVC, rifiuti ospedalieri e altri rifiuti industriali. Inoltre, è un processo relativamente economico, che costa circa il 20-40% in meno di un termovalorizzatore di ultima generazione.

Gassificatori

Un'alternativa a tutti gli impianti di incenerimento per combustione sono i gassificatori (da non confondersi coi rigassificatori), che sfruttano la dissociazione molecolare, definita pirolisi. Rispetto ai normali inceneritori, per via delle particolari condizioni in cui avviene il processo: la bassa temperatura riduce di oltre cento volte l'emissione di polveri sottili (e in particolare è ridotta la produzione di nanopolveri); la produzione di acido cloridrico, anidride solforosa e monossido di carbonio è ridotta a meno della metà; gli ossidi di azoto sono ridotti a un terzo; i metalli pesanti di 20-50 volte; la concentrazione di diossine e furani è inferiore ai livelli misurabili.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Gassificatore.

Questioni sanitarie e ambientali

Gli inceneritori possono operare solo se dotati di adeguati sistemi di abbattimento delle emissioni in grado di garantire il rispetto delle norme di legge. Tuttavia, i limiti di concentrazione degli inquinanti imposti dalla normativa sono riferiti al metro cubo di fumi, e non all'emissione totale. È evidente che bruciando più rifiuti si ottengono più fumi e quindi più emissioni inquinanti, pur rimanendo sempre nei parametri di legge. Detto in altri termini, i limiti sono relativi alla concentrazione dell'inquinante all'emissione, ma non al flusso di massa, quindi si occupano della qualità dell'emissione, per incentivare l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, ma non dell'impatto complessivo sull'ambiente degli impianti. Perciò, non sono norme che garantiscano un valore di concentrazione degli inquinanti "sicuro" in base a studi medici ed epidemiologici sull'effetto degli inquinanti, bensì si riferiscono ai valori che è possibile ottenere tecnicamente con gli impianti nuovi: sarebbe del resto assurdo imporre limiti inapplicabili tecnicamente e bloccare di fatto tutti gli impianti. D'altro canto, a ogni miglioramento della tecnologia (ma evidentemente con un inevitabile ritardo) vengono in genere imposti per le emissioni limiti man mano più severi, cui qualsiasi impianto intenda operare si deve sottomettere.

Non sono comunque mancati casi di impianti, come quello di Brescia, con diverse infrazioni a carico per il mancato rispetto di normative o per il superamento del tonnellaggio di rifiuti inceneriti originariamente ammesso: i controlli infatti non sono sufficienti e anche quando vengono effettuati è difficile che sfocino in provvedimenti molto severi come il sequestro dell'impianto, perché in tal caso si creerebbe un'emergenza rifiuti molto pericolosa. Pertanto, l'adeguamento dei vecchi impianti alle nuove normative procede a rilento, ed è solitamente collegato agli ampliamenti degli impianti. Da ciò deriva che spesso impianti di piccole dimensioni inquinano più di impianti maggiori.

Emissioni

Per ogni tonnellata di rifiuti immessi, si ha l'emissione di circa 5600-6000 metri cubi di fumi (dati 1999 inceneritore di Vienna e 2006 TRM spa). A partire dagli anni ottanta si è affermata l'esigenza di rimuovere i macroinquinanti presenti nei fumi della combustione (ad esempio ossido di carbonio, anidride carbonica, ossidi di azoto e gas acidi come l'anidride solforosa) e di perseguire un più efficace abbattimento delle polveri. Si è passati dall'utilizzo di sistemi, quali cicloni e multicicloni, con rendimenti massimi di captazione degli inquinanti rispettivamente del 70 e dell'85%, ai filtri elettrostatici o filtri a manica che garantiscono rendimenti notevolmente superiori (fino al 99% ed oltre).

Accanto a ciò, sono state sviluppate misure di contenimento preventivo delle emissioni, ottimizzando le caratteristiche costruttive dei forni e migliorando l'efficienza del processo di combustione. Questo risultato si è ottenuto attraverso l'utilizzo di temperature più alte, di maggiori tempi di permanenza dei rifiuti in regime di alte turbolenze e grazie all'immissione di aria per garantire l'ossidazione completa dei prodotti della combustione. Tuttavia, in alcuni casi l'aumento delle temperature, se da un lato riduce la produzione di certi inquinanti (per es. diossine), dall'altra aumenta la produzione di ossidi di azoto e maggiori emissioni di particolato il quale tanto più è più fine e tanto più difficile è da intercettare anche per i più moderni filtri, per cui si deve trovare un compromesso. Per questi motivi gli impianti più moderni prevedono postcombustori catalitici, che funzionano a temperature inferiori ai 900 °C.

Gli inceneritori mediamente emettono CO2 in misura di circa 350 kg per tonnellata di combustibile, contro i 428 di una centrale termoelettrica; per una valutazione completa dell'influenza sulle emissioni globali di anidride carbonica bisognerebbe tuttavia considerare la tipologia di rifiuti (organici o no) e la possibilità di evitare altre forme di smaltimento che possono provocare maggiori emissioni, specie se comportano lunghi viaggi («turismo dei rifiuti»).[8]

Le polveri

Un inceneritore dotato delle più avanzate tecnologie di filtraggio e nelle migliori condizioni operative possibili produce almeno 30 grammi di polveri per ogni tonnellata di rifiuti. In condizioni normali questo valore raddoppia e può giungere anche fino a 180 grammi che è il massimo corrispondente ai limiti legge (dati TRM spa).

In genere, per qualunque impianto di combustione che bruci combustibili liquidi e/o solidi, più sono alte le temperature di combustione e più aumenta la frazione di particolato fine e ultrafine. Tali polveri sottili sono nocive a causa delle loro piccole dimensioni e del fatto che con sé portano materiali tossici e nocivi residui della combustione, come idrocarburi policiclici, policlorobifenili, benzene e diossine, pericolosi perché persistenti e accumulabili negli organismi viventi.

L'OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità) ha ufficialmente affermato che è evidente e forte la correlazione fra esposizione alle polveri sottili e insorgenza di malattie cardiovascolari: all'aumentare della finezza delle poveri maggiore è il danno arrecato. Sono inoltre stati quantificati i livelli di concentrazione massimi "consigliati" per PM10 e, dato che la sola misurazione del PM10 si sta dimostrando poco adatta a garantire la salute umana, anche di PM2,5. Questi valori sono di 20 e 10 microgrammi/m³ rispettivamente.

Le direttive europee e la legge italiana fissano dei limiti per le polveri specificando la concentrazione di PM10 secondo valori più permissivi di quanto consigliato dall'OMS, cioè 50 microgrammi/m³. Nessun filtro esistente attualmente è in grado di bloccare polveri ancora più fini, per cui un limite all'emissione di queste particelle non sarebbe concretamente applicabile se non vietando del tutto gli impianti in questione.

Ultimamente l'attenzione si sta spostando anche su particolato di dimensioni nanometriche (inferiore al PM1) per il quale alcuni nuovi studi – per la verità principalmente legati a nanopolveri metalliche prodotte da ordigni militari – ipotizzano l'insorgenza delle cosiddette nanopatologie: tuttavia, per ora non ci sono studi sufficientemente concordi.

Dal punto di vista quantitativo, considerate le emissioni di polveri sopra citate (30 g/ton) è possibile calcolare che un inceneritore come quello di Brescia (bruciando 757.000 tonnellate di rifiuti l'anno[12]) emette in atmosfera, in condizioni ottimali, più di 22 tonnellate di polveri all'anno.

Considerando i limiti di emissione delle automobili (espressi dalle norme in grammi di polveri per km percorso), si scopre che per produrre 30 grammi di polveri, un'auto euro1 deve percorrere 213 km, una euro2 375 km, una euro3 600 km ed una euro4 1200 km.

Pertanto, tornando all'esempio di Brescia, le emissioni annue dell'inceneritore equivalgono a 450 milioni di km di un'auto euro3: in termini più realistici e calati sulla realtà urbana, l'inceneritore corrisponde a circa 100000 automobili che si spostino ogni giorno dalla periferia al centro della città e ritorno (6+6 km circa).

Un contributo certamente non tracurabile, considerato poi che le polveri emesse da un'automobile non contengono in genere metalli pesanti (mercurio, rame, zinco) ed altri componenti particolarmente nocivi (furani, diossine) presenti invece nei fumi di un inceneritore.

Lo SCENHIR (Scientific Commitee on Emerging and Newly Identified Helath Risks), comitato scientifico UE che si occupa fra le altre cose anche di patologie dovute alle polveri sottili, considera i motori a gasolio i massimi responsabili della produzione di PM2,5: tutte le altre fonti sarebbero trascurabili, e gli inceneritori attualmente ne produrrebbero al massimo il 2% in quanto (evidentemente) meno diffusi dei motori diesel.[8].

  Lo stesso argomento in dettaglio: Particolato, Nanopolvere e Nanopatologie.

La diossina

Le diossine sono tossiche e cancerogene per l'organismo umano. Sono poco volatili per via del loro elevato peso molecolare e sono solubili nei grassi, dove tendono ad accumularsi. Proprio per questo motivo tendono ad accumularsi nella catena alimentare e nel l'organismo umano per cui anche una esposizione a livelli minimi ma prolungata nel tempo può recare gravi danni alla salute. Le sorgenti delle diossine sono varie, e hanno avuto molte variazioni nel corso degli anni: si veda in proposito l'approfondimento nella voce diossine.

È bene quindi sottolineare che la soglia minima di sicurezza per tali sostanze è ancora oggetto di investigazione scientifica; inoltre, i limiti imposti dalla UE sulle emissioni (0,1 nanogrammi/m3 di fumi), corrisponderebbero alle concentrazioni minime ottenibili applicando le tecniche di incenerimento e filtraggio presenti sul mercato al momento della formulazione della legge. Gli impianti recenti – senza considerare alternative come la gassificazione di cui sopra – hanno un elevato grado di efficienza tale da contenere le emissioni a livelli significativamente inferiori al limite di legge, che quindi andrebbe coerentemente rivisto: in inceneritori come quello di Brescia, la concentrazione di diossina nei fumi può essere talmente bassa da risultare non rilevabile, per il fatto che gli inceneritori generalmente misurano le emissioni solo per garantirsi il rispetto delle leggi, e hanno una soglia di misurabilità ad esempio di 0,04 ng. Se la concentrazione fosse di poco inferiore alla soglia, data un'emissione di 5 000&;nbsp000 m3 di fumi al giorno, la produzione sarebbe di 200 000 ng/g, cioè la massima dose giornaliera tollerabile (0,15 ng) per oltre 1,3 milioni di persone.[8] Infatti, le emissioni di sostanze tossiche in (in particolare la diossina, le nanopolveri e i furani), seppur entro i limiti di legge, sono ritenute da alcuni comunque significative, in quanto protratte nel tempo nello stesso luogo.

Per quanto concerne l'incenerimento, le diossine vengono prodotte quando materiale organico è bruciato in presenza di cloro, sia esso ione cloruro o presente in composti organici clorurati come le plastiche in PVC. Per ridurre l'emissione di vari inquinanti fra cui la diossina, negli inceneritori è generalmente vietato scendere sotto gli 850° C, che è poi il motivo per cui gli inceneritori non possono accettare materiale dal potere calorifico troppo basso. [8] L'obiettivo di minimizzare le emissioni di diossina contrasta in parte con il recupero dell'energia, in quanto una elevata temperatura di combustione e un veloce raffreddamento dei fumi (condizioni ideali per ridurre la formazione di diossina) sono incompatibili con una massima efficienza nel recupero dell'energia termica. [13] [14]

Soluzioni tecniche

Sistemi multistadio

Per intervenire su specifiche sostanze come mercurio, diossine e furani, sono stati definiti sistemi di depurazione dei fumi del tipo a multistadi, che permettono di raggiungere valori minimi di emissioni nocive. Questi sistemi si suddividono in base al loro funzionamento in semisecco, secco, umido e misto. La caratteristica che li accomuna è quella di essere concepiti a più sezioni di abbattimento; il che permette ad ognuno di questi di raggiungere elevate efficienze, anche nel caso si verifichi un'anomalia di uno degli stadi che compongono la linea di depurazione.

Vanno poi citate le attrezzature specificatamente previste per l'abbattimento degli ossidi di azoto, per i quali i processi che vengono normalmente utilizzati sono del tipo catalitico o non catalitico. La prima di queste tecnologie, definita Riduzione Selettiva Catalitica (SCR), consiste nell'installazione di un reattore a valle della linea di depurazione in cui viene iniettata ammoniaca nebulizzata, che miscelandosi con i fumi e attraversando gli strati dei catalizzatori, trasforma gli ossidi di azoto in acqua e azoto gassoso, gas innocuo che compone circa il 79% dell'atmosfera. La seconda tecnologia, chiamata Riduzione Selettiva Non Catalitica (SNCR), spesso preferita perché più economica, presenta il vantaggio di non dover smaltire i catalizzatori esausti ma ha caratteristiche di efficacia inferiori ai sistemi SCR, e consiste nell'iniezione di un reagente (urea che in temperatura si dissocia in ammoniaca) in una soluzione acquosa in una zona dell'impianto in cui in cui la temperatura è compresa fra 850 °C e 1.050 °C con la conseguente riduzione degli ossidi di azoto in azoto gassoso e acqua.

Abbattimento dei microinquinanti

Altri sistemi sono stati messi a punto per l'abbattimento dei microinquinanti (metalli pesanti e diossine). Riguardo ai primi, presenti sia in fase solida che di vapore, la maggior parte di essi viene fatta condensare nel sistema di controllo delle emissioni e si concentra nel cosiddetto "particolato fine" (ceneri volanti). Il loro abbattimento è affidato all'efficienza del depolveratore che arriva a garantire una rimozione superiore al 99% delle PM10 prodotte, ma nulla può contro le nanopolveri PM2,5.

Per quanto riguarda l'abbattimento delle diossine il controllo dei parametri della combustione e della post-combustione, sebbene in passato fosse considerato di per sé sufficiente a garantire valori di emissione in accordo alle normative più stringenti, è attualmente accompagnato da un ulteriore intervento specifico basato sulle proprietà chimicofisiche dei carboni attivi. Questo ulteriore processo di depurazione viene effettuato attraverso un meccanismo di chemiadsorbimento, consistente nel passaggio dalla fase vapore a quella condensata adsorbita su superfici solide dei carboni attivi. Tale passaggio di stato è favorito dall'abbassamento della temperatura e dall'utilizzo di materiali particolari con spiccate caratteristiche adsorbenti come il carbone attivo. Un carbone di media qualità può esibire 600 m² di superficie ogni grammo. Queste proprietà garantiscono abbattimenti dell'emissione di diossine e furani tali da premettere di operare al di sotto dei valori richiesti dalla normativa. Sono allo studio metodi di lavaggio dei fumi in soluzione oleosa per la cattura delle diossine, partendo dalla spiccata solubilità in grassi di queste.

Norme di legge

Le nuove tecnologie permettono oggi di raggiungere valori assai elevati di abbattimento delle emissioni inquinanti, tali da consentire non solo il rispetto dei valori limite adottati dalla normativa vigente in Italia (Decreto Legislativo 503/1997), ma anche quelli del Decreto Legislativo 133/2005 (decreto di recepimento della Direttiva 2000/76/CE) in vigore dal 28 dicembre 2005.

Il provvedimento regola tutte le fasi dell'incenerimento dei rifiuti, dal momento della ricezione nell'impianto fino alla corretta gestione e smaltimento delle sostanze residue:

  • disciplina i valori limite di emissione degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti
  • i metodi di campionamento, di analisi e di valutazione degli inquinanti derivanti dagli stessi impianti
  • i criteri e le norme tecniche generali riguardanti le caratteristiche costruttive e funzionali, nonché le condizioni di esercizio degli impianti, con particolare riferimento alle esigenze di assicurare una elevata protezione dell'ambiente contro le emissioni causate dall'incenerimento e dal coincenerimento dei rifiuti
  • i criteri temporali di adeguamento degli impianti già esistenti alle disposizioni del presente decreto
  • prevede che i cittadini possano accedere a tutte le informazioni, cosí da essere coinvolti nelle eventuali opportune decisioni

Termovalorizzazione e altri modi di affrontare il problema dei rifiuti

La termovalorizzazione dei rifiuti non è di per sé contrapposta o alternativa alla pratica della raccolta differenziata finalizzata al riciclo. La strategia adottata dall'Unione Europea e recepita in Italia con il Decreto Legislativo n° 22/97 affronta la questione dei rifiuti delineando priorità di azioni all'interno di una logica di gestione integrata del problema. Pertanto, se il primo livello di attenzione è rivolto alla necessità di prevenire la formazione dei rifiuti e di ridurne la pericolosità, il passaggio successivo riguarda l'esigenza di riutilizzare i prodotti (es. bottiglie) e, se non è possibile il riuso, riciclare i materiali (es. vetro). Infine, solo per quanto riguarda il materiale che non è stato possibile riutilizzare e poi riciclare (come il polistirene, i tovaglioli di carta) e il sottovaglio (ovvero la frazione in piccoli pezzi indistinguibili e quindi non riciclabili di rifiuti, che rappresenta circa il 15% del totale), si propone l'incenerimento con recupero energetico al posto dello smaltimento in discarica. Sicuramente il ricorso all'incenerimento indifferenziato deve essere assolutamente evitato, anche se per uscire da situazioni di "emergenza" può apparire una via più "comoda", tantopiù visto che i rifiuti indifferenziati («RSU tal quale») sono risultati essere il combustibile per inceneritori che sviluppa più calore (infatti con la raccolta differenziata e altri trattamenti viene privato di materiali altamente calorifici come la carta, oltre a buona parte della plastica).[15]

È da notare che riduzione, reimpiego e riciclo sono (in quest'ordine) pratiche molto più vantaggiose energeticamente, ambientalmente, economicamente e socialmente dell'incenerimento con recupero energetico. Qualche complessità maggiore la comporta la plastica, per la quale in diversi casi l'incenerimento risulta spesso economicamente piú vantaggioso del riciclo, perché sul mercato (sovvenzionato) vale più la notevole quantità di energia sprigionata dai rifiuti plastici che il materiale plastico ricavato dal riciclo, una materia prima seconda di bassa qualità. Per questo talvolta la plastica (in genere quella di qualità inferiore) anche se raccolta in maniera differenziata, viene comunque avviata alla termovalorizzazione.[senza fonte] Per la maggior parte dei materiali plastici, riciclabili in maniera vantaggiosa, la termovalorizzazione è dal punto di vista energetico ambientale molto peggiore del riciclaggio, poiché non è possibile recuperare dalla combustione del materiale plastico tanta energia quanta se ne risparmia riciclandolo in termini di produzione evitata: e inoltre il rendimento dei termovalorizzatori non può essere incrementato moltissimo, mentre il riciclaggio (tecnologia più giovane) offre margini di miglioramento molto superiori, nell'ambito dello sviluppo di nuovi materiali plastici di più facile riciclo, anche se naturalmente esiste già la bioplastica, che è una soluzione ancora più radicale, se non definitiva. La combustione della plastica, specie se non gestita in maniera ottimale, rilascia molte sostanze inquinanti, principalmente Idrocarburi Policiclici Aromatici e diossina), il cui filtraggio con i postcombustori catalici è energeticamente dispendioso, oltre a non essere mai completo.

S'è accennato prima alla maggiore "comodità" della termovalorizzazione rispetto ad altre soluzioni, specie in casi d'emergenza. Proprio questa maggiore "comodità" è uno dei più gravi difetti difetti dei termovalorizzatori, perché può facilmente portare a un abuso dell'incenerimento. Infatti, mentre ad esempio in una discarica è possibile vedere la spazzatura crescere a vista d'occhio e rendere necessario trovare nuovi spazi, cosa molto difficile, una volta costruito un inceneritore apparentemente non cambia nulla incrementando la quantità di rifiuti bruciati, se non i guadagni dalla vendita dell'energia recuperata (incentivata dallo Stato, come s'è detto): tendenzialmente è quindi più difficile che gli amministratori locali vedano la necessità di impegnarsi per politiche più lungimiranti ed efficaci, ma almeno inizialmente molto faticose. In questo senso i termovalorizzatori possono essere dei disincentivi al riciclo (e ancor più al riuso e alla riduzione): non per colpa della tecnologia in sé, quindi, ma piuttosto per la miopia dei politici.

Gli investimenti necessari per realizzare i termovalorizzatori sono molto elevati, e il loro ammortamento richiede circa 20 anni. È emblematico il caso dell'inceneritore costruito recentemente dall'Amsa a Milano, Silla 2: inizialmente aveva avuto l'autorizzazione per bruciare 900 t/giorno di rifiuti, poi si è passati a 1250 e infine a 1450t/g. Se si guarda alla gestione dei rifiuti a Milano, ci si accorge che la raccolta differenziata raggiunge il 35% circa (fisso da anni), e tutto il resto (o quasi) viene incenerito da Silla 2. Se si considera che la media di riciclo della provincia di Milano è intorno al 45% (in costante miglioramento), e che a Milano la raccolta dei rifiuti organici non è mai andata oltre la sperimentazione in piccole aree della città, nonostante il più che collaudato sistema di raccolta dei rifiuti porta a porta e la notevole sensibilizzazione della popolazione, che permetterebbero sicuramente di fare molto di più, appare più che lecito il sospetto che non si punti sulla raccolta differenziata proprio per soddisfare l'avidità dell'insaziabile Silla 2. Ancora una volta, non si tratta di "colpe" della termovalorizzazione in sé, ma solo dei politici (stimolati, lo ripetiamo ancora una volta, dall'irragionevole e inaccettabile incentivazione economica dell'incenerimento).

In Italia, il tasso di raccolta differenziata sta gradualmente crescendo (è oggi intorno al 22,7% per merito, soprattutto, delle regioni del Nord, dove supera il 35%), ma è ancora molto inferiore alle potenzialità. Il ricorso alla termovalorizzazione è ancora limitato e rappresenta, con circa il 12%, uno dei valori più bassi in Europa, anche se specie al Nord è in aumento, e in Lombardia ad esempio raggiunge il 30%. Dalla combinazione di questi due fattori scaturisce un ricorso eccessivo allo smaltimento in discarica, che è in continua diminuzione (dal 2001 al 2004, al Nord -21%, al Sud -4% e al Centro -3%) ma interessa attualmente in tutto circa il 56,9% dei rifiuti urbani prodotti (45% al Nord, 69,5% al Centro, 73,2% al Sud; si stima che sul totale nazionale il 76% sia rifiuto da raccolta indifferenziata e il 24% siano residui dai diversi processi di trattamento: biostabilizzazione, CDR, incenerimento, residui da selezione delle R.D.), con conseguenze ambientali che si vanno aggravando soprattutto nel Sud, dove molti impianti sono ormai saturi e la raccolta differenziata stenta a decollare: gli inceneritori sarebbero perciò, secondo alcuni, da aumentare, ma le proposte di costruzione di termovalorizzatori sono spesso accompagnate da polemiche anche molto aspre e contestazioni territoriali (NIMBY, ovvero non nel mio giardino). D'altro canto, se si considera che nei comuni più virtuosi la raccolta differenziata supera già adesso l'80%, si deduce che anche al Nord essa è ancora molto meno sviluppata di quanto potrebbe, e che gli impianti di termovalorizzazione sono già adesso sovradimensionati, perciò, se non si importeranno da altre regioni rifiuti da incenerire, non si potrà sviluppare appieno la raccolta differenziata e il riciclo senza far funzionare i termovalorizzatori sotto regime e quindi in perdita. [16]

Note

  1. ^ a b Dall'approfondimento di Ecosportello.org del 18 settembre 2006 sull'incentivazione dei termovalorizzatori.
  2. ^ Notizia da edilportale.com.
  3. ^ Il costo di smaltimento mediante incenerimento è molto più elevato dello smaltimento in discarica: indicativamente 130 €/t conto 95 €/t; solo cogli incentivi agli inceneritori i costi si eguagliano.[senza fonte]
  4. ^ iorisparmio.eu: Il termovalorizzatore di Brescia è "il migliore del mondo"
  5. ^ (EN) WTERT Waste-to-Energy Research and Technology Council
  6. ^ (EN) Martin GmbH
  7. ^ Sul combustibile, si segnalano alcune critiche: esso dovrebbe avere caratteristiche tali da scongiurare quanto più possibile un eventuale rilascio di sostanze nocive nell'ambiente durante la fase di deposito e trasporto prima dell'utilizzo, ma questo passaggio purtroppo in alcuni casi non avviene ancora con la necessaria trasparenza e accortezza, e nelle ecoballe finiscono materiali che sarebbe bene non bruciare.
  8. ^ a b c d e Mario Tozzi, L'Italia a secco: la fine del petrolio e la nuova era dell'energia naturale, Rizzoli, 2006.
  9. ^ Relazione dott. De Stefanis.
  10. ^ Il recupero di energia dalla combustione di rsu.
  11. ^ Scheda monografica riassuntiva sul recupero di energia da rifiuti, p. 5.
  12. ^ Dati statistici consolidati 2000-2005.
  13. ^ Dioxin, 2005, Wikipedia in lingua inglese
  14. ^ Come funziona un inceneritore?, 2005, Greenpeace Italia
  15. ^ Relazione di De Stefanis, p. 5: come si vede, solo 2 scenari di raccolta differenziata su 6 forniscono un combustibile significativamente migliore dell'indifferenziato.
  16. ^ Dati tratti dal Rapporto Rifiuti 2005 dell'Osservatorio Nazionale dei Rifiuti.

Voci correlate

Collegamenti esterni

Quadro normativo

Funzionamento dei termovalorizzatori e informazioni generali

Valutazioni della termovalorizzazione

Esempi di termovalorizzatori

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