Operazione Locusta

codice dato alla partecipazione dell'Aeronautica Militare Italiana alla Guerra del Golfo
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Operazione Locusta è il nome in codice dato alla partecipazione dell'Aeronautica Militare Italiana alla Guerra del Golfo.

Descrizione

In seguito all'invasione ed annessione del Kuwait da parte dell'Iraq, il 25 settembre 1990 il Governo italiano inviò nel Golfo Persico otto cacciabombardieri multiruolo Panavia Tornado IDS (più due di riserva) appartenenti al , 36º e 50º Stormo nell'ambito dell'Operazione Desert Shield, che vennero schierati presso la base aerea di Al-Dhafra, nelle vicinanze di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti.

Questi aerei formarono il "Reparto di Volo Autonomo dell'Aeronautica Militare Italiana nella penisola Arabica". L’organico del Reparto, inizialmente costituito da 239 uomini, tra i quali dodici Carabinieri dell’Aeronautica Militare per esigenze di vigilanza e polizia militare, venne successivamente portato a 314 elementi.

Il rischieramento dei velivoli italiani rientrava nel dispositivo di sicurezza internazionale messo in atto dalla risoluzione numero 678 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.

L'impiego degli aerei italiani nell'ambito dell'operazione Desert Storm ha rappresentato il primo impiego operativo in missioni da combattimento di aerei dell'Aeronautica Militare Italiana dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Durante i 42 giorni di guerra, i cacciabombardieri italiani compirono 226 sortite, per complessive 589 ore di volo. Mario Arpino è stato capo dell'unità di coordinamento aereo nel corso delle operazioni belliche in Arabia Saudita dall'ottobre 1990 al marzo 1991.

A tale impegno va aggiunta l’attività svolta dalla cellula di velivoli da ricognizione tattica RF104-G (per un totale di 384 sortite e 515 ore di volo) operanti in Turchia nel quadro della AMF NATO (ACE Mobile Force NATO). Tale cellula era stata rischierata nella penisola anatolica il 6 gennaio 1991, a fronte di una decisione in ambito NATO, a tutela di un possibile tentativo iracheno di allargamento del conflitto, e il supporto dei velivoli da trasporto, che realizzarono 244 missioni per 4156 ore di volo, assicurando il sostegno logistico alle unità nazionali aeree e navali nonché l'evacuazione di connazionali dalle zone a rischio.

Gli RF104-G fecero ritorno in Italia, l'11 marzo 1991.

I Tornado invece rientrarono alla base aerea di Gioia del Colle il 15 marzo del 1991, due settimane dopo il termine delle operazioni militari. Il ritorno in patria degli aerei da combattimento italiani venne accolto da una cerimonia alla quale presenziarono il Ministro della Difesa Virginio Rognoni, il Capo di Stato Maggiore della Difesa Generale Domenico Nardini, ed il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare Generale Stelio Nardini.

L'abbattimento del velivolo di Cocciolone e Bellini

Durante il conflitto, l'Aeronautica Militare Italiana registrò la perdita di un solo aereo.

Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1991, partì la prima missione bellica dei velivoli Italiani.

Il maggiore Gianmarco Bellini (pilota) ed il capitano Maurizio Cocciolone (navigatore) decollarono a bordo del loro cacciabombardiere assieme agli altri sette velivoli italiani e ad una formazione di aerei alleati per la prima missione che li vedeva impiegati nello spazio aereo controllato dagli iracheni.

La missione della squadriglia era un deposito areale (vettovagliamento, munizioni e mezzi) nell'Iraq meridionale, a nord-ovest di Kuwait City, difeso da artiglieria contraerea radar-asservita.[1] Bellini e Cocciolone, partiti come molti altri dalla base emiratina, furono gli unici capaci di portare a termine il rifornimento in volo; tutti gli altri velivoli, tra cui 7 Tornado italiani e circa 30 altri aeromobili di altri Paesi, ostacolati dalle condizioni meteorologiche, fallirono l'approccio all'aerocisterna e dovettero rientrare alla base.[2]

Bellini, in qualità di capo equipaggio, decise che il loro velivolo avrebbe dovuto proseguire in solitaria, sapendo che il profilo di missione prevedeva di portare avanti l'attacco anche in una situazione del genere[3], quale che fosse lo schieramento difensivo del nemico. Ricevuto l'ok da parte del comando aerotattico,[4][5], il velivolo livellò a circa 250 piedi di quota, attivò il controllo automatico TF[6] e sganciò il carico bellico (5 bombe Mk 83) sull'obbiettivo attorno alle 4.30 del mattino.[senza fonte]

Dopo circa 40 secondi il loro aereo fu colpito dall'artiglieria contraerea irachena, addestrata alla difesa contro attacchi a bassa quota, e i due italiani dovettero lanciarsi con il seggiolino eiettabile. L'aereo impattò col terreno a circa 20 km a nordovest della capitale kuwaitiana, a poche centinaia di metri da una caserma della Guardia repubblicana irachena.[senza fonte]

I due aviatori vennero immediatamente catturati dalle truppe irachene, furono separati, venne loro confiscato tutto ciò che avevano con sé (compresi gli indumenti e gli scarponi) e costretti a indossare una tuta gialla, che li qualificava come prigionieri di guerra[7].

Il Maggiore pilota Gianmarco Bellini e il Capitano Navigatore Maurizio Cocciolone furono rilasciati al termine del conflitto, insieme agli altri prigionieri di guerra catturati dagli Iracheni.

Note

  1. ^ Forum sulla missione.
  2. ^ La guerra del golfo, su aeronautica.difesa.it, sito web ufficiale A.M., 9 settembre 2002. URL consultato il 29 aprile 2008 (archiviato dall'url originale il 14 dicembre 2007).
  3. ^ ibid.
  4. ^ Operazione Locusta, 1ª Parte.
  5. ^ "Ricordo di aver effettuato una chiamata al coordinatore tattico della missione a bordo di un AWACS con il nominativo POMKA, dicendogli che Legion 14 proseguiva per la missione. In risposta ricevetti un «Roger»".
  6. ^ Terrain Following, dispositivo che sui Tornado permette di pilotare seguendo il profilo del terreno, grazie a uno scanner tridimensionale col quale il computer di bordo imposta automaticamente le variazioni da eseguire.
  7. ^ Operazione Locusta - parte 2.

Collegamenti esterni