Le ricerche scientifiche dimostrano che le donne hanno, in media, una migliore memoria e sono migliori degli uomini nel calcolo matematico, mentre gli uomini sono migliori nella comprensione dei concetti matematici astratti, nel problem solving e hanno maggiori abilità visuo-spaziali.

Le differenze tra i sessi nel rendimento e nelle abilità matematiche sono inferiori per quanto riguarda la zona media della distribuzione delle abilità, rispetto a quelle con i più alti livelli di rendimento e abilità. I maschi infatti hanno una maggiore varianza rispetto alla maggior parte delle misure di capacità quantitativa e visuospaziale; ciò necessariamente si traduce in un numero maggiore di maschi ad entrambi gli estremi di alta e bassa capacità; i motivi per cui i maschi hanno una maggiore variabilità rimangono non del tutto comprensibili (si ipotizzano fattori genetici, biologici e socioculturali).[1]

Le carriere di successo in matematica e scienze richiedono molti tipi di abilità cognitive: le femmine tendono ad eccellere nelle abilità verbali, con grandi differenze tra maschi e femmine soprattutto quando le valutazioni includono l'abilità di scrittura. I risultati di alto livello in scienze e matematica richiedono inoltre la capacità di comunicare in modo efficace e comprendere idee astratte, quindi il vantaggio femminile nella scrittura dovrebbe essere utile in tutti i campi accademici. I maschi invece superano le femmine nella maggior parte delle misure di abilità visuospaziali, che hanno implicazioni come contributi alle differenze di sesso negli esami standardizzati in matematica e scienze.[1]

Una vasta gamma di fattori socioculturali contribuisce alle differenze tra i sessi nel conseguimento e nelle abilità in matematica e scienze, compresi gli effetti delle influenze familiari, della scuola, della formazione, dell'esperienza e altre pratiche culturali.[1]

Una spiegazione evolutiva delle differenze tra i sessi in matematica e scienze supporta la conclusione che, sebbene le differenze tra i sessi in matematica e scienze non si siano evolute direttamente, esse potrebbero essere correlate indirettamente alle differenze negli interessi e negli specifici sistemi cerebrali e cognitivi maschili e femminili che si sono sviluppati in ambito evolutivo.[1] Anche negli animali (soprattutto i primati), quanto nei neonati umani, i maschi sembrano statisticamente più interessati ed orientati verso le "cose", mentre le femmine sono più orientate verso le "persone". Vari studi hanno mostrato che i ragazzi, già a 5 mesi, sviluppano delle abilità visuospaziali superiori alle ragazze della stessa età suggerendo soprattutto motivazioni genetiche, evolutive e biologiche alla base di tali differenze e riducendo il peso che si sospetta legato ai fattori socioculturali. La cultura e la società possono quindi esacerbare o ridurre la differenza, ma non colmare il divario.[2]

Un altro fattore che si ritiene collegato ai relativamente migliori risultati degli uomini in ambito matematico è l'autostima. I maschi, statisticamente, tendono ad essere più "fiduciosi" delle femmine. Anche nel caso dell'autostima comunque si individuano motivazioni sia biologiche che ambientali, che possono influenzarla. Ad esempio è dimostrato scientificamente che il testosterone, un ormone prevalentemente maschile, può rendere le persona più "fiduciose" aumentandone l'autostima.[3][4]

In definitiva sia vari fattori genetici e biologici d'origine evolutiva, quanto l'educazione e il contesto culturale influenzano le abilità medie di uomini e donne, causando delle differenze cognitive in ambito matematico, e dunque indirettamente influenzando anche il numero di donne e uomini che perseguono studi avanzati in scienze e matematica. Questi effetti interagiscono in modi complessi, dunque non ci sono risposte semplici o definitive alle complesse domande sulle differenze sessuali nella scienza e nella matematica.

Attività di ricerca scientifica

Negli anni 90 gli studi di Peterson si sono concentrati, nell'ambito della psicologia abnormale, sullo studio della predisposizione genetica e dell'ereditarietà della dipendenza dall'alcolismo,[5] evidenziando che i figli di alcolisti maschi sono particolarmente a rischio per lo sviluppo di alcolismo. Questo aumento del rischio appare frequentemente in associazione ad un'aumentata incidenza di disturbi comportamentali o iperattività, con deficit nel pensiero astratto e nelle prestazioni scolastiche, con anormalità nella risposta psicofisiologica, e con maggiore sensibilità agli effetti putativi di smorzamento dell'intossicazione alcolica.

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I figli mostrano uno schema di iperreattività autonomica a una varietà di stimoli e difficoltà nei test cognitivi, indicativi della disfunzione del lobo prefrontale. Questo modello di risposta non è caratteristico dei controlli né delle figlie di alcolisti maschi multigenerazionali.

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Altri studi di Peterson si sono concentrati sulla correlazione tra consumo di alcol e droga, aggressività e comportamenti antisociali.

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Maps of Meaning

Una linea centrale di argomento che può essere estratta dal libro, seguendo le linee seguenti:

  1. I miti sono culturalmente universali.
  2. I miti rappresentano, evolutivamente, l'origine psicologica della moralità.
  3. I miti rappresentano la base filosofica per la moralità.
  4. Una moralità basata sugli archetipi mitici permette di attuare dei giudizi politici sugli stati totalitari.

Peterson segue infatti la concezione archetipica di Carl Jung supponendo che i miti abbiano dei substrati archetipici universali praticamente in tutte le culture. Per dimostrarlo Peterson fa esempi a partire dalla tradizione mitica mesopotamica, quella giudaico-cristiana, con numerosi riferimenti anche al buddismo e alle altre religioni orientali.

Il substrato archetipico universale del mito, secondo Peterson, tende a descrivere il mondo come forum per l'azione di tre elementi costitutivi, che tendono a manifestarsi nei miti delle varie culture umane in tipici schemi di rappresentazione metaforica. Il primo di questi tre elementi è il «territorio inesplorato – la Grande Madre, la natura, il creativo e il distruttivo, la fonte e il luogo di riposo finale di tutte le cose determinate». Il secondo è il «territorio esplorato – il Grande Padre, la cultura, la saggezza protettrice e tirannica, ancestrale e cumulativa». Il terzo è il «processo che media tra territorio inesplorato ed esplorato: il Figlio Divino, l'individuo archetipo, la Parola esplorativa creativa e l'avversario vendicativo».

Secondo Peterson questi miti archetipici sono serviti a cementificare, in termini biologico-evolutivi, quella che è l'innata tendenza morale dell'uomo, dando alla morale una potente base astratta di significato. Secondo Peterson infatti gli antichi miti contengono in essi, evolutivamente parlando, la base psicologica e filosofica della morale umana.

Il significato infatti, secondo Peterson, ha delle evidenti implicazioni per l'output comportamentale; logicamente, quindi, il mito – che è la forma archetipica della costruzione del significato – non può che presentare «informazioni rilevanti per il più fondamentale dei problemi morali».13

«I miti – arguisce Peterson – sono centrati e correttamente interessati alla natura del successo [evolutivo] dell'esistenza umana. Un'attenta analisi comparativa di questo grande corpo della filosofia religiosa potrebbe consentirci di determinare provvisoriamente la natura essenziale della motivazione e della moralità umane». Secondo Petrson infatti: «una precisa specificazione degli aspetti comuni mitologici sottostanti potrebbe permettere di comprendere il primo stadio di sviluppo nell'evoluzione cosciente di un sistema veramente universale di moralità».12

Di conseguenza la mitologia religiosa diventa, secondo Peterson, il primo step per approcciare una forma di pensiero e di azione morale: «Il mito ritrae ciò che è noto e svolge una funzione che, se limitata a ciò, potrebbe essere considerata di importanza capitale. Ma il mito presenta anche informazioni molto più profonde - quasi indicibilmente così, una volta che verranno (direi) correttamente comprese. Tutti produciamo modelli di ciò che è e di ciò che dovrebbe essere, e di come trasformare l'uno nell'altro. Modifichiamo il nostro comportamento quando le conseguenze di tale comportamento non sono quelle che vorremmo. Ma a volte la mera alterazione del comportamento è insufficiente: dobbiamo cambiare non solo ciò che facciamo, ma ciò che pensiamo sia importante. Ciò significa una riconsiderazione della natura del significato motivazionale del presente e la riconsiderazione della natura ideale del futuro».14

Dunque i miti permettono di individuare, evolutivamente parlando, in forma archetipica, i pattern di comportamento che, se seguiti, possono consentire all'essere umano di "vivere" in modo compatibile con successo evolutivo della propria specie. Secondo Peterson infatti: «la verità mitica è l'informazione, derivata dall'esperienza passata, derivata dall'osservazione passata del comportamento, ed è rilevante dal punto di vista della motivazione fondamentale e dell'effetto».390

Peterson inoltre motiva la propria indagine sulle «mappe del significato» anche come un tentativo per comprendere che deviare da queste evolute architetture religiose del significato, possa portare a conseguenze pericolose per gli uomini e potenzialmente nefaste e sanguinarie. Confondere il background mitico, o addirittura negarne la valenza etica (in termini evolutivi) può portare infatti secondo Peterson a conseguenze tragiche, e può spiegare anche le orribili atrocità dei regimi totalitari nel XX secolo. Con la sua riflessione, Peterson cerca di individuare sia le motivazioni psicologiche che hanno indotto Hitler, Stalin, Mao e altri tiranni ad uccidere decine di milioni di persone, sia un possibile metodo per prevenire eventuali future atrocità. A queste domande pressanti Peterson ritiene di poter rispondere usando la prospettiva basata sulla concretizzazione mitica della moralità.

P. 316: Secondo Peterson infatti è il "diavolo" lo spirito archetipico «alla base dello sviluppo del totalitarismo», «lo spirito che è caratterizzato da una rigida credenza ideologica (con il "predominio della mente razionale"), dal fare affidamento sulla menzogna come modello di adattamento (con il rifiuto di ammettere l'esistenza dell'errore o di apprezzare la necessità della devianza) e dall'inevitabile sviluppo dell'odio verso sé e verso il mondo».

P. 321: Secondo Peterson infatti «la presunzione della conoscenza assoluta», che è il "peccato cardinale" dello spirito razionale è, di conseguenza, prima facie «equivalente al rifiuto dell'eroe» – al rifiuto cioè dell'archetipo di Cristo, della Parola di Dio, dell'intuizione del "processo divino" come mediatore tra ordine e caos. L'arroganza della posizione totalitaria viene quindi inestirabilmente opposta «all'umiltà dell'esplorazione creativa».

P. 353: «I massacri ruandesi, i campi di sterminio in Cambogia, le decine di milioni di morti (secondo la stima di Solzhenitsyn) come conseguenza della repressione interna nell'Unione Sovietica, le legioni non dette massacrate durante la Rivoluzione culturale cinese [il Grande Balzo in avanti (!), un altro scherzo nero, accompagnato a volte, in particolare, divorando la vittima], l'umiliazione pianificata e lo stupro di centinaia di donne musulmane in Jugoslavia, l'olocausto dei nazisti, la carneficina perpetrata dai giapponesi nella Cina continentale - tali eventi non sono attribuibili alla parentela umana con l'animale, l'animale innocente, né dal desiderio di proteggere il territorio, interpersonale e intrapsichico, ma da una malattia spirituale profondamente radicata. "

Peterson ritiene che la soluzione agli orrori totalitari e alla "malattia spirituale" radicata nel totalitarismo sia – in puro rispetto del significato evolutivo della tradizione mitica umana – l'individuo eroico che media tra ordine e caos:

P. 313: "L'eroe rifiuta l'identificazione con il gruppo come ideale di vita, preferendo seguire i dettami della sua coscienza e del suo cuore. La sua identificazione con il significato - e il suo rifiuto di sacrificare il significato per la sicurezza - rende accettabile l'esistenza, nonostante la dimensione tragica della vita».

P. 483: "Una società fondata sulla credenza nella divinità suprema dell'individuo permette all'interesse personale di prosperare e di servire come il potere che si oppone alla tirannia della cultura e al terrore della natura."

Peterson evidenza, in definitiva, due conseguenze centrali. La prima è che il totalitarismo è – in fondo – un «problema spirituale» intendendo, in altre parole, il risultato dell'aver trascurato la tradizione morale evolutivamente radicata nella mitologia umana. Il secondo è che il modo migliore per risolvere questo problema è a sua volta in qualche modo "spirituale", ovvero basato sulla «divinità dell'individuo» – che è poi anche il cardine del liberalismo classico occidentale, che per Peterson è una positiva secolarizzazione laica (o atea) chi si fonda, più o meno inconsciamente, sul significato etico evoluto degli antichi sistemi di credenze umani. Peterson asserisce infatti che: «la morale e il comportamento occidentali, ad esempio, sono predicati sull'assunto che ogni individuo è sacro»,(p. 264) e che «tutte le etiche occidentali, incluse quelle formalizzate esplicitamente nei sistemi di legge occidentali, sono predicate su una visione del mondo mitologica, che attribuisce specificamente lo status divino all'individuo».(480)

Per Peterson dunque, la soluzione al totalitarismo risiede in una combinazione tra un individualismo pragmatico e la consapevolezza del valore etico-morale, in termini evolutivi, della tradizione delle religioni e degli antichi sistemi di credenza.

Peterson adotta quindi una visione pragmatica secondo cui, almeno parzialmente, la verità è ciò che funziona, in modo tale che se il mito funziona nel fornire alle persone un senso del significato, allora in un certo senso si può dire che è vero. Per Peterson infatti: «Le interpretazioni mitologiche della storia, come quelle della Bibbia, sono altrettanto "vere" rispetto alle consuete interpretazioni empiriche occidentali, letteralmente vere, anche se modo in cui sono vere è diverso. Gli storici occidentali descrivono (o ritengono di descrivere) "cosa" è accaduto. Le tradizioni della mitologia e della religione descrivono al contrario il significato di ciò che è accaduto».Pp. 472-3 Secondo Peterson dunque, interpretare in senso psicologico i testi antichi, permette di individuare l'evoluzione del significato nella ambito dell'antropogenesi e, in quest'ottica, porta necessariamente a considerare l'etica universale degli archetipi antichi come un adattamento evolutivo frutto della selezione naturale.

  1. ^ a b c d Diane F. Halpern, Camilla P. Benbow, David C. Geary, Ruben C. Gur, Janet Shibley Hyde, and Morton Ann Gernsbacher, The Science of Sex Differences in Science and Mathematics
  2. ^ [1]
  3. ^ Ed Yong, Testosterone-fuelled traders make higher profits; Discover Magazine
  4. ^ Coates, J.M., Herbert, J. (2008). Endogenous steroids and financial risk taking on a London trading floor. Proceedings of the National Academy of Sciences DOI: 10.1073/pnas.0704025105
  5. ^ Robert O. Pihl, Jordan Peterson e Peter R. Finn, Inherited Predisposition to Alcoholism: Characteristics of Sons of Male Alcoholics, Journal of Abnormal
  6. ^ Jordan Peterson e Robert O. Pihl Information processing, neuropsychological function, and the inherited predisposition to alcoholism, Neuropsychology Review
  7. ^ Jordan Peterson, Robert O. Pihl e Peter R. Finn, Cognitive Dysfunction and the Inherited Predisposition to Alcoholism, Journal of studies on alcohol
  8. ^ Jordan B. Peterson e Robert O. Pihl, Genetic and other risk factors for alcoholism, NIAAA: Eighth Special Report to the US Congress on Alcohol and Health
  9. ^ Jordan B. Peterson, Robert O. Pihl, Jean Richard Séguin e Sherry H. Stewart, Heart-rate reactivity and alcohol consumption among sons of alcoholics and sons of non-alcoholics, Journal of psychiatry & neuroscience
  10. ^ Robert O. Pihl e Jordan B. Peterson, A biobehavioural model for the inherited predisposition to alcoholism, Alcohol and alcoholism
  11. ^ Robert O. Pihl, Jordan B. Peterson e Peter R. Finn, A heuristic model for the inherited predisposition to alcoholism, Psychology of Addictive Behaviors
  12. ^ Robert O. Pihl, Jordan B. Peterson e Mark A. Lau, A biosocial model of the alcohol-aggression relationship, Journal of studies on alcohol. Supplement
  13. ^ Robert O. Pihl e Jordan B. Peterson, Alcohol, drug use and aggressive behavior, Crime and Mental Disorder
  14. ^ Robert O. Pihl e Jordan B. Peterson, Alcohol and aggression: Three potential mechanisms of the drug effect, Alcohol and Interpersonal Violence: Fostering Multidisciplinary Perspectives
  15. ^ Peter R. Giancola, Jordan B. Peterson e Robert O. Pihl, Risk for alcoholism, antisocial behavior, and response perseveration, Journal of Clinical Psychology