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Lidio Cipriani
Lidio Cipriani (Bagno a Ripoli, 1892 – Firenze, 1962) è stato un antropologo, etnografo ed esploratore italiano, ha compiuto numerosi viaggi in Africa e in Asia dando un grande contributo all’antropologia dell’epoca. Negli anni in cui il regime fascista era impegnato nella conquista dell’Etiopia fu uno dei firmatari del Manifesto della Razza e uno dei più convinti sostenitori dell’inferiorità del popolo africano e della legittimità della conquista e dello sfruttamento italiano del territorio africano.
Biografia
Lidio Cipriani nacque il 17 Marzo 1892 a Bagno a Ripoli (FI), prese la licenza alla scuola tecnica San Carlo di Firenze, frequentò quindi la scuola normale maschile Capponi a Firenze, dove si diplomò come insegnante elementare: insegnò a Fucecchio, a Galluzzo e a Firenze.
Prestò servizio militare (1915-1919) nella prima guerra mondiale e nel 1920 ottenne il diploma di perfezionamento per i licenziati delle scuole normali; allievo di Aldobrandino Mochi, si laureò nel 1923 in Scienze Naturali con una tesi in Antropologia.
Dal febbraio 1923 fu assistente volontario presso il Museo nazionale di antropologia ed etnologia di Firenze, e nel 1926 ottenne la docenza in antropologia.
Durante le sue numerose missioni antropologiche riuscì a raccogliere quasi 2000 fotografie e realizzò 76 calchi facciali policromi in gesso su viventi.
Nel settembre del 1927 partecipò al XXIII Congresso Internazionale degli americanisti, come presidente della sezione di antropologia fisica. Nel 1935 venne nominato cavaliere dell'Ordine coloniale della Stella d'Italia per i suoi meriti scientifici, dopo essersi recato qualche mese prima, come volontario, in Somalia per partecipare alla guerra in Africa Orientale. L’anno seguente fu destinato in Somalia e quindi collocato in congedo.
Nel giugno 1940 venne allontanato dal Museo nazionale di antropologia ed etnologia a Firenze, con l’accusa ufficiale di avere venduto, per scopi personali, maschere e altri oggetti raccolti durante le missioni. A tal proposito Francesco Cassata afferma[1]che Cipriani fece le spese delle lotte interne fra le varie correnti del razzismo italiano e che l’allontanamento dal Museo nazionale di Firenze non fu causato dall’appropriazione indebita di oggetti di valore ma dall’avere sostenuto, prima delle leggi razziali, tesi che facevano degli ebrei una “razza” compatibile con quella italiana. Nell’ottobre 1940 sposò la contessa Ada Maria Marenzi, che morì solo otto anni dopo il matrimonio.
Nel maggio 1942 venne richiamato in servizio nell'esercito col grado di maggiore e fu inviato sull'isola di Creta presso il comando della divisione Siena, ciò nonostante riuscì a svolgere numerose ricerche antropologiche e a raccogliere migliaia di dati antropometrici in tutte le zone dell'isola.
L’8 settembre 1943 venne fatto prigioniero dai tedeschi che lo utilizzarono, sempre a Creta, come interprete fino all’ottobre del 1944, quando fu condotto a Verona.
Il 7 giugno 1945 venne di nuovo arrestato a Firenze per aver firmato nel 1938 il Manifesto degli scienziati razzisti e aver favorito negli anni del fascismo la politica razziale e antiebraica del regime, in antitesi alle sue idee precedenti all'emanazione delle leggi razziali. Condotto a Milano nel carcere di San Vittore, fu liberato dopo 7 mesi. Finito il processo, ebbe l’incarico di disegnare il nuovo Atlante Razziale Italiano[2].
Nel 1949 ricevette, da parte del governo indiano, un invito a partecipare a una spedizione di esplorazione delle isole Andamane presso cui restò sino al 1954, ritornando di tanto in tanto in Europa per partecipare a congressi scientifici internazionali: in qualità di scienziato autorevole si recò in Inghilterra, in Polonia, in Svizzera, in Francia e in Cecoslovacchia, dove gli venne assegnata un’onorificenza per i suoi meriti scientifici.
Morì a Firenze l'8 Ottobre 1962.
Esploratore, antropologo, etnografo
Preso il diploma di maestro elementare, Cipriani organizzò una spedizione in Africa per approfondire lo studio di varie popolazioni, si recò tra l’altro in Zambia dove svolse ricerche antropologiche.
Ottenuta la docenza in antropologia nel 1926, ebbe inizio una lunga serie di viaggi. Nel novembre 1927 si recò in Africa, dove restò fino al maggio del 1930, toccando Gedda, Gibuti, Aden, la penisola di Hafun, Mogadiscio, Chisimaio, Mombasa, Dar-es-Salam, Beira, soffermandosi in particolare nella Rhodesia settentrionale, dove compì un interessante studio di antropologia fisica sui Baila.
Nel 1927 oltre al materiale antropologico, Cipriani raccolse materiali etnografici, scattò 2000 fotografie e realizzò i primi 76 modelli facciali. La tecnica utilizzata prevedeva la modellazione del gesso direttamente sul volto del vivente, ottenendo così l’impronta del viso.
Il colore dell’incarnato veniva attribuito seguendo le categorie della tavoletta dei colori della pelle di Von Luchan (scala cromatica di Von Luchan) o riprodotto con la “tecnica dei tasselli” sul calco. Lo scopo dei calchi era quello di mostrare le differenti razze umane mettendo in risalto il primato intellettuale, morale e fisico dei cosiddetti ariani.
Tra il maggio del 1930 e il gennaio 1931 partecipò ad una spedizione in Congo nei territori dei Boscimani e dei Pigmei.
Nei vari viaggi che affrontò nel 1932 Cipriani scrisse le Considerazioni sopra il passato e l’avvenire delle popolazioni africane. In quello stesso periodo sostenne l’inferiorità biologica dei “negri”[3] e partecipò al terzo Congresso internazionale di Eugenica di New York.
Tornò nuovamente in Africa dal settembre al dicembre 1932, come membro della prima missione di ricerche scientifiche nel Fezzan, interessata ad indagini antropologiche ed etnografiche sui Tuareg, i Tebu, i Dauada, e allo studio della preistoria sahariana. In Rhodesia del Sud rivolse particolare attenzione alle antiche pitture ed incisioni rupestri e soprattutto ai problemi delle rovine preistoriche. Partecipò ad una seconda missione negli stessi territori, compiuta fra il febbraio ed il marzo del 1933.
Fra il settembre del 1934 e il maggio del 1935 compì il suo primo viaggio nell'Asia sudoccidentale, trattenendosi soprattutto nell'India meridionale e nell'isola di Ceylon.
Nel gennaio del 1937 venne aggregato alla prima missione inviata dalla Reale Accademia d'Italia nell'Africa orientale italiana, sotto la guida di Giotto Dainelli: in quella circostanza si occupò delle popolazioni del bacino del lago Tana (Amhara, Falascia), nonché dei Baria, dei Cunama e dei Beni-Amer. Nel corso di una seconda missione nell'Africa orientale italiana, compiuta fra il dicembre del 1938 e l'aprile del 1939, si interessò soprattutto delle popolazioni Galla e Sidarna aggiungendo qualche nuova informazione alle Conclusioni del 1932[4].
Nel 1949 ricevette, da parte del governo indiano, un invito a partecipare a una spedizione di esplorazione delle isole Andamane. Partito per l'India nell'ottobre del 1949, dopo quattordici mesi di studio e preparazione trascorsi prevalentemente a Calcutta, il 31 gennaio 1951 si imbarcò alla volta delle isole Andamane, presso le quali si recò anche negli anni successivi, fino al 1954.
Riferimenti ideologici
Lidio Cipriani durante i suoi numerosi viaggi studiò e analizzò i calchi facciali e le capacità intellettuali degli africani. Nell’articolo del 1932 Considerazioni sopra il passato e l’avvenire delle popolazioni africane l’antropologo voleva dimostrare l’inferiorità e la distinzione delle popolazioni dei “negri” dell’Africa Centrale, che definiva incorreggibili, spensierati e sempre pronti ad abbandonarsi alle orge o ai divertimenti più sfrenati[5]. Sostenne che il “negro” aveva atteggiamenti ingenui e infantili quasi come un bambino e agiva spesso per imitazione e per questo doveva essere ritenuto inferiore alle popolazioni europee[6]. Secondo lui i “negri” erano privi di qualsiasi capacità logico-critica e non concepivano l’idea del lavoro.
A partire dal 1931 dichiarò le sue teorie in numerosi trattati e cercò di persuadere l’opinione pubblica attraverso articoli di propaganda razzista pubblicati su numerosi giornali. Fra questi collaborò soprattutto alla Difesa della razza che, attraverso queste teorie, sosteneva la necessità di una propaganda politica aggressiva.
Dopo i vari studi compiuti, arrivò alla conclusione che i “negri” erano psichicamente inferiori e per questo nessun progresso sarebbe potuto provenire dalle “razze nere”. Negli anni in cui il fascismo era impegnato nella colonizzazione dell’Africa, sostenne fosse un errore considerare gli etiopici completamente simili agli altri africani, ritenendo bisognasse piuttosto considerarli un gruppo separato. In un saggio scritto negli anni Trenta definì gli etiopici attuali come un “residuo” di uomini già a vastissima distribuzione sul territorio africano con manifestazioni psichiche elevate, rispetto gli altri neri; tuttavia relegò questa superiorità antropologica ad un periodo antichissimo di cui non rimanevano più tracce[7]. La tesi della superiorità etnica degli etiopici, non essendo in linea con la politica del regime, venne progressivamente accantonata: Cipriani si limitò a ritenere questa popolazione più adeguata al combattere di altre e quindi utilizzabile dagli italiani per le loro conquiste[8]
Queste idee di Cipriani, come l’incitamento a recarsi in Africa per sfruttare le risorse naturali presenti nel territorio, devono leggersi come un tentativo di giustificare moralmente il colonialismo europeo e quindi anche la conquista italiana dell’Etiopia.
Cipriani fu portavoce della convinzione di una dipendenza tra i caratteri somatici e lo sviluppo mentale, riteneva che la “razza negra” avrebbe potuto quindi essere un pericolo per quella ariana: il contatto avrebbe portato al regresso di quest’ultima. Egli era diventato un ammiratore delle teorie razziste naziste e dell’eugenetica praticata in Germania con l’eliminazione dei malati di mente; queste sue posizioni lo portarono ad identificare un ceppo originario della razza italiana da cui escludeva i meridionali, ideologia rifiutata dal regime fascista che non voleva che si parlasse di più razze in Italia[9]. Come si legge in La difesa della razza di Francesco Cassata, l’antropologo fiorentino propose un progetto di “sorveglianza” delle migrazioni interne alla penisola, per impedire “l’imbrunimento dei tipi razziali italiani”[10].
Per Cipriani la fecondità era in ragione inversa all’elevatezza delle doti fisiche e mentali nonché delle condizioni economiche. Il compito fondamentale del razzismo fascista doveva essere quello di “stimolare la riproduzione dei migliori con la divulgazione dei principi eugenetici coi provvedimenti economici e con appropriata esaltazione dei sentimenti patriottici”[11].
Cipriani suggerì “una oculata politica degli spostamenti dei tipi etnici sul suolo italiano” [12], fino ad ipotizzare la possibilità di un potenziamento di quelli biologicamente più favorevoli, accompagnato “dall’eliminazione di alcuni tipi etnici giudicati indesiderabili” [13] Considerò la legislazione eugenetica nazionalsocialista un modello da imitare, la sterilizzazione, in particolare, avrebbe comportato un “indubbio guadagno sociale per la ridotta generazione dei tarati”[14].
Fascismo, leggi razziali, Manifesto della razza
«Quando si dice razza si intende esprimere un concetto biologico ben definito, un complesso cioè di caratteri fisici e psicologici che si tramandano sempre gli stessi da padre in figlio, malgrado le diverse influenze di ambiente e di vita». Questa è la definizione quasi ufficiale della parola razza nell’Italia fascista, tratta dall’articolo di Guido Landra Concetti del razzismo italiano, nella «Difesa della razza» del 20 novembre 1938[15].
Se oggi sappiamo con assoluta certezza che parlare di razze umane è un’assurdità scientifica, all’epoca, sulla base delle conoscenze biologiche del tempo, l’argomento era oggetto di discussioni. Questo permetteva ai razzisti di avvalorare scientificamente le loro posizioni politiche; teorie razziste erano diffuse anche negli Stati Uniti, dove erano utilizzate per giustificare le discriminazioni degli afroamericani.
Significativo è il caso della Venere ottentotta spesso utilizzata dall’antropologia fisica fascista come icona di primitivismo e di mostruosità funzionale alla politica coloniale razzista del regime[16].
Quando nel 1945 Cipriani venne incarcerato per essere stato uno dei firmatari del “Manifesto della razza” egli cercò di smentire l’accusa, ma in realtà era stato assolutamente coinvolto con il regime fascista e la sua politica razziale, non solo a livello teorico ma anche nell’attuazione pratica.
La propaganda razziale e anti-ebraica del regime fascista si basava sulla divulgazione di nozioni pseudo-scientifiche ovvero non su conoscenze corrette utili per migliorare la conoscenza, bensì su teorie artificiose, apparentemente scientifiche, che servivano a compiacere il potere. Gli scienziati che studiarono le razze produssero teorie che parevano scientifiche dal punto di vista dello stile, ma che si fondavano su posizioni precostituite con lo scopo di sostenere l’ideologia fascista, come nel caso citato della Venere ottentotta presente in diversi numeri della Difesa della razza.
Durante le sue missioni antropologiche Cipriani aveva raccolto una ricca documentazione fotografica, la sua fotografia ’scientifica’ fu utilizzata per favorire e propagandare il pregiudizio razziale. Nel 1936 sostenne che gli israeliti fossero assimilabili positivamente ai mediterranei e giudicò incompatibile l’antisemitismo con il “Pensiero Latino”,[17] Nello stesso anno l’articolo venne riprodotto come capitolo introduttivo nel volume “Un assurdo etnico: l’impero etiopico”[18].
Nel 1938 però l’antropologo cambiò opinione in merito alla questione ebraica e divenne uno dei dieci firmatari della dichiarazione Il fascismo e i problemi della razza (pubblicata il 14 luglio sul Giornale d’Italia, più nota come Manifesto degli scienziati razzisti o Manifesto della razza), in cui si teorizzavano la concezione ‘biologica’ del razzismo, l’esistenza di una pura razza italiana e la non assimilabilità ad essa degli Ebrei, dei mulatti e dei “negri”, in quanto appartenenti a una razza non europea. Il Manifesto faceva riferimento alle razze umane affermando che c'erano grandi e piccole razze e che esisteva una pura “razza ariana “ di cui facevano parte gli italiani.
Già nel giugno 1938 Landra aveva contattato l’antropologo per informarlo che si sarebbe dovuto occupare di questioni inerenti alla razza, partecipando al comitato consultivo della “Biblioteca razziale Italiana”. Il numero del 20 aprile 1942 della Difesa della razza, interamente dedicato al manifesto del 1938, conteneva un articolo scritto da Lidio Cipriani [19].
Gli scritti di Cipriani e i suoi calchi dei visi delle popolazioni africane funsero da base scientifica all’ideologia del regime e furono uno strumento propagandistico delle ideologie razziste del tempo. Gli appunti dell’antropologo esercitarono un’azione propagandistica su cui venne costruita l’attività del futuro Ufficio della Razza [20] di cui lo stesso antropologo fece parte e da cui venne sospeso nel 1941.
Pur sottolineando che “l’unità spirituale degli italiani” presentava una sua “base biologica”, Cipriani ritenne che la razza-nazione scaturisse da un “miscuglio” di tipi umani differenti e che al suo interno le élite rappresentassero l’espressione “dell’elemento etnico meglio dotato”, identificato in particolare nel nordico biondo [21].
Note
- ^ Francesco Cassata, La difesa della razza. Politica, ideologie e immagine del razzismo fascista, Einaudi, Torino, 2008, pp.64-65.
- ^ F. Cassata op. cit., p. 80.
- ^ Il termine viene usato in modo ricorrente da Cipriani per identificare gli individui di colore.
- ^ F. Cassata op. cit., p. 231.
- ^ F. Cassata op. cit., p. 230.
- ^ F. Cassata op. cit., pp. 230, 231.«“Generalmente il Negro impressiona per il suo contegno da fanciullone incorreggibile, per la sua disposizione ad una allegria infantile e ai passatempi ingenui a cui nessun Bianco normale si darebbe. Sfugge quanto più può dall’applicare, alla maniera nostra, le sue facoltà mentali ed il suo agire è assai poco per ragionamento e molto per imitazione, specialmente quando trasportato a vivere nel seno della civiltà. Dominati dagli impulsi naturali e dalla ricerca dell’ozio e dei piaceri individuali, i «negri» sono privi di qualsiasi capacità logico-critica e non concepiscono l’idea del lavoro: piuttosto che costruire una strada o scavare un pozzo, il «negro» preferisce abbandonarsi ogni giorno, senza preoccupazioni di sorta, ai suoi piaceri prediletti, quali il cicaleggiare per ore e ore su argomenti insulsi ripetuti all’infinito, il saltare, il far rumore e talora il litigare o il sollazzarsi con le sue donne. Tutto il resto, per qualsiasi di loro, vale assai me-no”»
- ^ F. Cassata op. cit., p. 231.
- ^ F. Cassata op. cit., p. 231.
- ^ Il fascismo non aderì mai alla cosiddetta eugenetica negativa, ossia a eliminare gli italiani con handicap fisici o mentale
- ^ F. Cassata op. cit., pp. 205, 207.
- ^ F. Cassata op. cit., p. 205.
- ^ F. Cassata op. cit., p. 205.
- ^ F. Cassata op. cit., p. 205.
- ^ F. Cassata op. cit., pp. 205-207.
- ^ treccani.it, http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/razzismo/Cortelazzo.html .
- ^ La Venere ottentotta consente di indagare sulle differenti logiche di rappresentazione del nero in competizione all’interno del gruppo redazionale della Difesa della razza. Dai carteggi conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato, emerge la netta disapprovazione di Lidio Cipriani nei confronti dell’utilizzo strumentale del disegno della Venere ottentotta voluta da Guido Landra
- ^ F. Cassata op. cit., pp. 64-65.
- ^ F. Cassata op. cit., p. 230.
- ^ F. Cassata op. cit., pp. 39; 46, 64-65, 91.
- ^ F. Cassata op. cit., p. 40.
- ^ F. Cassata op. cit., p. 205.
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