Utente:Peppermania00/Sandbox

Per INA-Casa si intende il piano di intervento dello Stato italiano, vigente tra il 1949 e il 1963 ed ideato dal ministro del lavoro Amintore Fanfani (detto per questo anche Piano Fanfani), per realizzare edilizia residenziale pubblica su tutto il territorio italiano.
Concepito nell'immediato secondo dopoguerra, aveva a disposizione fondi controllati dall'istituto Gestione INA-casa, creato come branca dell'Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA).
Storia
Gli albori del progetto
Il piano INA-casa ha una lunga gestazione, precedente al disposizione di legge n.43 del 28 febbraio 1949, che porterà all'attivazione dello stesso progetto [1]. Si inizia a parlare di un possibile piano per la ricostruzione delle case popolari già nel 1939, su proposta di Gino Miniati[2]. Possiamo dire con certezza che la costruzione delle case popolari non sia un'invenzione di Miniati e nemmeno del seguente progetto di Fanfani, ma vi era già un istituto, costituito all'inizio del '900 e trasportato all'interno degli istituti fascisti, che era deputato alla costruzione delle case popolari, l'Istituto Autonomo Case Popolari (IACP). La proposta di Miniati differiva dai precedenti progetti per il coinvolgimento dell'INA all'interno del finanziamento. Secondo Miniati il finanziamento sarebbe arrivato tramite l'INA, l'INPS e altri enti parastatali, ma con il contributo anche dei lavoratori, tramite alcune trattenute in busta paga. Le case sarebbero poi state cedute a riscatto agli operai[2]. Questa proposta rimarrà inattuata per il contrasto interno tra dirigenti fascisti, soprattutto con quelli del Consorzio degli Istituti fascisti case popolari. Secondo lo studioso Lando Bortolotti, questo piano è il diretto anticipatore del piano Fanfani, proprio per le sue similari caratteristiche economiche e distributive[3]. Un secondo piano che anticipa quello di Fanfani è il progetto Schema di decreto per l’emissione, da parte dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, di un prestito obbligazionario da destinarsi alle opere di ricostruzione edilizia del 1946 di Annetto Puggioni, presidente dell'INA. L'INA era stata fondata nel 1912, ma a partire dal 1923 era entrata con quote di rischio all'interno del mercato immobiliare italiano[4] . Il piano era così articolato: l’INA avrebbe emesso delle obbligazioni il cui ricavo sarebbe stato destinato alla costruzione di case per lavoratori, l’assegnatario avrebbe pagato la casa entro 25 anni sotto stipula di un contratto di assicurazione, lo stato avrebbe pagato parte della cifra per l’abitazione. L'intento era quello di diffondere i servizi dell'INA tramite la stipula di un'assicurazione sulla vita in caso di morte dell'assegnatario[5] .
inizialmente il piano prevedeva una durata settennale, ma successivamente venne prorogato di ulteriori sette anni, con decorrenza 1º aprile 1956 e sino al 1963 in base alla operata dalla legge 26 novembre 1955, n. 1148, fino alla liquidazione ed alla costituzione del fondo Gescal. Grande promotore dell'iniziativa fu l'allora ministro del lavoro e della previdenza sociale Amintore Fanfani, tanto che, successivamente, il piano nei commenti giornalistici venne spesso denominato "Piano Fanfani".
L'intervento gestito dall'INA-Casa voleva favorire, oltre al rilancio dell'attività edilizia, anche l'assorbimento di un considerevole numero di disoccupati e la costruzione di alloggi per le famiglie a basso reddito. Molti[chi?] hanno definito l'intervento come ispirato alle teorie economiche di Keynes, assumendo come modello di riferimento l'Inghilterra del "Piano Beveridge".[senza fonte]
I primi piani furono elaborati da Adalberto Libera (che diresse l'ufficio fino al 1952)[6] con la collaborazione di Giuliana Genta.[7]
Lo stile architettonico
L'architetto e designer Giò Ponti, durante l'iter della legge di istituzione dell'INA-Casa, criticherà il piano e la sua architettura giudicata troppo uniforme e scontata, ma la maggioranza dei migliori architetti dell'epoca parteciperà ai progetti: Irenio Diotallevi, Mario Ridolfi, Michele Valori, Giorgio Raineri, Roberto Gabetti, Carlo Aymonino, Franco Albini, lo studio BBPR, Castiglioni, Ignazio Gardella, Luigi Carlo Daneri, Figini e Pollini, Ettore Sottsass, Italo Insolera e Enea Manfredini. Fu pure coinvolta una moltitudine variegata di professionisti, che comprendeva, oltre agli architetti, urbanisti, ingegneri, geometri, che parteciparono alla realizzazione dei molti quartieri popolari, con i più svariati nomi, disseminati in tutto il territorio nazionale.
Il Piano seguiva precise direttive, che si ricollegavano e facevano propria, in primo luogo, la tendenza architettonica prevalente in quel periodo in Italia che era quella del Neorealismo architettonico e cioè di un legame stretto con la tradizione, che portava ad una reinterpretazione del temi razionalisti basata sulla coerenza compositiva dei materiali, delle scelte tecnologiche, dei particolari architettonici, delle interpretazioni sociologiche e psicologiche dell'ambiente costruito e dello spazio architettonico esistente e storico. In secondo luogo, proprio per garantire il ritorno occupazionale, era previsto l'utilizzo nelle varie fasi realizzative di imprese locali e di piccoli imprenditori.
Si ebbe quindi la sperimentazione sul campo delle teorie "neorealiste" con la realizzazione di quartieri di grande valenza architettonica come il quartiere Tiburtino a Roma (capigruppo Ridolfi e Quaroni) o il quartiere Spine Bianche a Matera (Michele Valori e Carlo Aymonino) o il Villaggio del Sole a Vicenza; col Villaggio San Marco a Mestre si volle cercare di ricreare la tipica urbanistica veneziana in terraferma. Nello stesso tempo si ebbe l'intervento in cantiere di piccole imprese di mano d'opera artigiana di limitata specializzazione professionale e con modesta industrializzazione.
Questi due fatti uniti insieme generarono la caratteristica del cosiddetto Razionalismo italiano del secondo dopoguerra, sempre in bilico tra tradizione e modernità, tra interpretazione storica e norme funzionali.
Le targhe in ceramica
Una singolare caratteristica del progetto fu quella di far apporre, su tutti gli edifici realizzati, una targa in ceramica policroma (alcune delle quali realizzate da grandi artisti quali Alberto Burri, Duilio Cambellotti, Leoncillo Leonardi, Tommaso Cascella, Guerrino Tramonti, Pietro De Laurentiis, Piero Dorazio, Wladimiro Tulli) che alludesse o al tema del progetto o, più in generale, al tema della casa come luogo felice. L'applicazione delle targhe sugli immobili, per le quali erano stabilite le misure, la posizione e i prezzi massimi, era una delle condizioni per il rilascio del certificato di collaudo.
Dati e statistiche
I risultati del piano, come risultano dalle pubblicazioni in materia[senza fonte], rilevarono una grande vitalità ed impatto del medesimo sulla vita economica e sociale del paese. Infatti, solo pochi mesi dopo l'approvazione della legge, nell'estate del 1949, verrà aperto il primo cantiere dei 650 che risulteranno aperti nell'autunno dello stesso anno. Il ritmo di costruzione, reso possibile dalla struttura organizzativa Ina-Casa, sarà estremamente efficiente e, con l'entrata a regime, produrrà circa 2.800 unità abitative a settimana, con la consegna, sempre settimanale, di circa 550 alloggi alle famiglie assegnatarie.
Nei primi sette anni di vita verranno investiti complessivamente 334 miliardi di lire per la costruzione di 735.000 vani, corrispondenti a 147.000 alloggi. Alla fine dei quattordici anni di durata del piano, i vani realizzati saranno in totale circa 2.000.000, per un complesso di 355.000 alloggi. Il Piano Ina-Casa alla sua scadenza avrà aperto 20.000 cantieri che porteranno, come era negli intenti dei legislatori, ad impiegare molta manodopera stabile: circa 41.000 lavoratori edili all'anno, costituenti un impiego pari al 10% delle giornate-operaio dell'epoca.
Note
- ^ LEGGE 28 febbraio 1949, n. 43 Provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori. (GU Serie Generale n.54 del 07-03-1949), su gazzettaufficiale.it.
- ^ a b Di Biagi, pp. 39-42.
- ^ Bortolotti, pp. 167-168.
- ^ Bartolini, pp. 111-113.
- ^ Nuti, pp.95-96.
- ^ Ina-case, quando l’utopia divenne (quasi) realtà, in La Stampa, 20 febbraio 2013. URL consultato il 9 marzo 2018.
- ^ Andrea Bruschi, La memoria del progetto: per un archivio dell'architettura moderna a Roma, Gangemi, 2006, pp. 70–71, ISBN 978-88-492-1183-2.
Bibliografia
- Paola Di Biagi (a cura di), La grande ricostruzione. Il Piano Ina-Casa e l'Italia degli anni '50, Roma, Donzelli, 2001, ISBN 8879896563.
- Margherita Guccione, Maria Margarita Segarra Lagunes, Rosalia Vittorini (a cura di), Guida ai quartieri romani Ina casa, Roma, Gangemi, 2002, ISBN 978-88-492-0239-7.
- Omar Ottonelli (a cura di), Il piano Fanfani INA-Casa: una risposta ancora attuale, Firenze, Polistampa, 2013, ISBN 978-88-596-1313-8.
- Istituto Luigi Sturzo (a cura di), Fanfani e la casa. Gli anni Cinquanta e il modello italiano di welfare state. Il piano INA-Casa, Soveria Mannelli, Rubettino, 2002.
- Luigi Beretta Anguissola (a cura di), I 14 anni del Piano INA-Casa, Roma, Staderini, 1963.
- Giuseppe Parenti, Una esperienza di programmazione settoriale nell’edilizia: l’INA-casa, Roma, Giuffrè, 1967.
- Lando Bortolotti, Storia della politica edilizia in Italia: proprietà, imprese edili e lavori pubblici dal Dopoguerra ad oggi (1919-1970), Roma, Editori Riuniti, 1978.
- Francesco Bartolini, Roma borghese. La casa e i ceti medi tra le due guerre, Roma, Laterza, 2001.
- Pierluigi Nuti, I piani dell’INA e quello di Fanfani, in Ugo De Servio, Sandro Guerrieri e Antonio Versori (a cura di), La prima legislatura repubblicana. Continuità e discontinuità nell’azione delle istituzioni, Carocci, Laterza, 2004.
Nuti Pierluigi, I piani dell’INA e quello di Fanfani, in La prima legislatura repubblicana. Continuità e discontinuità nell’azione delle istituzioni, a cura di De Servio Ugo, Guerrieri Sandro, Antonio Versori, Roma, Carocci, 2004, p. 100