Economia della Repubblica Democratica Tedesca

La Repubblica Democratica Tedesca (RDT) adottava un'economia pianificata, simile a quella dell'Unione Sovietica e degli altri membri del Comecon. Lo Stato stabiliva gli obiettivi di produzione, i prezzi dei beni e allocava le risorse secondo piani quinquennali. I mezzi di produzione erano interamente controllati dallo Stato.

Economia della Repubblica Democratica Tedesca
Attività economica nella RDT
Sistema economicoeconomia socialista pianificata
ValutaMarco della Repubblica Democratica Tedesca (DDM)
Anno fiscale1 gennaio - 31 dicembre[1]
Organizzazioni internazionali COMECON
Settori industrialiIndustria automobilistica, industria pesante, elettronica, siderurgia, industria leggera, industria bellica
Statistiche
PIL (nominale)160 miliardi $ (1989[1][2]) (17º)
PIL pro capite9 679 $ (1989[1][2]) (26°)
Gini0,185 (1990)
Forza lavoro8 960 000 (1987[1])
Relazioni con l'estero
Esportazioni30,7 miliardi $ (1988)[1]
Prodotti esportatiMacchinari, mezzi di trasporto, carburanti, metalli, beni di consumo, prodotti chimici, materiali da costruzione, semilavorati e prodotti alimentari lavorati
Partner esportazioniURSS, Cecoslovacchia, Polonia, Germania Ovest, Ungheria, Bulgaria, Svizzera, Romania[1]
Importazioni31 miliardi $ (1988)[1]
Prodotti importatiCarburanti, metalli, macchinari, mezzi di trasporto, prodotti chimici e materiali da costruzione
Partner importazioniComecon (65%), Stati non socialisti (33%), altri (2%)[1]
Debito estero20,6 miliardi $ (1989[1])
Finanze pubbliche
Ricavi123,5 miliardi $ (1986[1])
Spese123,2 miliardi $ (1986[1])
Aiuti economici4 miliardi $ (1956-1988[1])

La RDT garantiva standard di vita superiori rispetto agli altri paesi del blocco orientale e alla stessa URSS. Inoltre, beneficiava di agevolazioni fiscali e tariffarie esclusive nei rapporti con il mercato della Germania Ovest.[3]

Storia

Periodo dell'occupazione sovietica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Zona di occupazione sovietica.

Ciascuna potenza alleata assunse il pieno controllo delle rispettive zone di occupazione della Germania a partire dal giugno del 1945. Gli Alleati adottarono una politica comune, incentrata sulla denazificazione del territorio, per gettare le basi di un futuro stato tedesco democratico.

Tuttavia, già dal 1946, le zone occidentali e sovietiche presero strade divergenti sul piano economico. Nella zona sovietica, la produttività totale dei fattori risultava inferiore rispetto a quella occidentale. Durante la guerra, l'industrializzazione aveva favorito principalmente l'economia orientale, che subì danni meno gravi rispetto a Ovest.[4] Nonostante ciò, entro il 1948, le aree occidentali avevano raggiunto un livello di prosperità significativamente superiore.[4]

Le ragioni del ritardo economico della Germania orientale erano molteplici. Mentre ingenti somme di denaro, principalmente provenienti dagli Stati Uniti d'America, venivano investite nella Germania Ovest, l'Unione Sovietica non solo non finanziò l'economia della sua zona d'occupazione, ma utilizzò le risorse locali per coprire i costi delle riparazioni e dell'occupazione. Tra il 1946 e il 1953, il costo complessivo delle riparazioni, dirette e indirette, sostenuto dalla Germania Est ammontò a 14 miliardi $ (cambio del 1938).[5]

La riforma agraria (Bodenreform) prevedeva l'esproprio delle terre possedute dai nazisti, dai criminali di guerra e, in generale, delle proprietà superiori a 1 km².[6] Alcune delle 500 proprietà degli Junker furono trasformate in fattorie collettive del popolo (Landwirtschaftliche Produktionsgenossenschaft, LPG), I governi locali confiscarono 13 700 aziende agricole per una superficie totale di 30 000 km², di cui 22 000 furono distribuiti tra più di 500 000 contadini, braccianti, piccoli proprietari terrieri e rifugiati.[6][7]

Le compensazioni furono riconosciute solo agli antifascisti e antinazisti. Nel settembre del 1947 l'Amministrazione militare sovietica in Germania annunciò il completamento della riforma agraria nella zona di occupazione: un totale di 12 355 proprietà e 24 000 km² furono nazionalizzati e ridistribuiti a 119 000 famiglie di contadini senza terra, 83 000 famiglie di rifugiati e altre 300 000 di diverse categorie. Furono inoltre create delle fattorie di stato rinominate Volkseigenes Gut ("Proprietà del popolo").

Circa 9 300 imprese industriali di proprietà di monopoli privati, nazisti e criminali di guerra furono confiscate e nazionalizzate, rappresentando circa il 60% dell'intera produzione della zona sovietica.[6][7] Le fabbriche pesanti, che costituivano il 20% della produzione totale, furono sfruttate dall'URSS per il pagamento delle riparazioni, con la creazione delle aziende congiunte sovietiche (Sowjetische Aktiengesellschaften, SAG).[6] Il restante patrimonio industriale confiscato fu nazionalizzato, lasciando solo il 40% della produzione in mano ai privati.[6] Quasi tutti i trasporti ferroviari vennero nazionalizzati, vennero istituite banche statali al posto di quelle private, nuove istituzioni statali e cooperative.[7]

Mentre lo smantellamento della capacità industriale ebbe un impatto rilevante, il principale fattore alla base della divergenza economica iniziale fu la separazione della RDT dal mercato tedesco occidentale.[4] L'economia della Germania Est, dominata dall'industria di consumo, dipendeva in gran parte da materie prime e beni intermedi reperibili solo in Occidente. I principali giacimenti di carbone, minerale di ferro e molti metalli non ferrosi si trovavano nella Germania occidentale (nel 1936, il rispettivo territorio della RFT rappresentava il 98% della produzione totale tedesca di carbone e il 93% della metallurgia ferrosa) e la RDT riusciva a soddisfare appena la metà del fabbisogno interno di carburante.[4][7] Nel 1943, la produzione dell'est rappresentava solo lo 0,5% di coke, l'1,6% di ferro e il 6,9% di acciaio della produzione tedesca postbellica.[4] Dopo la guerra, il commercio tra est e ovest subì una riduzione del 35%.[4]

Il commercio al dettaglio fu completamente monopolizzato dallo stato attraverso due organizzazioni dai privilegi speciali: le Konsum e le Handelsorganisation. Il 2 gennaio 1949 fu introdotto un piano economico biennale con l'obiettivo di aumentare dell’81% il livello produttivo rispetto al 1939, incrementare i salari dal 12% al 15% e ridurre del 30% i costi di produzione. Inoltre, il piano prevedeva un miglioramento delle razioni alimentari quotidiane, portandole da 1 500 a 2 000 calorie.

Nel 1948 fu creata la Commissione economica tedesca (Deutsche Wirtschaftskomission) che assunse l'autorità amministrativa e il 7 ottobre 1949 proclamò la Repubblica Democratica Tedesca.[8]

Nel 1949, si stima che il 100% dei trasporti, tra il 90% e il 100% delle industrie chimiche e il 93% delle aziende di carburanti fossero di fatto sotto il controllo sovietico. Alla fine del 1950, la Germania dell'Est aveva già versato 3,7 miliardi $ dei 10 miliardi richiesti dall'URSS come riparazioni di guerra. Dopo la morte di Stalin e i moti operai del 1953, l'Unione Sovietica restituì al governo della Germania dell'Est le aziende precedentemente confiscate.

Nel maggio 1949, il ministro degli Esteri sovietico Andrej Vyšinskij dichiarò che, nel marzo dello stesso anno, la produzione nella zona di occupazione sovietica aveva superato del 96,6% il livello del 1936 e che il bilancio registrava un surplus di 1 miliardo di marchi orientali, nonostante una riduzione del 30% delle tasse.

Anni Cinquanta

Nel 1950 la quota delle imprese socialiste sul reddito nazionale era del 36,8%, quella privata del 43,2%.[7]

Nel maggio 1950, il governo sovietico dimezzò le richieste di riparazioni imposte alla DDR e, a partire dal 1954, ne sospese completamente la riscossione.[7] Inoltre, l’Unione Sovietica restituì alla Germania Est le imprese precedentemente cedute a titolo di riparazione e ridusse le spese relative alla presenza delle truppe sovietiche sul territorio della RDT, fissandole a un massimo del 5% delle entrate del bilancio statale.[7] In seguito, l’URSS rinunciò del tutto a tali contributi.[7]

Nel luglio 1950, il III Congresso del Partito Socialista Unificato di Germania (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands, SED) enfatizzò il progresso industriale, settore che impiegava il 40% della forza lavoro.[9] In seguito furono nazionalizzate le industrie private e trasformate in "Imprese del Popolo" (Volkseigene Betriebe, VEB), che arrivarono a rappresentare il 75% della produzione industriale.[9] Il primo piano quinquennale (1951-1955) introdusse la pianificazione centralizzata, fissando alte quote di produzione per l'industria pesante e maggiori richieste di produttività dei lavoratori.[9]

Il 22 settembre 1950, la Repubblica Democratica Tedesca entrò a far parte del Consiglio di mutua assistenza economica.[9]

 
Produzione di plastica, in termini pro-capite, dei paesi industrializzati al 1957 e la previsione per la DDR al 1965.

Dal 9 al 12 luglio 1952 si tenne la seconda conferenza del SED e fu delineata la nuova politica economica della costruzione pianificata del socialismo (Geplante Aufbau des Sozialismus), finalizzata a rafforzare il settore statale dell’economia. Gli obiettivi successivi furono l’implementazione di una pianificazione socialista uniforme e l’applicazione sistematica di riforme economiche socialiste.

Nel 1953, un'industria su sette aveva trasferito la produzione a est.[10] La morte di Stalin nel marzo dello stesso anno portò a significativi cambiamenti politici ed economici: il SED annunciò il Nuovo corso (Neuer Kurs), ispirato alla politica economica di Georgij Malenkov nell'Unione Sovietica.[9] La riforma di Malenkov, finalizzata a migliorare la qualità della vita, prevedeva maggiori investimenti nell'industria leggera e nel commercio, aumentando la disponibilità di beni di consumo.[9] In linea con questa strategia, il SED spostò gli obiettivi di produzione dall'industria pesante a quella di consumo e avviò misure per alleviare le difficoltà economiche, tra cui la riduzione delle tasse e delle quote di consegna, l’erogazione di prestiti statali alle attività private e un aumento dell’allocazione dei materiali di produzione.[9]

Nonostante il Nuovo corso avesse aumentato la disponibilità dei beni di consumo, non riuscì a ridurre le alte quote di produzione richieste. Quando vennero ulteriormente incrementate nel 1953, scoppiarono scioperi e manifestazioni nei principali centri industriali del paese. Le rivolte furono represse dalla Volkspolizei e dall’Armata Rossa.[9]

Nel bilancio del 1953, presentato alla Volkskammer, il tema dominante rimaneva lo sfruttamento economico da parte dell’Unione Sovietica. La legge di bilancio prevedeva una spesa totale di 34,688 miliardi di marchi, con un incremento del 10% rispetto ai 31,730 miliardi del 1952. Gran parte di queste risorse era destinata al rafforzamento dell’economia e della difesa. Nel 1954 l'Unione Sovietica diede maggiore sovranità alla RDT: i costi di riparazione furono pagati interamente e le SAG furono cedute al governo tedesco orientale.[9]

Nel febbraio 1956, durante il XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, il segretario generale Nikita Chruščëv denunciò lo stalinismo. Questo clima di apertura portò una parte dell’intelligencija accademica, insieme ad alcuni membri della leadership del SED, a chiedere riforme.[11] Il filosofo marxista Wolfgang Harich pubblicò un programma che proponeva cambiamenti radicali al sistema della RDT. Tuttavia, verso la fine del 1956, Harich e i suoi collaboratori furono espulsi dal SED e imprigionati.[11]

Nel marzo 1956, la III Conferenza del SED approvò il secondo piano quinquennale (1956–1960), caratterizzato dallo slogan "modernizzazione, meccanizzazione e automazione", con l'obiettivo di promuovere il progresso tecnologico.[7][11] La Conferenza propose l’estensione dei rapporti di produzione socialisti a tutti i settori dell’economia nazionale. Stabilì che tali trasformazioni potevano avvenire mediante la partecipazione dello Stato nelle imprese private capitalistiche e la creazione di cooperative di produzione artigianale. La trasformazione socialista dell’agricoltura veniva indicata come l’anello centrale di questo processo.[7]

Al plenum del SED del luglio 1956, fu confermata la leadership di Walter Ulbricht.

Il regime annunciò lo sviluppo del settore dell'energia nucleare, e nel 1957 venne attivato il primo reattore nucleare della RDT.[12] Contestualmente, le quote di produzione industriale vennero incrementate del 55%, con un rinnovato focus sull'industria pesante.[13] In politica estera, strinse accordi di cooperazione economica all'interno del blocco orientale con Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Bulgaria.[7]

Il piano quinquennale intensificò la collettivizzazione agricola e accelerò la completa nazionalizzazione del settore industriale.[13] Nel 1958, l’agricoltura della RDT era composta principalmente da 750 000 fattorie private, che coprivano il 70% delle terre coltivabili, e da sole 6 000 fattorie collettive.[13] Tra il 1958 e il 1959, il SED stabilì delle quote per i contadini privati e inviò gruppi nei villaggi per promuovere la collettivizzazione volontaria. Tuttavia, nei mesi di novembre e dicembre 1959, la Stasi arrestò alcuni contadini che si opponevano al processo.[13]

Nel febbraio 1958, il SED avviò una riforma estensiva della gestione economica, trasferendo numerosi ministri dell'industria alla Commissione di Stato della pianificazione (Staatliche Plankommission).[13] Per accelerare la nazionalizzazione dell'industria, il partito offrì agli imprenditori una partnership del 50% e vari incentivi per trasformare le loro aziende in imprese del popolo.[13]

Alla fine degli anni Cinquanta, il settore socialista assunse un ruolo centrale nell'industria, nei trasporti e nel commercio.[7] Le autorità dichiararono il successo della cooperazione agricola e l'eliminazione della disoccupazione.[7]

Anni Sessanta

A metà degli anni Sessanta, circa l'85% delle terre coltivabili era stato incorporato in oltre 19 000 cooperative agricole, mentre un ulteriore 6% era gestito da fattorie statali. Nel 1961, il settore socialista era responsabile del 90% della produzione agricola della RDT.[13] Lo stesso anno si registrò un brusco calo produttivo, aggravato dall'emigrazione dei contadini verso l'ovest e da condizioni climatiche sfavorevoli.[14]

Alla fine degli anni Cinquanta, le imprese private controllavano solo il 9% dell’industria, mentre le cooperative di produzione (Produktionsgenossenschaften, PG) avevano assorbito un terzo del settore artigianale tra il 1960 e il 1961, con un aumento del 6% rispetto al 1958.[13] L’apertura del nuovo porto di Rostock nel 1960 contribuì a ridurre la dipendenza dal porto di Amburgo.[15]

Nel luglio 1961 fu creato il Consiglio economico del popolo della RDT (Volkswirtschaftsrat der DDR) scorporando dalla Commissione per la pianificazione il Dipartimento principale dell'industria e il Dipartimento principale per l'approvvigionamento dei materiali. Il Consiglio doveva essere un organo indipendente per la gestione dell'industria a livello centrale e locale e per la “regolamentazione delle questioni di base relative ai mestieri specializzati e alle industrie dei servizi”.[16]

Il secondo piano quinquennale incontrò difficoltà e fu sostituito da un piano settennale (1959–1965) che puntava a raggiungere entro il 1961 lo stesso livello di produzione pro capite della Germania Ovest, prevedendo quote più elevate e un aumento dell’85% della produttività.[13] L’emigrazione aumentò da 143 000 persone nel 1959 a 199 000 nel 1960, con una forte incidenza di giovani sotto i 25 anni e colletti bianchi. Tra il 1949 e il 1961, oltre 2,5 milioni di lavoratori avevano lasciato la RDT.[13]

La crescita industriale annuale iniziò a diminuire costantemente dopo il 1959. In risposta, l'Unione Sovietica raccomandò alla Germania Est di adottare le riforme proposte dall'economista sovietico Ovsij Liberman, sostenitore del principio di redditività e dell'introduzione di elementi di mercato nelle economie socialiste.[13]

Il VI Congresso del SED, tenutosi nel gennaio 1963, adottò il Programma del partito per la costruzione globale del socialismo e tracciò un piano di sviluppo dell’economia nazionale fino al 1970, con l’obiettivo di affrontare questioni fondamentali di natura scientifica, tecnica, economica e sociale.[7] Il premier e segretario Walter Ulbricht applicò quindi le teorie di Liberman introducendo il Nuovo sistema economico di pianificazione e gestione (Neues Ökonomisches System der Planung und Leitung, abbreviato in NÖS o NÖSPL), un programma di riforme volto a decentralizzare parzialmente il processo decisionale e a integrare criteri di mercato e produttività. L'obiettivo era quello di rendere il sistema economico più efficiente e trasformare la RDT in una potenza industriale.[17]

Con il NÖS, la pianificazione centrale continuava a fissare gli obiettivi generali di sviluppo, ma il potere decisionale venne in parte trasferito dalle autorità centrali — come la Commissione per la pianificazione e il Consiglio economico del popolo — alle organizzazioni affiliate all'Associazione delle Aziende del Popolo (Vereinigungen Volkseigener Betriebe, VVB), al fine di favorire la specializzazione nei diversi settori produttivi.[18] Le VVB, pur vincolate a quote di produzione stabilite centralmente, gestivano in autonomia le finanze interne, le tecnologie, l'allocazione della manodopera e delle risorse. Agivano anche da intermediarie, sintetizzando e trasmettendo dati e raccomandazioni dalle VEB. Il sistema prevedeva che le decisioni produttive fossero guidate dalla redditività, che i salari riflettessero la produttività e che i prezzi fossero determinati secondo la domanda e l'offerta.[18]

Il NÖS favorì l'emergere di una nuova élite di politici ed economisti. Nel 1963, Ulbricht introdusse una nuova linea politica per l'accesso ai vertici del SED, aprendo il Politbüro e il Comitato centrale ai giovani iscritti con un'istruzione superiore rispetto ai predecessori e con competenze tecniche e gestionali.[19] Questa svolta portò alla formazione di fazioni all'interno del partito, tra cui una nuova componente tecnocratica. L'enfasi posta sulla professionalizzazione modificò la composizione del partito: nel 1967, oltre 250 000 iscritti (il 14% su 1,8 milioni) avevano completato gli studi universitari, tecnici o commerciali.[20]

L'importanza data alle competenze tecniche permise alla nuova élite tecnocratica di accedere ai vertici della burocrazia, precedentemente dominati da politici ideologicamente ortodossi. I dirigenti delle VVB venivano selezionati principalmente per merito professionale, più che per adesione ideologica.[20] Anche nelle singole imprese aumentò la domanda di personale qualificato: Il SED indirizzò l’istruzione verso le scienze applicate e la gestione, rendendola un mezzo per l’avanzamento sociale, l’accesso a benefici materiali e il miglioramento delle condizioni di vita. Tra il 1964 e il 1967, gli stipendi crebbero e aumentò la disponibilità di beni di consumo, compresi articoli di lusso.[20]

Nel giugno 1964, la Repubblica Democratica Tedesca e l'Unione Sovietica firmarono un trattato di amicizia, assistenza reciproca e cooperazione. A questo seguì, nel dicembre 1965, un accordo commerciale a lungo termine che fissava il volume degli scambi per il periodo 1966-1970 a oltre 13 miliardi di rubli.[7]

I risultati della riforma si rivelarono inferiori alle aspettative del partito, poiché la crescita fu trainata principalmente dall'aumento degli investimenti, piuttosto che dall'efficacia del nuovo sistema di controllo.[21] Nell'aprile 1967, il VII Congresso del SED definì un nuovo piano per la costruzione del socialismo e venne introdotto il Sistema economico del socialismo (Ökonomische System des Sozialismus), che individuava i settori strategici prioritari nell'accesso a fondi e risorse.[7][21][22][23] Inizialmente, questi settori comprendevano l’industria chimica, ingegneristica ed elettronica, ma a seguito delle pressioni esercitate dalle imprese per includere altri progetti strategici, l’elenco si ampliò.[24] Furono costituite partnership industriali integrate verticalmente per coordinare le filiere produttive nei settori chiave, mentre vennero reintrodotti sussidi per ridurre i costi e accelerare la crescita nei settori favoriti.[22] Il piano annuale del 1968 stabilì quote di produzione nei settori determinanti superiori del 2,6% rispetto agli altri, e obiettivi ancora più ambiziosi furono fissati per l’alta tecnologia nel biennio 1969–1970. Il Sistema Economico del Socialismo verrà dismesso nel 1970.[22] Ciò indebolì la posizione di Ulbricht all'interno del partito.[22]

Nel frattempo, verso la fine degli anni Sessanta, la scoperta del giacimento di gas naturale di Altmark aprì nuove opportunità commerciali con l’estero e contribuì a un significativo incremento delle entrate in valuta estera per lo Stato.[25] Nel novembre 1970, fu stipulato un nuovo accordo commerciale tra l'Unione Sovietica e la RDT per il quinquennio 1971-1975, con un fatturato complessivo previsto superiore a 22 miliardi di rubli.[7]

Anni Settanta

Nel 1970, l'85,6% del reddito nazionale era dato dalle imprese socialiste, l'8,7% dalle aziende statali e il 5,7% da quelle private.[7]

Nei primi anni Settanta fu avviata una pianificazione a lungo termine, con linee guida di durata compresa tra i 15 e i 20 anni, pensate per garantire coerenza tra i diversi piani quinquennali.[26] L’VIII Congresso del SED, svoltosi nel giugno 1971, approvò gli obiettivi del Piano quinquennale 1971–1975 con lo scopo principale di migliorare ulteriormente le condizioni di vita materiali e culturali della popolazione, basato su alti tassi di crescita della produzione socialista, maggiore efficienza, progresso scientifico e tecnologico e incremento della produttività del lavoro.[7] Nel periodo 1971–1975, si prevedeva un aumento del reddito nazionale del 26-28%, un incremento della produzione industriale di beni del 34-36% e una crescita della produttività del lavoro nell'industria del 35-37%. Entro il 1975, i consumi sarebbero dovuti aumentare del 21-23%.[7]

Nel giugno 1971, le relazioni economiche e commerciali della RDT si estendevano a oltre 100 Paesi, tra cui molti paesi in via di sviluppo.[7] I principali partner commerciali restavano i Paesi socialisti, in particolare l’Unione Sovietica.[7] La RDT dipendeva in larga misura dalle importazioni per coprire il proprio fabbisogno di materie prime: il 90% del petrolio e del minerale di ferro, il 40% dell’acciaio laminato, il 70% dello zinco, il 60% dell’alluminio primario e del piombo, il 40% del legname e l’85% del cotone.[7]

 
La miscela tedesca orientale Kaffee Mix costituita al 51% da caffè, prodotto a causa delle carenze

Il neo eletto segretario Erich Honecker introdusse il Compito principale (Hauptaufgabe), che definì la politica nazionale del decennio, riaffermando il marxismo-leninismo e la lotta di classe internazionalista.[27] Il SED lanciò una vasta campagna di propaganda per rafforzare il sostegno al socialismo filo-sovietico e rilanciare la centralità del lavoratore. La politica mantenne come obiettivo lo sviluppo industriale, ma sempre all'interno della pianificazione statale.[27] Con il "socialismo di consumo" (Konsumsozialismus), parte integrante del Compito principale, si puntò a soddisfare i bisogni materiali della classe operaia, intervenendo su salari e ampliando la disponibilità di beni di consumo.[27]

Il regime accelerò la costruzione di nuove abitazioni e la ristrutturazione di quelle esistenti, destinando il 60% degli alloggi alle famiglie operaie. Gli affitti, fortemente sussidiati, restavano molto bassi.[28] Considerando che le donne rappresentavano il 50% della forza lavoro, furono aperti nuovi asili e introdotti congedi di maternità retribuiti da sei mesi a un anno. Anche le pensioni annuali furono aumentate.[28]

Nel 1972, le ultime piccole e medie imprese private ancora parzialmente indipendenti furono nazionalizzate.[29] L'anno successivo, Honecker comunicò con orgoglio il risultato al nuovo leader sovietico Leonid Brežnev. In alcuni casi, i vecchi proprietari rimasero alla guida delle aziende, ma in qualità di direttori stipendiati dallo Stato, con una perdita di efficienza. Imprese che avevano mostrato capacità di iniziativa, reattività al mercato e che generavano valuta forte furono sottoposte alla pianificazione e al controllo statale, malgrado la stagnazione economica.

Negli anni Settanta, l’aumento globale dei prezzi al consumo colpì anche la RDT, sebbene con ritardo a causa della politica dei prezzi del Comecon.[30] Il caffè, bene molto richiesto, divenne un problema strategico per via della necessità di importarlo con valuta forte. Il forte rincaro del caffè tra il 1976 e il 1977 quadruplicò i costi di importazione, causando la cosiddetta “crisi del caffè”. In risposta, il Politbüro ritirò molti marchi di qualità, limitandone l’uso nella ristorazione e negli uffici pubblici, e introdusse la Mischkaffee (o Kaffee-Mix), una miscela composta per il 51% da caffè e per il 49% da additivi come cicoria, segale e barbabietole da zucchero, ampiamente criticata per il gusto sgradevole.

La crisi si risolse dopo il 1978, con la discesa dei prezzi internazionali e l’aumento dell’importazione grazie a un accordo con il Vietnam.

Anni Ottanta

 
Suhl, 1987: Cooperativa di boscaioli raccoglie la legna dalle foreste della Turingia.

Il crescente debito estero della RDT divenne fonte di instabilità. Dopo la bancarotta della Polonia, i paesi occidentali imposero un boicottaggio finanziario ai membri del blocco orientale, inclusa la Germania Est.[31] Anche la vendita di petrolio grezzo sovietico, una delle principali fonti di valuta forte, divenne meno redditizia a causa dei mutamenti del mercato globale.[31] La carenza di investimenti nella ricerca e nella produzione di beni di consumo rese i prodotti della RDT meno competitivi sui mercati occidentali, aumentando la dipendenza economica dall'Unione Sovietica.[31]

Nel 1989, il rapporto debito/PIL raggiunse il 20%, un livello ancora gestibile ma sostenuto solo grazie alla capacità della RDT di esportare beni in occidente e ottenere valuta forte per ripagare i debiti.[32] Nell'ottobre dello stesso anno, un documento del Politbüro (lo Schürer-Papier) stimava che, per mantenere la stabilità del debito, il surplus delle esportazioni avrebbe dovuto passare da 2 miliardi di marchi nel 1990 a oltre 11 miliardi nel 1995, obiettivo ritenuto difficilmente raggiungibile senza sforzi straordinari, soprattutto in un contesto politico ormai instabile.

Gran parte del debito era stato accumulato nel tentativo di affrontare i problemi economici importando componenti, tecnologie e materie prime, e al contempo mantenere gli standard di vita tramite l’importazione di beni di consumo. Nonostante ciò, la RDT restava competitiva a livello internazionale in settori come l’ingegneria meccanica e le tecnologie di stampa.

Un altro fattore rilevante fu la perdita di una fonte stabile di valuta forte derivante dalla rivendita all'estero del petrolio sovietico, che fino al 1981 era fornito a prezzi inferiori rispetto al mercato mondiale. La fine di questo vantaggio compromise ulteriormente le entrate in valuta pregiata, contribuendo a un rallentamento evidente nel miglioramento delle condizioni di vita.

La caduta del muro di Berlino nel 1989 aggravò la crisi economica: la fuga massiccia di lavoratori verso l’Ovest e le difficoltà delle imprese statali nel reperire materiali provocarono un forte calo della produzione. Il collasso dell’autorità centrale di pianificazione portò a disorganizzazione economica e carenze, alimentando ulteriormente l’emigrazione.[33]

Il 1º luglio 1990, la RDT aderì all'unione monetaria ed economica con la Germania Ovest, seguita dalla dissoluzione politica dello Stato il 3 ottobre 1990, con la conseguente riunificazione ufficiale della Germania.[34]

Dopo la riunificazione

Dopo la riunificazione, la Germania orientale attraversò una fase di grave crisi economica, con un crollo della produzione industriale e un forte aumento della disoccupazione.[35] Nei primi anni Novanta, i Kombinat — grandi complessi industriali dell’ex RDT — furono affidati alla Treuhandanstalt, un’agenzia federale incaricata della loro privatizzazione.[36] Tuttavia, l’interesse delle imprese della Germania Ovest per l’economia orientale era limitato, poiché non vi era una reale necessità di espandere la capacità produttiva per servire i nuovi Länder.[35] Circa un terzo delle aziende fu liquidato e, tra chiusure e sospensioni delle attività, si perse circa il 60% dei posti di lavoro.[35]

Settori dell'economia

Agricoltura

 
Un manifesto propagandistico del 1987 che mostra l'aumento della produzione agricola dal 1981 al 1983 e il 1986.

Il settore agricolo della Germania orientale occupava una posizione particolare all'interno del sistema economico, pur essendo completamente integrato. Nel 1985 l'agricoltura e la silvicoltura impiegavano il 10,8% della forza lavoro, ricevevano il 7,4% degli investimenti lordi in capitale e contribuivano per l'8,1% al prodotto netto del Paese.[37] Nonostante la produzione agricola non riuscisse a soddisfare la domanda interna rendendo necessaria l'importazione, gli ottimi raccolti del 1984 e del 1985 ridussero notevolmente la dipendenza della Germania Est dalle importazioni.[37]

A parte alcuni piccoli appezzamenti privati a gestione familiare, l’agricoltura era stata interamente collettivizzata dopo la seconda guerra mondiale.[37] Al 1º luglio 1954, si contavano 4.974 fattorie collettive, con 147.000 membri, che coltivavano il 15,7% delle terre arabili. Le fattorie collettive godevano di un'autonomia formale e avevano un'importanza maggiore rispetto alle normali fattorie statali,[37] ma erano comunque subordinate al Consiglio dei Ministri tramite il Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e dell’Alimentazione. Nel 1984 occupavano circa l'85,8% della superficie agricola totale, mentre le aziende agricole statali ne detenevano solo il 7%.[38] Gli altri terreni del settore agricolo socialista, che nel 1984 costituivano il 95% dei terreni totali, erano detenuti da cooperative orticole e da varie altre unità specializzate.[38] Un articolato sistema di relazioni legava le fattorie ad altre cooperative e alle industrie di trasformazione dei prodotti agricoli.

Esistevano tre tipi di aziende agricole collettive, il tipo I, II e III: nelle aziende agricole di tipo I, solo i terreni arati dovevano essere utilizzati collettivamente mentre tutte le altre terre e risorse produttive venivano lasciate all'uso individuale dei membri.[38] Nelle fattorie di tipo II, tutti i terreni agricoli venivano utilizzati collettivamente, tranne i piccoli appezzamenti privati tenuti da ogni famiglia, che doveva però cedere tutti i macchinari e le attrezzature necessarie.[38] Le aziende agricole di tipo III erano completamente collettivizzate: tutte le risorse produttive (compresi i terreni arati, le foreste, i prati, le risorse idriche, i macchinari e gli immobili), ad eccezione di piccoli appezzamenti privati e di alcuni capi di bestiame, venivano utilizzate collettivamente.[38] Per entrare a far parte di un collettivo di tipo III, un agricoltore doveva contribuire con beni - strutture, bestiame e macchinari - di un determinato valore, che diventavano proprietà dell'organizzazione.[38] I membri il cui patrimonio non era sufficiente a soddisfare questo requisito potevano dare il loro contributo obbligatorio con il reddito guadagnato in un determinato periodo di tempo.[38] I lavori sugli appezzamenti privati dovevano essere svolti solo in orario extra-lavorativo, e i proprietari di appezzamenti privati potevano venderli e lasciarli in eredità.[39]

In tutte le fattorie collettive della Germania Est, la distribuzione del reddito residuo — dopo i contributi obbligatori a vari fondi specializzati — si basava sulla quantità di terra conferita da ciascun membro e sulla quantità di lavoro svolto per il collettivo.[40] La proprietà terriera individuale restava garantita da una base giuridica: in caso di esproprio per usi industriali, i membri ricevevano un indennizzo.[40]

Ogni agricoltore collettivo era tenuto a contribuire con una quantità minima di lavoro annuale, stabilita dall'assemblea generale dei membri, e chi non rispettava questa soglia subiva penalizzazioni sul reddito.[40] In linea con la politica del SED, tale norma mirava a garantire che le energie dei membri fossero rivolte prioritariamente al lavoro collettivo, piuttosto che ai propri appezzamenti privati.[40] Nel 1980, solo circa 10 000 agricoltori operavano in cooperative di tipo I e II, mentre la stragrande maggioranza apparteneva invece alle aziende di tipo III, preferite dal partito.[40]

Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, l’agricoltura della RDT seguì una tendenza alla fusione: cooperative e aziende statali si unirono in grandi unità da 4 000–5 000 ettari. Nacquero così i "Dipartimenti cooperativi di produzione vegetale" (Kooperative Abteilungen der Pflanzenproduktion, KAP), che includevano anche impianti di trasformazione alimentare e divennero la forma predominante nella produzione agricola.[40] Parallelamente, si sviluppò una crescente specializzazione anche nell'allevamento.[40]

Nel 1982, il governo della RDT annunciò una riforma agricola con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita nelle aree rurali e aumentare l’autonomia delle cooperative agricole. Il programma prevedeva una maggiore integrazione tra produzione vegetale e allevamento, in particolare per ottimizzare la pianificazione dei mangimi, oltre a incentivi per le cooperative e un moderato sostegno al settore privato.[40]

Industria

L’industria rappresentava il settore dominante dell’economia della Germania Est, costituendo il 67% del reddito nazionale.[7][41] La RDT figurava tra le principali nazioni industriali a livello mondiale e, all’interno del Comecon, era seconda solo all'Unione Sovietica per produzione industriale totale.[41]

 
Due operai assemblano dei refrigeratori nella catena di montaggio della VEB DKK Scharfenstein, 1964.

L’apparato industriale si articolava in tre settori: socialista (composto da imprese statali e cooperative artigiane), statale e privato.[7] Il settore socialista occupava la posizione dominante: nel 1968 impiegava circa 2,4 milioni di operai e impiegati. Le imprese a partecipazione pubblica e private, con oltre 440 000 lavoratori, svolgevano un ruolo ausiliario ma significativo, fungendo da fornitori per le imprese statali e producendo beni specializzati destinati all'esportazione.[7]

Nei primi anni del dopoguerra, il livello industriale iniziale della Germania orientale era inferiore rispetto a quello delle regioni occidentali, e le industrie di base risultavano meno sviluppate. I danni causati dalla guerra furono più gravi rispetto alla Germania Ovest.[7] La divisione della Germania accentuò gli squilibri preesistenti, interrompendo i tradizionali legami economici tra le regioni orientali e occidentali. L’industria manifatturiera della RDT si trovò così a operare senza un’adeguata base di combustibili, energia e prodotti metallurgici.[7] Il primo gennaio 1954, il governo sovietico prese il controllo di 33 imprese della RDT tra cui le industrie chimiche Leuna e Buna, mentre la Germania orientale divenne proprietaria di tutte le imprese nel suo territorio.

La struttura settoriale, inizialmente dominata dall'industria pesante, subì profonde trasformazioni durante gli anni del potere socialista. La base energetica venne ampliata, soprattutto grazie all'aumento della produzione di lignite e all'importazione di petrolio dall'URSS. Furono sviluppate nuove industrie e creata una base metallurgica nazionale.[7] Le industrie non metalliche e ad alta intensità di materiali vennero potenziate, contribuendo al progresso tecnico dell’intero sistema economico.[7]

Particolare attenzione fu dedicata allo sviluppo dell’industria chimica, in particolare della petrolchimica, oltre che dell’elettronica, della strumentazione, della cantieristica navale e della metallurgia di seconda lavorazione, come la trasformazione dei laminati d'acciaio. Tra il 1950 e il 1970, la produzione industriale totale della DDR aumentò di 5,4 volte, con una crescita ancora più marcata nei settori della chimica e della metallurgia.[7]

Nel 1969, circa il 72,9% della produzione industriale era concentrato negli otto distretti meridionali e sud-occidentali del Paese.[7] Tuttavia, le disparità tra il sud fortemente industrializzato e il nord a vocazione agricola iniziarono gradualmente a ridursi. Nelle regioni settentrionali furono infatti avviati importanti poli industriali, in particolare nei settori della cantieristica navale e della raffinazione del petrolio.

Secondo le fonti ufficiali, nel 1985 i settori più rilevanti dell’industria della Germania Est erano quello chimico e quello dei macchinari, che contribuivano rispettivamente al 19,7% e al 18,9% del valore complessivo della produzione industriale.[37] Seguivano l’industria agricola e alimentare (13,5%), quella energetica e dei combustibili (12,2%), l’industria leggera, escluso il comparto tessile (9,5%), la metallurgia (9,4%) e la produzione di apparecchiature elettrotecniche ed elettroniche (8,5%).[37] Altri settori significativi erano l’industria tessile (5,8%), quella dei materiali da costruzione (2,0%) e l’industria dell’approvvigionamento idrico e conservazione (0,6%).[37] Sempre nel 1985, circa 3,2 milioni di persone — pari al 37,9% degli 8,5 milioni di lavoratori complessivi — erano impiegati nel settore industriale, comparto che generava il 70,3% del prodotto netto nazionale.[37]

Energia ed estrazione

La Germania Est disponeva di abbondanti risorse di lignite, di cui era il maggior produttore mondiale,[42] e copriva l'80% della produzione di energia elettrica nazionale.[7] I principali giacimenti si trovavano nei distretti di Cottbus e Dresda, mentre altri depositi significativi erano localizzati nei distretti di Halle e Lipsia. Il solo giacimento di Cottbus rappresentava il 45% dell’estrazione di lignite e il 37% della produzione di energia elettrica.[7] Nel 1985, la produzione di lignite grezza raggiunse i 312 milioni di tonnellate, in aumento rispetto ai 267 milioni di tonnellate del 1981, all'inizio del piano quinquennale.[43] La lignite era impiegata soprattutto per alimentare le centrali termoelettriche, per la produzione di gas di carbone e come materia prima nell'industria chimica.

Altre risorse estratte includevano carbone fossile (Zwickau-Oelsnitz), ferro (Harz, Selva di Turingia), nichel (Glauchau), stagno, zinco e piombo (Monti Metalliferi), oltre all'uranio (Elbsandsteingebirge). I giacimenti di potassa si concentravano nella zona sud-occidentale e ai piedi dell’Harz. Era inoltre iniziata l’estrazione di petrolio a Stralsund.[7] I giacimenti di minerali ferrosi erano diffusi ma caratterizzati da filoni a basso tenore, che rendevano l’estrazione costosa e poco efficiente. Negli anni Ottanta, la produzione annuale di ferro risultava largamente insufficiente a coprire il fabbisogno industriale, costringendo la DDR a importarne consistenti quantità.[43] Il Paese dipendeva inoltre quasi interamente dalle importazioni per il manganese, il cromo e altre ferroleghe.[43] Per sopperire alla limitata produzione nazionale, la Germania Est importava rilevanti volumi di metalli non ferrosi, principalmente dall’Unione Sovietica.[43]

La Germania Est importava la maggior parte del fabbisogno annuale di carbone fossile e petrolio principalmente da URSS, Polonia e Cecoslovacchia.[43]

Le principali centrali elettriche della RDT erano localizzate all'interno dei principali bacini di lignite, poiché il suo basso potere calorifico e l’elevato contenuto di umidità la rendevano meno efficiente e più costosa da trasportare. Le più grandi centrali termoelettriche si trovavano nel distretto di Cottbus, tra cui Lubbenau I, II, III e Fechau.. Nel 1966 entrò in funzione la prima centrale elettrica nucleare della RDT, situata nei pressi di Rheinsberg, seguita dalla Greifswald nel 1970. Entrambe furono realizzate utilizzando reattori sovietici di tipo VVER.

Metallurgia

Prima della seconda guerra mondiale, l’unico impianto siderurgico a ciclo completo presente nel territorio della futura RDT era il piccolo stabilimento Maxhütte, situato nei pressi di Saalfeld.[7] Negli anni Cinquanta furono costruiti due grandi impianti: l’impianto “Ost” a Eisenhüttenstadt, che lavorava carbone polacco e minerali sovieticiti, e l’impianto “West” vicino a Kalbe, successivamente riconvertito alla lavorazione dei metalli nel 1968.[7] In parallelo, vennero restaurati e ampliati diversi impianti di fusione e laminazione dell’acciaio, localizzati a Brandeburgo, Hennigsdorf, Riesa e Gröditz, oltre a un’acciaieria specializzata in leghe a Freital.[7] Il minerale di rame era trattato principalmente a Eisleben e a Hettstedt. Nello stesso periodo sorsero industrie per la produzione di alluminio a Bitterfeld e Lauta, e di nichel a St. Egidien. A Freiberg fu infine costruito un impianto per la fusione dello zinco.[7]

Organizzazione

 
Produzione del legname: da 7 milioni di metri cubi nel 1970 a 11 milioni nel 1990 (poster di propaganda del 1988).

La principale forza direttiva dell’economia e dell’intera società della RDT era il Partito Socialista Unificato di Germania (SED), che esercitava formalmente la propria leadership attraverso i congressi del partito, durante i quali approvava i rapporti del segretario generale e adottava le linee guida per il successivo piano quinquennale.[44] Un ruolo ancor più centrale era svolto dal Politbüro, che supervisionava e orientava il processo economico in corso. Tuttavia, il suo intervento si concentrava sulle questioni generali o di maggiore rilevanza, poiché era impegnato anche nella gestione di altri ambiti fondamentali dello Stato.[45]

Il Consiglio dei ministri (Ministerrat der DDR) era l'organo esecutivo del Paese ed era responsabile della supervisione e del coordinamento di tutte le attività economiche.[45] Alle sue dipendenze operava la Commissione di Stato della pianificazione (Staatliche Plankommission), che proponeva strategie economiche alternative, trasformava gli obiettivi generali stabiliti dal Consiglio in direttive per i singoli ministeri e coordinava i piani a breve, medio e lungo termine. Aveva inoltre il compito di mediare eventuali conflitti tra i ministeri.[45] I ministeri, all'interno delle rispettive aree di competenza, avevano la responsabilità principale nella gestione dei settori economici specifici. Erano incaricati della pianificazione, dell’allocazione delle risorse, dello sviluppo, dell’introduzione di innovazioni e del raggiungimento degli obiettivi fissati nei propri piani.[45]

Al di sotto di questa struttura centrale esisteva una gerarchia articolata di organi a livello territoriale. Le commissioni e i consigli economici regionali, subordinati al Consiglio dei ministri e alla Commissione di Stato per la Pianificazione, operavano a livello locale e si occupavano di questioni quali l’ubicazione ottimale delle attività industriali, la tutela ambientale e le politiche abitative.[45]

Kombinat

Al di sotto dei ministeri si trovavano i Kombinate, strutture aziendali create sul modello sovietico dei kombinaty per sostituire le Associazioni delle Imprese Statali, che in precedenza fungevano da tramite tra i ministeri e le singole aziende.[45] I Kombinate nacquero verso la fine degli anni Settanta attraverso la fusione di diverse industrie, raggruppate in base alle affinità produttive.[45]

Ogni Kombinat includeva anche istituti di ricerca, integrati per favorire uno sviluppo più mirato e accelerare il trasferimento dei risultati scientifici al settore produttivo.[45] L’intero processo, dalla progettazione alla commercializzazione, era gestito da un’unica direzione.[45] La riforma mirava anche a rafforzare i legami tra i Kombinate e le aziende orientate al mercato estero, ponendole sotto la doppia subordinazione del Ministero del Commercio Estero e dei Kombinate stessi.[45] L’obiettivo della riorganizzazione era migliorare efficienza e razionalizzazione, concentrando l’autorità in una leadership intermedia. La gestione attraverso i Kombinate forniva inoltre un contributo rilevante alla pianificazione centrale.[45]

All'inizio degli anni Ottanta, la costituzione dei Kombinate, sia a livello centrale che distrettuale, risultava sostanzialmente completata.[46] Tra il 1982 e il 1984, il governo introdusse una serie di normative e leggi volte a definire con precisione il funzionamento di questi enti, rafforzando il ruolo della pianificazione centrale e riducendo l’autonomia dei Kombinate, che fino ad allora era risultata superiore a quanto previsto.[46] Nel 1986 risultavano attivi 132 Kombinate a gestione centrale, ciascuno con una media di circa 25.000 dipendenti, e 93 Kombinate a direzione distrettuale, con una media di 2.000 lavoratori per ciascuno.[46]

Alla base della struttura economica rimanevano le singole unità produttive, che variavano per dimensioni e funzioni. Con il tempo, il governo ne ridusse il numero e ne aumentò la dimensione media. Nel 1985, il numero totale delle imprese industriali era superiore di circa un quinto rispetto al 1960, ma la loro autonomia si era notevolmente ridotta con l’entrata in piena funzione dei Kombinate.[46]

Pianificazione centrale

 
Il sigillo del primo piano quinquennale della RDT (1951-1955).

Il fatto che la RDT adottasse un’economia pianificata non implicava l’esistenza di un unico piano centralizzato a regolare l’intera attività economica. Al contrario, il sistema si basava su una rete articolata di piani con diversi livelli di specificità, ampiezza e durata. Questi piani potevano essere modificati singolarmente o collettivamente in base al monitoraggio continuo delle prestazioni o in risposta a eventi imprevisti.[46] Il risultato era un sistema di pianificazione estremamente complesso, in cui mantenere la coerenza interna tra i vari livelli di pianificazione rappresentava una sfida costante.[46]

Pianificazione a breve termine

I piani a breve termine erano i più importanti sia per la produzione sia per l'allocazione delle risorse, duravano un solo anno e influivano sull'intera economia. Gli obiettivi principali fissati al livello centrale erano il tasso di crescita dell'economia, il volume e la struttura del prodotto interno e i suoi utilizzi, l'impiego di materie prime e del lavoro, la loro distribuzione sul territorio e il volume delle importazioni ed esportazioni. A partire con il piano del 1981, lo stato aggiunse l'assestamento del rapporto tra l'uso delle materie prime sul valore e la quantità dell'output per promuovere l'impiego efficiente delle risorse scarseggianti.[47]

Piani quinquennali

I piani quinquennali utilizzavano gli stessi indicatori ma con una minore specificità. Sebbene il piano quinquennale fosse subito convertito in legge, veniva vista come una serie di linee guida piuttosto che un insieme di direttive. Veniva tipicamente pubblicato molti mesi dopo l'inizio del periodo quinquennale in cui sarebbe stato valido e dopo l'abolizione del primo piano annuale. Nonostante fosse più generale, il piano quinquennale era abbastanza specifico per integrare i piani annuali in un periodo di tempo più lungo garantendo la continuità.[26]

Metodi di pianificazione

 
Assegno della RDT emesso nel 1988.

Nella prima fase della pianificazione, gli obiettivi centrali venivano divisi e assegnati alle appropriate unità subordinate, dove venivano discussi a ciascun livello; dopo che i fornitori e gli acquirenti completavano le negoziazioni, le parti separate venivano riaggregate nella bozza dei piani. All'ultimo stadio, che seguiva l'approvazione del pacchetto totale dalla Commissione della pianificazione e dal Consiglio dei ministri, il piano concluso veniva ridiviso tra i ministeri e le responsabilità rilevanti venivano distribuite ulteriormente alle unità di produzione.[26]

Il piano di produzione era integrato da altri meccanismi che controllavano le forniture e stabilivano la contabilità. Uno di questi meccanismi era il Sistema dei bilanci materiali che stanziava le risorse, gli strumenti e i beni di consumo agendo come un razionamento e assicurando quindi l'accesso ai prodotti di base da parte di ogni elemento dell'economia per soddisfare le richieste. Dato che molti dei beni prodotti erano coperti da questo sistema di controllo, le unità produttive avevano difficoltà ad ottenere i pezzi necessari al di sopra dei loro livelli allocati.[26]

Un altro meccanismo di controllo era l'assegnazione dei prezzi di tutti i prodotti e servizi, valori che servivano da base per il calcolo delle spese e dei ricavi. Le aziende avevano ogni incentivo per utilizzare quei prezzi come linee guida per le scelte, rendendo così possibile la conclusione del piano e il guadagno di fondi extra per l'impresa. Questi bonus non erano stanziati indistintamente per la produzione lorda ma venivano assegnati per tali realizzazioni come nuove innovazioni o la riduzione dei costi di lavoro.[26]

Il sistema funzionava bene soltanto quando le sue parti erano costituite da individui i cui valori coincidevano o erano complementari con quelli del regime. Questa condizione era ottenuta tramite le forze integrative degli organi del partito i cui membri occupavano le posizioni più importanti della struttura economica della RDT. Vennero fatti ulteriori sforzi anche per promuovere un comune senso di scopo attraverso la partecipazione di masse di quasi tutti gli operai e contadini nelle discussioni organizzate sulla pianificazione economica, gli obiettivi e il rendimento. Un giornale tedesco orientale scriveva per esempio che durante la discussione preliminare del piano annuale del 1986, avevano aderito più di 2,2 milioni di impiegati di varie imprese e brigate di lavoro del paese che contribuirono con 735 377 suggerimenti e commenti. Le decisioni finali, tuttavia, spettavano sempre ai vertici dello stato.[26]

Settore privato

Nell'economia della RDT, il privato ricopriva un ruolo piccolo ma non proprio insignificante: nel 1985 circa il 2,8% della produzione nazionale netta proveniva da aziende private. Il settore privato includeva contadini non statali e giardinieri, artigiani indipendenti, grossisti, rivenditori, e liberi professionisti (artisti, scrittori, ecc.), ma nonostante fossero autonomi venivano regolamentati in modo rigido. Nel 1985, per la prima volta dopo molti anni, il numero dei lavoratori individuali nel privato era leggermente aumentato e, secondo le statistiche della RDT, erano attive nello stesso anno circa 176 800 imprenditori privati, un aumento di 500 unità dal 1984. Determinate attività private erano abbastanza importanti per il sistema e il SED stesso incoraggiava, per esempio, l'iniziativa privata per contribuire allo sviluppo dei servizi di consumo.[26]

Assieme ai lavoratori autonomi impiegati a tempo pieno, vi erano altri cittadini ingaggiati nelle attività private in società pubbliche ed l'esempio più noto e significativo era quello delle famiglie nelle collettività agricole dove coltivavano anche appezzamenti privati (che potevano essere grandi 5 000 m²). Il loro contributo era significativo: secondo le fonti ufficiali, nel 1985 le fattorie private possedevano circa l'8,2% dei maiali, il 14,7% delle pecore, il 32.8% dei cavalli e il 30% delle galline nel paese. I professionisti come gli artisti commerciali e i dottori lavoravano anche in privato nel loro tempo libero, divenendo soggetti a tasse separate e altre regolamentazioni. Il loro impatto sull'economia era tuttavia ininfluente.[26]

Economia informale

Molto più difficile da valutare, a causa della sua natura informale e non pubblica, era l'importanza di quella parte del settore privato nota come la "seconda economia". Il termine usato include tutte le attività economiche che avvenivano di nascosto dietro il controllo e la sorveglianza dello stato, data la loro informalità e illegalità. Questo fenomeno ha ricevuto l'attenzione degli economisti occidentali, molti dei quali sono convinti che abbia una certa importanza nelle economie pianificate. Nella metà degli anni Ottanta, tuttavia, era difficile ottenere delle prove e molto spesso queste tendevano ad essere per la maggior parte degli aneddoti.[26]

Queste irregolarità non apparivano come un maggior problema economico, tuttavia, la stampa tedesca orientale riportava casi di attività all'interno di una "seconda economia" illegale che coinvolgevano "crimini contro la proprietà socialista" e altre attività che erano "in conflitto e contraddizione con gli interessi e le richieste della società", come un articolo descriveva la situazione.[26]

Il mercato nero ed il baratto

Un esempio di attività economica informale era quella di piccoli privati che fornivano beni e servizi in cambio di denaro, molto spesso ingaggiati per lavori occasionali: una donna anziana, per esempio, avrebbe potuto pagare un ragazzo del quartiere per trasportare del carbone fino al suo appartamento, oppure si poteva assumere una conoscenza per aggiustare un orologio, mettere a punto un'automobile o riparare il bagno. Queste tipologie di lavori possono trovarsi in qualsiasi società, e date le carenze del settore terziario della RDT, avrebbero potuto essere più necessarie qui che in occidente. Dato che venivano considerate innocue, non erano soggette a nessun interesse del governo.[26]

Corruzione

Un'altra attività diffusa molto problematica se non distruttiva era la pratica di offrire una somma di denaro oltre al prezzo di vendita alle persone che vendevano beni molto richiesti, oppure dando qualcosa di speciale come un pagamento parziale per i prodotti con poche scorte, i cosiddetti Bückware (beni venduti "sotto banco"). Queste attività potevano limitarsi soltanto nel dare a qualcuno una Trinkgeld (mancia), ma potevano spingersi a dare anche delle Schmiergeld (tangenti) o a delle Beziehungen (relazioni speciali).[26]

Le opinioni all'interno della RDT variavano in base a quanto fossero significative ma data la quantità di moneta in circolazione e le frequenti carenze di prodotti di lusso e di beni di consumo durevoli, la maggior parte delle persone erano occasionalmente tentate a dare una "bustarella", soprattutto per ottenere oggetti come ricambi per auto e mobili.[26]

Confronto con la Germania Ovest

I dati utilizzati per il confronto sono tratti dal CIA World Factbook del 1990:[48]

Germania Est Germania Ovest
Popolazione (migliaia) 16 307 62 168
PIL (miliardi $)[49] 159,5 945,7
PIL pro capite ($) 9 679 15 300
Bilancio ricavi (miliardi $) 123,5 539
Bilancio spese (miliardi $) 123,2 563
PIL reale della Germania Est e Ovest[50]
Anno PIL (milioni $) PIL pro capite ($)
Est Ovest Est Ovest
1950 51 412 213 942 2 795 4 280
1973 129 969 814 786 7 654 13 147
1990 152 732 (1989)[51] 1 182 261 9 193 (1989)[51] 18 690
Crescita percentuale del PIL nella RDT e nella RFT[52]
Germania Est Germania Ovest
1945-60 6,2 10,9
1950-60 6,7 8,0
1960-70 2,7 4,4
1970-80 2,6 2,8
1980-89 0,3 1,9
Totale 1950-89 3,1 4,3

Galleria d'immagini

Note

  1. ^ a b c d e f g h i j k l (EN) CIA 1990 (TXT), su umsl.edu, CIA World Factbook, UMSL. URL consultato il 22 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 27 aprile 2011).
  2. ^ a b (EN) CIA 1990 list, su theodora.com.
  3. ^ (EN) Ferdinand Protzman, East Germany Losing Its Edge, in The New York Times, 15 maggio 1989.
  4. ^ a b c d e f (EN) A. Ritschl e T. Vonyo, The roots of economic failure: what explains East Germany's falling behind between 1945 and 1950?, in European Review of Economic History, vol. 18, n. 2, 17 aprile 2014, pp. 166-184, DOI:10.1093/ereh/heu004.
  5. ^ Berghoff e Balbier, p. 19.
  6. ^ a b c d e Burant 1988, p. 44.
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  8. ^ Burant 1988, p. 45.
  9. ^ a b c d e f g h i Burant 1988, p. 46.
  10. ^ Berghoff e Balbier, p. 23.
  11. ^ a b c Burant 1988, p. 47.
  12. ^ Burant 1988, pp. 47-48.
  13. ^ a b c d e f g h i j k Burant 1988, p. 48.
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  15. ^ Berghoff e Balbier, p. 89.
  16. ^ Ludz e Kuppe 1979.
  17. ^ Burant 1988, pp. 48-49.
  18. ^ a b Burant 1988, p. 49.
  19. ^ Burant 1988, pp. 49-50.
  20. ^ a b c Burant 1988, p. 50.
  21. ^ a b Berghoff e Balbier, p. 30.
  22. ^ a b c d Burant 1988, p. 51.
  23. ^ (DE) Ökonomisches System des Sozialismus (ÖSS), su FDGB-Lexikon. URL consultato il 1º maggio 2025 (archiviato dall'url originale il 15 luglio 2024).
  24. ^ Berghoff e Balbier, p. 31.
  25. ^ Berghoff e Balbier, pp. 89-90.
  26. ^ a b c d e f g h i j k l m Stephen R. Burant, East Germany: a country study, 1988, pp. 115-158.
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  31. ^ a b c Berghoff e Balbier, p. 35.
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  37. ^ a b c d e f g h Burant 1988, p. 138.
  38. ^ a b c d e f g Burant 1988, p. 139.
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  40. ^ a b c d e f g h Burant 1988, p. 140.
  41. ^ a b Burant 1988, p. 136.
  42. ^ Burant 1988, pp. 136-137.
  43. ^ a b c d e Burant 1988, p. 137.
  44. ^ Burant 1988, pp. 123-124.
  45. ^ a b c d e f g h i j k Burant 1988, p. 124.
  46. ^ a b c d e f Burant 1988, p. 125.
  47. ^ Burant 1988, p. 126.
  48. ^ CIA World Factbook 1990, su theodora.com. URL consultato il 25 aprile 2011.
  49. ^ Il PIL calcolato per la RDT, include i ricavi guadagnati dai cittadini all'estero meno quelli ottenuti dagli stranieri dalla produzione nazionale, mentre il PIL usato per la RFT non è modificato. Quindi, non sono esattamente comparabili tra loro ma sono adatti allo scopo di questa tabella.
  50. ^ Angus Maddison, The world economy, Development Centre of the Organisation for Economic Co-operation and Development, 2006, p. 406, ISBN 9789264022621.
  51. ^ a b Sleifer, p. 50.
  52. ^ Sleifer, p. 66.

Bibliografia

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