Utente:Salvatore Talia/Sandbox2/Questione adriatica

Utente:Demiurgo/Storia giudiziaria dell'attentato di via Rasella

Contesto storico

Nell'aprile 1941 l'Italia fascista partecipò all'invasione della Jugoslavia e si annetté parte del suo territorio, fra cui la parte sud-occidentale della Slovenia in cui venne istituita la provincia di Lubiana. Le forze armate italiane per oltre due anni presero parte in modo attivo (con brutalità crescente e con il sistematico ricorso a crimini di guerra contro la popolazione civile[1]), insieme alla Wehrmacht e a vari reparti collaborazionisti, all'azione di controllo del territorio e di repressione contro ogni opposizione al dominio dell'Asse e degli Stati satelliti croato e serbo. Contro l'occupazione sorse e si rafforzò un movimento di resistenza, all'inizio politicamente composito ma che - al momento del tracollo del Regio esercito, con l'armistizio dell'8 settembre 1943, e più ancora in seguito - era egemonizzato dai comunisti.

Dopo l'armistizio gli occupanti tedeschi crearono la Zona d'operazioni del Litorale adriatico, un territorio annesso de facto alla Germania nazista e comprendente le province italiane di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, e Lubiana, territorio sul quale la sovranità della Repubblica Sociale Italiana (RSI) fu puramente nominale, divenendo teatro di un'intensa repressione antipartigiana coordinata dal locale capo delle SS Odilo Globočnik.

Già da prima della guerra i comunisti italiani e jugoslavi avevano propugnato il diritto all'autodecisione, fino anche al distacco dallo Stato italiano, delle popolazioni di lingua slovena e croata presenti nel territorio italiano (sottoposte, durante il fascismo, a una dura politica di snazionalizzazione[2]). Dal 1942 i partigiani jugoslavi inserirono nel loro programma la revisione dei confini con l'Italia e l'annessione di Trieste, della Venezia Giulia e dell'Istria[3]. Nei giorni immediatamente successivi all'annuncio dell'armistizio, le strutture direttive dei movimenti di liberazione sloveni e croati promulgarono due distinte dichiarazioni, con le quali proclamarono annesse alla Jugoslavia l'Istria (suddivisa fra Slovenia e Croazia) e la Venezia Giulia (alla Slovenia). Le dichiarazioni furono confermate il 30 novembre 1943 a Jajce dal massimo organo federale, la Presidenza del Consiglio Antifascista di Liberazione popolare della Jugoslavia (AVNOJ). L'obiettivo dei partigiani jugoslavi era triplice: liberare le zone occupate dagli eserciti dell'Asse, creare una serie di fatti compiuti per sostanziare le proprie rivendicazioni territoriali eliminando ancora nel corso delle operazioni belliche ogni opposizione – reale o potenziale – a tale disegno e procedere nel contempo a una rivoluzione sociale di tipo marxista.

Nella Slavia friulana (denominata all'epoca "Slavia veneta") operarono contemporaneamente tre tipologie di formazioni partigiane: gli sloveni del IX Korpus, fortemente organizzati e inseriti all'interno dell'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, alcune Brigate Garibaldi, fra le quali in particolare quelle inserite nella Divisione Garibaldi "Natisone", costituita prevalentemente da militanti comunisti, e le Brigate Osoppo-Friuli, con componenti d'ispirazione monarchica, azionista, socialista, laica e cattolica.

Il ruolo della Decima

Già nella primavera del 1944 il comando della Divisione Decima aveva preso la decisione di impiegarla nella Venezia Giulia, ma solo durante un consiglio di guerra con tutti gli ufficiali della Flottiglia tenutosi il 12 ottobre 1944 fu stabilito un ordine d'operazione ove, nell'affrontare la questione del prossimo crollo militare delle Potenze dell'Asse, si prevedeva fra l'altro che «l'italianità [...] di Trieste, Pola, Fiume, Zara» sarebbe stata certamente «messa in discussione» e pertanto si decideva che la Divisione Decima sarebbe stata inviata in Venezia Giulia, «dove si terrà pronta, in caso di crollo militare e conseguente ritirata delle forze germaniche, a difendere quelle popolazioni e quelle terre italiane contro gli slavi di Tito»; si stabiliva inoltre che all'arrivo «degli anglo-americani, gli uomini della Decima deporranno le armi essendo assurdo combattere da soli contro nemici di fronte e nemici alle spalle»[4].

Nell'ottobre-novembre 1944 la Decima iniziò a trasferirsi dal Piemonte, concentrandosi inizialmente nel Veneto orientale: i battaglioni "Valanga" e "Fulmine", con l'appoggio di reparti tedeschi, vennero subito utilizzati in operazioni antipartigiane particolarmente in Carnia, dove operavano le brigate "Osoppo" e "Garibaldi"[5]. Il 18 dicembre 1944 la Divisione Decima (tranne i battaglioni "Lupo", "Valanga" e "Colleoni" rimasti in Veneto) si sistemò a Gorizia e dintorni, con il consenso dei comandi tedeschi ottenuto (dopo varie insistenze) dal generale Wolff e con l'obiettivo di contrastare l'imminente offensiva del IX Korpus jugoslavo[6].

In seguito le autorità tedesche pretesero da Mussolini il ritiro dei reparti della Decima dalla Venezia Giulia, dove si erano verificati scontri anche sanguinosi con i collaborazionisti iugoslavi[7] e con lo stesso gauleiter Rainer. Rimasero solo alcune unità minori che presidiavano le isole del Quarnaro e Trieste.[8]

In Istria perciò rimasero solo alcune centinaia di uomini della Decima dislocati in vari presidi a fianco dei reparti tedeschi, perlopiù catturati dai titini durante l'occupazione della Venezia Giulia insieme ai tedeschi e altri soldati della RSI e massacrati nelle tristemente note foibe o deportati nei campi di prigionia iugoslavi.

Altri morirono a fianco degli ultimi nuclei di resistenza tedeschi nei combattimenti che divampavano contemporaneamente all'avanzata dei titini verso il Friuli e la Venezia Giulia. Essi, insieme a questi resti dell'esercito tedesco, dovevano resistere per coprire la ritirata del grosso delle truppe tedesche acquartierate nell'Istria e nella Slovenia verso l'Austria. Il caos tra i tedeschi, privi di ordini univoci e indecisi se tentare di resistere o ritirarsi, trascinò anche i reparti repubblicani, e fra questi ovviamente quelli della Decima.

Gli ultimi focolai di resistenza che persistettero fino agli inizi di maggio vennero tutti schiacciati dai titini, combattendo o, più spesso, promettendo salva la vita in caso di resa. Tra questi ultimi combattimenti, degno di nota è quello di Pola. Qui, dopo la firma della resa delle ultime truppe tedesche affiancate da alcuni reparti della Xª MAS decimati dalla battaglia contro le forze iugoslave l'8 maggio 1945, l'ammiraglio tedesco che aveva firmato la capitolazione venne subito dopo fucilato insieme ad un gruppo di ufficiali e a una decina di ufficiali della Decima[9].

Poco prima che l'Istria venisse occupata dagli iugoslavi, Borghese cercò un'improbabile alleanza con gli Alleati per fronteggiare l'esercito di Tito, che stava rapidamente avanzando: in quei tempi, era viva in molti gerarchi nazisti e fascisti la speranza di arrivare a un armistizio con gli alleati occidentali per poter continuare la guerra contro l'Unione Sovietica e il bolscevismo in generale.[10]

Analogamente, fra il settembre ed il dicembre del 1944 furono presi stretti contatti con la brigata partigiana Osoppo, al fine di costituire un corpo misto che potesse organizzare una difesa comune di quel fronte, ma il comando inglese a cui faceva riferimento la Osoppo, seppur con qualche tentennamento, rifiutò l'offerta. Poco tempo dopo a Porzûs tutti i principali esponenti della brigata partigiana furono uccisi in quanto accusati di tradimento e di aver dato ospitalità ad Elda Turchetti, denunciata come spia da Radio Londra su segnalazione di agenti inglesi, e il tentativo di collaborazione non ebbe séguito.

Negli ultimi mesi del conflitto, per difendere l'italianità dell'Istria, Borghese avviò contatti con la Regia Marina al sud (ammiraglio De Courten) per favorire uno sbarco italo-alleato in Istria e salvare le terre orientali dall'avanzata delle forze iugoslave[11]. Lo sbarco studiato dalla marina italiana del Sud si sarebbe avvalso dell'appoggio delle formazioni fasciste e della Decima, con o senza l'intervento Alleato[12]. Gli inglesi fecero fallire questo piano[13], non volendosi inimicare Stalin dopo l'accordo di Yalta[14] e favorendo così l'avanzata degli iugoslavi, che ebbero peraltro anche l'attivo sostegno della Royal Navy britannica.

Note

  1. ^ Vercelli 2020, pp. 89; 91.
  2. ^ Vercelli 2020, pp. 69-70.
  3. ^ Vercelli 2020, p. 93.
  4. ^ Citato in Capra Casadio 2023, pp. 324-5.
  5. ^ Capra Casadio 2023, p. 325.
  6. ^ Capra Casadio 2023, p. 335-6.
  7. ^ Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato, Mursia, p. 113.
  8. ^ Nino Arena, Storia delle Forze Armate della RSI, vol. 3.
  9. ^ Fulvio Molinari, Istria contesa. La guerra, le foibe, l'esodo, Milano, Mursia, 1996, pp. 65-66, ISBN 9788842555445.
  10. ^ Aga Rossi, Bradley Smith. Operazione Sunrise, Mondadori; Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato, Mursia.
  11. ^ Greene e Massignani 2008, pag. 180: "La graduale avanzata dei comunisti di Tito in Istria spiega perché, a un certo punto, Borghese fece delle aperture agli Alleati, in particolare alla marina italiana del Sud.".
  12. ^ Greene e Massignani 2008, pagg. 182-183: "Il SIS, guidato dal capitano di vascello Agostino Calosi, aveva ricevuto istruzioni precise dall'ammiraglio De Courten, divenuto capo di stato maggiore della marina. L'idea era quella di sbarcare in Istria senza avvalersi dell'aiuto degli Alleati, in modo da non turbare i rapporti con Tito".
  13. ^ Greene e Massignani 2008, pag. 180: "In ogni caso, gli Alleati respinsero queste avance, forse con una certa avventatezza"".
  14. ^ Sergio Nesi, Junio Valerio Borghese. Un principe, un comandante, un italiano, pag. 403, Lo Scarabeo, Bologna, 2004 "Roosevelt e Eisenhower non volevano rompere assolutamente con "l'amico Stalin" di cui avevano massima stima e inoltre non si potevano buttare all'aria gli accordi di Yalta".

Bibliografia