Il "Dhammacakkappavattana Sutta" (od anche "Dharmaçakrapravartana Sutra" in sanscrito)
il "Discorso della messa in moto della ruota del Dhamma" (od anche Dharma in sanscrito)

La Ruota del Dharma, spesso usata per rappresentare il Nobile Ottuplice Sentiero.

È il primo discorso pubblico del Buddha, tenuto al parco dei cervi nei pressi di Sarnath vicino a Varanasi (attuale Benares) nel 528 a.C. all'età di 35 anni, dopo che nei pressi del villaggio di Bodhgaya dello stato del Bihar (stato fra i più poveri dell'India) aveva raggiunto il "risveglio spirituale", detto "satori" nel Buddhismo Zen.

Questo discorso è quindi anche detto "Discorso di Benares", fondamentale per il Buddhismo, che da questo primo discorso pubblico prese le mosse e può considerarsi avviato anche come prima comunità iniziale buddhista (sangha) formata proprio da quei cinque asceti che lo avevano abbandonato anni prima sfiduciati, dopo essere stati a lungo i discepoli più vicini a lui.

In questo discorso si identifica il Buddhismo come "La Via di Mezzo" (majjhimā patipadā) in cui si riconosce che la retta condotta risiede nella linea mediana di condotta di vita (majjhama patipada) evitando eccessi ed assolutismi.

Nell'occasione di questo sermone il Buddha rivela le "Quattro Nobili Verità", frutto del proprio "risveglio spirituale" testè raggiunto.

La "Quarta Nobile Verità" consiste nel "Nobile Ottuplice Sentiero" (ariyo atthangiko maggo) che conduce alla piena ed esaustiva realizzazione spirituale buddhista attraverso il superamento di quel condizionamento costituito dalla sofferenza esistenziale che si accompagna alla vita dell'Uomo sia dalla sua nascita e sia a motivo della sua nascita (samsara).


Gli elementi del "Nobile Ottuplice Sentiero"

Possono essere considerati secondo tre tipologie. Questo ordinamento, però, non significa affatto che esista un albero gerarchico fra gli otto elementi, né tanto meno che esista un ordine di successione e di importanza fra di essi. Tutti quanti gli otto elementi sono coltivati comtemporaneamente nella pratica buddhista e ciascuno interagisce in una realizzazione sinergica con gli altri.


  • la "prima tipologia" riguarda la «saggezza» (pañña)
    1. Retto intendimento (samma ditthi) cioè il riconoscimento delle "Quattro Nobili Verità" attraverso la loro corretta conoscenza e la conseguente loro corretta visione.
    2. Retta risoluzione (samma sankappa) cioè il corretto impegno sostenuto dalla corretta intenzione nel padroneggiare il trsna (l'attaccamento al desiderio di vivere, alla brama ed all'avidità di esistere, di divenire o di liberarsi, al desiderio di affermare il proprio «sé esistente») in modo da manterene la corretta aspirazione che consegue alla corretta motivazione, al fine di non lasciarsi condizionare dalla «sete di esistere», causa del Samsāra
  • la "seconda tipologia" riguarda la «moralità» (sila)
    1. Retta Parola (samma vaca) cioè l'assunzione della personale responsabilità delle nostre parole, ponendo attenzione nella loro scelta e ponderandole in modo che esse non producano effetti nocivi agli altri e di conseguenza a noi stessi; ciò significa anche che il nostro agire deve essere improntato al nostro parlare e corrispondere ad esso.
    2. Retta Azione (samma kammanta) cioè l'azione non motivata dalla ricerca di egoistici vantaggi, svolta senza attaccamento verso i suoi frutti. È anche "l'azione che si conforma correttamente alla situazione", nel senso in cui non c'è più distinzione fra l'azione individuale e personale e l'azione del karma cosmico in relazione all'evento in cui l'agire individuale e personale si determina. In questo caso il corretto agire individuale armonizza in modo talmente perfetto il karma specifico prodotto dall'azione individuale al karma cosmico, da non consentire più che il karma individuale si distingua da quello universale e di esso viene quindi a costituire una sua intima ed indistinguibile componente. Per questo motivo la "retta azione" è anche considerata un "agire senza agire".
    3. Retta Condotta di vita (samma ajiva) cioè vivere in modo equilibrato evitando gli eccessi, procurandosi un sostentamento adeguato con mezzi che non possano arrecare danno o sofferenza agli altri. Questo comporta anche la corretta padronanza delle proprie intenzioni, in modo che esse siano sempre orientate e dirette lungo la linea mediana di condotta di vita (majjhama patipada) attraverso una corretta azione (samma kammanta).
  • la "terza tipologia" riguarda la specificità della «meditazione buddhista» (samadhi)
    1. Retto Sforzo (samma vayama) cioè lasciare andare gli stati non salutari e coltivare quelli salutari. Significa anche confidare nella bontà della propria pratica buddhista perseverando con un corretto ed equilibrato impegno nello sforzo, motivato dalla fede (saddhâ) che al buddhista praticante proviene dai risultati ottenuti nell'avanzamento lungo il persorso della propria personale realizzazione spirituale e nell'avanzamento verso una sempre maggiore capacità di esercitare una corretta azione (samma kammanta) nella propria pratica buddhista.
    2. Retta Consapevolezza (samma sati) cioè la capacità di mantenere la mente priva di confusione, non influenzata dalla brama e dall'attaccamento (trsna)
    3. Retta pratica della meditazione (samma samadhi) cioè la capacità di mantenere il corretto atteggiamento interiore che porta alla corretta padronanza di sé stessi durante la pratica della meditazione (dhyāna).
      Nel Buddhismo Zen si usa il termine giapponese "zanmai" anziché il termine sanscrito "samadhi", con lo stesso significato di raggiungimento del livello più elevato di "unione", riunificazione, identificazione del sé individuale con la realtà esistente. L'uso del termine "zanmai" è particolarmente indicato nel caso dell'ottavo elemento dell'ottuplice sentiero, poiché esso implica uno stato interiore nel quale la mente è assolutamente libera da distrazione ed è assorbita in intensa e decisa concentrazione, la quale, correttamente applicata, è una specifica caratteristica richiesta nella "retta pratica della meditazione"

Voci correlate