Herbert Kappler
Herbert Kappler (Stoccarda, 23 settembre 1907 – Soltau, 9 febbraio 1978) è stato un ufficiale tedesco delle SS, comandante dell'SD e della Gestapo a Roma..
Primi incarichi nelle SS e a Roma
Figlio di un autista impiegato presso il municipio della natia Stoccarda, Kappler fece il proprio ingresso nelle SS con la qualifica di "esperto criminologo". Promosso Hauptsturmführer (capitano), fu inviato a Roma a prestare servizio come attaché presso l'ambasciata tedesca di Villa Wolkonsky nel 1939, con il compito di spiare la polizia italiana.
Ebbe una vita privata piuttosto travagliata: tradito dalla moglie Nora, più anziana del marito e decisa a non avere figli, aveva per questo richiesto più volte ai propri superiori di lasciare Roma e di essere inviato a combattere in prima linea. Tali richieste non furono accolte e così Kappler finì per ottenere il divorzio ed adottò un fanciullo iscritto presso la Lebensborn, istituzione voluta dalle SS per la procreazione di tedeschi di "pura razza ariana".
Nominato Sturmbannfürher (maggiore) nel 1942 e quindi Obersturmbannfürher (tenente colonnello) l'anno successivo, assunse il comando del Sicherheitsdienst di Roma ponendo di fatto sotto il proprio controllo anche la polizia fascista.
Liberazione di Mussolini, cattura di Ciano e Mafalda di Savoia, rapina dell'oro della Banca d'Italia
Grazie alle proprie linee informative e alla collaborazione di elementi italiani, riuscì a sapere con un certo anticipo della destituzione di Mussolini il 25 luglio 1943 e a disporre la cattura di Galeazzo Ciano (mentre questi tentava di fuggire verso la Spagna, come riuscì a fare Dino Grandi) e di Mafalda di Savoia, che trattenne come ostaggio prima di inviarla al lager di Buchenwald, ove la principessa morì di stenti ed a causa delle ferite riportate durante un pesante bombardamento alleato che colpì il campo di concentramento poco prima della fine della guerra.
Assunse grande potere a seguito all'armistizio dell'8 settembre 1943, quando i tedeschi occuparono la capitale italiana dopo i sanguinosi combattimenti costati la vita a circa 700 tra militari e civili italiani oppostisi armi in pugno alle armate tedesche sino al 10 settembre.
Nel giro di pochi giorni, Kappler individuò il luogo ove Mussolini era tenuto prigioniero a Campo Imperatore e ne pianificò la liberazione per ordine diretto di Heinrich Himmler, al quale Kappler, tuttavia, espresse la propria personale convinzione che il fascismo "fosse morto" e che meglio sarebbe stato rinunciare all'operazione piuttosto che assumere l'onere di sostenere militarmente un governo fantoccio fascista.
Compiuta con successo la liberazione di Mussolini, Kappler dispose il sequestro e il trasporto verso la Germania dell'intera riserva aurea dell'Italia - pari a 120 tonnellate - conservata nelle casseforti della sede centrale romana della Banca d'Italia.
La razzia del Ghetto ebraico di Roma
Il nome di Kappler rimase ignoto al pubblico romano ed italiano malgrado l'importante ruolo già svolto, ma sempre con discrezione, divenne improvvisamente noto e fonte di terrore nel pomeriggio di domenica 27 settembre 1943, quando convocò presso il proprio ufficio a Villa Wolkonsky il rabbino capo della Comunità israelitica di Roma, Foà, e il suo presidente Almansi, intimando loro la consegna, entro trentasei ore, di almeno 50 chilogrammi d'oro, minacciando altrimenti la deportazione di duecento ebrei romani verso la Germania. L'oro fu raccolto e consegnato con un ritardo di poche ore, comunque entro i limiti di una breve proroga accordata dallo stesso Kappler ai responsabili della Comunità ebraica romana, che contava circa 12.000 persone, per raccogliere tutto l'oro richiesto.
Il riscatto pagato dagli ebrei romani, tuttavia, assicurò loro solo una breve pausa nella persecuzione cui dovevano essere sottoposti. Due settimane più tardi, infatti, durante la notte del 15 ottobre 1943 1.259 ebrei vennero rastrellati a sorpresa nel Ghetto ed incarcerati provvisoriamente presso il Collegio Militare in via della Lungara; tre giorni dopo, 1.007 di essi vennero inviati ad Auschwitz: solamente 16 di loro sopravvissero allo sterminio (15 uomini e una sola donna).
Da quel momento il comportamento dei nazisti e dei loro fiancheggiatori fascisti a Roma si fece feroce e caratterizzata da continui rastrellamenti e violenze, mentre in città si organizzavano diversi fronti della Resistenza e la Gestapo, per ordine di Kappler, trasformava un edificio in via Tasso in prigione per interrogare e torturare antifascisti e partigiani catturati. Dopo la prima deportazione, numerosi altri ebrei vennero catturati ed inviati verso i campi di sterminio.
Nominato comandante della Gestapo di Roma all'inizio del 1944, Kappler si rese responsabile di numerosi crimini tra i quali del Massacro delle Fosse Ardeatine ed il rastrellamento del Quadraro.
L'eccidio delle Fosse Ardeatine
Il 23 marzo 1944 alcuni partigiani italiani piazzarono un ordigno esplosivo che deflagrando uccise 33 soldati tedeschi in via Rasella a Roma. Dopo consultazioni tra i comandi tedeschi, inclusi il quartier generale in Italia del feldmaresciallo Albert Kesselring ed il quartier generale di Hitler, si stabilí che dovevano essere uccisi 10 italiani per ogni soldato tedesco morto. Kappler, insieme con Pietro Caruso, il comandante della polizia italiana, attese alla scelta delle vittime: in gran parte civili ed ebrei vennero condotti da Erich Priebke e Karl Hass presso le Fosse Ardeatine, fucilati in gruppi di cinque. Al termine dell'esecuzione di massa l'entrata delle cave venne fatta esplodere. Furono 335 gli italiani assassinati.
Il rastrellamento del Quadraro
Il 17 aprile 1944, per stroncare le forze partigiane che operavano nella periferia di Roma, Kappler diede l'ordine di rastrellare il quartiere Quadraro e arrestare e tradurre circa 1000 uomini nei campi di concentramento in Germania e Polonia. Alla fine del conflitto solo la metà di questi sopravvisse e fece ritorno alle proprie case.
La persecuzione contro monsignor Hugh O'Flaherty
Nel frattempo, Kappler mise in atto piani per scompaginare l'organizzazione coordinata da monsignor Hugh O'Flaherty, un sacerdote irlandese operante in Vaticano e per catturarlo o assassinarlo, essendo questi responsabile della salvezza dalla repressione nazifascista di circa 4.000 tra prigionieri alleati in fuga, cittadini ebrei e perseguitati politici antifascisti che il prelato fece riparare in Vaticano o presso proprietà vaticane, conventi e basiliche. Dopo la fine della guerra, O'Flaherty prese a visitare regolarmente in carcere Kappler, il quale si convertì al cattolicesimo nel 1959.
L'arresto, il processo e la condanna
Arrestato dalle truppe inglesi alla fine della guerra, venne trasferito alle autorità italiane nel 1947, e processato da un tribunale militare riunitosi presso lo stesso Collegio Militare ove Kappler aveva rinchiuso gli ebrei romani in attesa del loro invio verso le camere a gas. Kappler si difese ostinatamente dalle accuse sostenendo di non aver fatto null'altro che eseguire ordini superiori e, per questo, di non essere punibile, ma fu condannato all'ergastolo ed a 15 anni aggiuntivi per l'estorsione dell'oro degli ebrei romani. Rinchiuso prima nel carcere militare di Forte Boccea, fu poi trasferito presso quello di Gaeta, dov'era confinato anche un latro criminale nazista, Walter Reder.
La Corte di Cassazione respinse poco dopo una richiesta d'appello dello stesso Kappler, il quale, nel 1959, chiese al Presidente della Repubblica Italiana di potersi recare in "pellegrinaggio di penitenza al sacrario delle Ardeatine e di rimanervi il tempo necessario per rendere omaggio alle vittime". Tale richiesta venne respinta, come pure le domande di grazia che il detenuto Kappler avanzò nel 1963 e nel 1970.
In favore di un provvedimento di clemenza nei riguardi di Kappler intervennero successivamente il Presidente della Germania Federale Gustav Heinemann (nel 1973) e per ben tre volte il Cancelliere Helmut Schmidt (nel 1974 presso il Governo Rumor, nel 1976 con quello Moro e nel 1977 con quello Andreotti), sfruttando anche il "caso" creato attorno agli appelli alla liberazione di Kappler lanciati dall'anziana madre del criminale nazista, Paula, morta infine a 94 anni senza aver potuto riabbracciare il figlio.
La fuga e la morte in Germania
In carcere Kappler riceveva la pensione garantitagli dal governo di Bonn, parte dei proventi della quale devolveva ad un ente che in Germania si occupava di assistenza a bambini spastici, e parte ai propri passatempi, incluso l'allevamento di pesci ornamentali e il suonare il violino.
All'inizio degli anni '70 la figlia di un suo vecchio compagno d'armi, Anneliese Wenger Walther (nata nel 1925), infermiera ed ex moglie divorziata del capitano della Wehrmacht Karl Walther, iniziò a scrivergli in carcere e poi a fargli via via sempre più frequenti visite, viaggiando da Soltau (Bassa Sassonia), dove viveva, sino al Forte angioino di Gaeta dove Kappler era recluso.
Nel frattempo, sorse in Germania una "Associazione amici di Herbert Kappler" che giunse rapidamente a contare oltre 6.500 iscritti.
Il 19 aprile 1972 il sessantacinquenne Kappler sposò Anneliese (49 anni all'epoca), in carcere a Gaeta, e testimone delle nozze fu l'altro criminale di guerra prigioniero della fortezza di Gaeta, l'ex maggiore delle SS Walter Reder, responsabile, tra l'altro, delle stragi di Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema e Vinchio.
In quegli anni Kappler, pur giovando delle frequenti visite della moglie e di un un regime carcerario sempre meno rigoroso, vide aggravarsi le proprie condizioni di salute, affetto da un tumore al retto che generò metastasi, tanto che i medici che lo esaminarono nel febbraio 1976, constatandone alla soglia dei settant'anni il forte dimagrimento indotto dalla malattia e le cattive condizioni di salute, gli diedero pochi mesi di vita. Per altro, Kappler rifiutava le terapie proposte dai sanitari, facendo invece affidamento sui rimedi omeopatici forniti dalla moglie.
In seguito all'aggravarsi delle condizioni di salute del prigioniero ed alle forti e ripetute pressioni esercitate dalle massime autorità tedesche in favore di Kappler, l'allora ministro della Difesa Arnaldo Forlani dispose il trasferimento del detenuto dal carcere militare di Gaeta all'ospedale del Celio di Roma, affidato alla sorveglianza dell'Arma dei Carabinieri.
Al fine di perfezionare tale provvedimento Forlani dispose la modifica dello status di Kappler da detenuto a "prigioniero di guerra", indispensabile a giustificarne il ricovero presso la struttura di sanità militare, ma curiosa ed assurda sia perché non esisteva alcuno stato di guerra tra Italia e Germania, sia perché il nuovo status assunto dal prigioniero gli garantiva il diritto alla fuga.
In considerazione delle sue condizioni di salute che i medici militari davano per sempre più gravi, nel novembre del 1976 la magistratura militare accordò Kappler la libertà vigilata, consentendogli in tal modo di lasciare l'ospedale del Celio ma non il territorio italiano. Tale decisione venne poi rapidamente annullata a seguito di forti proteste popolari e politiche.
Kappler rimase quindi ricoverato al Celio, al terzo piano di un padiglione che ospitava il reparto chirurgia riservato agli ufficiali, in una stanza posta accanto all'ascensore, sorvegliato da carabinieri.
Di qui, la mattina del 15 agosto 1977, aiutato dalla moglie, Kappler fuggì verso la Germania e si rifugiò presso la casa della moglie a Soltau, dove ricevette visite di amici e ammiratori e rilasciò diverse interviste.
La beffarda fuga, scoperta poco dopo le 10:00 del mattino da una suora che prestava servizio infermieristico nel reparto presso cui Kappler era ricoverato e della quale ella avvisò i militari dell'Arma suppostamente addetti alla sua sorveglianza, avvenuta in una giornata festiva da una struttura di sanità militare, causò profonda rabbia ed emozione presso l'opinione pubblica italiana e quella che parve una crisi nei rapporti tra Italia e Germania (il ministro della Difesa in carica, Vito Lattanzio dovette rassegnare le proprie dimissioni), alla quale il governo italiano chiese invano di restituire il fuggiasco (la richiesta di estradizione fu formalizzata al governo tedesco da quello italiano il 18 agosto): le autorità tedesche, nell'opporre il loro diniego a quelle italiane, poterono replicare che Kappler, in quanto dichiarato proprio dal governo italiano prigioniero di guerra, aveva esercitato il proprio diritto alla fuga, garantitogli dal suo status.
Le circostanze esatte nelle quali Kappler fuggì non furono mai chiarite, nonostante un'inchiesta prontamente disposta dalle autorità militari italiane. Secondo le informazioni rese note dalle autorità italiane e le dichiarazioni rese dalla moglie alla stampa, che non hanno mai potuto essere verificate, essa si sarebbe presentata con una grossa valigia in visita alla stanza del marito, nella quale nascondeva un verricello. Addormentati i due carabinieri di guardia e rinchiuso il marito - che pesava meno di cinquanta chili per la malattia - nel capace bagaglio, lo avrebbe quindi calato dalla finestra in giardino, indi avrebbe recuperato la valigia, l'avrebbe trascinata e caricata nella sua auto (una Fiat 131 noleggiata qualche tempo prima a Fiumicino), parcheggiata entro il perimetro dell'ospedale e, a bordo di questa, sarebbe uscita dal Celio passando indisturbata davanti al corpo di guardia dell'ospedale; sarebbe quindi partita immediatamente, raggiungendo in autostrada la Germania dopo aver passato senza problemi ed in un pugno di ore sia la frontiera tra Italia ed Austria, sia quella tra Austria e Germania, sino a giungere indisturbata a Soltau. Durante la fuga sarebbe stata accompagnata da un'altra auto, un'Audi, sulla quale si sarebbe trasferita con il marito quando ad un certo punto del viaggio la 131 fuse il motore. La stessa sera del 15 agosto l'ambasciatore italiano a Bonn fu informato dal Ministero degli Esteri tedesco che la signora Anneliese aveva comunicato alle autorità di trovarsi già in Germania con il marito.
Dopo alcuni mesi vissuti nella Soltau presso Lüneburg in Germania, vinto dal male che lo consumava, Kappler morì nel febbraio del 1978 e fu sepolto presso il locale cimitero, presente una piccola folla di amici e nostalgici, alcuni dei quali non esitarono a rendere omaggio al feretro con il braccio teso nel saluto nazista.