Campagna dei Dardanelli
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La campagna dei Dardanelli (19 febbraio 1915 - 9 gennaio 1916), il primo esempio di invasione dal mare dei tempi moderni, può essere considerata uno dei più clamorosi insuccessi dell'Intesa durante la prima guerra mondiale. Fortemente voluta e caldeggiata dal giovane primo lord dell'Ammiragliato dell'epoca, Winston Churchill, presentò da subito una lunga serie di difficoltà logistiche e organizzative, e venne condotta con eccessiva superficialità. Le oltre 150.000 perdite in vite umane, tra anglo-francesi, australiani, neozelandesi e turchi, vennero sacrificate per quello che militarmente fu un "nulla di fatto".

Necessità di agire e richieste della Russia

Le pesanti sconfitte subite dall'impero russo ad opera dei tedeschi in Prussia Orientale, a Tannenberg e sui Laghi Masuri, unita alla pressione turca sul Caucaso e alla cronica penuria di munizionamento per le forze armate, avevano reso piuttosto critica per l'Intesa la situazione del fronte orientale alla fine del 1914. Il granduca Nicola, comandante in capo dell'esercito russo, fece all'inizio dell'anno dei passi presso l'ambasciatore britannico perché venisse effettuata una "dimostrazione" di forza contro l'Impero Ottomano.

Il consiglio di guerra britannico, riunitosi il 13 gennaio, diede ordine all'Ammiragliato di organizzare uno sbarco in forze sulla penisola di Gallipoli, che dominava lo stretto dei Dardanelli, da attuarsi nel mese successivo. Lo Stretto costituiva – attraverso il Mar di Marmara e il Mar Nero – lo sbocco dei russi nel Mediterraneo: di lì passava la metà del traffico commerciale, e i nove decimi delle esportazioni russe di grano. Il controllo dei Dardanelli era dunque il rubinetto per i rifornimenti dell’alleato russo. Inoltre, la Turchia aveva due sole fabbriche di munizioni, sulla costa presso Costantinopoli, che sarebbero state a tiro dei cannoni di una flotta che avesse forzato lo stretto.

Il piano messo a punto prevedeva degli sbarchi lungo lo stretto per l'occupazione dei forti turchi, dopo però che importanti foze navali avessero forzato lo stretto stesso e messo sotto tiro Costantinopoli con i grossi calibri. A quel punto sarebbero intervenute altre unità francesi, britanniche e russe destinate a occupare la città e il Bosforo. Questo piano, messo a punto in mancanza di forze sufficienti per una vera e propria invasione in massa (si stimava fossero necessari almeno 100.000 uomini) era viziato dalla estrema difficoltà di un forzamento navale dei Dardanelli. Per quanto la Turchia non disponesse di una apprezzabile forza navale, lo stretto era abbastanza angusto da rendere pericolosissimi i pochi campi minati che gli ottomani avevano posato, senza contare i forti, che per quanto dotati di armamenti antiquati, erano in una posizione di vantaggio, una situazione analoga a quella a cui si erano trovati i contendenti dela passata guerra russo-giapponese del 1905, in cui le mine marine avevano affondato molte navi di entrambi i contendenti, e dove le artiglierie navali erano state del tutto insufficienti ai Giapponesi per vincere, dove anzi l'artiglieria fissa russa aveva causato enormi perdite. Un ulterire fattore di debolezza fu dato dalla lungaggine dei preparativi da parte delle forze dell'Intesa, neppure troppo segreti, che mise in allarme gli ottomani.

Contromisure turche

Sulla base delle informazioni trapelate e dai movimenti alleati sull'isola di Lemnos, i comandi turchi poterono prendere qualche contromisura. Vennero spostati sul versante europeo, a rinforzare la 7a e la 9a divisione sei battaglioni di gendarmeria. Altre divisioni vennero mobilitate per essere ritirate dal fronte russo. Vennero inoltre posati nove nuovi campi minati, esaurendo praticamente la disponibilità di ordigni; infine vennero schierate su entrambe le sponde dello stretto delle nuove batterie mobili.

Cominciano le operazioni

 
Mappa della battaglia di Gallipoli feb-apr 1915

Il 19 febbraio dodici corazzate pre-dreadnought (9 britanniche e 3 francesi) al comando del vice ammiraglio Carden attaccarono le postazioni fortificate turche con un pesante bombardamento, durato otto ore. Il 25 dello stesso mese le navi da guerra alleate tornarono all'attacco e danneggiarono alcune fortificazioni, riducendo al silenzio alcune batterie fisse. Le batterie mobili turche invece furono abilmente gestite e riuscirono a intralciare seriamente i tentativi di sbarco e il dragaggio degli sbarramenti minati all'imboccatura dello stretto. Il 18 marzo dieci corazzate (sei britanniche e quattro francesi) forzarono lo stretto raggiungendo il mar di Marmara , ma incapparono in uno sbarramento minato e si dovettero ritirare con perdite pesanti. A questo punto apparve chiaro che il forzamento dello stretto con le sole navi da guerra era pressoché impossibile; venne pertanto deciso lo sbarco nell'area della penisola di Gallipoli.

Frettolosa preparazione e sbarco

Il corpo di spedizione fu affidato al comando del generale Sir Ian Hamilton, uno scozzese di 62 anni che aveva prestato servizio in India e nella guerra boera. Complessivamente vennero messe ai suoi ordini cinque divisioni, di cui una francese, e due del corpo d'armata ANZAC (Australian New Zeland Army Corps), per un totale di circa 78.000 uomini inquadrati nella Mediterranean Expeditionary Force.

 
Cape Helles: spiagge degli sbarchi.

Lo sbarco denunciò subito le incapacità organizzative: confusione logistica, indecisioni operative, collegamenti inefficaci e scarsa segretezza nei preparativi. Halmiton scelse sei punti per lo sbarco dei suoi uomini, più due azioni diversive.

I turchi dal canto loro affidarono al generale Otto Liman von Sanders, il sessantenne ufficiale tedesco che aveva il comando a Gallipoli, il comando delle forze disposte a difesa. Il generale von Sanders organizzò le sue truppe in tre grandi scaglioni, per prevenire gli sbarchi da ogni lato della penisola. Ormai aveva a disposizione una intera armata, la Quinta, con le divisioni 5a e 6a schierate sull'istmo di Bulair, sulla costa asiatica la 3a e l'11a, al centro della penisola la 19a e infine la 9a all'estremo sud della stessa.

Lo sbarco cominciò fra la notte del 24 e le prime ore del 25 aprile, con oltre duecento navi alleate in mare. I soldati australiani e neozelandesi dell’Australian & New Zealand Army Corpos (Anzac) scoprirono immediatamente che l’area dell’Ari Burnu non aveva spiagge di facile accesso ma solo scogliere e burroni impraticabili. Oggi è chiaro che l’intera operazione fu decisa proprio lì: il genio militare di Mustafa Kemal comprese che il possesso di Monte Chunuk Bair e del crinale Sari Bair era determinante per il controllo dell’intera penisola. Ignorando gli ordini superiori, Mustafa Kemal portò tutte le truppe possibili sul Chunuk Bair e sul crinale e tenne le posizioni: gli inglesi, nonostante i loro sforzi, non sarebbero mai più riusciti ad avanzare.

Entro il pomeriggio del 25 aprile, nonostante gli errori commessi, circa 20.000 uomini della divisione australiana e di una brigata neozelandese erano sbarcati in un settore abbastanza ampio, e disponevano già dell'artiglieria divisionale. Il 26 mattina, gli inglesi erano riusciti a portare a terra circa 30 mila uomini. Queste forze subirono un contrattacco violento da parte di un reggimento della 9a divisione turca, comandato personalmente Mustafa Kemal, e di altri reparti. Il combattimento durissimo costrinse gli invasori a ripiegare, trincerandosi a difesa della testa di ponte. Il 29 aprile le parti concordarono una tregua umanitaria per raccogliere le migliaia di morti e feriti giacenti sul terreno. La 29a divisione britannica sbarcò su cinque spiagge in maniera piuttosto caotica, favorendo la reazione dei difensori. Presso capo Helles oltre la metà dei soldati che dovevano sbarcare furono uccisi o feriti da un micidiale fuoco di mitragliatrici che investì il trasporto River Clyde. Anche le truppe sbarcate dall'incrociatore corazzato Euryalus subirono perdite pesantissime, nonostante il violento fuoco di preparazione dell'incrociatore stesso. Alcuni barconi riuscirono a sbarcare soldati per la forza di circa una compagnia, che riuscirono ad arrampicarsi sugli scogli e neutralizzarono le mitragliatrici turche, permettendo ai superstiti di sbarcare.

Su altre spiagge, in codice chiamate X, Y e S, gli sbarchi avvennero con meno difficoltà, protetti sulla "X" dal fuoco dell'incrociatore da battaglia Inflexible . Dalla "Y" i Royal Marines sbarcati subirono nella notte un così forte contrattacco che furono costretti al reimbarco. Sulla costa asiatica un reggimento francese si impadronì dei resti del forte di Kum Kalè, distrutto dai cannoni delle corazzate in febbraio. Il 26 aprile, esaurito il compito diversivo, si reimbarcò senza danni.

Le operazioni terrestri

Le truppe dell'ANZAC si mossero per conquistare l'altura di Chunuk Bair, dominante lo stretto. Fino al 4 maggio i violenti combattimenti costarono ai turchi perdite molto pesanti, ma gli alleati non ottennero alcun risultato e furono costretti ancora una volta a trincerarsi a difesa. Il 28 aprile, dopo un pesante bombardamento navale, le truppe sbarcate a sud avanzarono verso l'altura di Achi Baba, altra posizione dominante a circa 10 Km da capo Helles. Le prime difese turche vennero sopraffatte, ma l'intervento dell'11a divisione ottomana al completo costrinse gli alleati a ritirarsi sulle posizioni di partenza. Ulteriori tentativi di sfondare ottenero scarso successo nei giorni successivi. Con il rinforzo di tre nuove divisioni affluite sulle teste di ponte il generale Hamilton sferrò un nuovo attacco. Dal 6 all'8 maggio, con la preparazione di artiglieria effettuata dalle navi da battaglia, i francesi attaccarono l'ala sinistra dello schieramento ottomano, ma senza risultati apprezzabili (anzi, i turchi riconquistarono alcune posizioni perdute). Il 19 maggio scattò una poderosa controffensiva ottomana, comandata personalmente dal generale von Sanders e diretta a ricacciare in mare le truppe dell'ANZAC. Le difese ben predisposte da australiani e neozelandesi fiaccarono il tentativo. Il 24 maggio vi fu una nuova tregua per lo sgombero delle migliaia di morti e feriti. Nel corso del mese di maggio le forze navali alleate subirono perdite che consentirono all'artiglieria turca di battere l'ala destra alleata direttamente dalla costa asiatica. Il 4 giugno, muovendo dalle postazioni di Capo Helles, 30 mila inglesi tentarono (terza battaglia nel settore) l’assalto a Krithia, difesa da 28 mila turchi. Assalto lanciato in pieno giorno, contro le trincee: nuovo fallimento, a parte la conquista di alcuni trinceramenti turchi le forze alleate non riuscirono a fare progressi verso l'interno, al prezzo di 4.000 mila morti. Devastanti anche le perdite turche. Agli insuccessi alleati si venne a sommare l'ormai precaria condizione di salute e di spirito delle forze sbarcate in aprile. Hamilton chiese quindi nuovi rinforzi, che entro fine luglio furono completati in cinque nuove divisioni in aggiunta alle sette già presenti sulle teste di ponte. Anche le forze ottomane si rinforzarono di conseguenza, fino a schierare nello stesso periodo ben 15 divisioni.

Per il resto è una sequela di assalti tentati con scarso successo: due volte a Krithia, per tentare di impossessarsi dell’altopiano di Achi Baba, dove l’8 maggio gli inglesi avevano conquistato poco più di 600 metri, a prezzo di 6.500 morti. I turchi contrattaccarono, insistentemente, nella zona di Anzac, con coraggio e determinazione. Il 19 maggio, per esempio, 30 mila uomini assaltarono ripetutamente il centro delle postazioni australiane. I turchi persero 10 mila uomini, contro i 100 morti e i 500 feriti dell’Anzac. Gli australiani – scanzonati, indisciplinati ma testardi e coraggiosi – costruirono lì la loro fama di grandi soldati. E, mano a mano che passavano i giorni, cominciarono a riconoscere nel soldato turco un avversario degno di loro: fino a dichiarare pubblicamente che "Johnny Turk" o "Abdul" non era un selvaggio primitivo, come diceva la propaganda alleata, ma "un bravo e corretto combattente".

Giugno e luglio passarono in trincea, mentre la dissenteria aggiungeva le sue vittime a quelle dei cecchini e degli assalti locali, ostinati ed inutili. Tra sete, caldo, odore di morte – un po’ ovunque c’erano cadaveri in putrefazione – e tormento delle mosche, le truppe conservano intatto un alto morale: da entrambe le parti, questa snervante battaglia cominciava ad assumere i toni dell’epopea. All’inizio di agosto, gli inglesi decisero di riprendere l’iniziativa. Dopo aver rinforzato gli effettivi, il 6 agosto attaccarono contemporaneamente sul fronte di Capo Helles e nella zona Anzac, per la conquista di Sari Bair. Lo scopo era quello di coprire un nuovo sbarco, nella baia di Sulva. A Sari Bair e sul Monte Chunuk, gli australiani furono ad un passo dallo sfondamento: ma il 9 agosto, Kemal lanciò una controffensiva, perse 5.000 uomini e riprese le posizioni. Tra il 6 e il 10 agosto, l’Anzac aveva perso 12 mila uomini. A Sulva, intanto, 1.500 turchi al comando del maggiore bavarese Wilmer erano riusciti a bloccare sulla spiaggia 25 mila uomini del generale Sir Frederick Stopford, più contento di essere sceso a riva che determinato a spingersi oltre.

Sempre tra il 6 e il 10 agosto, von Sanders riuscì a rinforzare Wilmer, mentre Stopford si preoccupava di fortificare le spiagge. Risultato: le colline che dominavano la baia di Sulva rimasero saldamente in mano turca e i generali inglesi, indecisi e distratti, avevano perso la loro ultima occasione. Si tornò alla terribile vita di trincea. In ottobre, il comandante in capo Hamilton chiese altre forze per condurre una battaglia che finora aveva distrutto uomini e risorse senza alcun vantaggio. Fu sollevato dal comando e sostituito dal generale Monro, convinto che l’unica soluzione possibile fosse andarsene da Gallipoli.

Ultimo colpo di coda e fallimento definitivo

Con le truppe fresche appena giunte, Hamilton decise di sferrare un nuovo risolutivo attacco, corroborato da un nuovo sbarco nella baia di Suvla diretto a tagliare in due la penisola e impedire l'intervento in forze dei difensori, oltre all'occupazione delle alture. L'operazione prevedeva anche un attacco diversivo da sud (capo Helles) per distrarre gli eventuali rinforzi turchi. Le operazioni scattarono il 6 agosto, ma si arenarono quasi subito ovunque. Le truppe fresche, inesperte, e le esauste veterane di aprile vennero ancora una volta costrette a trincerarsi nelle ormai anguste teste di ponte. La situazione divenne drammatica in autunno, con l'inizio di un maltempo persistente. Il governo britannico decise per lo sganciamento da una campagna ormai chiaramente fallita, e sostituì Hamilton con il generale Charles Monro, il quale organizzò abilmente, dopo una rapida ricognizione della situazione, le operazioni di sganciamento e reimbarco. Entro il 20 dicembre la maggior parte dell'equipaggiamento pesante e delle truppe fu evacuato. Gli ultimi 35.000 uomini vennero reimbarcati fra l'8 e il 9 gennaio 1916 .

Le operazioni navali

 
La Canopus mentre bombarda i forti ottomani nei Dardanelli, maggio 1915

L'ammiraglio Sackville Carden, che dall'inizio del conflitto comandava una divisione di incrociatori da battaglia (con relativa scorta) nel Mediterraneo orientale, venne incaricato di svolgere uno studio di fattibilità per una grande operazione di forzamento degli stretti che collegano il Mediterraneo al Mar Nero. L'idea di costringere la Sublime Porta alla resa, semplicemente con la minaccia di distruggere la capitale a cannonate, era un'idea allettante se rafforzata oltretutto dalla inconsistenza della marina avversaria. Il tentativo dell'ammiraglio tedesco Wilhelm Souchon di "raddrizzare" la miserevole flotta ottomana era ben lontano dal poter pensare di contrastare, anche indirettamente, la potenza navale britannica. L'ammiraglio Carden, per conto suo, stimò fattibile l'impresa con l'impiego in forze di navi da battaglia, in grado di colpire le postazioni difensive turche (in parte antichi forti) senza il rischio di essere colpiti. Il problema maggiore era costituito dallo stretto braccio di mare (40 miglia marine circa) che introduceva al mar di Marmara; per quanto gli alleati fossero bene informati sugli sbarramenti minati posati dai turchi il rischio esisteva sempre. Ma si trattava, a giudizio del comandante britannico, di un rischio calcolato a patto di utilizzare «forze adeguate». La Gran Bretagna, che disponeva della prima flotta da guerra al mondo, aveva a disposizione un gran numero di vecchie unità destinate col tempo ad essere disarmate e ormai di seconda linea, in gran parte corazzate pre-dreadnought. L'Ammiragliato concentrò nel Mediterraneo orientale un gran numero di queste navi, giudicate più che adeguate all'operazione, e relativamente "spendibili". Su richiesta di Carden venne schierata anche, sotto mille vincoli di sicurezza, una delle più potenti unità della Royal Navy, la super corazzata Queen Elizabeth. A questa si aggiungeva anche l'incrociatore da battaglia Inflexible. Anche la Marine Nationale, che lasciò agli inglesi il comando delle operazioni, imitò l'esempio britannico mettendo a disposizione navi che ormai erano di seconda linea.

 
Irresistible mentre affonda
  • 19 febbraio: otto navi da battaglia britanniche (oltre alla Queen Elizabeth e all' Inflexible le sei vecchie corazzate Albion,Vengeance, Cornwallis, Irresistible,Triumph e Agamennon) e quattro francesi (le vecchie Suffren, Bouvet, Charlemagne e Gaulois ) intrapresero senza danno un violento bombardamento "di ammorbidimento" sulle postazioni difensive turche all'imboccatura degli stretti.
    • 25 febbraio: bombardamenti per coprire gli sbarchi di alcune compagnie, volti a eliminare i cannoni costieri. In questo frangente gli alleati constatarono l'abbandono da parte dei turchi dei forti all'imboccatura dello stretto, ormai troppo danneggiati. La reazione ottomana arrivò a colpire la corazzata Agamennon, che tuttavia non riportò gravi danni.
    • 18 marzo : scattò una operazione in grande stile per completare il dragaggio dello stretto fno al mare di Marmara, colpendo le installazioni turche rilevate. Il comando passò da Carden, ufficialmente indisponibile per malattia, al suo secondo ammiraglio John de Robeck . La prima fase vide le navi da battaglia britanniche più moderne aprire il fuoco da grande distanza, seguite da due pre-dreadnought e rilevate poi dai vascelli francesi. Dopo il loro intervento sarebbe stata la volta del grosso delle navi britanniche. Nella manovra di accostata la Bouvet (già colpita diverse volte dai cannoni turchi) urtò una mina e si capovolse affondando in 58 secondi. Anche l'incrociatore da battaglia Inflexible venne gravemente danneggiato da una mina, così come la Irresistible, che affondò in seguito ai danni riportati, seguita dalla Ocean, vittima anch'essa di una mina mentre le prestava soccorso. A queste unità si doveva aggiungere anche la francese Gaulois, fatta incagliare a Tenedo per evitarne l'affondamento.

Le perdite subite, dolorose ma non certo in grado di intaccare la potenza navale alleata e la possibilità di intervenire ancora in maniera massiccia, suscitarono invece una reazione di eccesso di prudenza da parte del comandante in mare, che "passò la palla" alle forze di terra. Ciò nondimeno Churchill in persona fece pressioni per trasferire altre vecchie navi di linea in Egeo. La prudenza della Royal Navy aumentò a dismisura col ritiro delle unità più moderne e con la perdita, in due settimane, di altre tre navi di linea in maggio (Majestic e Triumph, colate a picco dallU-21 del comandante Otto Hersing, e la Goliath affondata dai siluri del cacciatorpediniere turco Muvenet, anch'esso al comando di un ufficiale tedesco). Da quel momento le forze navali si limitarono ad appoggiare gli ulteriori sbarchi di truppe (Suvla, 8 agosto) impiegando principalmente piccole cannoniere e siluranti, meno esposte al tiro nemico.

Ritirata

La ritirata fu la sola cosa che gli inglesi fecero con vero successo. Tra il 18 e il 19 settembre, a scaglioni e con accorta copertura, 80 mila uomini e tutto il materiale fu evacuato dalla zona Anzac e dalla baia di Sulva, al prezzo di due soli feriti. Il 9 gennaio 1916, i 19 mila soldati dalla Zona di capo Helles – sempre di notte, sempre in silenzio, sempre con il massimo ordine – abbandonarono Gallipoli senza alcuna perdita.

Gli alleati lasciarono sul terreno 25.000 britannici, 10.000 francesi, 7.300 australiani, 2.400 neozelandesi e 1.700 indiani. Tra morti e feriti, le perdite complessive assommarono a 250.000 uomini: la metà del mezzo milione di soldati inviato a Gallipoli. I turchi ebbero quasi 100.000 morti e oltre 150.000 feriti. Il comando inglese fu debole, quasi distratto – Hamilton non si presentò mai al fronte, comandava da una nave al largo – oltre che incerto sugli obiettivi tattici e impreparato alle necessità logistiche. L’esercito turco fu ben guidato da von Sanders e da Mustafa Kemal Atatürk, sempre in trincea e spesso esposti in prima persona ai pericoli della battaglia.

Conclusioni

La defezione della marina britannica dalla prima grande operazione anfibia dell'era moderna costò alla Gran Bretagna un numero spropositato di uomini, fatto ancora più grave data la penuria, in quel momento, di truppe terrestri. In effetti la Royal Army arrivò a impegnare sulle teste di ponte degli stretti quasi un quarto dei suoi effettivi, comprendenti per la prima volta anche truppe dei Paesi coloniali (Canadesi, Australiani, Sudafricani e altri). Le forze francesi agirono in sintonia con gli alleati ma dopo le perdite di marzo non si esposero più di tanto, considerando fra l'altro quello turco un settore di assoluto secondo piano rispetto alla mortale battaglia che l'Armee combatteva in casa. Da questo vero e proprio disastro, dovuto anche alla resistenza a oltranza delle forze ottomane, una volta tanto ben organizzate e ben guidate, il prestigio che la Royal Navy voleva difendere a ogni costo evitando perdite sopportabili (in quel momento erano in servizio ben 25 pre-dreadnought più altre 9 di riserva) venne macchiato dal sacrificio delle truppe a terra. La disfatta costò quasi la carriera all'allora Primo Lord dell'Ammiragliato (ministro della Marina Militare) Winston Churchill, fra i sostenitori del piano, che non ebbe più comandi operativi[senza fonte]. Dall'altra parte, fu anche l’occasione che mise in gran risalto le capacità di Mustafa Kemal: il trentaquattrenne ufficiale si guadagnò ampiamente il titolo di "Salvatore di Gallipoli".

La Grande Guerra era già abbastanza moderna per pensare a strategie mondiali, utilizzare strumenti tecnici sofisticati, coinvolgere masse di uomini. Ma non ancora abbastanza scientifica per abbandonare la logica degli assalti frontali, con fiumane di fanti mandati inutilmente allo sbaraglio, ondata dopo ondata, contro trincee fortificate. Soprattutto gli alleati erano comandati da alti ufficiali indecisi, incerti, senza fantasia ed ostinati all’assalto alla baionetta. Il numero fa potenza, si pensava ancora. Gallipoli dimostrò il contrario, ma sul momento furono davvero in pochi a capirlo.

Fu, anche, una inutile e devastante carneficina, raccontata nel film "Gli anni spezzati" del regista autraliano Peter Weir.