fòrmica / non formica

Cresciuto alla scuola di anglistica creata da Mario Praz alla Sapienza di Roma, Giorgio Melchiori si dedicò all’attività accademica fin dai primi anni della Seconda guerra mondiale, dopo una breve parentesi come redattore presso l’agenzia ANSA di Roma. Fu l’Università di Torino a vedere i suoi esordi, ma nel 1947 ritornò a Roma, prima alla Sapienza e quindi all’Università Roma Tre, dove insegnò a lungo lingua e letteratura inglese divenendo col tempo una sorta di figura mitologica, un “mostro sacro” ammirato dai colleghi e idolatrato dai suoi studenti. Autore prolifico di saggi critici, la ricchezza della sua produzione non andò mai a scapito dell’alta qualità della ricerca, sia quando affrontò le scelte antologiche dei Poeti metafisici inglesi (Milano, 1964) e di John Donne (Milano, 1983), sia nelle approfondite indagini sull’opera dell’irlandese James Joyce (Joyce barocco, Bulzoni; Joyce: il mestiere dello scrittore, Einaudi). Tuttavia, l’autore cui dedicò le sue maggiori e migliori attenzioni fu William Shakespeare (Shakespeare: politica e contesto economico, Bulzoni; Shakespeare all’opera. I drammi nella librettistica italiana, Bulzoni).

Apprezzato maestro di tutti gli anglisti italiani, Melchiori fu riconosciuto come uno dei più autorevoli esperti di letteratura in lingua inglese e un vero e proprio specialista di Shakespeare, tanto da essere insignito nel 1991 del titolo di “Commander of the British Empire”. Fu anche membro onorario dell’International James Joyce Foundation e dello Shakespeare Birthplace Trust, socio della British Academy, dell’Accademia delle Scienze e dell’Accademia dei Lincei, vincitore del premio Grinzane Cavour per traduttori nel 1986 e del premio di storia letteraria Natalino Sapegno nel 2005. Nella sua vasta bibliografia, ricca di edizioni critiche di singoli drammi shakespeariani, spiccano due opere fondamentali: l’edizione critica del Teatro completo di Shakespeare per “I Meridiani” della Mondadori (9 volumi, 1976-91) e il saggio Shakespeare. Genesi e struttura delle opere (Laterza, 1999? 2001) in cui ricostruì il processo creativo del “bardo”, inquadrandolo nel contesto di una vita dedicata per intero a una professione soggetta alle esigenze dello spettacolo, alle condizioni sempre mutevoli delle scene londinesi, ai condizionamenti e agli stimoli di un pubblico variegato e partecipe, e infine alle interferenze di una censura sempre vigile in un clima di profonda e rapida evoluzione.

Con altri due noti anglisti italiani, Nemi D’Agostino e Agostino Lombardo, anch’essi allievi di Mario Praz, nel 1975 pubblicò Teatro elisabettiano. Marlowe, Webster, Ford (Accademia Olimpica).

Roma, 10 febbraio (Adnkronos)