Via Francesco Cilea
Via Francesco Cilea è una delle arterie principali del quartiere Vomero, a Napoli.
Nata alla fine degli anni '40 come prolungamento di via Scarlatti, ma prevista già nel piano urbanistico precedente la II guerra mondiale, fu progettata come principale asse di collegamento tra il Vomero e i quartieri circostanti quartieri (Posillipo, Fuorigrotta, Soccavo, Chiaia). Corre parallela all'antica Via del Vomero (oggi via Belvedere), con la quale alla fine converge. Per superare il fortissimo dislivello tra via Scarlatti e via Cilea, si rese necessaria la costruzione di un ponte, il che comportò l'abbattimento di Villa Doria e Villa De Marinis.
Alla fine della strada, all'incrocio detto Largo Martusciello (denominato così perchè si apre dinanzi al parco di Villa Ricciardi, che ospita l'Istituto per Ciechi Domenico Martusciello), l'antica Via del Vomero risulta divisa in due parti, di cui la parte maggiore è la parallela e la parte minore (Corso Europa) conduce a piazza Santo Stefano, confine del quartiere Vomero, da cui si snodano le strade verso gli altri quartieri; da largo Martusciello si snoda anche via San Domenico (antico sentiero, asfaltato solo negli anni '60, per secoli chiamato semplicemente "strada che porta a Soccavo"[1]).
Inoltre, a rendere importantissima via Cilea per i collegamenti cittadini, su di essa si aprono l'entrata e l'uscita Vomero della Tangenziale di Napoli.
A differenza di altre vie principali del Vomero, costruite nel periodo anteriore alla guerrae circondate da architetture umbertine o liberty, via Cilea si contraddistingue per un'architettura moderna tipica degli anni della speculazione, composta di palazzi tanto alti da sembrar spesso sproporzionati alla strada, la quale, correndo sul crinale della collina, appare in alcuni tratti come "sospesa nel vuoto".
Via Cilea è stata definita la strada più rappresentativa della nuova urbanistica del Vomero, in cui "in perfetta coerenza con la congestione del traffico, il convulso chiaroscuro della prospettiva stradale è prodotto dalla varietà dei balconi come velleitario surrogato della fantasia"[2].