Tè
Il tè è un notissimo infuso (o tisana) ricavato dalle foglie (spesso miscelate con altre spezie, erbe o essenze) di una pianta legnosa, la Camellia sinensis che viene coltivata principalmente in Cina, India, Sri Lanka, Giappone e Kenia.
La parola tè deriva dall'inglese tea, ed a sua volta dalla pronuncia dialettale t'e della parola cha (茶); da quest'ultima pronuncia cinese derivano, con lievi varianti, le parole per tè in turco, giapponese, portoghese e russo - in Amoy - 廈門 Xiamen, Fujian - lingua usata nella Cina meridionale.
Il tè fu conosciuto dai Portoghesi che nel 1560 esplorarono il Giappone, e di qui fu importato in Europa, dove ebbe un immediato successo di gradimento. Divenne dapprima popolare in Francia ed in Olanda, poi (forse intorno al 1650) ebbe diffusione anche in Gran Bretagna.
Il tè (che in lingua italiana dovrebbe essere scritto con l'accento acuto) è nel tempo divenuto tradizionalmente identificativo di certa cultura sociale inglese, per la quale esso andrebbe preferibilmente consumato intorno alle ore 17 (tea-time), con una goccia (spot) di latte.
Fra le molte varietà, alcune delle più diffuse sono il Darjeeling, l'Assam, il Lapsang Souchong.
La coltivazione del tè è quasi esclusiva della Cina e del Giappone ed è per quegli Stati uno dei principali prodotti di esportazione. I tè di Giava, delle Indie e del Brasile sono giudicati di qualità assai inferiore.

Le sue foglioline, accartocciate e disseccate per esser messe in commercio, sono il prodotto di un arbusto ramoso e sempre verde che non si eleva in altezza più di due metri. La raccolta della foglia ha luogo tre volte all'anno: la prima nell'aprile, la seconda al principio dell'estate e la terza verso la metà dell'autunno.
Nella prima raccolta le foglie, essendo piccole e delicatissime, perché spuntate da pochi giorni, danno il tè imperiale, che rimane sul luogo per uso dei grandi dell'impero; la terza raccolta in cui le foglie hanno preso il massimo sviluppo, riesce di qualità inferiore.
Tutto il tè che circola in commercio si divide in due grandi categorie: tè verde e tè nero. Queste poi si suddividono in molte specie: ma le più usitate sono il tè perla, il souchong, e il pekoe a coda bianca, il cui odore è il più aromatico e il più grato. Il tè verde essendo ottenuto con un'essiccazione più rapida che impedisce la fermentazione, è più ricco di olio essenziale, e di polifenoli, che hanno una serie di benefici sull'organismo umano. Recenti studi stanno dimostrando addirittura le sue proprietà di prevenzione contro alcuni tumori. Un' altraimportante varietà di tè è il tè bancha; vi sono due tipi di tè bancha: Kukicha naturalmente privo di teina, si trova in rametti e Hojika, stessa varietà ma contenente teina e si trova in foglia. Molto importante la varietà Kukicha soprattutto per l'uso consentito a persone che non possono assumere eccitanti come la teina: si tratta di foglie di tè invecchiate almeno tre anni, praticamente priva di teina, ricche di oli essenziali, molto magnesio, calcio, fosforo e ferro. Ha un sapore leggermente più aspro del tè nero e profumo fortemente aromatico.
Nella Cina l'uso del tè risale al III secolo, inizialmente presso le prime comunità monastiche buddhiste, quindi presso i cinesi convertiti al buddhismo, infine diffuso in tutta la società; ma in Europa fu introdotto dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali sul principio del XVI secolo; Dumas padre disse che fu nel 1666, sotto il regno di Luigi XIV che il tè, dopo una opposizione non meno viva di quella sostenuta dal caffè, s'introdusse in Francia.
Voci correlate
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- LA VIA DEL TE’
La cerimonia del tè, nella sua essenza, è l’espressione sintetica degli aspetti fondamentali della cultura giapponese. In quanto tale si è conservata nei secoli e nonostante l’inevitabile commercializzazione, avvenuta nell’immediato dopoguerra, è riuscita a preservare la sua simbologia al di là dell’innegabile aspetto folkloristico ad essa connesso. Accanto alle scuole tradizionali ne sono nate di nuove ed oggi, a differenza di ieri, sono le donne più che gli uomini a dedicarsi a quest’arte raffinata, il cui studio rientra certamente nel curriculum di ogni ragazza di buona famiglia. La cerimonia del tè è diventata in un certo senso un fenomeno di massa. Talvolta le ditte ne sponsorizzano lo studio per offrire svago alle proprie impiegate. Nei templi più frequentati il tè viene servito agli ospiti, in visita, giapponesi e non, ad orari fissi, chiudendo un occhio verso un’etichetta non sempre ortodossa. CENNI STORICI Il tè, bevanda meno arrogante del vino, non egocentrica quanto il caffè e non così innocua quanto il cacao, fa il suo ingresso in Europa attorno alla metà del 1600 ma era già conosciuto ed apprezzato nel mondo orientale almeno dall’VIII secolo. La pianta del tè è originaria della Cina meridionale ed era ben nota fin dall’antichità nella botanica e nella medicina. Si attribuivano infatti a questa pianta importanti proprietà terapeutiche quali quella di offrire sollievo alla fatica, allietare l’animo, rafforzare la volontà, e guarire problemi di vista. Talvolta le sue foglie venivano somministrate per uso esterno, sotto forma di impacchi, per alleviare dolori di origine reumatica. In ambiente religioso, dove trovò una duratura collocazione nei secoli, le foglie della sua pianta venivano considerate tra l’altro un ingrediente fondamentale di quell’elisir di lunga vita invano vagheggiato dai monaci taoisti. I monaci buddhisti inoltre attribuirono agli infusi preparati col le foglie di tè una ulteriore proprietà: quella di favorire la concentrazione. Di fatto proprio i monaci se ne servivano estensivamente durante le lunghe ore di meditazione per combattere la sonnolenza. L’uso del tè come bevanda era certamente assai diffuso in oriente. La ricetta originaria, primitiva e assai complessa, prevedeva una lista di ingredienti e una modalità di preparazione del tutto particolari. Secondo un’antica ricetta cinese le foglie di tè venivano cotte a vapore, pestate in un mortaio e poi di esse si faceva un panetto che veniva bollito con riso, zenzero, sale, buccia di arancia, spezie, latte e qualche volta si aggiungevano le cipolle. Il sale fu il primo ingrediente ad essere eliminato per sempre e la ricetta subì nel corso dei secoli modifiche e semplificazioni, ma è probabile che il Giappone abbia conosciuto il tè secondo una ricetta simile a questa. Il tè giunse in Giappone per la prima volta intorno al X secolo ma fu il XIII secolo a testimoniarne la diffusione a seguito dello sviluppo della dottrina Zen, una forma di buddhismo contemplativo mutuata dalla Cina. La tradizione attribuisce al monaco buddhista Eisai (1141-1215) il merito di aver introdotto il tè in Giappone. Si narra che Eisai avesse trascorso un certo periodo in Cina studiando lo Zen e che al suo ritorno in Giappone avesse portato con sé i semi di quella pianta magica e che avesse iniziato a coltivarla nel giardino del monastero. Al pari dei suoi antenati cinesi egli era convinto delle svariate proprietà officinali della pianta. Fu solo in un momento successivo però che il tè si diffuse come forma di intrattenimento, sia per gli ospiti del monastero che per gli stessi monaci. E in qualità di intrattenimento dunque il tè si trasformò presto in teismo, ovvero culto del tè, il Chanoyu (letteralmente "acqua per il tè"), e avvicinandosi sempre più all’arte cominciò a dissociarsi dall’ambiente esclusivamente monastico. La cerimonia del tè venne dunque a rappresentare il nesso tra la vita e l’arte, tra il sacro e il profano. Essa è essenzialmente "il culto fondato sull’adorazione del bello tra i fatti sordidi dell’esistenza; è l’adorazione dell’imperfetto, in quanto è un vago tentativo di realizzare qualcosa di possibile in questa cosa impossibile che è la vita". Le connessioni del tè con il buddhismo, soprattutto con lo Zen, sono molteplici e non è un caso che siano stati i monaci i primi ad interessarsi attivamente a questa bevanda. Il tè con il suo tipico gusto lievemente amarognolo che rasserena e chiarifica, ben si adattava allo spirito austero della vita monastica. Il Sado, la via del tè, nella sua sobrietà rappresentava quella costante ricerca della semplificazione che è tipica dello Zen e dallo Zen mutuava il suo peculiare senso estetico, propriamente quella sensuale consapevolezza del Vuoto espressa dal concetto di Wabi. Il Chanoyu si diffuse a partire dal XV secolo grazie ad altri monaci zen che lo adattarono ai gusti giapponesi e progressivamente fecero di esso una forma artistica e nel contempo furono iniziatori di varie scuole, alcune delle quali ancora oggi fiorenti. Il tè che si usa nella cerimonia non è il comune tè in foglie che si immerge in acqua calda. Si tratta di un tè dal caratteristico colore verde brillante, finemente polverizzato e disciolto in acqua calda con un frullino di bambù. Ne risulta una bevanda densa, leggermente spumosa, da un caratteristico sapore amarognolo assai diverso da quello del tè comune. Uno scrittore cinese lo ha infatti poeticamente definito "spuma di giada liquida". La cerimonia del tè si divide in tre momenti distinti: Kaiseki, un pasto leggero consumato prima del tè; Koicha, il tè denso; e Usucha il tè leggero. La cerimonia nella sua interezza richiede molte ore per cui, riservando la cerimonia completa alle occasioni speciali, generalmente ci si limita al solo momento dell’Usucha. Un elaborato codice di etichetta regola tutte le fasi della cerimonia a partire dal numero di giorni di anticipo con cui si estende un invito (generalmente non più di cinque), al rituale lavaggio delle mani prima di accedere alla sala del tè, al posto da occupare durante la cerimonia, sia per gli ospiti che per il padrone di casa, alla designazione dell’ospite d’onore, al modo di servire e di bere il tè. La rigida osservanza delle regole formali altro non è che un modo per assicurare che nulla di imprevisto turbi la decorosa serenità e armonia di spirito associata alla cerimonia stessa. L’Usucha e il Koicha rappresentano visivamente due momenti distinti della cerimonia e il rituale ad essi associato è infatti diverso. Il Koicha prevede l’uso di un’unica tazza da cui ogni ospite beve solo pochi sorsi. Il protocollo prevede che prima di portare la tazza alle labbra la si ammiri; dopo aver assaggiato il tè ci si complimenti per il sapore e poi si bevano ancora un paio di sorsi prima di passare la tazza all’ospite vicino avendo accuratamente asciugato con un tovagliolo la parte da cui sia ha bevuto. Finito il giro è possibile che l’ospite più importante chieda di ammirare nuovamente la tazza per apprezzarne la qualità. Nel caso dell’Usucha il protocollo è leggermente diverso. Ogni ospite infatti beve tutta la tazza di tè, poi con le dita asciuga il bordo e si asciuga le mani con un tovagliolo, e restituisce la tazza al padrone di casa che la lava con acqua calda e dopo averla asciugata la riempie di nuovo per servire un altro ospite. La tazza viene data all’ospite presentando la parte più bella. L’ospite a sua volta avrà cura di girarla in modo da non bere dalla parte migliore. Il tè, divenuto cerimonia, si accompagnò a nuove consapevolezze in campo artistico-architettonico e non mancò di influenzare, con il suo amore per la semplicità e la sobrietà, la vita di tutti i giorni. La popolarità della cerimonia nel XVII secolo fu responsabile del grande impulso dato allo sviluppo della ceramica, e in particolar modo a quella usata per i tè. Nacquero molte scuole, ognuna rispondente a dei precisi canoni estetici, ognuna riflettente la filosofia ed il gusto di un particolare Maestro. Le tazze Raku, originarie di Kyoto, furono quelle che incontrarono più successo tra gli intenditori. Esse sono piacevoli al tatto e ispirano serenità nella loro peculiare semplicità ed elegante sobrietà decorativa. Generalmente non sono perfettamente rotonde ma sono fatte in modo da essere tenute con entrambe le mani, come è consuetudine bevendo il tè. Il bordo superiore non è perfettamente liscio ma è ondulato, così da offrire una sensazione piacevole quando portato alle labbra. La base in genere non è invetriata, lasciando così vedere il tipo di argilla di cui è fatta la coppa. Non presentano un motivo decorativo preciso, ma la decorazione è creata dalla invetriata e dal gioco di colori naturali e di contorni. Il buddhismo Zen non solo ha creato la cerimonia del tè conferendo ad essa spiritualità e profondità, ma ha permeato e spiritualizzato la stessa sala adibita al suo culto. La sala da tè può essere una unità separata dal resto della casa (sukiya) o far parte della casa stessa. Le dimensioni della classica sala da tè sono di quattro tatami e mezzo, con il mezzo tatami al centro. Al centro è posta la teiera mentre gli ospiti, non più di cinque per le piccole dimensioni della stanza, si dispongono sui rimanenti quattro tatami. La sala da tè, per dimensioni e semplicità, contrasta spesso con il resto della casa. In essa si vuole creare un’idea di raccoglimento e di semplicità. Si differenzia da un soggiorno perché è chiusa su tutti e quattro i lati, rappresentando uno spazio isolato e recluso molto suggestivo. La luce vi filtra poco e l’unico elemento decorativo è dato dal tokonoma (sorta di pannello decorativo verticale) che può ospitare un dipinto importante o una composizione floreale. La spoglia eleganza di questo locale, basata solo sulle gradazioni del buio, permette all’animo umano di liberarsi dai legami della vita mondana, librandosi verso più alti valori spirituali. La vera realtà della stanza è il vuoto che, in quanto tale, permette una infinità di interpretazioni e libertà di movimento, sia in senso spirituale che fisico. Solo nel vuoto infatti trovano espressione e realizzazione la vasta gamma di emozioni estetiche e solo attraverso il vuoto l’uomo riesce a superare i suoi limiti fisici e intellettuali, morali e spirituali.
Collegamenti esterni
Sito sul Tè http://www.teatime.it/