Utente:Pequod76/sandbox/8
Lo sventramento del quartiere di San Berillo
San Berillo era uno storico quartiere di Catania, densamente abitato e pieno di botteghe di artigiani. Il suo sventramento, realizzato negli anni cinquanta, ha determinato una ferita nel volto della città e ha lasciato un vuoto ancora visibile nel suo tessuto urbano.
Premesse storiche

Il terremoto del 1693 ha rappresentato una cesura nella storia urbanistica di Catania. La ricostruzione fu coordinata da Giuseppe Lanza, duca di Camastra, che orienta l'abitato verso l'Etna e pone nei cosiddetti Quattro Canti il fulcro della ristrutturazione. Nel corso del tempo, il centro muove verso piazza Stesicoro (siamo nella prima metà del XIX secolo): si trovano qui i Tribunali (in quello che era l'Ospedale San Marco). La piazza, nella seconda metà del XIX secolo, trova una sua sistemazione intorno ai resti dell’anfiteatro romano, di cui resta visibile uno scorcio. La centralità di piazza Stesicoro viene poi sottolineata dal monumento a Vincenzo Bellini. San Berillo prendeva corpo proprio a partire dalla piazza Stesicoro, procedendo perpendicolarmente rispetto a via Etnea in direzione della ferrovia inaugurata nel 1866 lungo la costa.
Il quartiere avrebbe dovuto, a questo punto, divenire zona nobile all'interno del tessuto urbano, tanto per la sua centralità, quanto per la sua relazione al commercio ferroviario, con strade di larghezza non inferiore ai 10 metri. Tale impostazione non viene messa in pratica, secondo il barone Bernardo Gentile Cusa, per la contrarietà della proprietaria dei terreni, Maria Li Destri Trigona, duchessa di Misterbianco, forse attenta all'opportunità di sfruttare la speculazione con maggiore cubatura. Nel 1852, l'espansione del quartiere raggiunge la Chiesa del Crocifisso e piazza Cappellini (oggi dedicata a Giovanni Falcone). Le strade di San Berillo appaiono allora quai ortogonali tra loro e assai strette, senza alcun collegamento diretto con la stazione dei treni.
A Gentile Cusa viene affidato il compito di completare il quartiere in rapporto alla stazione (1882). Si tratta di un ampliamento a nord-est, che finisce per diventare la base per il primo Piano Regolatore Generale di Catania (Cusa lo firma nel 1888, con il titolo Piano regolatore pel risanamento e per l'ampliamento della città di Catania). Il nuovo progetto sembra riprendere la suggestione del duca di Camastra e le centralità allora espresse, trasferendole verso nord e mantenendo delle corrispondenze, come accade per via Santa Caterina (poi Umberto, inaugurata nel 1890), che dai giardini pubblici si dirige verso la zona industriale dello zolfo, e per l'incrocio tra via Etnea con quella che verrà di lì in poi denominata la Passeggiata delle Carrozze (i viali Regina Margherita e XX Settembre, che collegano piazza Santa Maria del Gesù e Piazza Giovanni Verga con via Etnea), una sorta di replica dei Quattro Canti. Al pieno compatto dei quartieri storici, Cusa contrappone il vuoto, inteso anche come misura igienico-sanitaria. Piazza Verga diviene nuovo centro della città così concepita: una piazza d'armi vuota che, non a caso, ospita il nuovo tribunale (1953).
Nel XX secolo
Nel 1904, scavi archeologici intensi squarciano gran parte di piazza Stesicoro, in modi che, nel giudizio di Vitaliano Brancati, la faranno somigliare alla tolda di una nave colpita di fianco. Lo scavo, secondo il direttore dei lavori Filadelfo Fichera, rappresenta un primo accenno di programma archeologico, edilizio e sanitario per San Berillo, sempre con l'idea di collegare il quartiere alla stazione. Sono i tempi dello zolfo e Catania è snodo fondamentale delle esportazioni, tanto per mezzo dei treni che per mezzo del nuovo porto: il collegamento risulta sempre più angusto, a misura che cresce la propensione industriale di Catania. Il Grande Albergo, in piazza Cappellini, è l'unico edificio di un certo rilievo: per il resto, San Berillo, nella sua povertà, corrisponde a quell'impulso di edilizia popolare che, con case basse e corti centrali, si reitera a nord (i quartieri Consolazione e Borgo): un'urbanizzazione caotica e fittissima. È proprio l'impulso commerciale dello zolfo ad indirizzare i notabili catanesi verso l'ipotesi dello sventramento à la Haussmann: gli scopi principali sono favorire l’afflusso e il deflusso dalle stazioni, la circolazione di aria e di luce (ma anche di truppe, visto il favore con cui i catanesi vedono le imprese coloniali), abbattere i vicoli infetti (nel 1911 un'epidemia di colera fa molti morti) e sottolineare la magnificenza di grandi edifici e monumenti isolandoli.
A questo punto si susseguono una serie di piani di sventramento, di cui solo quello di Brusa verrà messo in opera. Nel 1913, un primo piano propone una demolizione radicale, che suscita molte perplessità, risolte dallo scoppio della Grande Guerra. Un piano di risanamento del 1927 si scontra con l'impossibilità di seguire una via dritta. Alcune proposte contenute dai progetti Alfa 1932 e S.P.Q.C. (il primo di Piccinato, Guidi, Marletta; il secondo di Mancini, Paternò, Severino) confluiscono nel PRG del 1934, supervisionato da Giovannoni, che sembra trovare una formula adeguata, pur snobbando, con le sue prospettive essenziali, il monumento a Bellini. È, stavolta, la seconda guerra mondiale a fermare il processo. D'altra parte, benché i danni bellici non siano stati così imponenti o, se tali, solo altrove, il vecchio progetto di sventramento riparte con rinnovata energia, sull'ala dell'idea di risanare il quartiere dopo il bombardamento (1947): il piano di ricostruzione di Gino Nicotra intende sempre demolire San Berillo, riprendendo lo spirito modernista di Giovannoni. Esiste il vecchio problema della non corrispondenza tra l’anfiteatro e la stazione ottocentesca: Nicotra prevede un percorso leggermente curvo. L'aspirazione della Catania ormai "Milano del Sud" non si sente soddisfatta dall’intervento démodé di Nicotra, con il suo "culto dell'asse".
Il piano ISTICA
Nel 1954, lo sventramento, infine, viene realizzato: la promessa di indirizzarsi alla stazione e al mare si produce, ma a baionetta, attraverso una linea spezzata, nei termini pensati dall’arch. Brusa della Società Generale Immobiliare di Roma (di proprietà vaticana e principale finanziatrice del Piano ISTICA). L'ISTICA (Istituto immobiliare di Catania) fu costituito il 27 novembre del 1950, con un capitale di 55 milioni di lire (di questi, 20 milioni della SGI, 20 del Banco di Sicilia, 10 della Cassa di risparmio Vittorio Emanuele, 2,5 della Provincia e 2,5 della Camera di Commercio locale). Il piano Brusa, inizialmente offerto a titolo gratuito e poi valutato e pagato 60 milioni di lire, fu recepito in toto dall'ISTICA e approvato dal Consiglio comunale il 3 marzo 1951, contestualmente alla costituzione dell’Ist-Berillo, cui viene affidata la realizzazione di un abitato che accolga i cosiddetti "deportati di San Berillo" (circa 30.000) in zona San Leone
Il piano Istica, il 16 maggio 1952, viene poi inserito nel PRG dal commissario prefettizio, appena dieci giorni prima delle elezioni amministrative che attribuiranno lo scranno di sindaco a Domenico Magrì e alla sua giunta composta da DC e Partito Nazionale Monarchico.[1]
il ‘colpo di baionetta’ abbatte
S.Berillo, lasciando a terra i due tronconi sfalsati di corso Sicilia e corso Martiri della Libertà, e produce un danno persistente perché ripete modelli convenzionali ‘ottocenteschi’ senza interrogarsi sul loro senso, che si modifica attraverso il tempo e le occasioni.
Farsa diventa, allora, quel favoleggiare su un ‘mitico’ schizzo (mai appurato da alcuno studioso) che Alvar Aalto avrebbe tracciato della sezione asimmetrica di corso Sicilia: su un lato coperto dai portici, e sull’altro coperto a sbalzo dagli edifici; insomma ‘né carne né pesce’, se la ridono i Catanesi. E ridono amaro: perché questa operazione di pura facciata non riesce a porsi alcuna questione sul destino formale della città; ma non si interroga neppure su quanto la costruzione della facciata sapeva insegnarci nell’800, come processo ‘interno’ all’architettura che sa farsi strumento di controllo urbanistico. Per questo motivo, il corso Sicilia non ha omogeneità di parte urbana, ma si risolve in un accostamento di edifici (talvolta anche belli, come quello di Vaccaro) e perlopiù pretenziosi, che sanno solo nascondere un’edilizia antica della quale non si sa cosa fare, alla quale non si sa come rapportarsi (nemmeno ‘per differenza’). La tensione alla Modernità si svuota in un meccanico e nevrotico ‘cambio di camicia’ (quello che ossessiona il Senatore nei Buddenbrook); ma il risvolto di questa camicia ‘inamidata’ del corso Sicilia è la piaga a cielo aperto di corso Martiri della Libertà: moncone di sventramento che espone, sull’altra metà della ‘baionetta’, lo scandalo di una ricostruzione fallita, che si rappresenta come vuoto osceno e insensato.
È da questo vuoto - osceno e insensato, ma concreto - che oggi dobbiamo ripartire; superando le tentazioni - ideali o ideologiche, ma sempre presenti - di affidare la città a vuoti slogan: la ‘Parigi del Mediterraneo’, la ‘Milano del Sud’, e recentemente la ‘Nuova Barcellona’; oppure: il ‘risanamento del centro storico e la crescita urbana’, ieri; ‘il recupero del centro storico e la rottamazione delle periferie’, oggi. Piuttosto che praticare slogan, occorre praticare il progetto.
In buona sostanza, la conclusione è sempre il progetto: tanto per la periferia, quanto per il centro storico. Riconoscendo che nessuna buona teoria, o buona intenzione, potrà salvarci da un cattivo progetto; occorre attraversare il rischio, l’avventura, e la responsabilità del progetto. Riforma dell’isolato del Crocifisso e di piazza Cappellini-Falcone, a San Berillo La ruderizzazione dell’area ha trasformato la piazza Cappellini-Falcone in un parcheggio di risulta, privandola del suo tradizionale ruolo di sagrato per la Chiesa del Crocifisso; mentre la demolizione praticata sul bordo del lotto ha isolato l’edificio religioso con un ‘vuoto’, dove la città scarica i suoi rifiuti. Il progetto che ho elaborato con la collaborazione di Mario Covello e Graziano Rua, vuole superare questa condizione di emarginazione, facendo perno sul tradizionale ruolo di accoglienza che la Chiesa del Crocifisso svolge da sempre a favore degli emarginati e degli immigrati. Per questo motivo, il ricostituito sagrato di piazza Cappellini viene collegato con un passaggio urbano al cortile interno del nuovo recinto edilizio, dove si raccolgono alcuni servizi (un bazar per il commercio di oggetti artigianali ed etnici; una libreria specializzata, per l’incontro di religioni e culture diverse; un ristorante caffè-concerto; un piccolo ostello): l’obiettivo è realizzare un ‘sagrato interno’, che raddoppi il valore sociale ed urbano del tradizionale sagrato ‘esterno’ di piazza Cappellini. Naturalmente, il richiamo della cittadinanza in questo luogo di incontro e dialogo sociale richiede un capiente parcheggio, che viene dislocato in sotterraneo, a costituire una piazza coperta: una sala ipostila, caratterizzata da una scala-scultura, che la collega alla gradinata della Chiesa, e da un finestrone orizzontale cui fa da velario un lenzuolo d’acqua che discende dal piano inclinato della piazza superiore. Su piazza Cappellini, la fontana è un dissuasore che impedisce di sporgersi dal bordo inclinato del sagrato: questo piano inclinato avanza verso via Crispi una pensilina d’ombra e di riparo alla fermata dell’autobus; la panchina della fermata si caratterizza per la spalliera che fa da ringhiera sul velo d’acqua della fontana. Al centro della fermata si parte un ponte sospeso sul parcheggio, che attraversando la fontana ‘dell’acqua a lenzuolo’ congiunge via Crispi al sagrato.
Piazza Cappellini è un piano inclinato di pietra lavica, disegnato da percorsi in pietra bianca; mentre la scalinata della Chiesa e il muro basso dell’antico Albergo Italia costituiscono le essenziali sedute d’arredo; ancora il giardino secolare dell’antico Albergo offre al sagrato il suo paramento d’alberi e ombre imponenti. Sul limite sopra via Crispi, la fenditura d’acqua borda un percorso che si incunea tra i ruderi di un ricomposto edificio ottocentesco: a scoprire un albero dentro una stanza priva di copertura, che oggi illumina il nuovo ingresso per la rampa di passeggio che sale fino al tetto del vecchio palazzo. Questo percorso sospeso tra il nuovo cortile e il fronte in ‘bugnato lavico’ su via Crispi, definisce col suo svolgimento una galleria d’arte sacra, e culmina in un bar panoramico che svela alla veduta dall’alto il segno della Croce impressa sul sagrato. Se per l’architetto la conclusione di ogni ragionamento è il progetto, sappiamo che il progetto non è mai una conclusione (se non parziale e temporanea): è piuttosto un ‘superamento’ dei problemi, che serve a riconoscerli e ad aprirne di nuovi.
- http://www.dibaio.com/A-Architettura/Uc.Arch.citta-02/arch.citta-02-87.htm
- http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/culture/monumenti-e-siti-archeologici/musei/archivio-storico/allegati/mostra_politic_catania.pdf
- http://www.cormorano.net/catania/arte/urbanist.htm
- http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/soprintendenze/vincoli/Paesaggistici/CARTELLA%20DECRETI%20E%20VERBALI%20VINCOLI%20PROVINCIE%20DELLA%20SICILIA/CATANIA/58%20-Rieperimetrazione%20del%20vincolo.pdf
- http://www.argo.catania.it/wp-content/uploads/2009/08/corsomartiri_storiacontenzioso.pdf
Note
- ^ Si veda, a tal proposito, una domanda di autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti dell'onorevole Francesco Pezzino richiesta da Magrì.