Cecilio Stazio

commediografo romano
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Cecilio Stazio (230 a.C. - 168 a.C.) era un commediografo latino. Delle sue opere, tutte commedie palliate, ci restano 42 titoli e vari frammenti per circa 300 versi.

Introduzione generale

Era un liberto di origine straniera, pare provenisse da Milano, ed era quindi un Gallo Insubre. Forse fu portato a Roma dopo la battaglia di Clastidium, nel 222. Come Terenzio, suo contemporaneo, fu molto legato all'attore e impresario Ambivio Turpione. Tra i titoli si possono citare per esempio: "Ex hautoù hestòs" (Quello che sta in piedi da sé); "Gamos" (Le nozze); "Epìcleros" (L'ereditiera); "Synaristòsae" (Le donne a colazione); Synèphebi (I compagni di gioventù); "Epistula" (La lettera); "Pugil" (Il pugile); "Obolostàtes/Faenerator" (Lo strozzino). La commedia di gran lunga meglio conosciuta è il "Plocium" (La collana). La sua opera fu letta e apprezzata per tutta l'età repubblicana e in età imperiale almeno fino al II secolo.

Cecilio nella tradizione culturale latina

Cecilio fu un autore molto apprezzato e amato e ciò si riflette nel grande numero di sue citazioni da parte di svariati autori, che consistono in informazioni biografiche (nel Chronicon di Girolamo, risalenti al De Poetis di Varrone), nonchè in giudizi e commenti sulla sua figura e la sua opera, sul loro valore intrinseco e sui rapporti dell'autore con i suoi modelli greci e con i drammaturghi contemporanei (Cicerone, De optimo genere oratorum, 1,2; Orazio, Epistulae, 2,1,59; Velleio Patercolo, 1,17,1; Quintiliano, 10,1,99; Gellio, 2,23 e 15,24). Intorno al 100 a.C. Volcacio Sedigito, un erudito e poeta pre-neoterico, in un suo carme strutturato come una sorta di "top ten", un canone dei migliori poeti comici latini, mette Cecilio al primo posto, davanti a Plauto. Dello stesso tenore più o meno tutte le valutazioni successive, che lo pongono sempre in primo piano; Orazio lo elogia per la serietà dei sentimenti, Varrone approva i suoi intrecci. Solo sulla purezza del suo latino si riscontra in Cicerone qualche riserva. Ciò che emerge da tutto questo è in sostanza il fatto che il naufragio pressoché totale della sua opera non dipende da discredito o evidente inferiorità rispetto ad altri autori, ma solo da un doloroso caso.

Caratteri stilistici e dei contenuti

La figura di Cecilio si pone in un certo senso in una posizione intermedia tra Plauto e Terenzio. Alcuni indizi orientano in questa direzione: molti frammenti a noi noti si inscrivono benissimo nell'atmosfera del teatro plautino; c'è anche qui infatti una grande ricchezza di metri, vivace fantasia comica, gusto per la farsa. A differenza di Plauto però Cecilio sembra essere più fedele ai modelli greci della Commedia Nuova ateniese, e in particolare si mostra un grande amante di Menandro, a opere del quale fanno riferimento quasi la metà dei titoli di Cecilio che conosciamo; in generale i suoi titoli sono riproduzioni, sovente molto fedeli di titoli di commedie greche. L'interesse per Menandro e la maggiore fedeltà al modello greco di volta in volta adottato sono caratteri che avvicinano Cecilio a Terenzio e sono un chiaro sintomo della progressiva ellenizzazione sempre più dotta della cultura romana in questo periodo. Dal punto di vista contenutistico è rimarchevole la presenza di una consapevole indagine sulla condizione umana, che si esplica in numerose sentenze (vedi ad esempio nel brano riportato in questo articolo, la sentenza di apertura). Nelle Nottes Atticae di Gellio si trova il più interessante frammento di Cecilio rimasto, il "lamento del marito" e il suo valore è fondamentale perchè Gellio ci propone un confronto fra questo brano, tratto dal Plocium, e il suo modello greco, dal Plokion di Menandro. Non sono molti i casi come questo (possiamo citare il Dis exapatòn sempre di Menandro, confrontabile in alcuni passi con le Bacchides di Plauto), in cui possiamo avere sott'occhio un confronto diretto, una testimonianza diretta della pratica del "vertere", o "contaminatio". Si trattava di prendere spunto dai modelli greci, più o meno fedelmente a seconda del periodo e dell'autore, anche prendendo interi brani e traducendoli e riassemblandoli in nuovi modi, per creare nuove situazioni drammaturgiche originali. In effetti i due brani analizzati da Gellio mostrano che Cecilio ha qui riadattato Menandro con una notevole libertà, indizio che, come Plauto, non aveva interesse a riproporre passivamente le situazioni già note nei modelli e ottimamente rese da questi, ma trarre spunto per creare opere autonome all'insegna di una poetica personale e originale.

Dal Plocium

Il "lamento del marito"

  • Is demum miser est, qui aerumnam suam nequit occulta re ferre:
  • ita me<d> uxor forma et factis
  • facit, si taceam, tamen indicium.
  • Quae, nisi dotem, omnia quae nolis
  • habet: qui sapiet, de me discet,
  • qui, quasi ad hostis captus, liber
  • servio, salva urbe atque arce.
  • Quae, mihi quidquid placet, eo privat vi: <volt> vix me servatum.
  • Dum ego eius mortem inhio, egomet vivo mortuus inter vivos.
  • Ea me clam se cum mea ancilla ait consuetum, id me arguit;
  • ita plorando, orando, instando atque obiurgando me obtudit,
  • eam uti venderem. Nunc credo inter suas
  • aequalis et cognatas sermonem serit:
  • "Quis vestrarum fuit integra aetatula,
  • quae hoc idem a viro
  • impetrarit suo, quod ego anus modo
  • effeci, paelice ut meum privarem virum?".
  • Haec erunt concilio hodie: differor sermone miser.

(canticum polimetrico) (vv. 143-157 Ribbeck)

  • Poveraccio davvero chi la propria sciagura non può sopportare in segreto:
  • così ci pensa mia moglie, con la sua figura e le sue azioni,
  • anche se io taccio, a farmi la spia.
  • All'infuori della dote, tutto quello che non vorresti
  • lei ce l'ha. Impari da me chi ha cervello:
  • come prigioniero in mano del nemico, da libero
  • io sono schiavo, salva la città e la rocca.
  • Tutto quel che mi piace, lei me ne priva con la violenza: sì e no mi lascia sano.
  • Attendo golosamente la sua morte, e intanto sto tra i vivi come un morto.
  • Dice che me la faccio con la serva, di nascosto da lei: di questo mi accusa.
  • A furia di implorare pregare seccare e rampognare mi ha tanto martellato
  • che l'ho venduta. Adesso, credo, in mezzo
  • a comari e congiunte tiene banco;
  • "Chi di voi donne, negli anni verdi ,
  • è stata capace di ottenere da suo marito
  • quel che io, da vecchia, poco fa
  • sono riuscita a fare, di togliere l'amante a mio marito?".
  • Questo sarà il comizio oggi; mi si strazia di chiacchiere, ahimè!

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