Utente:Piffi84/Sandbox
Cipolla di Cannara
La coltivazione della cipolla a Cannara ha origini molto antiche e si è sviluppata per la particolare conformazione del suo terreno molto argilloso, abbondante d’acqua con una discreta presenza di potassio (il cui apporto è fondamentale durante la fase di ingrossamento del bulbo) e la scarsa presenza di sostanze organiche che permette di ottenere un prodotto altamente conservabile (serbevole). [1]
I produttori, detti localmente “cipollari”, sono per lo più a conduzione familiare e tramandano le tecniche di coltura oralmente di padre in figlio, in alcuni casi da oltre 4 generazioni. Nel 2003, sotto il patrocinio del comune, è stato istituito il «Consorzio Cipolla di Cannara», che raggruppa la maggior parte dei coltivatori e produttori di cipolla locali. La funzione principale del sodalizio, oltre alla valorizzazione e salvaguardia del bulbo, è quella di organizzare e assistere gli associati lungo tutta la filiera, dalla produzione alla raccolta, dalla conservazione alla commercializzazione per garantirne la qualità e la genuinità finale.
La cipolla di Cannara è riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale (P.A.T.) dal Ministero delle politiche Agricole, Alimentari e Forestali italiano. [2]
Inoltre la cipolla di Cannara è stata riconosciuta dall'Associazione Slow Food come Presidio fino al 2007 e come Arca del gusto fino al 2008.
Cenni storici [3]
Nello statuto comunale cannarese del XVI secolo leggiamo " (...) l’orto si intende quello in cui si coltivano ortaggi di ogni genere esclusi agli, cipolle [e] anice". [4] Queste brevi righe ci suggeriscono che già nel Cinquecento le cipolle avevano assunto a Cannara uno status del tutto particolare rispetto agli altri ortaggi dal momento che, essendo escluse dalla produzione ortiva, erano probabilmente coltivate su specifiche e più grandi porzioni di suolo.
I primi riferimenti storici certi sulla coltivazione delle cipolle a Cannara si trovano in “Notizie di cinque comuni dell’Umbria raccolte ed offerte da Giuseppe Bianconi” del 1863 dove si legge che l’agricoltura locale produceva vino, canapa, grano e cipolle, sovrabbondante rispetto al consumo della popolazione. [5] Nella “Statistica medico-sociale di Cannara” di Enrico Galletti, del 1879, la coltura della cipolla a Cannara viene definita “quasi eccezionale, in confronto ad altri comuni circonvicini”. [6]
Qualche anno più tardi, nel 1882, Giulio Baldaccini ne parlerà come di una “coltivazione speciale”, poiché si richiede l’uso della vanga, un’attenta concimazione , il trapianto dal semenzaio alla dimora e terreni adatti all’irrigazione [7] E’ evidente quindi come la coltivazione delle cipolle non abbia mai smesso di improntare la campagna cannarese, diventando non solo un fattore di identificazione culturale ma anche una vantaggiosa attività per gli addetti al settore. Così il Mancini nel suo “l’Umbria economica ed industriale” del 1910 rileva che “Nei territori del Comune di Cannara si fa una coltivazione molto profittevole di cipolle per esportazione, come pure nel territorio limitrofo di Assisi si pratica tale coltura, utilizzando opportunamente le acque sorgenti dai terreni superiori (…)”. [8]
Nel 1929 l’Istituto centrale di statistica del regno d’Italia calcola che le coltivazioni umbre di cipolla -ma in questi dati sono compresi anche gli agli- occupano una superficie totale di 30,9 ettari e che la produzione media nella provincia di Perugia è pari a 291,8 quintali per ettaro. Da sole le produzioni cannarese coprono il 32,4% delle superfici che nell’intera regione vengono destinate alle cipolle, e danno luogo ad una produzione media per ettaro di 307 quintali di gran lunga superiore alla media provinciale. [9]
Nel 1986 si raggiunge l’apice con il 67,9% delle cipolle umbre prodotte a Cannara. [10]
In passato si hanno notizie anche di come la cipolla di Cannara serviva nel territorio limitrofo a tingere le stoffe con tonalità giallo/arancio sfruttando la tunica più esterna del bulbo bollita in acqua e abbinata al sale o al bicarbonato di sodio come fissante. [11]
Semina
Si effettua a febbraio in luna calante, dopo aver concimato e preparato il terreno la cui aratura è stata effettuata in agosto. Tipicamente la semina della cipolla è effettuata su terreni che hanno ospitato l’anno prima coltivazioni di graminacee come cereali e frumento. Il seme viene distribuito a file con delle seminatrici di precisione che permettono di distanziare il piccolissimo semente della cipolla (meno di 1 mm di diametro se non confettato). Un chilo di seme copre circa 1000 metri quadrati di superficie. Quando le pianticelle raggiungono un’altezza di 5-10 cm, si procede alla sarchiatura e all’estirpazione delle erbe infestanti; il lavoro avviene a mano con una piccola zappa, e va ripetuto almeno tre volte. Al presentarsi della bella stagione, in mancanza di piogge, occorre procedere a irrigazioni sempre più frequenti e con l’avvicendarsi dell’estate anche tutti i giorni, preferibilmente la sera. Secondo una tradizione contadina locale è possibile constatare la buona irrigazione del campo piantando il dito indice della mano nel terreno, se questo viene estratto sporco di terra bagnata significa che la quantità d’acqua penetrata è sufficiente. La lunghezza del dito è infatti pari circa alla profondità alla quale si trovano le radici del bulbo quando non è giunto a piena maturazione. Prima dell’avvento delle seminatrici la seminagione avveniva a spaglio in un ristretto lotto di terra chiamato semenzaio in modo da agevolarne l’irrigazione che avveniva manualmente con il cosiddetto “palone” ovvero una sorta di ampio badile dai bordi rialzati con il quale si prelevava l’acqua dai fossi e si distribuiva a mano sulle piante. Quando la pianta raggiungeva un’altezza di circa 20-25 cm si procedeva al trapianto su un appezzamento di terra più ampio dove si completava la coltivazione. La distanza delle piantine è infatti fondamentale per determinare la grandezza finale del bulbo.
Raccolto
Si dà inizio al raccolto le ultime due settimane di luglio e si prosegue fino ad agosto inoltrato. La fase di raccolta è ancora oggi svolta prevalentemente a mano per garantire il massimo rispetto del bulbo e per non compromettere il distacco del fusto dal tubero. Direttamente sul campo si formano tanti mazzi da 6-7kg l’uno (circa 60-70 cipolle), li si lega con spago o giunco, quindi si posano sulle stoppie o su terreno asciutto, evitando l’esposizione del bulbo ai raggi diretti del sole: basterà aver cura di sistemare i mazzi in modo che il sole colpisca le sole foglie. Questa fase, che tipicamente dura quindici-venti giorni, è importante per completare la maturazione del bulbo e per eliminare l’acqua dallo stelo che altrimenti continua a nutrire la pianta che tende naturalmente a germogliare.
Stoccaggio
Una volta essiccate le foglie, i mazzi vengono rilegati e appesi a cavallo di lunghe verghe di legno disposte su livelli sovrapposti, tipicamente in luoghi bui, asciutti e ventilati. Secondo tradizione erano impiegate allo scopo soffitte e sottotetti. Anche un buon stoccaggio tende a rallenta la naturale germogliazione del bulbo e preserva le qualità organolettiche del tubero.
Preparazione
L’imballaggio in sacchetti o cassette di plastica rappresenta il metodo di vendita e di distribuzione più semplice e quello maggiormente impiegato anche dalla grande distribuzione. In questo caso le cipolle sono private delle radici, dello stelo e ripulite asportando i veli più esterni della tunica. Un metodo più complesso e per certi versi più elegante, nato dall’esigenza di prolungare la conservazione nell’ambito domestico, è l’assembramento in trecce. Sfruttando il fusto essiccato del bulbo le cipolle vengono intrecciate in caratteristici e variegati grappoli giocando anche sulle varie tonalità di colore della tunica più esterna. Per formare i tre filoni della treccia oltre al fusto essiccato viene impiegata anche la “scarza” o “scorzone” termini che si riferiscono a due specie di piante acquatiche spontanee presente nei fossi o fiumiciattoli locali, ovvero lo Sparganium erectum limneum, meglio noto come “coltellaccio” per la forma acuminata delle sue foglie e la Thypha latifolia, chiamata anche “mazzasorda” o “spiga marrone”. Viene raccolta dai “cipollari” nel mesi di aprile-maggio e messa ad essiccare al sole. Prima dell’impiego durante la fase dell’intrecciatura è necessario bagnarla in modo da renderla più malleabile e meglio prestarsi all’operazione. La scarza bagnata permette anche al “cipollato” di mantenere il prodotto fresco fino alla vendita.
Varietà [14]
In realtà, la denominazione di questo prodotto non deriva da quella di una varietà locale di cipolla, che probabilmente non è mai esistita, ma dalla localizzazione geografica (ambiente, terreno e clima), dalla pratica agronomica e dalle particolari proprietà organolettiche che conferiscono alla cipolla di Cannara una sua tipicità e una sua straordinarietà. Tecnicamente, quindi, sarebbe più corretto parlare di cipolle coltivate a Cannara, perché sono almeno quattro le varietà prevalentemente lavorate:
- Rossa di Toscana o di Firenze (dal bulbo rotondeggiante e di colore rosso ramato)
- Borettana di Rovato (dal bulbo appiattito e di color giallo ambra)
- Dorata di Parma (dal bulbo di forma simile ad una trottola e di color giallo paglierino)
- Rossa di Tropea (dal bulbo allungato e di colore rosso cardinale)
Tuttavia il seme viene ancora oggi autoprodotto da alcuni cipollicoltori, così che, accanto alle cultivars sopra citate, è probabile la presenza di alcune varietà locali, la cui ricognizione risulta difficile a causa dell’assenza di fondi da destinare alla ricerca di tali varietà, minacciate anche da una progressiva erosione genetica.
Festa della cipolla di Cannara
La cipolla di Cannara rappresenta, insieme alla Vernaccia di Cannara, uno dei prodotti tipici locali più importanti tanto che dal 1981 è oggetto di una nota festa paesana che si svolge ogni anno a Cannara le prime due settimane di settembre: La festa della cipolla. Per questo piccolo paese in provincia di Perugia la festa della cipolla significa una delle manifestazioni più importanti dell’anno oltre che l’evento "clou" del Settembre cannarese, che alterna per tutto il mese esposizioni d'arte e fotografiche, momenti di teatro, musica, folclore, alle tradizionali celebrazioni liturgiche in onore del patrono di Cannara San Matteo (21 Settembre). La Festa della cipolla nasce con lo scopo di valorizzare questo importante prodotto locale che viene cucinato in molteplici varietà, ed offerto alla degustazione del pubblico in sei stand gastronomici, allestiti nelle piazze cittadine del centro storico di Cannara Per l’occasione le cipolle, assieme ad altri prodotti tipici, sono anche vendute nelle caratteristiche trecce dai numerosi mercanti ambulanti dislocati per le vie del paese. [15]
Impiego in cucina
Le caratteristiche delle numerose varietà di cipolle coltivate a Cannara sono diverse ma le unisce una innata dolcezza e morbidezza. La piatta è perfetta per essere fatta in forno, mentre le altre sono ideali per ogni tipo di soffritto o cottura in abbinamento ad altri cibi. Le rosse sono ottime crude, in insalata, condite semplicemente con olio di oliva e sale, ma accompagnano bene anche le carni dal gusto forte e un po’ selvatico. Proprio grazie alla straordinaria dolcezza sono ottime con il fegato, con la coratella di agnello e - servita in composta - con il fois gras.
Note
- ^ analisi svolte nel 2006 presso la sezione di Geopedologia della facoltà di Agraria dell' Università degli Studi di Perugia su diversi campioni di terra prelevati nella zona di Cannara
- ^ La prima revisione dell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali è stato approvato con Decreto ministeriale 8 maggio 2001, e pubblicato sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 136 del 14 giugno 2001. La seconda revisione è stata approvata con Decreto ministeriale 14 giugno 2002 e rettificata con i Decreti ministeriali 30 luglio 2002 e 6 settembre 2002. L'elenco così definito comprende, per la Regione dell'Umbria, n. 70 prodotti, raggruppati nelle seguenti 6 categorie: carni (e frattaglie) fresche e loro preparazione; condimenti; formaggi; prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati; paste fresche e prodotti della panetteria, biscotteria, pasticceria e confetteria; preparazioni di pesci, molluschi e crostacei e tecniche particolari di allevamento degli stessi.
- ^ alcune informazioni sono state tratte dalla tesi di laurea "La cipolla di Cannara. Studio di Geografia Agraria" di Sara Mattonelli redatta nell'A.A. 2005-2006 per la facoltà di Lettere e Filosofia dell' Università degli Studi di Perugia
- ^ "(...) ortum esse intelligatur de omnibus oleribus preterquam de aleis, cepis et aneso" dalla trascrizione riportata in «Statuto di Cannara (secolo XVI)», a cura di Maria Grazia Nico Ottavini, Deputazione di Storia patria per l'Umbria - Perugia, Cannara 2001 - Quartus Liber Extraordinariorum, Rubrica XXIX
- ^ «Notizie di cinque comuni dell’Umbria raccolte ed offerte da Giuseppe Bianconi», Perugia: Tipografia di V. Bartelli, 1863, p. 2.
- ^ «Galletti Enrico, 1879. Statistica medico – sociale di Cannara», Perugia: Tipografia di V. Santucci, 1879, p. 11.
- ^ «Condizioni agricole economiche del territorio di Cannara» di Giulio Baldaccini, Foligno 1882, pp. 35-36.
- ^ «Mancini F., 1910. L’Umbria economica ed industriale. » 1910, p. 152.
- ^ Catasto agrario 1929. Compartimento dell’Umbria. Provincia di Perugia, fascicolo 56, Roma 1935, p.10.
- ^ «Cannara nell'Umbria. La Banda Musicale. Centocinquant'anni», a cura di Fabio Bettoni ed Ottaviano Turrioni, Bastia Umbra 1993, p.27.
- ^ «CATANELLI Luigi, Usi e costumi nel Territorio Perugino agli inizi del ‘900», Edizioni dell'Arquata, 1987.
- ^ dal dépliant «XXI Festa della Cipolla. Cannara 5-16 Sett. 2001», a cura del Comune di Cannara, Spello 2001.
- ^ alcune informazioni sono state fornite dalla Azienda Agricola “Turrioni Domenico” da 4 generazioni “cipollari” di Cannara .
- ^ «La biodiversità vegetale in Umbria e la sua conservazione», Edizioni 3A - Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria, Foligno 2005, ISBN 88-88417-01-X
- ^ dal libro «Cannara Collemancio e l'antica Urvinum Hortense», a cura di Paola Mercurelli Salari e Federica Annibali, Fondazione Urvinum Hortense, Spello 1998.