Jeff Buckley

cantautore e chitarrista statunitense (1966-1997)

Jeffrey Scott Buckley, conosciuto in arte come Jeff Buckley ma cresciuto come Scotty Moorhead[2] (Anaheim, 17 novembre 1966Memphis, 29 maggio 1997), è stato un cantautore e chitarrista statunitense. Era figlio di Tim Buckley.

Jeff Buckley
NazionalitàStati Uniti (bandiera) Stati Uniti
GenereRock alternativo
Folk rock
Rock
Periodo di attività musicale1991 – 1997
Strumentovoce
chitarra
EtichettaColumbia Records
Logo ufficiale
Logo ufficiale
Sito ufficiale
«Jeff Buckley era una goccia pura in un oceano di rumore[1]»

Dopo una decade come chitarrista turnista a Los Angeles, Buckley fondò un proprio progetto di cover nei primi anni '90 esibendosi nei locali di Manhattan. Con il passare degli anni, iniziò a lavorare su pezzi propri, ottenendo l'interesse di molte case discografiche.[3] Firmò per la Columbia Records su consiglio del suo manager Herb Cohen,[4] e pubblicò il suo primo album, denominato Grace.

Nei due anni seguenti a questa pubblicazione, Jeff e la sua band viaggiarono in una incessante tourneè, con concerti in USA, Europa, Giappone e Australia. Nel 1996, terminato il tour, Buckley iniziò la registrazione del secondo album in alcuni studio di New York con Tom Verlaine come produttore. Nel 1997 Buckley si trasferì a Memphis, nel Tennessee, per terminare i lavori sul disco, che si sarebbe dovuto intitolare My Sweetheart the Drunk. Jeff Buckley morirà però dopo un bagno serale in un affluente del Mississipi, sorpreso dal passaggio di un'imbarcazione. Il suo corpo fu ritrovato il 4 giugno.[5]

Dopo il suo decesso, usciranno postume diverse edizioni del suo materiale, tra cui il suo secondo album mai finito, rilasciato a titolo Sketches for My Sweetheart the Drunk. Anche il successo nelle classifiche avvenne postumo: il brano di Leonard Cohen "Hallelujah" raggiunse la #1 nella Billboard's Hot Digital Songs nel marzo 2008 e la #2 nel Regno Unito. I lavori di Buckley rimasero famosi nel tempo[6] e appaiono regolarmente nelle classifiche delle riviste di settore.[7][8]

Biografia

I primi anni (1966-1985)

Jeff Buckley nacque il 17 novembre 1966 ad Anaheim, nella contea di Orange, in California, come unico figlio del cantante Tim Buckley, di origini irlandesi,[9] e della violoncellista Mary Guibert, di discendenza e origini panamensi, greche, statunitensi e francesi.[10]

Buckley, a seguito della separazione dei due genitori avvenuta ancor prima della nascita di Jeff (Tim abbandonò la moglie Mary, trasferendosi a New York seguendo le nuove prospettive di lavoro nel mondo musicale della Grande Mela degli anni sessanta), fu cresciuto dalla madre e dal patrigno Ron Moorhead nella California del Sud, vivendo assieme al fratellastro Corey Moorhead.[11][12]

Durante l'infanzia, Jeff e la sua famiglia si trasferirono più volte in diverse città dell'Orange County.[13] In quegli anni, Buckley si faceva chiamare Scott "Scotty" Moorhead.[14] Il suo padre biologico, Tim Buckley, era un cantautore che pubblicò tra gli anni '60 e gli anni '70 alcuni dischi acclamati di musica folk e jazz. Jeff Buckley disse di aver incontrato il padre una sola volta all'età di 8 anni.[15] Dopo che il padre morì di overdose nel 1975,[16] Jeff scelse di usare ufficialmente il nome reale (Jeffrey Scott Buckley) che trovò sul suo certificato di nascita,[17] nonostante i componenti della sua famiglia continuassero a chiamarlo "Scotty".[18]

Buckley crebbe circondato dalla musica. Sua madre era una pianista e violoncellista classica, [19] mentre il patrigno lo introdisse alla musica dei Led Zeppelin, dei Queen, di Jimi Hendrix, dei The Who, e dei Pink Floyd fin dall'infanzia.[20] Il primo disco che comprò fu Physical Graffiti dei Led Zeppelin, [21] mentre il gruppo hard rock Kiss divenne ben presto uno dei suoi progetti musicali preferiti.[22]

Intorno all'età di cinque anni, Jeff iniziò a suonare la chitarra acustica,[23] e all'età di 12 anni decise di diventare un musicista,[21] ricevendo in dono la sua prima chitarra elettrica, una imitazione di color nero di una Gibson Les Paul, all'età di 13 anni.[24] Si diplomò alla Loara High School,[25] suonando nella band jazz della scuola.[26] In quegli anni, si appassionò al progressive rock e a band come i Rush, i Genesis e gli Yes, come a musicisti jazz fusion come il chitarrista Al Di Meola.[27]

Dopo essersi diplomatò al liceo, lasciò la casa natale per andare a vivere da solo a Hollywood, nel tentativo di laurearsi al Guitar Institute of Technology. Il musicista affermerà a Rolling Stone come quell'istituto fosse in realtà:

(inglese)
«the biggest waste of time»
(italiano)
«la più grande perdita di tempo»

seppur trovò il modo di dichiarare poi a Double Take Magazine come in realtà apprezzasse studiare li la teoria musicale, dicendo:

(inglese)
«I was attracted to really interesting harmonies, stuff that I would hear in Ravel, Ellington, Bartók»
(italiano)
«Ero attratto da molte interessanti armonie, che potevo sentire eseguite da Ravel, Ellington, Bartók»

Conseguirà il diploma nel 1985 all'età di 19 anni.[29]

Gli esordi (1986-1993)

Jeff trascorse sei anni lavorando in un hotel e suonando la chitarra in varie realtà musicali locali, cimentandosi in generi quali il jazz, il reggae e alternando il rock all'heavy metal.[30] Inoltre fece un tour con il musicista reggae Shinehead[31] e partecipò nel ruolo di voce di accompagnamento in alcune sessioni funk e R&B, collaborando con il produttore Michael J. Clouse.[32]

Nel febbraio 1990 si trasferì a New York,[33] trovando però poche occasioni di esibirsi. In questa città fu però introdotto al Qawwali, la musica devozionale del Pakistan, e all'artista Nusrat Fateh Ali Khan,[34] di cui divenne presto un forte estimatore.[35] In quegli anni, Buckley si interessò anche al musicista blues Robert Johnson e alla band hardcore punk Bad Brains.[20] Nel settembre Jeff si trasferì a Los Angeles quando l'ex manager di suo padre, Herb Cohen, si offrì di aiutarlo nel registrare la sua prima demo di brani originali. Buckley completò così Babylon Dungeon Sessions, una cassetta di quattro canzoni tra cui "Eternal Life", "Unforgiven" (divenuta poi "Last Goodbye"), "Strawberry Street" e "Radio".[36]

Nei primi mesi dell'anno seguente, Buckley tornò a New York per fare il suo debutto pubblico durante un concerto tributo a suo padre denominato "Greetings from Tim Buckley".[37] L'evento, orgnizzaato da Hal Willner, prese luogo alla chiesa di St. Ann di Brooklyn il 26 aprile 1991.[37] Accomapgnato dal chitarrista rock Gary Lucas, Buckley suonò "I Never Asked To Be Your Mountain", un brano che Tim Buckley scrisse dedicato a Jeff e alla madre.[38] Buckley ritornò poi sul palco per "Sefronia – The King's Chain", "Phantasmagoria in Two" e concluse il cocnerto con "Once I Was", suonata acustica e con il finale cantanto a cappella a causa della rottura di una corda della chitarra.[38] La performance al concerto fece si, negli intenti di Jeff, che egli potesse finalmente distanziarsi dai fantasmi del padre, che premevano sulla sua vita e sulla sua carriera. Spiegò a Rolling Stone:

(inglese)
«It wasn't my work, it wasn't my life. But it bothered me that I hadn't been to his funeral, that I'd never been able to tell him anything. I used that show to pay my last respects.»
(italiano)
«Non era il mio lavoro, non era la mia vita. Ma mi infastidiva non esser stato presente al suo funerale, non sarei mai più stato in grado di dirgli qualcosa. Usai quello show per dargli il mio ultimo saluto.»

Il concerto si rivelò poi il primo passo di Jeff verso il mondo della musica.[39]

Nei seguenti viaggi a New York, Buckley iniziò a comporre assieme a Gary Lucas diversi brani, tra cui "Grace" e "Mojo Pin",[40] e sul finire del 1991 iniziò a suoanre nella band di Lucas, i Gods and Monsters.[41] Così Jeff si trasferì definitivamente a New York, vivendo nella Lower East Side.[42] Il giorno dopo il debutto ufficiale dei Gods and Monsters nel marzo 1992, Buckley decise di abbandonare la band.[43]

Buckley iniziò così ad esibirsi solista in diversì locali di Manhattan,[44] ma il Sin-é e l'East Village divennero i suoi principali teatri.[20] Buckley apparve per la prima volta nel piccolo locale irlandese nell'aprile 1992,[45] e da quel giorno continuò ad esibirsi li regolarmente ogni Lunedì.[46] Il suo repertorio comprendeva diversi brani celebri folk, rock, R&B, blues e jazz. Durante questi anni, si interessò a cantanti come Nina Simone, Billie Holiday, Van Morrison e Judy Garland.[47] Suonò cover di artisti come Led Zeppelin, Nusrat Fateh Ali Khan, Bob Dylan, Édith Piaf, Elton John, The Smiths, Bad Brains, Leonard Cohen, Robert Johnson[36][46][47] e Siouxsie Sioux.[48] Nella sua setlist erano incluse le tracce presenti nella Babylon Dungeon Sessions, oltre ai brani scritti con Gary Lucas.[47]

Nei seguenti mesi, Jeff iniziò ad attrarre nel locale sempre più spettatori, arrivando a farsi notare da diversi manager di case discografiche[49] tra cui Clive Davis.[15] Nell'estate del 1992, Jeff fu contattato dalla major Columbia Records,[49] etichetta tra gli altri di Bob Dylan e Bruce Springsteen,[50], con cui firmò nell'ottobre un contratto milionario per la durata di tre album.[51] Tra il luglio e l'agosto 1993 presero luogo le registrazioni del primo EP di Jeff Buckley, composto di quattro pezzi tra cui una cover di "The Way Young Lovers Do".[52] Live at Sin-é fu pubblicato il 23 ottobre 1993 come documento degli esordi musicali di Buckley.[53]

Grace (1993-1994)

A metà 1993, Buckley iniziò a lavorare sul suo disco d'esordio assieme al produttore Andy Wallace, che aveva già lavorato tra gli altri su Nevermind dei Nirvana. Jeff ingaggiò una band, composta dal bassista Mick Grondahl e dal batterista Matt Johnson, con cui trascorse diverse settimana in sala prove.[54][55] Nel settembre, il trio raggiunse i Bearsville Studios di Woodstock per trascorrere sei settimana registrando le tracce base di quello che sarebbe diventato Grace. Buckley invitò l'ex compagno di band Lucas a suonare parti di chitarra nei brani "Grace" e "Mojo Pin", oltre al musicista jazz Karl Berger, il quale scrisse e suonò arrangiamenti per le basi delle canzoni.[56] Buckley ritornò poi a Manhattan per altre sessioni di registrazione, spostandosi poi a New Jersey dove lavorò sulle parti vocali e aggiuse consistenza ad alcune canzoni.[57]

Nel gennaio 1994, Buckley partì per il suo primo tour solista nel Nord America per supportare l'uscita del disco Live at Sin-é.[57] Termianta la tournèe, partì per una nuova in Europa a marzo.[58] Tornato in patria, invitò il chitarrista Michael Tighe ad unirsi alla sua band, e dalla collaborazione tra i due nacque il brano "So Real", poi aggiunto all'album.[59] Nel giugno, Buckley partì per il suo primo tour accompagnato da tutto il gruppo, denominato "Peyote Radio Theatre Tour", che durò fino ad agosto[60] a supporto di artisti tra cui Chrissie Hynde dei The Pretenders,[61] Chris Cornell dei Soundgarden e The Edge degli U2.[62]

Grace fu pubblicato il 23 agosto 1994. Oltre a 7 pezzi inediti, l'album includeva 3 cover: "Lilac Wine", basata sulla versione di Nina Simone,[47] "Corpus Christi Carol" di Benjamin Britten,[63] e "Hallelujah" di Leonard Cohen,[47] quest'ultima definita una delle migliori interpretazioni musciali di Buckley dal Time[64] e inclusa da Rolling Stone's nella lista "The 500 Greatest Songs of All Time".[65]

Le vendite di Grace furono lente e supportate da pochi passaggi radio, nonostante i pareri entusiasti dei critici.[66] Il The Sydney Morning Herald definì il disco un "capolavoro romantico" e un "essenziale lavoro definitivo".[67] Il disco divenne comunque disco d'oro in Francia e Australia,[60] e successivamente oro anche in USA nel 2002,[68] oltre che ancora disco di platino per sei volte in Australia nel 2006.[69]

Grace ottenne apprezzamenti da un gran numero di musicisti celebri, tra cui alcune delle grandi influenze di Jeff, come i Led Zeppelin.[70] Jimmy Page infatti definì Grace:

(inglese)
«my favorite album of the decade»
(italiano)
«il mio disco preferito del decennio»

Anche Robert Plant si espresse in modo analogo.[72] Altri commenti favorevoli giunsero da Bob Dylan, che definì Buckley:

(inglese)
«one of the great songwriters of this decade»
(italiano)
«uno dei più grandi compositori del decennio»

mentre in un'intervista per Village Voice David Bowie disse di Grace come uno dei dieci dischi che avrebbe voluto portare con se su un isola deserta.[73]

L'album sarebbe poi stato incluso nella classifica di Rolling Stone "500 Greatest Albums of All Time" del 2003 alla posizione #303.[74]

Il tour (1994-1996)

Buckley trascorse gran parte dell'anno seguente il tour promozionale per Grace, suonando in molti Paesi, dall'Australia al Regno Unito (al Glastonbury Festival e al Meltdown Festival nel 1995, nel quale cantò il brano di Henry Purcell Dido's Lament su invito di Elvis Costello).[75][76] Dopo il Peyote Radio Theater tour, la band iniziò un tour europeo il 23 agosto 1994, iniziando con performance in Inghilterra e in Irlanda, per poi toccare la Scandinavia e in settembre la Germania. La serie di concerti europea finì il 22 settembre a Parigi, e il tour ebbe termine il 24 settembre con un concerto a New York, dopo il quale la band si prese un mese di sosta e relax.[76]

Il 19 ottobre iniziò un tour in Canada e USA, che toccò sia la east coast che la west coast, oltre agli Stati centrali, ed ebbe termine il 18 dicembre nel New Jersey.[76] Dopo un altro mese di sosta, il gruppo partì per un secondo tour europeo, questa volta solo promozionale, iniziando a Dublino (dove Buckley è tutt'oggi particolarmente popolare [77]), per toccare poi Londra e Parigi.

A gennaio inoltrato, la band partì per il suo primo tour in Giappone, suonando concerti e facendo apparizioni promozionali per l'album e il singolo "Last Goodbye". Il gruppo tornò in Europa il 6 febbraio 1995 prima di tornare in America il 6 marzo. Tra le varie date, Buckley e la sua band si esibirono in un teatro del diciannovesimo secolo francese, il Bataclan, e il materiale di questo show fu registrato e pubblicato in un EP a titolo Live from the Bataclan. Anche tracce di una performance del 25 febbraio a Rotterdam furono registrate e pubblicate nell'EP So Real.

La tournèe ricominciò ad aprile con date in America e Canada, esibendosi al Metro di Chicago, concerto che fu registrato e pubblicato come Live in Chicago in VHS e poi DVD. Inoltre, il 4 giugno suonarono ai Sony Music Studios. Dopo ciò, vi fu un nuovo tour di un emse in Europa tra il 20 giugno e il 18 luglio, durante il quale si esibirono in molti festival. Buckley suonò due concerti al Paris Olympia, un teatro che rese celebre la cantante francese Édith Piaf, una delle influenze di Jeff. Durante il Festival de la Musique Sacrée suonò What Will You Say in duetto con Alim Qasimov, un cantante dell'Azerbaijan. La Sony BMG pubblicò nel 2001 il Live a L'Olympia, con una raccolta di canzoni esibite quella sera tra cui il brano con Qasimov.

Il Mystery White Boy tour australiano, con concerti sia a Sydney che a Melbourne, iniziò il 28 agosto e si concluse il 6 settembre, con esibizioni registrate e poi pubblicate nel disco live Mystery White Boy. La serie di concerti si rivelò un ottimo investimento e di grande successo, con l'album Grace che divenne disco d'oro in Australia, vendendo oltre 35,000 copie. Il management di Buckley decise allora di prolungare gli show con nuove date australiane e altre in Nuova Zelanda nel mese di febbraio.[60]

Tra i due tour in Oceania, Buckley e il gruppo si presero un periodo di pausa. Buckley si esibì solista al Sin-é e all'evento Mercury Lounge di New York.[76] Dopo la pausa, la band trascorse gran parte di febbraio nell'Hard Luck Tour in Australia e Nuova Zelanda, ma le tensioni tra Matt Johnson e la band si stavano facendo sempre più forti, tanto che il 1 marzo 1996 Johnson si esibì in quello che sarebbe stato il suo ultimo concerto prima di lasciare la formazione.[60]

Dopo l'abbandono di Johnson, la band, ora senza batterista, non suonò concerti fino al 12 febbraio 1997.[78] A causa della stanchezza dovuta dal continuo viaggiare, Buckley trascorse gran parte dell'anno lontano dai palcoscenici, anche se tra il 2 maggio e il 5 maggio si esibì come bassista con i Mind Science of the Mind, gruppo dell'amico Nathan Larson.[60] Buckley tornò ad esibirsi live durante il suo "phantom solo tour", una tournèe anonima in vari café del nordest americano nel dicembre 1996, nella quale si esibì con acronimi come The Crackrobats, Possessed by Elves, Father Demo, Smackrobiotic, The Halfspeeds, Crit-Club, Topless America, Martha & the Nicotines e A Puppet Show Named Julio.[76] Come giustificazione, Buckley scrisse un post sul suo sito internet dicendo:

(inglese)
«There was a time in my life not too long ago when I could show up in a cafe and simply do what I do, make music, learn from performing my music, explore what it means to me, i.e., have fun while I irritate and/or entertain an audience who don't know me or what I am about. In this situation I have that precious and irreplaceable luxury of failure, of risk, of surrender. I worked very hard to get this kind of thing together, this work forum. I loved it and then I missed it when it disappeared. All I am doing is reclaiming it.»
(italiano)
«C'è stato un momento della mia vita non troppo tempo fa nel quale potevo semplicemente esibirmi in un cafe e fare ciò che mi piaceva fare, suonare musica, imparare esibendomi, esplorare cosa significasse per me, i.e., divertirmi mentre irritavo e/o divertivo spettatori che non mi conoscevano. In questa situazione avevo la preziosa e insostituibile lussuria del fallimento, del rischio, della resa. Lavoravo duramente per mettere insieme queste cose, questo lavoro. Mi piaceva e mi mancò quando scomparve. Quello che faccio è recuperare ciò.»

Sketches for My Sweetheart the Drunk (1997)

Terminato il tour, iniziarono quindi i lavori per un nuovo album, che avrebbe dovuto chiamarsi My Sweetheart the Drunk.

Il 14 febbraio 1997 Jeff partì con il gruppo verso Memphis per le registrazioni del nuovo disco. Il produttore designato fu Tom Verlaine e le prime sessioni terminarono nel marzo 1997, dopodiché la band tornò a New York, mentre Jeff invece si trattenne a Memphis.

Pochi mesi dopo la casa discografica contattò Jeff perché non contenta del materiale e il musicista richiamò dunque la band, invitandola a tornare a Memphis per rielaborare i brani.

La morte (1997)

 
Il Wolf River, teatro della tragedia, con la città di Memphis di sfondo

La sera del 29 maggio 1997 Jeff, a bordo di un furgone guidato dal suo roadie Keith Foti, si stava dirigendo presso degli studi di registrazione quando, passando lungo le rive del Wolf River,[80] un affluente del Mississippi, chiese all'autista di fermarsi.

Il musicista, che aveva voglia di fare un bagno e già in precedenza aveva nuotato in queste acque,[81] decise di immergersi nel fiume con addosso i vestiti e gli stivali, arrivando fino ai piloni del ponte sull'autostrada e cantando il ritornello di Whole Lotta Love dei Led Zeppelin.[82]

Poco dopo un battello transita nell'area di fiume dove Buckley stava nuotando e la sagoma del ragazzo scompare dalla vista di Keith Foti che, dopo qualche minuto di ricerche, intorno alle 21 chiama la polizia. La volante arriva un quarto d'ora più tardi e, chiamati i rinforzi, comanda il dragaggio del fiume, senza trovare traccia alcuna di Jeff.

Solo il mattino del 4 giugno un passeggero del traghetto American Queen noterà una sagoma di un corpo umano impigliato tra i rami di un albero che galleggia sotto il ponte di Beale Street, la via più importante di Memphis. Il corpo, che si rivelerà quello di Jeff dopo il riconoscimento di Gene Bowen (tour manager di Buckley) grazie a un piercing all'ombelico e alla maglietta indossata, verrà sottoposto ad autopsia, la quale rivelerà che il musicista non era sotto effetto di alcol o droghe, tanto che le cause dell'annegamento verranno imputate prevalentemente alla congestione e all'imperizia del pilota del battello.[83] A confermare questi aspetti, fu rilasciato un comunicato ufficiale dalla madre, che diceva:

(inglese)
«Jeff Buckley's death was not "mysterious," related to drugs, alcohol, or suicide. We have a police report, a medical examiner's report, and an eye witness to prove that it was an accidental drowning, and that Mr. Buckley was in a good frame of mind prior to the accident.»
(italiano)
«La morte di Jeff Buckley non ha nulla di "misterioso", legato a droghe, alcool o suicidio. Abbiamo un rapporto della polizia, un altro medico e un testimone, che ci confermano l'annegamento accidentale e che Buckley era in un ottimo stato mentale prima dell'incidente.»

Il 1º agosto 1997 si celebrò l'ultimo addio a Jeff Buckley nella chiesa di Saint Ann a Brooklyn, nello stesso luogo dove era iniziata la sua carriera durante il Tim Buckley Tribute. La chiesa, gremita di persone, porse omaggio al musicista, e la cerimonia terminò con un discorso di Mary Guibert.

Dopo la morte (1998-oggi)

Nel corso degli anni successivi alla sua scomparsa, il nome di Jeff apparirà in diverse pubblicazioni di album postumi come Mystery White Boy, Live a l'Olympia, Live at Sin-é (Legacy Edition) e Grace Around the World.

Tutt'oggi è considerato una delle voci più emozionanti nel panorama musicale e, come per altre icone musicali segnate da una fine tragica, come Kurt Cobain o Layne Staley, resta un personaggio molto amato, tributato e rimpianto.

Discografia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Discografia di Jeff Buckley.

Album registrati in studio

Videografia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Discografia di Jeff Buckley § Videografia.

Premi e nomination

Equipaggiamento

Buckley utilizzò molte chitarre, ma principalmente fece uso di una Fender Telecaster del 1983 e di una Rickenbacker 360/12.

Lista strumentazione

Chitarre

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Amplificazione

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  • Mesa Boogie Tremoverb 33x34x42 Mesa 4x12 guitar cabinets (2)
  • Fender Custom Vibrolux Reverb

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Effetti

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  • Alesis Quadraverb
  • Boss Hyper Fuzz
  • Boss power supply & master switch
  • pedale Dunlop Tremolo
  • MXR Fuzz Unit
  • MXR Blue Box
  • DOD Buzz Box
  • Morley A/B Switch Box
  • Real Tube Overdrive
  • Marshall Drive Master

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  • Digitech Whammy II with Microphones
  • Hi band Flanger
  • Whirlwind A/B boxes
  • Mesa Rectifier Switches
  • Boss Chromatic Tuners
  • TC Electronic Stereo Chorus
  • Electro-Harmonix Hot Tubes Overdrive Simulator
  • Boss Power supply and master switch
  • Stewart Direct Boxes

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Strumentazione

Buckley fu principalmente cantante e chitarrista. Tuttavia, suonò anche altri strumenti tra cui bassi, dobro, mandolini, armonica, organi, dulcimer, tabla e esraj.[90]

Bibliografia

  • (EN) David Browne, Dream Brother: The Lives and Music of Jeff and Tim Buckley, HarperEntertainment, 2001, ISBN 0-380-80624-X.
  • Price, Chris & Harland, Joe. Live Fast, Die Young: Misadventures in Rock & Roll America. Summersdale. 2010. ISBN 978-1-84953-049-1
  • David Bret Trailblazers: The Tragic Lives of Gram Parsons, Nick Drake & Jeff Buckley, JR Books, Londra, 2009
  • Brooks, Daphne. Jeff Buckley's Grace. Continuum International Publishing Group. 2005. ISBN 0-8264-1635-7
  • Buckley, Jeff. Jeff Buckley Collection. Hal Leonard. 2002. ISBN 0-634-02265-2
  • Cyr, Merri and Buckley, Jeff. Wished for Song: A Portrait of Jeff Buckley Hal Leonard. 2002. ISBN 0-634-03595-9
  • Jeff Apter, Jeff Buckley: una goccia pura in un oceano di rumore, Arcana, maggio 2010, p. 298, ISBN 978-88-6231-125-C.

Note

  1. ^ Jeff Apter
  2. ^ Browne (2001), p. 58
  3. ^ Browne (2001), p. 171-173
  4. ^ Browne (2001), p. 107
  5. ^ a b Jeff Buckley — The Haunted Rock Star, su au.lifestyle.yahoo.com, Marie Claire, 29-10-2001. URL consultato l'8-3-2011.
  6. ^ Browne (2001), p. 337
  7. ^ The Rolling Stone 500 Greatest Albums of All Time, su rollingstone.com, 18-11-2003. URL consultato l'8-3-2011.
  8. ^ Q Magazine - 100 greatest songs of all time October 2006, su rocklistmusic.co.uk, Q Magazine, ottobre 2006. URL consultato l'8-3-2011.
  9. ^ Browne (2001), p. 16
  10. ^ Rebecca Kane, What is Jeff's Ethnic Background?, su jeffbuckley.com. URL consultato il 13 giugno 2008.
  11. ^ Browne (2001), p. 62-63
  12. ^ Rebecca Kane, Jeff's Personal History and Family, su jeffbuckley.com. URL consultato il 26 giugno 2008.
  13. ^ Aidin Vaziri, Jeff Buckley, su jeffbuckley.com, Transcritto dal Raygun Magazine su jeffbuckley.com. URL consultato il 13 giugno 2008.
  14. ^ Browne (2001), p. 58
  15. ^ a b David Browne, The Unmade Star, su jeffbuckley.com, Transcritto da The New York Times su jeffbuckley.com. URL consultato il 13 giugno 2008.
  16. ^ Browne (2001), p. 11
  17. ^ Browne (2001), p. 68
  18. ^ Rebecca Kane, Scott Moorhead = Jeff Buckley, su jeffbuckley.com. URL consultato il 13 giugno 2008.
  19. ^ Daphne A. Brooks, 'Grace', p. 19
  20. ^ a b c Bill Flanagan, The Arrival of Jeff Buckley, su jeffbuckley.com, Transcritto dal Musician Magazine su jeffbuckley.com. URL consultato il 13 giugno 2008.
  21. ^ a b c d Matt Diehl, The Son Also Rises: Fighting the Hype and Weight of His Father's Legend, Jeff Buckley Finds His Own Voice On Grace, su jeffbuckley.com, Trascritto da Rolling Stone su jeffbuckley.com. URL consultato il 13 giugno 2008.
  22. ^ Browne (2001), p. 64
  23. ^ Pierre Perrone, Obituary: Jeff Buckley, su independent.co.uk, The Independent. URL consultato l'8 ottobre 2008.
  24. ^ Browne (2001), p. 67
  25. ^ Loara High School Alumni List, su loarahighschool.net, Loara High School. URL consultato il 13 giugno 2008.
  26. ^ Browne (2001), p. 69
  27. ^ Browne (2001), p. 70
  28. ^ Josh Farrar, Interview, su jeffbuckley.com, Trascritto da DoubleTake Magazine su jeffbuckley.com. URL consultato il 13 giugno 2008.
  29. ^ Browne (2001), p. 95-97
  30. ^ Browne (2001), pp. 99–103
  31. ^ Rebecca Kane, What was his musical history?, su jeffbuckley.com. URL consultato il 13 giugno 2008.
  32. ^ Browne (2001), pp. 98-99
  33. ^ Browne (2001), pp. 104
  34. ^ Browne (2001), pp. 106-107
  35. ^ Paul Young, Talking Music: Confessing to Strangers, su jeffbuckley.com, Trascritto dal Buzz Magazine su jeffbuckley.com. URL consultato il 13 giugno 2008.
  36. ^ a b Browne (2001), pp. 205
  37. ^ a b Browne (2001), pp. 130-134
  38. ^ a b Browne (2001), pp. 136-137
  39. ^ Browne (2001), p. 138
  40. ^ Browne (2001), p. 140-141
  41. ^ Rebecca Kane, Jeff Buckley Tourography: 1991–1993, su jeffbuckley.com.
  42. ^ Browne (2001), p. 142
  43. ^ Browne (2001), p. 146
  44. ^ Jim Testa, Making It In New York: Jeff Buckley, su jeffbuckley.com, Trascritto da New Jersey Beat Magazine su jeffbuckley.com. URL consultato il 13 giugno 2008.
  45. ^ Browne (2001), p. 165
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  48. ^ JeffBuckley-fr.net list of songs covered by Jeff Buckley including "Killing Time" composed by Siouxsie for The Creatures.
  49. ^ a b Browne (2001), p. 170-171
  50. ^ Browne (2001), p. 174
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  52. ^ Browne (2001), p. 199-200
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