Merletto di Burano

Il merletto di Burano è uno dei più rinomati merletti al mondo, di tradizione plurisecolare e specifico dell'isola di Burano, nella laguna di Venezia, ove ha sede un celebre museo del merletto.

Storia

La storia del merletto della piccola isola Burano si perde nella notte dei tempi ed è legata a congetture o leggende. Per alcuni la tipica lavorazione buranese sarebbe connessa alla tradizione marinaresca degli abitanti della piccola isola, legati alla pesca e di conseguenza alla fabbricazione e alla riparazione in loco delle reti.

Una forte spinta al diffondersi di questo tipo di artigianato venne dato dalla dogaressa Morosina Morosini, che alla fine del XIV secolo creò un laboratorio a Venezia, nel quale trovarono impiego 130 merlettaie. Alla sua morte il laboratorio venne chiuso, ma l'arte del merletto continuò ad essere coltivata.

Le prime testimonianze della fioritura del commercio di merletti veneziani risalgono al XVI secolo, accompagnate da un vero e proprio boom editoriale in Europa ed in Italia - specialmente a Venezia - che vide la pubblicazione di centinaia di libri, detti modellari, di disegni per merletti e ricami, ideati dai maggiori incisori e tipografi del tempo.

Col passare degli anni il merletto di Burano acquisì fama internazionale, tanto che per opera di Caterina de Medici e del ministro Colbert alcune merlettaie si trasferirono in Francia: in pochi anni, le merlettaie buranelle divennero oltre 200, insegnando la loro arte alle colleghe francesi: l giorno della sua incoronazione (14 maggio 1643), Luigi XIV indossò un collare di merletto, opera delle merlettaie buranelle, che avevano impiegato due anni per terminarlo.

Nel 1665 il punto in aria - tipico della lavorazione di Burano - divenne point de France, iniziando così una fortissima concorrenza col prodotto di Burano. A questo si aggiunsero dei pesanti dazi all'importazione, che pur causando dei danni commerciali non impedirono al merletto di Burano di prosperare: all'inizio del '700 nel laboratorio veneziano Ranieri e Gabrielli trovavano impiego circa 600 merlettaie. Ma la fine della Repubblica di Venezia (1797) coincise con l'inizio di una lenta crisi: la produzione del merletto divenne un'attività esclusivamente familiare, e il numero di merlettaie iniziò lentamente a decadere, fino a far correre il rischio di esaurire questa tipica produzione plurisecolare.

Nell'inverno del 1872, grazie all'interessamento della contessa Adriana Marcello e dell'onorevole Paolo Fambri, si decise di cercare di rivitalizzare l'antica tradizione del merletto di Burano, con lo scopo principale di cercare di alleviare le tristi condizioni economiche dell'isola. Venne quindi chiesto ad un'ottantenne merlettaia di nome Vincenza Memo - detta Cencia Scarpariola: l'ultima depositaria di tutti i segreti dell'arte - di tramandarli dapprima alla maestra elementare Anna Bellorio d'Este, ed a sua volta alle figlie e ad un gruppo di ragazze.

Fu così che nacque la Scuola del merletto di Burano, che grazie alle commesse della contessa Marcello e di una serie di nobildonne da lei interpellate - fra le quali la principessa di Sassonia, la duchessa di Hamilton, la contessa Bismarck, la principessa Metternich, la regina d'Olanda e la regina Margherita - fecero nuovamente rifiorire il lavoro e il commercio. Nel 1875 la Scuola del merletto contava già oltre 100 allieve.

La contessa morì nel 1893, lasciando al figlio il compito di continuare la sua opera. La produzione della scuola continuò a crescere fino alla prima guerra mondiale e si mantenne alta fino agli anni '30 del XX secolo, per poi decrescere lentamente nei decenni successivi. La scuola del merletto fu chiusa definitivamente nel 1970. La produzione continuò privatamente, grazie anche alla nascita di una serie di negozi locali. L'estrema difficoltà tecnica dei pezzi più pregiati, e la loro lunga o lunghissima gestazione (per creare una grande tovaglia fittamente ricamata serve il lavoro di dieci merlettaie per tre anni), hanno da un lato fatto lievitare enormemete i prezzi, da un lato favorito una ricerca di una tecnica di lavorazione più sbrigativa e veloce, a scapito della qualità.

Il museo del merletto di Burano

Nel 1978 gli enti pubblici veneziani (Comune, Provincia, Camera di Commercio, Ente per il Turismo, Azienda Autonoma di soggiorno) si unirono alla Fondazione Adriana Marcello in un "Consorzio per i merletti di Burano", allo scopo di rilanciare e riqualificare l'arte del merletto. Nella sede dell'antica scuola venne quindi creato nel 1981 il Museo del merletto, presso il quale sono stati organizzati vari corsi di formazione professionale ed importanti mostre storiche.

Allo scioglimento del Consorzio (1995), la Fondazione Adriana Marcello ha concesso il museo in comodato al Comune di Venezia. Il palazzo e le collezioni sono state interessate da un lungo periodo di restauro, riorganizzazione e rivalorizzazione, conclusosi con la nuova inaugurazione del museo il 25 giugno 2011.

Presso il Museo del merletto di Burano sono esposti oltre duecento esemplari unici della collezione della scuola, eseguiti fra il XVI e il XX secolo. Il museo conserva inoltre l'archivio della scuola, oltre a vari documenti relativi alla lavorazione del merletto a Venezia.

Fra gli esempliari esposti, si segnalano soprattutto:

  • Un colletto del terzo quarto del XVII secolo, eseguito ad ago con punto tagliato a fogliame.
  • Due ventagli del secolo XIX in madreperla e avorio, eseguiti ad ago con punto Burano.
  • Un centotavola della fine del secolo XIX, eseguito ad ago con punto rosa
  • Una grande tovaglia della prima metà del XX secolo, eseguita ad ago e tela con punto Venezia e rilievo punto cappa.

Tecnica

Il punto che caratterizzò gli inizi della scuola del merletto di Venezia e di Burano fu il punto in aria, eseguito con l'utilizzo di solo ago e filo, senza alcun supporto. Assieme a questo, nei secoli si utilizzarono varie altre teniche, alcune di esse inventate proprio dalle merlettaie buranelle. Fra di esse, si ricordano il punto Venezia (così chiamato perché ricorda i ponti della città), il punto Burano (rete eseguita con filo sottilissimo, che ricorda le reti dei pescatori dell'isola), il punto ago, il punto rosa, il punto cappa, eccetera. Tipica del merletto di Burano è la lavorazione rigorosamente ad ago: la lavorazione a fuselli divenne invece tipica - nell'ambito della laguna di Venezia - dei merletti di Pellestrina.

Per eseguire un merletto ad ago (non con la tecnica del punto in aria) si appoggia sulla stoffa un disegno e si esegue un'orditura a punto filza doppio, un tempo eseguito a mano ma oggi prevalentemente a macchina: quest'orditura a lavoro terminato viene eliminata. Attaccando il filo da un punto dell'ordito, si prosegue con un punto asola chiamato "sacolà", a sua volta diviso in vari sottopunti, chiamati "sacolà ciara" o "fissa", "formigola", "greco", "redin" eccetera. La "sacolà" forma la trama del tessuto, chiamata "ghipùr" (dal francese "guipure"). In seguito si lavorano i collegamenti che legano gli spazi fra le forme, utilizzando le varie tecniche di lavorazione sopra indicate. Si contorna poi il lavoro col rilievo: un filo più grosso è fissato con minuscoli punti da un filo sottilissimo lungo i contorni del disegno. In certi punti del merletto si possono fare degli smerli.

Alla fine si stacca il lavoro tagliando il filo di ordito tra la carta e la stoffa, pulendo il merletto dai fili di ordito rimasti.

Bibliografia

  • Doretta Davanzo Poli, Venezia - Burano. Il Museo del merletto, Marsilio, Venezia 2011
  • Museo del merletto di Burano, in Musei dell'artigianato: oltre 300 collezioni in Italia, Touring Club Italiano, 2003, pp. 98-99

Voci correlate

Collegamenti esterni

Gaeta

La gaeta (in croato gajeta) è un'imbarcazione tradizionale del mare Adriatico, un tempo comune soprattutto nella Dalmazia centro-meridionale. Nell'isola di Comisa era utilizzata una variante di tale imbarcazione, chiamata gajeta falkuša (gaeta falcata): affondato l'ultimo esemplare nella notte fra il 25 e 26 agosto 1986, dopo dieci anni se ne costruì una riproduzione[1].

Storia

Il nome "gaeta" ha cominciato ad essere usato solo verso la fine del XVII secolo, ma ci sono delle prove per cui si ritiene che questa imbarcazione fosse costruita già agli inizi del secolo precedente. In realtà le origini della Gaeta si perdono nella notte dei tempi ed il suo progetto attuale non è che l'evoluzione ultima di una lunga serie di scafi costruiti dai tempi degli Illiri in poi.

Disegno e tecnica costruttiva

L'uso principale della Gaeta era legato alla pesca, di conseguenza il ponte doveva essere il più largo possibile per maneggiare con facilità le reti. Nel corso dei secoli, quindi, l'opera morta della Gaeta fu modificata in modo da accentuare l'apertura del baglio massimo. Questa differenza fra l'opera viva - dritta e sottile - e opera morta - allargata e tondeggiante - è la caratteristica più significativa della Gaeta, che la differenzia dalle altre imbarcazioni tradizionali adriatiche. La sua lunghezza è compresa fra i 5 e i 9 metri, con capacità di carico di circa 5 tonnellate. La larghezza dello scafo è di circa 3 metri. In Dalmazia viene costruito anche un esemplare di dimensioni ridotte - fra i 4 e i 5 metri di lunghezza - chiamato "Gaietizza" (gajetica), e cioè "piccola Gaeta".

Lo scafo a prua dell'albero è chiuso e al centro ha una solida bitta per l'ormeggio fissata alla chiglia, oltre a una piccola falchetta. La parte centrale è invece aperta e serve per l'equipaggio e per il carico. Essendo piuttosto esposta, la Gaeta non è mai stata particolarmente adatta per i lunghi viaggi o per le traversate in alto mare. L'armo comune era con un albero ed una vela latina,raramente con una vela al terzo. In tempi recenti veniva armato anche un fiocco. Secondo la tradizione dalmata l'equipaggiamento era composto da: "una grossa pietra per l'ancoraggio, due remi, un’attrezzatura da pesca semplice,una buona pentola per cucinare il brodetto di pesce, una bottiglia di olio d'oliva, una di vino, un po' di sale e pepe avvolti in piccoli pezzi di giornale e...due matti"[2]

Note