Violino barocco

È detto comunemente "violino barocco" un violino che presenta alcune caratteristiche costruttive specifiche del periodo che va dalle origini, nella seconda metà del XVI secolo, fino approssimativamente ai primi decenni del XIX.
L'opinione secondo cui violini e archetti, prima di acquisire la forma o le specificità costruttive odierne, fossero "primitivi", è del tutto antistorica: in realtà, essi erano perfettamente adatti alla musica per i quali erano stati concepiti[1]. Tali caratteristiche, in realtà, subirono progressive modificazioni nel corso di questo ampio lasso di tempo, per cui sarebbe più appropriato parlare di strumenti originali, o storici; infatti, si possono notare grossolanamente tre periodi distinti: il violino "rinascimentale" tra il 1540 ed il 1660, il "barocco" propriamente detto tra il 1660 ed il 1760, il "classico" o "di transizione" tra il 1760 ed il 1820[2]. Le date sono del tutto indicative: ciascuna tipologia ha convissuto con la succesiva per un certo tempo, conseguentemente a particolari situazioni musicali, geografiche, economico-sociali.


Montatura

Per montatura si intende un complesso sistema di elementi che vengono aggiunti alla struttura portante dello strumento. Tra questi ci sono i piroli, il manico con i suoi accessori (tastiera, capotasto, ecc.), il ponticello, la cordiera, le corde; inoltre, all'interno della cassa, ci sono l'anima e la catena.

 
Dettaglio del manico e tastiera con annesso cuneo
 
Violino moderno: si noti la tastiera senza cuneo, l'inclinazione del manico e la diversa attaccatura alla cassa

Tale complesso sistema di rapporti venne gradualmente modificato nel corso dei secoli. Le modifiche hanno riguardato:

  • angolo, peso, lunghezza e spessore del manico;
  • angolo, peso e lunghezza della tastiera;
  • curvatura della tastiera in senso longitudinale;
  • forma, altezza e spessore del ponticello, nonché punto di posizionamento sullo strumento;
  • lunghezza e spessore della catena;
  • lunghezza, spessore e posizione dell'anima;
  • materiale e tecnologia di costruzione delle corde;
  • dimensioni degli strumenti in relazione al diapason utilizzato.[3]

Il manico dello strumento barocco è normalmente più corto e spesso di quello attuale. La sua parte superiore prosegue idealmente la linea del bordo della tavola. Esso non è incastrato nel blocchetto superiore, come si usa oggi, ma fissato ad esso con chiodi (o talvolta con viti). La tastiera, anch'essa più corta, ha uno spessore di forma triangolare chiamato "cuneo" nella parte che combacia con il manico; il cuneo può formare un corpo unico con la tastiera o essere aggiunto ed ha la funzione di aumentare l'angolo di tensione delle corde, dal momento che il manico non è inclinato, ma pressoché orizzontale sulla linea del coperchio.

 
Modelli di ponticello di A. Stradivari (Cremona, Museo Civico)

Per il ponticello venivano utilizzate forme diverse, spesso ideate dal liutaio stesso, che avevano in comune generalmente una maggiore percentuale di parti "vuote" rispetto ai modelli usati a partire dalla fine del XVIII secolo ed a quelli attuali; il ponte era anche leggermente più basso di oggi. Tra le parti interne alla cassa, la catena era più corta e sottile, dovendo sopportare un minor carico di lavoro da parte delle corde, ed anche l'anima era più sottile. Contrariamente a quanto pensano molti, il suono degli strumenti dotati questa montatura non era più dolce, ma piuttosto più chiaro e trasparente, ricco di armonici e risonanze, meno forte ma generalmente piuttosto brillante.
Questa sintesi, del tutto semplificata, è utile per capire in forma approssimativa le caratteristiche degli strumenti in relazione alla montatura attuale[4]. Di fatto, è estremamente difficile trovare strumenti nello stato d'origine; come si è detto, il processo di modifica degli strumenti preesistenti per adattarli gradualmente alle mutate esigenze musicali fu pressoché ininterrotto dal XVII alla metà del XIX secolo e sono rarissime le parti ricavate dagli strumenti restaurati di cui si possano documentare temporalmente le trasformazioni[5]. Ad esempio, molti ritengono tuttora che l'unico esemplare di Antonio Stradivari conservato nelle condizioni d'origine sia la viola tenore medicea costruita per Cosimo III de' Medici nel 1690, ma in realtà lo strumento, sebbene ancora in condizioni "barocche", è stato estesamente restaurato[5]. I pochissimi strumenti rimasti nelle condizioni d'origine sono probabilmente esemplari malriusciti, non utilizzati dai musicisti[4] Anche le scarse testimonianze scritte d'epoca sulla montatura, come il manoscritto di James Talbot [6] o il metodo per violino attribuito a Sébastien de Brossard[7], sono laconiche o confuse[4].

Arco

 
Dettaglio della "Santa Cecilia" (1606) di Guido Reni

Fino al primo quarto del XVII secolo, l'arco comunemente usato era simile a quelli degli strumenti etnici europei: breve, con la curva verso l'esterno (da cui il nome), dotato di un nasetto fisso e con le crine non inserite in una "punta", ma attaccate direttamente al termine della bacchetta, come rappresentato nella "Santa Cecilia" del 1606 di Guido Reni, a volte fermate in una capsula d'avorio per avere più peso verso la parte terminale dell'arco, come nel noto dipinto La coppia felice (1630) della pittrice fiamminga Judith Leyster.
Tuttavia, progressivamente un arco dotato di punta e accuratamente bilanciato, adatto alle esigenze dei musicisti, viene a prenderne il posto[8].

Nel periodo del violino barocco, due tipologie di arco si sono succedute:

  • l'arco "barocco" propriamente detto
  • l'arco "transizionale" o "classico".

Arco barocco

 
Litografia da un dipinto di Gerrit Dou (1667)

Nel XVII secolo, il modello più comune è quello rappresentato nel ritratto di violinista di Gerrit Dou, riprodotto in questa pagina[9]. Si tratta di un arco molto corto e leggero, con punta bassa, "a muso di luccio", adatto ad eseguire arcate brevi ed incisive. La bacchetta a riposo è quasi diritta, mentre quando è in tensione si curva verso l'esterno. Il tallone o nasetto è del tipo detto "a scatto" o "ad alzo fisso": il crine è alloggiato nella bacchetta ed il tallone viene incastrato in un apposita sede intagliata nel legno della bacchetta ed è tenuto in posizione dalla tensione dei crini[10]. Ovviamente, non esiste un sistema di regolazione della tensione. La lunghezza ed il peso sono variabili; i pochi esemplari rimasti vanno dai 58,4 ai 64 cm, dai 36 ai 44 g[8][11], ma si possono ipotizzare differenziazioni a seconda del periodo e della nazione, in relazione alle usanze musicali. Scrive ad esempio il letterato francese François Raguenet, in un pamphlet ove racconta le cose notevoli di un viaggio a Roma, effettuato nel 1698, durante il quale ha ascoltato l'orchestra di Arcangelo Corelli:

(francese)
«Les violons sont montés de cordes plus que les nostres, ils ont des archets beaucoup plus longs et ils savent tirer de leurs violons une fois plus de son que nous.[12]»
(italiano)
«I violini sono montati con corde più (grosse) dei nostri, (i violinisti) hanno archi molto più lunghi e sanno emettere dai loro violini un suono il doppio più forte di noi.»

Mentre precedentemente gli archi erano costruiti con legno di alberi locali, caratterizzati da un peso specifico piuttosto basso, all'inizio del XVII secolo le rotte commerciali e la colonizzazione portano in Europa legni esotici più pesanti e compatti[8]; i pochi archi seicenteschi giunti fino a noi sono in legno serpente (piratinera guianensis)[13], un materiale straordinariamente denso, forte e bello esteticamente per le evidenti marezzature, che si ritrova in America Latina, Oceania e Asia sud-orientale[14]. Altri legni usati nel corso del XVIII secolo sono i vari tipi di "legno ferro"[15], ad esempio la Swarzia bannia, o l'ebano, anche se la minore forza di questi ultimi in relazione al loro peso li rende più adatti a strumenti più grandi, quali le viole e soprattutto gli strumenti bassi[8].

Approssimativamente tra il 1690 ed il 1735 vi è un periodo di sperimentazione, che riguarda sia la forma che le dimensioni[8]. L'archetto corto, anche se con qualche modifica tendente ad irrobustirlo, è utilizzato ancora almeno fino alla metà del XVIII secolo. Viene adoperato soprattutto in Italia, in particolare da parte di quei violinisti che vantano una diretta discendenza artistica da Arcangelo Corelli, ad esempio Giovanni Battista Somis[16], iniziatore della scuola violinistica piemontese, Pietro Locatelli[17], il più celebrato virtuoso del violino del secolo, e Francesco Geminiani, il cui ritratto (riprodotto più sotto nella sezione dedicata alla postura) sul frontespizio della versione francese del suo metodo per violino (1752) mostra un arco dove le crine si calcola misurino tra i 635 e i 660 mm[18].

 
Francesco M. Veracini, dal frontespizio dell'Opera II (1744)

Accanto a questo, si costruiscono degli archi più lunghi, fino a 71,7 cm. È conservato al Conservatorio di Trieste un arco di Giuseppe Tartini lungo 71,3 cm, dotato di una punta "a muso di luccio" simile a quella dell'arco corto[10].

Utilizza un arco lungo anche un altro dei massimi virtuosi del '700, Francesco Maria Veracini, nel ritratto posto all'inizio delle Sonate Accademiche op. 2 (1744). Qui, però, si vede chiaramente che la punta ha una forma differente. Infatti, l'allungamento della bacchetta pone problemi di forza dell'arco che vengono compensati innanzitutto modificando la punta con una forma "a becco di cigno" che aumenta la distanza della bacchetta dalle crine in quella zona. Questo tipo di punta è una caratteristica pressoché costante negli esemplari di arco lungo giunti fino a noi, ed è confermata anche da molte fonti iconografiche. Talvolta (ma non sistematicamente) viene aggiunta nella parte della bacchetta più vicina alla mano una curva verso l'interno dell'arco ottenuta tramite il riscaldamento del legno. Inoltre, nel tallone, che continua ad essere prevalentemente fisso, ad incastro come nei modelli seicenteschi, viene ampliata la sede delle crine, allo scopo di utilizzarne un numero superiore[8].

Se l'arco corto presentava una sezione rotonda o ovale, nell'arco lungo, invece, per mantenere una buona forza della bacchetta pur diminuendone il peso, talvolta la bacchetta viene lavorata a sezione ottagonale e poi vengono aggiunte delle scanalature ornamentali in ciascuna faccia; la lavorazione può essere limitata alla sola zona del tallone, per circa un terzo della lunghezza dell'arco, oppure estesa a tutta la bacchetta. Solo l'esemplare tartiniano citato sopra presenta una bacchetta di sezione ottagonale[8].

Nonostante l'arco lungo rappresenti una tappa del percorso evolutivo verso l'arco moderno, non dev'essere considerato necessariamente come un miglioramento tecnologico dell'arco corto. Esso è adattissimo all'esecuzione della difficile musica polifonica (come le Sonate e partite per violino solo di Johann Sebastian Bach) che si sviluppa soprattutto nei primi decenni del '700, e per le lunghe note dei movimenti lenti, ma all'epoca viene criticato per la eccessiva uguaglianza dell'arcata, cioè per la difficoltà nell'eseguire espressioni dinamiche all'interno di una stessa arcata (caratteristica che invece viene considerata un pregio nella tecnica moderna degli strumenti ad arco) e per la minore energia della bacchetta, che si traduce in una minore agilità e brillantezza di suono[8].

L'arco lungo viene usato fino alla fine del secolo XVIII, mentre già dal 1770 circa appaiono in misura crescente archi di nuova concezione, detti "transizionali"[19]. A partire dal 1750 circa, viene introdotto il tallone mobile, nel quale la tensione è regolata da una vite. Le crine non sono più alloggiate nella bacchetta, ma all'interno del tallone stesso. A partire da questo periodo, molti archi lunghi e corti vengono dotati di tallone mobile, la bacchetta viene allungata con il bottone della vite e l'alloggiamento delle crine nella bacchetta viene chiuso, spesso per mezzo di uno scudo piatto in avorio[8].

Arco transizionale

Con il termine "classico" (perché legato alla musica del Classicismo) o "transizionale" (in quanto concepito storicamente nella transizione dall'arco barocco a quello moderno) s'intende un tipo di arco che, pur nella varietà di forme tipica del XVIII secolo, presenta alcune caratteristiche che lo differenziano dal passato e preparano la forma elaborata da François Tourte nei primi decenni del XIX secolo.
Si continua nella tendenza dell'arco lungo di allontanare la bacchetta dai crini alla punta, alzando quest'ultima; a questo scopo, vengono utilizzate forme di punta totalmente nuove, raggruppabili in due tipi principali: "a martello" e "ad ascia di guerra"[13][20].

[19]

Corde

Le corde utilizzate nel violino barocco sono in budello animale, ricavato normalmente dall'intestino di agnello; oggi si utilizzano preferibilmente bestie adulte, tuttavia quest'uso era già cominciato (e talvolta deprecato) già nel tardo '500[21]. La tecnologia di produzione è rimasta nei suoi principi fondamentali quasi immutata fino ad oggi, tuttavia si è avuta un'evoluzione nella lavorazione che ha prodotto nel corso dei secoli corde con caratteristiche specifiche che hanno anche influito fortemente sulla scrittura violinistica.

 
Christoph Weigel, Der Saitenmacher (il cordaio), Regensburg, 1698

Un periodo di grande ricerca ed evoluzione comincia nella seconda metà del XVI secolo, proprio mentre fa la sua comparsa il violino. Un esempio di "muta" (il complesso delle 4 corde) per il violino alla fine del XVII secolo ci è descritto dal già citato James Talbot: la I e II corda erano del tipo Romans ("Romane"), la III Venice Catline (Catline di Venezia), la IV finest & smoothest Lyons (finissime e morbidissime di Lione)[22]. Pressoché identica differenziazione si ritrova anche nel documento più esauriente sulla manifattura delle corde prima dell'età di Bach, il Musick's Monument di Thomas Mace[23], che elenca anche le Minikins per gli acuti e le deep dark red colour Pistoys (corde di Pistoia color rosso scuro) per i bassi. Si tratta sempre di corde in "budello nudo", cioè non rivestito con altro materiale (al contrario delle corde di budello fasciato usate nel violino moderno), ma ciascuna tipologia indica una diversa lavorazione della corda[24]. I catline sono corde con una forte torsione che le rende più elastiche. Quanto alla corde di Pistoia, si tratta probabilmente di una tecnologia che ottiene

«l'incremento del peso specifico del budello da utilizzare per fare le corde dei bassi mediante opportuni trattamenti di carica con sali di metalli pesanti pigmentati in rosso cupo o marrone. Nell'iconografia musicale del Seicento non è infatti infrequente osservare che le corde dei bassi si presentano con colorazioni completamente differenti da quella gialla, tipica del budello naturale, in favore del rosso cupo fino al marrone»

Nel violino, questa lavorazione riguarda solamente la IV corda.

 
Corde assortite in budello nudo già usate; quella più scura è una dark red Pistoy. Nell'immagine in alta definizione si può anche apprezzare la torsione delle Venice catline

Le differenti tipologie di corde avevano lo scopo di ottenere non solo una buona resa sonora da ciascuna corda, ma anche la maggior uguaglianza possibile di suono e di "sensazione" tra le varie corde, allo scopo di facilitare il passaggio da una corda all'altra.

Nella II metà del XVII secolo cominciano ad apparire le prime corde basse nelle quali l'incremento del peso specifico viene ottenuto attraverso il rivestimento della corda di budello con un sottile filo metallico d'argento o rame. Le prime testimonianze di questo nuovo prodotto appaiono in un manoscritto del 1659 riferito al liuto[25] e 5 anni dopo in un trattato per viola da gamba di John Playford[26]. Con l'affermarsi delle corde filate, le tecniche di costruzione dei bassi in budello puro vanno perdute; l'operazione di ricopertura era molto semplice, tanto che il musicista poteva comperare la corda già pronta[27] oppure provvedere da sé, in casa, con una semplice macchina[28]. Questa tipologia era usata solo per la IV corda, eccetto nel secolo XVIII in Francia, dove era assai comune utilizzarla anche per la III corda, anche se le spire metalliche dovevano essere molto più distanziate tra loro[29].

La montatura del violino rimarrà invariata per tutto il periodo del violino barocco, e quasi del tutto anche fino al XX secolo. Intorno alla Prima guerra mondiale, la difficoltà a reperire il budello unita alle innovazioni tecnologiche che permettono di affinare la produzione di fili metallici (acciaio e alluminio)[30] aprono la strada a set di corde in cui il cantino poteva essere in acciaio, la seconda in budello nudo o fasciato, e la terza e quarta in budello rivestito di alluminio[31].

Postura

 
Ballo alla corte di Elisabetta I (1580 circa)

La mentoniera fu inventata da Louis Spohr e presentata ai musicisti nel suo "Metodo per violino" nel 1832[32]; la spalliera, addirittura, è invenzione novecentesca. Quindi, in tutto il periodo rinascimentale, barocco e classico, il violino veniva sostenuto senza l'aiuto di questi accessori.

Nel XVII secolo il violino veniva tenuto non sopra la spalla, come oggi, ma più in basso. Alcuni appoggiavano lo strumento al petto, come si vede in un dipinto anonimo che rappresenta un ballo con la regina Elisabetta I d'Inghilterra (1580 circa), altri un po' più in alto, come nel dipinto di Dou riprodotto sopra.

 
Ritratto di Francesco Geminiani (1752), nel quale si nota che il mento è sollevato dal violino

Nel XVIII secolo, gradualmente si afferma una posizione del violino diversa, che dà più sicurezza nell'esecuzione di musica sempre più ardua tecnicamente. Il violino viene portato sulla spalla e posato sopra la clavicola, anche se il mento non è ancora appoggiato allo strumento e staziona sopra la parte a destra della cordiera (per chi suona), come mostra chiaramente il ritratto di Francesco Geminiani. Il primo metodo che consiglia l'appoggio del mento sul violino è The Fiddle New Model'd di Robert Crome (1741)[33], seguito nel corso del secolo soltanto dall'Abbé le Fils[34] (1761), da un'edizione tedesca spuria del Metodo per violino di Geminiani del 1782 e dal torinese Francesco Galeazzi nei suoi Elementi teorico pratici di musica (1a edizione 1791), mentre nel XIX secolo diventa la posizione abituale.

Nel corso del XVII secolo, solo in Italia l'arco veniva tenuto appoggiando tutte le dita sulla bacchetta, il pollice sotto e le altre dita sopra, in maniera analoga alla posizione attuale. Secondo molte testimonianze, il pollice veniva più spesso tenuto al di sotto del tallone e toccava le crine. Scrive ad esempio il compositore Georg Muffat:

«La più parte dei Todeschi convengono con i Lullisti[35]nel modo di tener l'archetto stringendo il crine col pollice, e lasciando gli altri ditti appoggiati adosso. I Francesi lo tengono anche nell'istesso modo per suonar il Violoncino[36], dai quali differiscono gl'Italiani per le parti soprane mentre lasciano il crine intocco»

Anche in Inghilterra troviamo analoghe testimonianze nel corso del '600[37], mentre il musicologo e memorialista settecentesco Roger North sosteneva che fu Matteis ad introdurre in Inghilterra la tenuta con il pollice sulla bacchetta, negli anni '70 del secolo[38]. Ancora nel 1738, Michel Corrette scrive:

«Spiego qui le due maniere di tenere l'arco. Gl'Italiani lo tengono a tre quarti[39] mettendo quattro dita sopra il legno e il pollice sotto, e i Francesi lo tengono dalla parte del tallone, mettendo il primo, secondo e terzo dito[40] sopra il legno, il pollice sotto il crine e il mignolo accostato al legno[41]. Questi due modi di tenere l'arco sono egualmente buoni, dipende dal Maestro che insegna.»

La posizione all'italiana divenne poco a poco dominante e, spostata al tallone[43], fu quella utilizzata nel periodo classico e romantico.

Note

  1. ^ (EN) David D. Boyden, The Violin Bow in the 18th Century, Early Music, Vol. 8, No. 2, Keyboard Issue 2, (Apr., 1980), p. 200
  2. ^ (EN) Judy Tarling, Baroque string playing for ingenious learners, Corda Music, 2001, ISBN 9780952822011, p. 235
  3. ^ Judy Tarling, op. cit., p. 234. La frequenza del la3 era molto variabile a seconda dei periodi e dei luoghi geografici e poteva determinare l'uso di una diversa lunghezza vibrante delle corde. Per approfondire, si veda Bruce Haynes, A History of Performing Pitch: The Story of A, Lanham, Scarecrow Press, 2002, ISBN 0-8108-4185-1
  4. ^ a b c (EN) David D. Boyden, Peter Walls, Characteristics of ‘Baroque’ and ‘Classical’ violins, in Violin, New Grove Dictionary of Music and Musicians, 2a ed., Stanley Sadie, 2001.
  5. ^ a b Ricerche su un violino di proprietà del Comune di Rovereto, a cura di Marco Tiella, Civica Scuola di Liuteria del Comune di Milano, 1987 p. 7
  6. ^ Si tratta di un corposo manoscritto di argomento musicale, conservato presso la Christ Church di Oxford, scritto tra il 1692 ed il 1695 da James Talbot (1664-1708), poeta, latinista, già professore di lingua ebraica alla Cambridge University. Si divide in tre sezioni: teoria (incluse accordature e intavolature degli strumenti); osservazioni generali ed estratti da pubblicazioni di autori classici o più tardi, tra i quali Marin Mersenne, Michael Praetorius, Athanasius Kircher; infine, trattazioni dettagliate della struttura e delle misure di molti strumenti, verificate dallo stesso scrittore presso i musicisti attivi all'epoca a Londra. Per approfondire, si veda Robert Unwin, "An English Writer on Music": James Talbot 1664-1708, The Galpin Society Journal, Vol. 40, Dicembre 1987, p. 53-72
  7. ^ Si veda la voce su Wikipedia in lingua francese: Sébastien de Brossard
  8. ^ a b c d e f g h i (EN) Robert E. Seletsky, New light on the old bow, parte I, in Early Music, Vol. 32, N. 2, Maggio 2004, Oxford University Press, p. 286-301
  9. ^ (EN) David D. Boyden, The Violin Bow... cit., p. 205
  10. ^ a b Antonino Airenti, Paolo Da Col, Federico Lowenberger, (EN) The Tartini Violin Relics, The Galpin Society Journal, NUMBER LXIV, 2011, p.248-261 (in particolare la sezione curata di A. Airenti, The Tartini Violin Bows, p. 254-257).
  11. ^ Lunghezza confermata anche da fonti iconografiche e dal già citato manoscritto di James Talbot (1692-1695) che la fissa in "due piedi" (approssimativamente 61 cm)
  12. ^ (FR) François Raguenet, Paralèle des Italiens et des Français, Parigi, Moreau, 1702, p. 103-104, consultabile a questo indirizzo
  13. ^ a b (EN) Robert E. Seletsky, History of the Bow: c.1625-c.1800, in Bow, Grove Dictionary of Music and Musicians, 2a ed., Stanley Sadie, 2001
  14. ^ The Wood Explorer Database, su thewoodexplorer.com. URL consultato il 25 novembre 2011.
  15. ^ Per avere un'idea delle diverse varietà di legno ferro, si veda questo elenco non esaustivo da Wikipedia in lingua inglese
  16. ^ Articolo anonimo e non titolato, in Giornale delle belle arti e della incisione, antiquaria, musica e poesia, n. 30, 1785, p. 239-240
  17. ^ Citazione di una dichiarazione di Locatelli riportata da Benjamin Tate nel 1741, in (NL) A. Dunning, A Krole, Pietro Antonio Locatelli: Nieuwe bijdragen tot de kennis van zijn leven en werken, Tijdschrift van de Vereniging voor Nederlandse Muziek-geschichtis, XX (1962), p. 57
  18. ^ (EN) David D. Boyden, The history of violin playing from its origins to 1761 and its relationship to the violin and violin music, Oxford University Press, 1990, p. 326
  19. ^ a b Robert E. Seletsky, New light on the old bow, parte II, in Early Music, Agosto 2004, p. 415-426
  20. ^ Negli studi sugli archetti di questo periodo, tutti in lingua inglese, i termini per designare le due forme sono hatchet (accétta) e battle-axe (ascia di guerra). È stato trovato un termine corrispondente italiano solo per la prima (martello), mentre per la seconda non è stato trovato alcuno, per cui si è semplicemente tradotto il termine inglese.
  21. ^ Mimmo Peruffo, Tipologie, tecniche manifatturiere e criteri di scelta delle montature di corda per violino tra il XVIII e XIX secolo in Italia (PDF), su aquilacorde.com. URL consultato il 7 giugno 2011., p. 9
  22. ^ (EN) Robert Donington, James Talbot's Manuscript, II: Bowed strings, in The Galpin Society journal, III 1950, p. 30.
  23. ^ (EN) Thomas Mace, Musick's Monument, Londra, Mace & Carr, 1676
  24. ^ (EN) Mimmo Peruffo, The mystery of gut bass string in the sixteenth and seventeenth centuries: the role of the loaded-weighted gut, in Recercare, Roma, 1993
  25. ^ Samuel Hartlib, Ephemerides, manoscritto, locazione non conosciuta dallo scrivente, 1659. Citato in Peruffo, Tipologie... cit., p. 5
  26. ^ (EN) John Playford, An introduction to the skill of music [...]. The fourth edition much enlarged, Londra, William Godbid for John Playford, 1664
  27. ^ Patrizio Barbieri, Cembalaro, organaro, chitarraro e fabbricatore di corde armoniche nella Polyanthea Technica di Pinaroli (1718-32). Con notizie sui liutai e cembalari operanti a Roma (PDF), in Recercare, I, 1989, p. 174. URL consultato il 23 giugno 2011.
  28. ^ Francesco Galeazzi, Elementi teorico-pratici di musica con un saggio sopra l’arte di suonare il violino, Roma, Pilucchi Cracas, 1791, p. 74
  29. ^ Si veda il già citato (FR) Sebastien de Brossard (attr.), frammento di [Méthode pour le violon], manoscritto, 1712, cit. in (EN) Patrizio Barbieri, Giordano Riccati on the diameters of strings and pipes, The Galpin Society Journal, XXXVIII, 1985, p. 20-34; (FR) Jean-Benjamin de Laborde, Essai sur la musique ancienne et moderne, libro secondo Des instruments, Parigi, Eugène Onfroy, 1780, p. 358-359
  30. ^ Daniela Gaidano, Splendore e decadenza dell'arte cordaia italiana, Tesi di Laurea in Organologia, Conservatorio Statale di Musica "E. F. Dall'Abaco", Verona, 2008, p. 125
  31. ^ Domenico Angeloni, Il Liutaio, Manuale Hoepli, Milano, 1923, p.. 289-290 e 292; Remy Principe, Giulio Pasquali, Il violino, manuale di cultura e didattica violinistica, III ed., Milano, Curci, 1951, p. 35; citati in Gaidano, op. cit., p. 125-126.
  32. ^ Louis Spohr, Gran metodo per violino, Novara, Artaria, 1839-1840, p. 15, a cura di Franco Pavan, Firenze, S.P.E.S., 2008, ISBN 978 88 7242 832 0
  33. ^ Testo scaricabile liberamente su IMSLP.org
  34. ^ (FR) Abbé le Fils, Principes du Violon, Parigi, Gerardin, 1761, p. 1. È anche il primo testo che parla esplicitamente di posare il mento a sinistra della cordiera
  35. ^ Sta per "i Francesi", dal compositore francese più importante dell'epoca, Jean-Baptiste Lully.
  36. ^ Antico termine italiano per indicare l'attuale violoncello o il violoncello tenore (viola da braccio tenore).
  37. ^ (EN) John Playford, An introduction to the Skill of Musick, London, 1674, p. 114; John Lenton, The Gentelman's Diversion, London, 1694, p. 11
  38. ^ (EN) Roger North on music: being a selection from his essays written during the years c. 1695-1728, a cura di John Wilson, Londra, Novello, 1959, p. 309
  39. ^ Intende i 3/4 della lunghezza della bacchetta, cioè non esattamente al tallone ma un po' più verso la punta
  40. ^ Cioè indice, medio e anulare
  41. ^ Si riferisce al legno del tallone. la descrizione è corredata di un disegno nel quale le posizioni di ciascun dito sono marcate con lettere dell'alfabeto
  42. ^ C'è da notare, tuttavia, che il ritratto di Corrette al violino posto all'inizio del libro lo raffigura con la mano a 3/4 della bacchetta ed il pollice appoggiato sotto il legno, all'italiana, ma anche col mignolo al di sotto della bacchetta, alla francese
  43. ^ Ad esempio Leopold Mozart ...
qui sotto meglio inserirlo nella voce violino oppure storia del violino

Principali liutai

Molti strumenti della famiglia del violino, conservati in musei o collezioni private, sono attribuiti a liutai della seconda metà del XVI secolo, quali i bresciani Zanetto da Montichiari, il figlio Peregrino, Gasparo da Salò, il veneziano Ventura Linarol, il cremonese Andrea Amati, il padovano Dorigo Spilmann, o Gasparo Tieffenbrucker, che lavorò a Bologna e Lione. Gran parte di queste attribuzioni sono oggi considerate non attendibili o riferite a strumenti pesantemente trasformati da modifiche che li hanno alterati profondamente[1].

A partire dall'inizio del XVII secolo, sotto la spinta dello sviluppo di una nascente letteratura idiomatica per il violino, la costruzione vede un notevole sviluppo. Due città in particolare assumono la preminenza: Brescia e Cremona. La prima era nota per la costruzione di strumenti ad arco già dall'inizio del XVI secolo; la fama per i violini si deve in particolare a due costruttori: Gasparo da Salò (1540–1609) e Giovanni Paolo Maggini (battezzato nel 1580 e morto probabilmente nel 1630–31). A Cremona, lavora Andrea Amati (prima del 1511-1577), capostipite di una famiglia di liutai che marcò profondamente la costruzione degli strumenti ad arco, in particolare attraverso i suoi figli Antonio Girolamo, che firmavano insieme i loro strumenti, ed il figlio di quest'ultimo, Nicola, considerato il culmine della liuteria seicentesca. Gli strumenti di quest'ultimo erano considerati i più pregiati ancora durante tutto il XVIII secolo[2]. Nonostante il figlio di Nicola, Girolamo (II) abbia continuato l'arte di famiglia, il testimone di Nicola passò ad altri suoi allievi, in particolare Antonio Stradivari (tra 1644 ed il 1649-1737) ed Andrea Guarneri (1623–1698). Anche quest'ultimo fondò un'importante dinastia di liutai, tra i quali si ricorda soprattutto Giuseppe detto “del Gesù” (1698–1744). Altra importante famiglia fu quella iniziata da Carlo Bergonzi (1683-1747) e continuata dal figlio e dal nipote. Ricordiamo ancora Francesco Ruger (Rugeri, Ruggeri) ….

Lorenzo Guadagnini....

Altre città notevoli nella costruzione del violino a partire dalla seconda metà del XVII secolo furono in particolare Venezia, con Domenico Montagnana, Matteo Gofriller, Santo Serafino, Domenico Busan, Roma, con David Tecchler e Michele Platner, Napoli, con Alessandro Gagliano, allievo di Stradivari, e la sua lunga dinastia, Bologna con Giuseppe Tononi ed il figlio Carlo (che però si trasferì a Venezia), Milano con Giovanni Grancino, la famiglia Testore, Carlo Landolfi, i Mantegazza, Mantova con Tommaso Balestrieri e Camillo Camilli.

Guadagnini: cremona/torino?

Jacobus Stainer

Germania

Francia

Letteratura violinistica

Dalle origini al 1700

All'inizio della sua storia, durante la II metà del XVI secolo, il violino era utilizzato non come strumento indipendente, ma come componente della famiglia delle viole da braccio, nella quale ricopriva il posto della voce di soprano, analogamente a quanto accadeva con altri tipi di strumenti: flauti dolci, viole da gamba, bombarde, tromboni, cornetti, cromorni. Perciò, le prime composizioni destinate al violino appartengono a quell'ampio repertorio strumentale polifonico del '500 che veniva eseguito indistintamente da un qualsiasi tipo di famiglia di strumenti: fantasie, suites di danze, trascrizioni di brani vocali. Una delle primissime forme che si stacca dalla pratica polifonica e delinea il violino in funzione solistica è la pratica dell'improvvisazione (diminuzione) su madrigali o altri brani vocali, che fiorisce soprattutto in Italia a partire dalla seconda metà del secolo XVI, ad opera dei primi virtuosi di tutti i vari tipi di strumenti: cornettisti, flautisti diritti e traversi, violinisti, violisti da gamba, tastieristi, liutisti, arpisti.

Italia

Se la costruzione di archi da braccio all'inizio del XVII secolo era una prerogativa quasi esclusivamente italiana, altrettanto lo è lo sviluppo di un repertorio solistico idiomatico per il violino[3]. Infatti, le prime musiche solistiche espressamente dedicate al violino vedono la luce nei primi anni del '600 in Italia del Nord (principalmente Venezia, Milano, Cremona, Brescia, Mantova) e sono prodotte da una nutrita schiera di compositori che mettono la pratica strumentale al servizio delle istanze espressive di Claudio Monteverdi e degli altri compositori di musica vocale della cosiddetta "seconda prattica". Tra i più importanti, ricordiamo Giovanni Paolo Cima, Dario Castello, Biagio Marini, Salomone Rossi, Giovanni Battista Fontana.
Le loro opere erano stampate principalmente a Venezia, che dominava il panorama editoriale italiano fino agli anni '60, ed in misura minore a Bologna o in altre città.
Le forme più usate sono la canzone, la sonata e la sinfonia, oltre naturalmente alle forme di danza.
Ancora la maggior parte delle musiche non hanno una destinazione strumentale precisa; la dicitura tipica che troviamo in varie raccolte è «per ogni sorta d'istromenti» e si riferisce alla correlazione diretta che c'era tra strumenti di famiglie diverse con la medesima tessitura. Tuttavia, all'inizio del secolo comincia a delinearsi dapprima una scrittura che per l'impegno virtuosistico e l'ampiezza della tessitura tende a rivolgersi in maniera privilegiata al binomio violino/cornetto (soprani delle viole da b. e dei cornetti) ed in un secondo momento si sviluppa una vera scrittura idiomatica per il violino, che si esprime soprattutto nella forma della sonata a solo.
Le composizioni si sviluppano soprattutto in due direzioni: da un lato, la famiglia completa (normalmente a 4 voci); dall'altro, lo sviluppo solistico, nella sonata a 2 violini, (dove uno dei violini può essere sostituito da uno strumento di un'altra famiglia, in particolare dal cornetto) e dalla parte del basso continuo, eseguito da uno o più strumenti polifonici (organo, clavicembalo, arpa, liuto), al quale si può talvolta trovare aggiunta una parte di "basso obbligato", eseguibile con uno strumento ad arco (violoncello, viola da gamba) o anche a fiato (fagotto, trombone) o nella sonata a solo. Entrambe le tendenze discendono direttamente dalle forma della musica vocale: la prima dalla canzone francese e dal madrigale, la seconda dalle nuove forma solistiche quali l'aria, il recitativo, il mottetto a 1-3 voci.
Generalmente, la canzone strumentale consiste in un brano piuttosto breve, di carattere contrappuntistico, introdotto dal caratteristico ritmo dattilico, in una sola sezione. Normalmente è a 4 voci, come l'originale vocale, ma si trovano canzoni per organici di tutte le dimensioni (soprano solo, basso solo, e via salendo: famiglie miste, policorali, ecc.). Di origine profana, viene però introdotta nella liturgia sacra in un suo spazio specifico.

La sonata ha origine più tarda, carattere più specificamente solistico (quindi a 1-3 voci), meno sviluppata contrappuntisticamente, divisa in più sezioni di carattere contrastante. Viene dalla chiesa, ma è utilizzata normalmente anche nella camera.

Per sinfonia si intende un brano strumentale usato come introduzione alla musica vocale o senza un carattere definito che lo possa avvicinare alle altre due forme. Di fatto, alcuni compositori utilizzano normalmente questo termine al posto di sonata.

Di fatto, non vi sono confini precisi tra le tre forme e i termini sono spesso intercambiabili.
È importante notare che nel definire le voci componenti l'organico dei brani il basso continuo non viene mai menzionato, come nella musica vocale. La scrittura si caratterizza per uno spiccato interesse alla sperimentazione tecnica. C'è in Italia uno scarso sviluppo della polifonia (doppie corde); tuttavia Allsop[4] sostiene che dal momento che noi conosciamo la musica strumentale italiana di questo periodo solo da fonti a stampa, nelle quali era molto difficile e costoso riprodurre le doppie corde a causa dei limiti dei caratteri mobili che erano utilizzati, non abbiamo alcuna prova che la tecnica violinistica italiana non sperimentasse ampiamente le doppie e triple corde come si faceva in Austria e Germania. I pochi esempi di questa tecnica esecutiva sono nelle sonate op. VIII di Marini, in cui vengono usati dei caratteri usati per le intavolature per tastiera, in alcuni brani di Carlo Farina, in cui le doppie note sono state aggiunti a mano, ed Uccellini, in cui sono scritte su due righi.
Violinisti e compositori italiani per archi esportano all'estero la scrittura italiana e loro sperimentazioni tecniche: Marini a Neuburg a.d.Donau (Baviera) e Düsseldorf, Carlo Farina a Dresda con Heinrich Schütz, Giovanni Battista Buonamente a Vienna, Tarquinio Merula a Varsavia, Massimiliano Neri a Vienna, Bonn e Colonia, Antonio Bertali a Vienna, Pietro Andrea Ziani a Innsbruck, Vienna e Dresda...
Nel contempo, alcuni violinisti e compositori stranieri vengono in Italia a studiare, o a conoscere meglio lo stile o ancora vi lavorano e ne vengono influenzati: Schütz a Venezia fu discepolo di Giovanni Gabrieli e Monteverdi, Johann Rosenmüller ugualmente rimase per vent'anni a Venezia; più tardi, fu in Italia Johann Jakob Walther. La maggior parte dei visitatori stranieri violinisti, comunque, arrivò all'epoca di Arcangelo Corelli a Roma.
Verso la metà del secolo, inizia un periodo di transizione stilistica, il cui punto di arrivo sarà Corelli.

Inghilterra

Nel corso del XVI secolo, vi erano in Inghilterra alcuni gruppi di musicisti che suonavano molti diversi tipi di strumento. Si trattava in parte di musicisti di origine ebraica provenienti dall'Italia del Nord, in fuga dalle persecuzioni nel continente, che qui trovarono un ambiente più tollerante ed un pubblico interessato alle loro esecuzioni, che comprendevano danze e musica contrappuntistica (fantasie) prevalentemente a 3 e 4 parti, delle quali non sappiamo se l'esecuzione privilegiata fosse con le viole da gamba o quelle da braccio. Tra queste famiglie, ricordiamo i Bassano, i Lupo e i Galliardello[5]. Nella prima metà del '600 violinisti professionisti erano solo a corte. I progressi nella tecnica e nella scrittura avvennero attraverso l'impulso di musicisti stranieri. Almeno fino al 1630, erano per lo più francesi; tra questi ricordiamo Jacques Cordier, (noto anche come Bocan) e Stephen Nau, che fu il capo del gruppo dei violini di corte all'inizio del regno di Carlo I (1600-1649). Di questo repertorio abbiamo 12 suites composte da Davis Mell, uno dei "24 violini del Re" sotto Nau ed altri suoi pezzi in una raccolta miscellanea di John Playford, The division violin, del 1684. Abbiamo anche 2 fantasie di Nau manoscritte per violino solo[6]. Carlo II (1630-1685), che fu re dal 1660, caduta del Protettorato di Richard Cromwell, figlio di Oliver, riforma il gruppo dei 24 violini sotto la direzione di Louis Grabu, influenzata completamente dal gusto francese (il re aveva passato gli anni di formazione in Francia). Intorno al 1656 arriva il violinista tedesco Thomas Baltzar e introduce grandi innovazioni nella tecnica, soprattutto nell'ambito della polifonia. Abbiamo alcuni brani per violino solo di Baltzar. Una quindicina di anni dopo arriva Nicola Matteis.

Austria e Germania

La musica per violino nella prima metà del XVII secolo sembrerebbe essere avvicinabile a quella inglese, probabilmente sotto l'influenza di William Brade (1560 – 26 febbraio 1630), compositore, violinista e violista, e Thomas Simpson (1582 - prob dopo 1630), compositore e violista nell'orchestra della corte di Heidelberg e della corte di Copenhagen nel 1622; i loro lavori consistevano in danze per gruppo strumentale. Brade conobbe Johann Schop, di cui ci rimangono vari brani solistici nella raccolta di brani strumentali di vari autori 't Uitnemend Kabinet (Amsterdam 1649), alcuni anche di un certo impegno solistico, e fu insegnante di Nicolaus Beyer, che ha pure lasciato della musica solistica per il violino, databile intorno al 1650.

Francia

In Francia, il violino è intimamente connesso con la danza. I maestri di ballo avevano il violino come come pratica complementare e necessaria alla loro arte ed erano richiesti in tutta Europa ed Inghilterra. Ad esempio, Stephen Nau, che già citato nella sezione dedicata all'Inghilterra, era uno di questi. Scrivono musica di danza in semplici versioni a 5, senza particolare impegno tecnico o contrappuntistico (anche se ci sono giunte due fantasie di Nau a violino solo).

Il Ballet de la délivrance de Renaud, rappresentato a corte nel 1617, fu eseguito, secondo le cronache, da 24 violini[7] che suonavano insieme[8]. Non si sa se questo era già un gruppo fisso o se lo divenne in seguito; spesso si legge che lo divenne nel 1626, ma non abbiamo documenti che lo pròvino.

All'arrivo di Lully, i 24 Violons du Roy erano l'orchestra di corte, e rimasero un'istituzione importante fino al XVIII secolo, tuttavia sotto Lully il gruppo dei “Petits Violons”, noto anche col nome di “Petite Bande”, divenne molto più famoso. Anche questo era un gruppo di corte; era stato fondato nel 1648 ed era stato messo sotto la direzione del ventenne Lully 5 anni dopo, quando questi era stato nominato compositore della musica strumentale del re. Il numero era variabile a seconda delle necessità, ma di poco inferiore ai 24 della cosiddetta “Grande Bande”. [Secondo alcuni, si chiamavano “petits” perché all'epoca della loro formazione anche il re era “petits”]. Erano guidati con grande rigore dallo stesso Lully. Egli aveva modificato l'organico dell'orchestra francese tipica, in cui c'era un numero cospicuo di parti interne, a favore di un organico più italianizzante, orientato verso una maggiore polarizzazione soprano/basso[9]. Lully si occupava anche con rigore della disciplina musicale gruppo, vietando improvvisazioni e fioriture.

Dal 1700 al 1800

Questa è la sezione attualmente presente nella voce "violino"

La scrittura corelliana diviene un modello di riferimento nelle forme più tipiche della letteratura violinistica: la sonata a tre, la sonata "a solo", ossia violino e violoncello o cembalo (basso continuo), ed il concerto grosso. A sua volta, ognuna di queste forme presenta due diverse tipologie: da chiesa e da camera. La sua influenza attraversa tutta la musica strumentale di gusto italiano della prima metà del XVIII secolo, in particolare nell'ambito sonatistico. Tra i più importanti compositori di sonate in stile italiano, ricordiamo Antonio Vivaldi, Francesco Geminiani, Francesco Veracini, Francesco Antonio Bonporti, Giuseppe Tartini, Tomaso Albinoni. Oltre che nella musica di stile italiano, la sonata corelliana introduce di fatto in Francia una scrittura strumentale più sviluppata dal punto di vista tecnico, armonico e drammatico; essa è fonte d'ispirazione, pur mescolata agli stilemi caratteristici del gusto francese, per le opere di Elisabeth Jacquet de la Guerre e, più tardi, di François Couperin e Jean-Marie Leclair. Ancora, in Inghilterra, le sonate di ambiente romano della seconda metà del '600 sono studiate, imitate e diffuse dai compositori più importanti lì operanti: Henry Purcell, alla fine del '600, Georg Friedrich Händel nel '700.

Successivamente, la sonata si sviluppa in due direzioni: da un lato, a partire dalle 6 Sonate per violino e clavicembalo di Johann Sebastian Bach, verso una letteratura con strumento a tastiera concertato, in cui il violino ricopre un ruolo secondario (ricordiamo innanzitutto la splendida serie delle sonate e variazioni per pianoforte e violino di Wolfgang Amadeus Mozart), tipologia formale che sfocerà nella sonata romantica per pianoforte e violino; dall'altro lato, verso l'allargamento ad organici nuovi: trii, quartetti, quintetti, di soli archi o con pianoforte (più raramente con flauto o oboe). In particolare, la nuova forma del quartetto per archi assume una grande importanza nell'elaborazione del nuovo linguaggio strumentale della II metà del XVIII secolo, in particolare attraverso opere marcate da grandi differenze di scrittura "nazionale": tra i molti che vi si cimentarono, ricordiamo Johann Christian Bach (tedesco, ma attivo prima a Milano e poi a Londra), Luigi Boccherini e Giuseppe Cambini in Italia, François-Joseph Gossec e Rodolphe Kreutzer in Francia, Karl Stamitz in Germania, Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart in Austria.

Il concerto corelliano pone le radici da cui si sviluppa la forma del concerto solista, che a partire dai primi esperimenti di Giuseppe Torelli si sviluppa nelle opere di Antonio Vivaldi, Johann Sebastian Bach, Pietro Antonio Locatelli, Jean-Marie Leclair e Giuseppe Tartini in una forma di enorme successo.

Nella seconda metà del secolo, il violino concertante, da principale (ossia primo violino dell'orchestra che si stacca episodicamente, eseguendo i suoi assoli) diventa un elemento indipendente che si contrappone alla massa orchestrale. Da questo momento, "il concerto per violino ha costituito sino ai nostri giorni la palestra più completa per l'estrinsecazione delle capacità tecniche ed emotive dell'esecutore".[10] I concerti appartenenti a questo periodo di transizione sono oggi poco eseguiti, con l'eccezione delle opere di Wolfgang Amadeus Mozart,Franz Joseph Haydn e Giovanni Battista Viotti.

Note

  1. ^ (EN) Karel Moens, Authenticity and surviving instruments, in Violin, New Grove Dictionary of Music and Musicians, Stanley Sadie, 2001
  2. ^ ...
  3. ^ (EN) David D. Boyden, Peter Walls, Violin, sezione History and repertory, 1600–1820. Violinists and repertory., in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, 2a ed., Stanley Sadie, 2001.
  4. ^ (EN) P. Allsop: Violinistic Virtuosity in the Seventeenth Century: Italian Supremacy or Austro-German Hegemony?, Il saggiatore musicale, iii (1996), p. 233–258
  5. ^ (EN) Peter Holman, Four and twenty fiddlers: the violin at the English court, 1540-1690, capitolo "Musicke of Violenze" - The Elisabethan string consort, Oxford University Press, 1996, ISBN 9780198165927, p. 104-122
  6. ^ (EN) Brian Brooks, Étienne Nau, Breslau 114 and the Early 17th-Century Solo Violin Fantasia, Early Music, Vol. 32, No. 1 (Feb., 2004), Oxford University Press, pp. 49-72
  7. ^ Leggasi "24 viole da braccio".
  8. ^ Il numero di 24 violini è stato già trovato nella sezione dedicata all'Inghilterra. Infatti, esso ritorna sempre in questo periodo, in quanto fa riferimento ai 24 anziani che suonano la cetra in Apocalisse Apocalisse 5,8.
  9. ^ John Spitzer, Neal Zaslaw, The birth of the orchestra: history of an institution, 1650-1815, Oxford University Press, 2004
  10. ^ Michelangelo Abbado, Violino, in Enciclopedia della musica Rizzoli Ricordi, Rizzoli, Milano, 1972

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Gasparo Visconti

Gasparo Visconti (Cremona, 10 gennaio 1683Cremona, 1731) è stato un compositore e violinista italiano.

Biografia

Era il figlio secondogenito del nobile Giulio Cesare Visconti e di Annunciata Ferrari. La famiglia Visconti era una delle più attive a Cremona nel mecenatismo artistico.


Musica barocca

(in corso di riscrittura)

Il termine musica barocca indica la musica composta nel XVII secolo e nella prima metà del XVIII secolo, che la fa corrispondere alla diffusione del barocco nell'arte.

Origine del termine

  Lo stesso argomento in dettaglio: Barocco.

Probabilmente, il primo a utilizzare il termine barocco per indicare un particolare periodo della produzione artistica con caratteristiche omogenee fu Jacob Burckhardt nel suo Il Cicerone (1855), dove è intitolato Stile barocco un capitolo dedicato all'arte post-michelangiolesca, che ne rimarca gli aspetti di decadenza rispetto al Rinascimento; in seguito, Heinrich Wölfflin in Rinascimento e Barocco (1888) riprese il termine in senso positivo e propose anche di allargare il suo uso alla letteratura ed alla musica. Fu il musicologo Curt Sachs nel 1919 a riprendere le tesi di Wölfflin sull'arte barocca ed applicandole in maniera sistematica alla musica[1]: egli vedeva in alcune caratteristiche specifiche dello stile musicale (ad esempio, l'uso dell'ornamentazione e della variazione della melodia, oppure la scrittura monodica con basso continuo) la trasposizione delle novità stilistiche della pittura.

  1. ^ Curt Sachs, Barokmusik, in Jahrbuch der Musikbibliothek Peters, 1919, p. 7-15

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Appunti

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