Totò Riina
Salvatore Riina, meglio conosciuto come Totò Riina (Corleone, 16 novembre 1930), è un criminale italiano, ed è stato il capo di Cosa Nostra dal 1982 fino al suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993. Viene indicato anche con i soprannomi U curtu, per via della sua altezza [1] e La Bestia, adottato per indicare la sua ferocia sanguinaria[2].

Biografia
Gli inizi dell'attività criminale
Nel 1943 Riina perse il padre Giovanni ed il fratello Francesco (di 7 anni) mentre, insieme a lui ed al fratello Gaetano, stavano cercando di estrarre la polvere da sparo da una bomba americana inesplosa, rinvenuta tra le terre che curavano, per rivenderla insieme al metallo. Gaetano rimase ferito e Totò rimase illeso [3]. Dopo la morte del padre, essendo il maggiore dei figli maschi, a 13 anni divenne il capo famiglia. In questi anni conobbe il criminale Luciano Liggio, il quale lo iniziò al furto dei covoni di grano e alla pratica del pizzo ai contadini.
A 19 anni fu condannato ad una pena di 12 anni, scontata parzialmente all'Ucciardone per aver ucciso in una rissa un suo coetaneo [4]. Venne scarcerato il 13 settembre 1956 e ritornò nel suo vecchio paese Corleone per assumere un ruolo di rilievo al servizio di Luciano Liggio. In questo periodo conobbe e cominciò a frequentare Antonietta Bagarella, sorella di Calogero e Leoluca Bagarella, che molto presto sarebbe diventata la sua fidanzata. Insieme a Liggio prese ad occuparsi di macellazione clandestina. Con loro c'era Bernardo Provenzano, detto "Binnu u' tratturi". Liggio e i suoi fedelissimi inizialmente furono al servizio del dottor Michele Navarra, capomafia di Corleone. Successivamente, assetati di potere, decisero di eliminare Navarra per ottenere il predominio nel paese.
Tra gli uomini di Liggio figurava anche lo zio di Salvatore, Giacomo Riina, arrestato nel 1942 insieme allo stesso Liggio per contrabbando di sigarette. Michele Navarra fu, invece, assassinato dai sicari di Liggio (2 agosto 1958), il quale assunse la guida del clan corleonese. Riina, insieme agli amici d'infanzia Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella, iniziò ad eliminare tutti coloro che erano stati fedeli a Navarra (i cosiddetti "navarriani").
Riina venne però arrestato nel dicembre del 1963 a Corleone. Una notte fu fermato, nella parte alta del paese, da una pattuglia di agenti di Polizia di cui faceva parte anche il commissario Angelo Mangano [5] (il quale nel 1964 sarà uno degli artefici dell'arresto di Luciano Liggio [6]). Riina, che aveva una carta d'identità falsa (dalla quale risultava essere "Giovanni Grande" da Caltanissetta) ed una pistola non regolarmente dichiarata, tentò di scappare ma venne braccato e facilmente catturato dalle forze dell'ordine. Fu riconosciuto dall'agente Biagio Melita [7].
Tuttavia, dopo aver scontato alcuni anni di prigione al carcere dell'Ucciardone (dove conobbe Gaspare Mutolo), fu assolto nei due processi a suo carico, svoltisi a Catanzaro (il famoso processo dei 114 [2]) e a Bari nel 1969 [8].
L'ascesa ai vertici di Cosa nostra
Nel 1969 Salvatore Riina fu tra gli esecutori della strage di Viale Lazio, dove morirono Calogero Bagarella (nel gruppo di fuoco di Riina) e il boss Michele Cavataio, obiettivo dell'attentato, insieme a tre suoi uomini [9].
Agli inizi degli anni settanta, Riina, Luciano Liggio e Bernardo Provenzano diedero inizio alla scalata criminale al potere di Palermo, dove contavano sull'appoggio dell'allora sindaco Vito Ciancimino, anch'egli nativo di Corleone. A Palermo Riina si fece nemici il boss Giuseppe Di Cristina, Giuseppe Calderone, Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo che volevano impedire l'ascesa dei Corleonesi. Fu invece appoggiato dai capi mafiosi Michele Greco e Pippo Calò. In questo periodo Riina prese il posto di Liggio, arrestato nel 1974, alla guida del clan dei corleonesi, che sotto il suo comando accrebbero notevolmente il proprio potere finanziario, grazie al traffico di droga, alle gare d'appalto a Palermo e al contrabbando di sigarette, svolto in società con i fratelli Ciro e Lorenzo Nuvoletta, boss della Camorra affiliati anche a Cosa nostra.
Il 16 aprile dell'anno 1974 sposa (matrimonio che poi risulterà non valido [10] ) Antonietta Bagarella (sorella del suo amico d'infanzia Calogero). Dopo il matrimonio hanno avuto quattro figli: Maria Concetta, Giovanni Francesco, Giuseppe Salvatore e Lucia.
Al suo servizio troviamo tre dei più feroci killer: Pino Greco detto "Scarpuzzedda", esecutore di vari ed efferati delitti, Mario Prestifilippo, Leoluca Bagarella, cognato dello stesso Riina. Siccome Di Cristina e Calderone lo stavano ostacolando, li fece assassinare barbaramente [11]. Il boss Stefano Bontate invitò Riina nella sua villa per ucciderlo, ma quest'ultimo venne avvisato da Michele Greco e alla villa mandò due suoi uomini: il piano omicida di Bontate era fallito.
Riina allora fece uccidere Bontate e Salvatore Inzerillo: queste due uccisioni scatenarono una sanguinosa seconda guerra di mafia nei primi anni ottanta. Durante questa "guerra" fece uccidere i parenti del boss Tommaso Buscetta (che si salvò fuggendo in Brasile). In seguito Buscetta verrà estradato in Italia e comincerà a collaborare con il giudice Giovanni Falcone [12]. Sconfitte le famiglie dei Bontate [13], degli Inzerillo, dei Di Cristina, dei Buscetta, dei Badalamenti e dei Calderone, Riina raggiunse il vertice del potere mafioso [14], ed estese il suo potere su tutta Cosa Nostra [15], realizzando in questo periodo un'aggressiva campagna contro lo Stato, ordinando gli omicidi di tutti coloro che tentavano di ostacolarlo [16].
Gli omicidi contro le istituzioni e gli organi d'informazione
Nell'ondata di omicidi contro lo Stato ordinati da Riina, caddero tra gli altri:
- Il procuratore Pietro Scaglione (ucciso nel 1971)
- Il tenente colonnello Giuseppe Russo (ucciso nel 1977)
- Il giornalista Mario Francese (ucciso nel 1979)
- Il politico Michele Reina (ucciso nel 1979)
- Il capo della squadra mobile Boris Giuliano (ucciso nel 1979)
- Il giudice Cesare Terranova e il maresciallo Lenin Mancuso (uccisi nel 1979)
- Il presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella (ucciso nel 1980)[17]
- Il capitano dei carabinieri Emanuele Basile (ucciso nel 1980)
- L'onorevole Pio La Torre e il suo autista Rosario Di Salvo (uccisi nel 1982) [18]
- Il prefetto Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di PS Domenico Russo (uccisi nel 1982)[19]
- Il poliziotto Calogero Zucchetto (ucciso nel 1982)
- Il giudice Rocco Chinnici (ucciso nel 1983)[20]
- Il capitano dei carabinieri Mario D'Aleo e i colleghi, Giuseppe Bommarito e Pietro Morici (uccisi nel 1983)
- I commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà (uccisi nel 1985)
- Il giudice Alberto Giacomelli (ucciso nel 1988)
- Il giudice Antonino Scopelliti (ucciso nel 1991)
- L'imprenditore Libero Grassi (ucciso nel 1991)
- I giudici Falcone [21] e Borsellino[20] con le loro scorte (uccisi nel 1992).
Salvo Lima, potente politico della DC, e Ignazio Salvo, l'esattore della famiglia di Salemi, avrebbero promesso a Riina che la sentenza del Maxiprocesso (che lo condannava all'ergastolo in contumacia) sarebbe stata modificata grazie alle loro conoscenze negli ambienti della politica e della magistratura romana. Ciò, tuttavia, non avvenne e il 30 gennaio 1992 la Cassazione confermò gli ergastoli[22] e sancì la validità delle dichiarazioni del pentito Buscetta e degli altri collaboratori di giustizia. Riina reagì facendo uccidere prima Lima [20] e pochi mesi dopo Ignazio Salvo [23].
Le ritorsioni verso i collaboratori di giustizia
Le deposizioni dei collaboratori di giustizia (su tutti Tommaso Buscetta) scatenarono la ritorsione di Cosa Nostra su precisa indicazione di Totò Riina, il quale autorizzò i killer e i capofamiglia ad eliminare i familiari dei pentiti "sino al 20º grado di parentela" [24], compresi i bambini e le donne [23][24][25].
Il Papello e la trattativa con lo stato
L'allora vicecomandante dei Ros, Mario Mori, incontrò tra giugno e ottobre 1991 Vito Ciancimino, proponendo una trattativa con Cosa Nostra per mettere fine alla lunga scia di omicidi che insanguinano Palermo. La proposta era in realtà, secondo la versione fornita da Mori, una trappola per cercare di stanare qualche latitante, ma Riina rispose alla finta richiesta con il famoso Papello [26], un documento di richieste [27] per ammorbidire le condizioni dei detenuti, degli indagati, delle loro famiglie, la cancellazione della legge sui pentiti e la revisione del maxiprocesso [23].
L'esistenza della trattativa tra stato e Cosa Nostra è stata successivamente smentita dallo stesso Mori.[28]
Il 12 marzo 2012, però, nella motivazione della sentenza del processo a Francesco Tagliavia per le stragi del 1992 - 1993, i giudici scrivono che la trattativa tra Stato e Cosa nostra "ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des [...] L'iniziativa fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia".[29]
L'arresto
Il 15 gennaio del 1993 fu catturato dal Crimor (squadra speciale dei ROS guidata dal Capitano Ultimo) [30].
Riina, latitante dal 1969, venne arrestato al primo incrocio davanti alla sua villa in via Bernini n. 54, insieme al suo autista Salvatore Biondino [31], a Palermo. Nella villa aveva trascorso alcuni anni della sua latitanza insieme alla moglie Antonietta Bagarella e ai suoi figli [32].
L'arresto fu favorito dalle dichiarazioni rese dall'ex autista di Riina, Baldassare Di Maggio, divenuto nel frattempo collaboratore di giustizia, per ritorsione verso Cosa Nostra che lo aveva condannato a morte [33][34].
Le condanne
Nell'ottobre del 1993 subisce la seconda condanna all'ergastolo, come mandante dell'omicidio del boss Vincenzo Puccio [35]. Nel 1994, altro ergastolo per l'omicidio di tre pentiti e quello di un cognato di Tommaso Buscetta[36].
Viene condannato all'ergastolo, assieme ai vertici di Cosa Nostra, per la Strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta [37]. Nel 1995, nel processo per l'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, del capo della mobile Boris Giuliano, e del professor Paolo Giaccone, Riina e altri dieci boss mafiosi vengono condannati all'ergastolo [38].
Nel 1999, viene condannato all'ergastolo come mandante per la Strage di via D'Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e quattro dei suoi uomini di scorta. Insieme a lui vengono condannati alla stessa pena i boss Pietro Aglieri Salvatore Biondino, Carlo Greco, Giuseppe Graviano, Gaetano Scotto e Francesco Tagliavia [39].
Nel 2000 subisce una ulteriore condanna all'ergastolo insieme a Giuseppe Graviano per l'attentato in Via dei Georgofili, in cui persero la vita 10 persone e subirono enormi danni musei e chiese [40], oltre che per gli attentati di Milano e Roma [41].
Nel 2002, per l'omicidio nel 1988 del giudice in pensione Alberto Giacomelli, viene condannato all'ergastolo come mandante [42]. Nel febbraio 2010, ancora un ergastolo per Riina, che insieme a Giuseppe Madonia, Gaetano Leonardo e Giacomo Sollami, decise l'omicidio di Giovanni Mungiovino, affiliato a Cosa Nostra nel 1983, Giuseppe Cammarata, scomparso nel 1989 e Salvatore Saitta, ucciso nel 1992 [43].
Il 26 gennaio 2012 gli viene inflitta una condanna all'ergastolo da parte della Corte di Assise di Milano perché ritenuto il mandante dell'omicidio di Alfio Trovato del 2 maggio 1992 avvenuto in via Palmanova a Milano.
Il carcere
A partire dal dicembre 1995, Riina è stato rinchiuso nel supercarcere dell'Asinara, in Sardegna [44]. In seguito è stato trasferito al carcere di Marino del Tronto ad Ascoli Piceno dove, per circa tre anni, è stato sottoposto al carcere duro previsto per chi commette reati di mafia, il 41 bis, ma il 12 marzo del 2001 gli venne revocato l'isolamento, consentendogli di fatto la possibilità di vedere altri detenuti nell'ora di libertà [45].
Nella primavera del 2003 subisce un intervento chirurgico per problemi cardiaci, e nel maggio dello stesso anno viene ricoverato nell'ospedale di Ascoli Piceno per un infarto [46]. Sempre nel 2003, a settembre, viene nuovamente ricoverato per problemi cardiaci [46].
Il 22 maggio 2004, nell'udienza del processo di Firenze per la strage di via dei Georgofili, accusa il coinvolgimento dei servizi segreti nelle stragi di Capaci e via d'Amelio, e riferisce dei contatti fra l'allora colonnello Mario Mori e Vito Ciancimino, attraverso il figlio di lui Massimo al tempo non convocato in dibattimento.[47][48]
Trasferito nel carcere milanese di Opera, viene nuovamente ricoverato nel 2006 all'ospedale San Paolo di Milano, sempre per problemi cardiaci [49].
Dal carcere di Opera, il 19 luglio 2009, nel ricorrerne l'anniversario esprime di nuovo la sua posizione secondo cui la strage di via d'Amelio sarebbe da imputare allo Stato italiano e ai servizi segreti, ovvero si sarebbe trattato di una strage di Stato.[50] Questa posizione è stata avvalorata alla fine dell'ottobre 2010 da alcune rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, il quale ha più volte riconosciuto un importante funzionario dei servizi segreti, Lorenzo Narracci, come "il soggetto estraneo a Cosa nostra visto nel garage mentre veniva imbottita di tritolo la Fiat 126 usata nell'attentato al giudice Paolo Borsellino".[51] [52]
Figli
Riina ha quattro figli: Maria Concetta (nata il 7 dicembre 1974), Giovanni Francesco (nato il 21 febbraio 1976), Giuseppe Salvatore (nato il 3 maggio 1977) e Lucia (nata l' 11 aprile 1980).
Giovanni Francesco è stato condannato all'ergastolo per quattro omicidi avvenuti nel 1995.
Giuseppe Salvatore è stato condannato per associazione mafiosa e scarcerato nel 2008 per decorrenza termini dopo essere stato detenuto per otto anni [53]. Il 2 ottobre 2011, dopo aver scontato completamente la pena di 8 anni e 10 mesi, viene nuovamente rilasciato sotto prevenzione con obbligo di dimora a Corleone[54] e inizia a trapelare la notizia di un suo piano per fare un attentato all'ex Ministro della Giustizia Angelino Alfano per via dell'inasprimento del regime di 41 bis[55]. La stessa notizia è stata ritenuta da alcune fonti priva di fondamenti.
Bibliografia
- Alessandra Dino, Gli ultimi padrini. Indagine sul governo di Cosa Nostra, Roma-Bari, Editore Laterza, 2011.
- Attilio Bolzoni - Giuseppe D'Avanzo, Il capo dei capi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1993.
Filmografia
- Il capo dei capi, fiction televisiva di Canale 5 [56][57]
- L'ultimo dei corleonesi, fiction di Rai Uno su Totò Riina e Bernardo Provenzano
- Il Divo film di Paolo Sorrentino su Giulio Andreotti
Note
- ^ ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D' AVANZO, MINACCE AI GIUDICI DI TOTO' ' U CURTU, in la Repubblica, 9 marzo 1993, p. 21. URL consultato il 6 Febbraio 2012.
- ^ a b Salvatore Riina: il capomafia corleonese, in Storia della mafia, 20 aprile 2006. URL consultato il 6 febbraio 2012.
- ^ Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, Feltrinelli, 1993, pag. 158.
- ^ Da Blu Notte - La Mattanza, Rai3
- ^ Leoni addormentati, in la Repubblica, 15 ottobre 2007, p. 3. URL consultato il 6 febbraio 2012.
- ^ Tony Zermo, A 87 anni, è morto il questore Angelo Mangano, arrestò Liggio, in Città nuove, 3 aprile 2005. URL consultato il 6 febbraio 2012.
- ^ Dino Paternostro, Il vero Biagio che arrestò Riina (PDF), in La Sicilia, 16 dicembre 2007, p. 44. URL consultato il 6 febbraio 2012.
- ^ Dino Paternostro, Lo <<sbarco>> di Totò Riina a Palermo (PDF), in La Sicilia, 23 ottobre 2005, p. 31. URL consultato il 6 febbraio 2012.
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- ^ Francesco La Licata, Toto' Riina per la legge e' scapolo Il suo matrimonio non fu mai registrato, in La Stampa, 14 aprile 1993. URL consultato il 6 febbraio 2012.
- ^ LA STORIA DEL PADRINO, in La Stampa, 18 ottobre 1997, p. 2. URL consultato il 6 febbraio 2012.
- ^ Dentro Cosa Nostra, in Rainews, 26 agosto 2011. URL consultato il 6 febbraio 2012.
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- ^ Riina sul delitto Borsellino: "L'hanno ammazzato loro"
- ^ http://www.repubblica.it/cronaca/2010/10/27/news/spatuzza_borsellino-8496629/?ref=HREA-1
- ^ http://www.corriere.it/cronache/10_ottobre_27/spatuzza-borsellino-007_9aa695c2-e1ee-11df-9076-00144f02aabc.shtml
- ^ Libero figlio di Riina Repubblica.it
- ^ Riina jr esce dal carcere e torna a Corleone Corriere.it, 02-10-2011
- ^ Un pentito: Riina Jr progettava di uccidere l'ex ministro Alfano Corriere.it, 03-10-2011
- ^ Il Capo dei capi - Corriere della Sera.it 3/5/2007
- ^ «Ecco la vita di Totò Riina: come si diventa criminali» - Il Giornale.it 23/10/2007
Voci correlate
Altri progetti
- Wikinotizie contiene l'articolo Riina arrestato dal Raggruppamento Operativo Speciale, 15 gennaio 1993
Predecessore: Luciano Liggio |
Capo dei Corleonesi Salvatore Riina 1974 - 1993 |
Successore: Bernardo Provenzano |
Predecessore: Gaetano Badalamenti |
Commissione di Cosa Nostra Michele Greco, Salvatore Riina, Stefano Bontate 1978 - 1981 |
Successore: Seconda guerra di mafia |
Predecessore: Seconda guerra di mafia |
Capo dei capi di Cosa Nostra Salvatore Riina 1982 - 1993 |
Successore: Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano |
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