Template:Infobox edifici religiosi Sant'Eusebio è una chiesa di Roma, dedicata al prete del IV secolo Eusebio di Roma[1] e costruita nel Rione Esquilino. L'edificio, attualmente in posizione seminascosta, è incastrato fra i palazzi del Piano Regolatore "piemontese" del 1873 all'angolo fra piazza Vittorio Emanuele II e via Napoleone III. Ė uno dei monumenti cristiani più insigni del Rione.

Storia

 
La chiesa di Sant'Eusebio nel contesto dell'Esquilino in una mappa del 1567

Si ritiene tradizionalmente che la costruzione insista sulla domus del prete romano Eusebio (circa 319-353), fiero oppositore dell’arianesimo, condannato dall'imperatore Costanzo II a morire di fame rinchiuso in una stanza della propria abitazione[2].

 
Incisione di Girolamo Franzini, da Le cose meravigliose dell'alma città di Roma, 1588

L’epitaffio di un clericus trovato nelle catacombe dei Santi Marcellino e Pietro ad duas Lauros dell’anno 474 è il documento più antico menzionante il titulus di Eusebio[3], ma il graffito funerario del lettore Olympus ne indizia la costruzione già nel IV secolo[4], probabilmente per volontà del pontefice Liberio (352-366), che, secondo la tradizione, lo consacrò nel 353[5]; il Titulus Eusebii è anche ricordato nel 494 nel "Catalogo gelasiano"[6] e i suoi presbyteri sono registrati fra i sottoscrittori dei sinodi romani del 499 (concilio di Simmaco)[7] e del 595[8].

Il titolo divenne chiesa intorno al 745, ampiamente restaurato per opera di papa Zaccaria (741-752) a seguito del crollo del tetto[9].

Una memoria altomedievale è contenuta per l'anno 921 nel Chronicon[10] di Benedetto di Sant'Andrea del Soratte, che riferisce della ecclesia sancti Eusebii iuxta macellum parvum ("presso il mercato piccolo"), ovvero il Macellum Liviae realizzato sotto Augusto.

La chiesa è inoltre menzionata al nº 12 nel catalogo di Cencio Camerario della fine del XII secolo.

Altri restauri dell'edificio sono attestati tra l'VIII e la fine del IX secolo sotto i papi Adriano I[11], Leone IV[12], Gregorio IV[13] e Niccolò I[14]; fu nuovamente riedificato da Onorio III (1216-1227). A questo periodo risale l'aggiunta del campanile.

 
Giuseppe Vasi, 1753

Nel 1238, dopo una ricostruzione a fundamentis, la chiesa fu consacrata da papa Gregorio IX (1227-1241) e dedicata in honore beatorum Eusebii et Vincentii, come ricorda un'epigrafe[15] ora nel portico della chiesa.

L’11 giugno 1289 papa Nicolò IV (1288-1292) concesse la chiesa a Pietro del Morrone[16], futuro papa Celestino V, ma i monaci celestini dovevano averla quasi abbandonata nei primi anni del XIV secolo se il "Catalogo di Torino"[17] riporta la presenza di soli venticinque frati nel complesso.

In un documento del 1323 conservato nell'Archivio di Stato di Roma la chiesa viene detta S. Eusebii de montibus[18].

Nel 1627 il luogo di culto fu elevato da priorato ad abbazia. L'abate Ludovico Bellori così lo descrive nello "Stato temporale delle Chiese di Roma" (1662): È della congreg. celestina dell' ordine di s. Benedetto. È situata nel rione dei Monti; è nominata fra i monasteri celestini nella bolla di s. Pietro Celestino V data in Aquila alli 27 di settembre 10 del suo pontificato. La chiesa ha tre altari e 2 sepolture. Possiede molti horti, Grangìe tra la quale una fuori di Ferentino donata da s. Pio V in breve 1 febr. 1568. Possiede case, cappelle in Roma, in Albano, censi, canoni, luoghi di monti, alberi, vigne ecc. ...con un'entrata di sc. 1608: 80. Nel monastero furono prefissi nell' anno 1627, per decreto del capitolo generale in esecuzione della bolla di Urbano VIII di prefissare il numero, religiosi sacerdoti 8, conversi 4, serventi secolari 2. Di più vi sono otto studenti et un lettore.

 
La chiesa di Sant'Eusebio e il monastero, presso i "Trofei di Mario" (a destra), in una veduta di Giuseppe Vasi, 1753

Sotto papa Sisto V (1585-1590) nel monastero annesso alla chiesa fu insediata una delle prime stamperie di Roma, forse da Giorgio Laner, ove furono impresse le opere di Giovanni Crisostomo con le note di Francesco Aretino. Il monastero fu soppresso nel 1810 dall'amministrazione francese e la chiesa passò ai Gesuiti per decisione di papa Leone XIII dopo lo scioglimento dell'ordine dei Celestini.

Il luogo di culto rimase titulus fino al pontificato di papa Gregorio XVI (1831-1846) che lo attribuì alla chiesa di San Gregorio al Celio; lo fu di nuovo sotto papa Pio IX (1846-1878). Attualmente il cardinale titolare corrente è Daniel DiNardo.

Nel 1873 i Gesuiti furono espulsi dal monastero, espropriato dallo Stato italiano a seguito dell'entrata in vigore delle leggi eversive del clero.

Il 12 marzo 1888 la chiesa fu dichiarata parrocchia sussidiaria di quella della Basilica di Santa Maria Maggiore dal cardinale vicario Lucido Maria Parocchi, e infine da quest'ultimo eretta parrocchia con il decreto Spiritali christifidelium il 31 agosto 1889 e affidata al clero secolare di Roma. Il territorio è stato desunto da quello di Santa Maria Maggiore.

L'8 dicembre 1930 vi si costituì la futura congregazione delle Figlie della Madonna del Divino Amore.

Ė tradizione che il 17 gennaio di ogni anno, in occasione della ricorrenza di sant’Antonio abate, presso la sant’Eusebio si celebri il rito della benedizione degli animali, qui spostato dalla chiesa di Sant'Antonio Abate all'Esquilino nel XX secolo per motivi di ordine pubblico.

Descrizione

 
Gloria di Sant'Eusebio, Anton Raphael Mengs, 1757
 
Interno

La chiesa appare oggi rialzata rispetto al piano stradale, collegata con esso mediante una scalinata a doppia rampa. Tale assetto è conseguente ai lavori di urbanizzazione di fine XIX secolo per il "Nuovo Quartiere Esquilino". Le antiche incisioni, come quella di Giuseppe Vasi (1753), mostrano la situazione di partenza, antecedente ai lavori del 1882-1887 per l'impianto di piazza Vittorio Emanuele II, che comportarono ampie movimentazioni di terreno e la cancellazione della viabilità originaria. Prima della fine del XIX secolo la chiesa si trovava, infatti, sul punto di giunzione fra quattro importanti assi viari oggi scomparsi: la via di santa Bibiana, la via Labicana, la strada Felice e la via di san Matteo in Merulana.

Lo stile romanico della costruzione del XIII secolo non ha resistito ai restauri dei secoli XVII, XVIII (1711 e 1759) e XX, e sopravvive soltanto in parte nel campanile a tre ordini di trifore risalente all'epoca di papa Onorio III, appena visibile dall'esterno nella sistemazione attuale di piazza Vittorio Emanuele II.

La chiesa è decorata nella balconata con sculture di santi e angeli in ginocchio, mentre il timpano, sormontato da una croce in metallo, è lievemente arretrato rispetto alla facciata moderatamente "borrominiana". Lo spazio interno è suddiviso in tre navate: la maggiore, al centro, è separata dalle altre due da archi su pilastri ed è ornata semplicemente con stucchi bianchi e dorati. L'interno è stato ristrutturato nel 1600 da Onorio Longhi[19] e nel 1759 da Nicolò Picconi.

Un capolavoro neoclassico del pittore Anton Raphael Mengs rappresentante la Gloria di Sant’Eusebio (1757) si può ammirare sulla volta della navata principale; l'opera è caratterizzata dalla presenza di un angelo donna, in cui l'artista ha probabilmente idealizzato le sembianze della persona di cui era innamorato. Si tratta di uno dei primi esempi delle nuove tendenze della pittura neoclassica, secondo i dettami sanciti dall'estetica di Johann Joachim Winckelmann. Notevole è il coro di legno risalente al XVI secolo, che è formato da stalli e leggio in noce intarsiato.

Gli stucchi e la tinteggiatura all'interno della chiesa, dotata nell'occasione anche di un nuovo organo, sono stati rinnovati nel 1938 dal parroco monsignor Dottarell.

 
Il chiostro in una incisione di Paul Letarouilly, 1850

Sotto l'altare maggiore sono forse custodite le reliquie di sant'Eusebio di Bologna, che si ritiene abbia finanziato la costruzione della chiesa già nel IV secolo, mentre dalla sagrestia si può cogliere distintamente il chiostro del monastero (1588), attribuito all'architetto svizzero Domenico Fontana, che è realizzato su due ordini di arcate divise da paraste, con in mezzo una fontana.

Attualmente il monastero si apprezza con le modifiche effettuate in facciata nel 1711 dall'architetto Carlo Stefano Fontana (circa 1675-1740)[20] ed all'interno per un restauro del 1759 opera di Nicolò Picconi. Esso si trova in una posizione più alta di circa quattro metri rispetto alla sede stradale moderna a causa dei lavori di sbancamento eseguiti sull'angolo settentrionale di piazza Vittorio Emanuele II alla fine del XIX secolo. Dal 2001 è sede della "Direzione centrale di sanità" della Polizia di Stato[21].

Resti archeologici

Francesco de' Ficoroni riferisce che nel 1699 il duca d'Uzedo, ambasciatore di Spagna a Roma, fece un grande scavo non lontano dalla chiesa (davanti i Trofei di Mario), in cui trovò una piccola cappella con immagine ora perduta[22].

Sotto la chiesa settecentesca sono presenti alcuni resti di una domus romana, sfruttata in parte per la costruzione dell’antico titulus. Le strutture, il cui stile indica una datazione di fine II secolo, si trovano sotto il transetto e dietro l’abside della chiesa attuale. Si tratta di un muro in opera laterizia (lunghezza circa 20 m) che corre parallelamente a ..., alla cui estremità sud-orientale si trovano due vani appartenenti ad un altro comparto dell’abitazione. è attestata anche una fase di IV-V secolo attribuita da Krautheimer[23] al momento in cui potrebbe essersi insediato nell'abitazione il primo luogo di culto cristiano, in seguito quasi completamente azzerato per costruire la chiesa. Mancano prove archeologiche puntuali.

Note

  1. ^ http://www.santiebeati.it/dettaglio/91373
  2. ^ Vetus Martirologium Romanum, A.D. MDCCCCLVI, die 14 augusti: "A Roma il natale del beato Eusebio, Prete e Confessore, il quale dall'Ariano Imperatore Costanzo, per aver difeso la fede cattolica, rinchiuso in una camera della sua casa, ivi, avendo perseverato costantemente sette mesi in orazione, si riposò in pace. Il suo corpo fu raccolto dai Preti Gregorio ed Orosio e fu sepolto nel cimitero di Callisto, sulla via Appia". Fonti sul martire Eusebio di Roma: Acta Sanctorum, Aug., II, 166 e Sept., VI, 297; Martyrologium di Usuardo...(integrare). Sono noti a Roma diversi martiri con il nome Eusebio...(integrare). A Roma fu inoltre attivo Eusebio di Vercelli, esiliato da Costanzo II a Scitopoli, in Cappadocia e nella Tebaide, in realtà morì nel 371 a Vercelli, di cui fu primo vescovo, dopo la morte dell'imperatore (361), quindi non fu martire strictu sensu. Eusebio di Vercelli è stato definitivamente escluso dalla dedicazione della chiesa con il Martirologium Romanum del 2001.
  3. ^ Joseph Wilpert, “Beiträge zur christlichen Archäologie”, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte 22 (1908), pp. 73-195: 80; Inscriptiones Christianae Urbis Romae, 16002.
  4. ^ Olympi lectoris de D(ominico) Eusebii locus est (Giovanni Battista de Rossi, in Bullettino di archeologia cristiana, serie IV, anno I (1882), p. 112; anche Orazio Marucchi, Éléments d'archéologie chrétienne, Paris 1899, p. 124). Armellini sostiene che l'uso del termine dominicum, riferito alle chiese più antiche, si diffonda molto agli inizi per scomparire alla fine del IV secolo. L’iscrizione ci riporta quindi in un ambito di IV, piuttosto che di V secolo (Armellini 1891, in partic. pp. 3-4; 125: dominicum, voce usata nella prima metà del secolo IV a denotare la casa del Signore, e che verso la fine di quel secolo era andata già in disuso). Anche altri autori (Iezzi 1977, p. e Kirsch 1918, p. 60) datano al IV secolo l'iscrizione.
  5. ^ Liber Pontificalis (LP), ed. Duchesne 1886, I, s.v. Liberius, anche Introduzione.
  6. ^ Concilium Romanum I (494): Valentinus archipresbyter in titulo S. Eusebii in Esquilinis.
  7. ^ Cassiodoro, Variae, XII (ed. Mommsen, pp. 410-415) = Monumenta Germaniae Historica, Auctores Antiquissimi, Acta Synhodorum habitarum Romae, pp. 412, 415.
  8. ^ Registrum Gregorii I, lib. V n. 57a, vol. I, pp. 366-367 (ed. Ewald et Traube).
  9. ^ LP, I 435.
  10. ^ Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, tomo V, p. 715.
  11. ^ LP, I 508.
  12. ^ LP, II 11.21.
  13. ^ LP, II 76.
  14. ^ LP, II 154.
  15. ^ Vincenzo Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edificii di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, Roma 1869, vol. X, 405 n. 640; il testo dell'iscrizione è anche in Armellini 1891, p. 809.
  16. ^ Kehr 1906, p. 39.
  17. ^ Codex Taurinensis lat. A, 381: habebat fratres ordinis sancti Petri de Morrone XXV
  18. ^ Fondo S. Silvestro, in Archivio Storico Italiano (1899), p. 336.
  19. ^ Il Longhi rinnovò completamente l'area del presbiterio, compresi coro, altare maggiore e i due laterali; nell'intradosso della lanterna cieca al centro della cupola è ancora visibile l'iscrizione che attesta l'esatta datazione dell'intervento ("Deo Beatae Mariae et confessori Eusebio an. Iu., MDC").
  20. ^ I lavori furono commissionati dal cardinal Enrico Enríquez (1701-1756).
  21. ^ Polizia moderna, giugno 2012.
  22. ^ Carlo Fea, Miscellanea filologica, critica e antiquaria, tomo I, Roma 1790, p. 167.
  23. ^ CBCR I.

Bibliografia

  • Girolamo Franzini, Le cose meravigliose dell'alma città di Roma, Roma 1588, p. 56
  • Pompeo Ugonio, Historia delle stazioni di Roma che si celebrano la Quadragesima, dove oltre le vite dei Santi, alle chiese de' quali è statione, si tratta delle origini, fondationi, riti, restaurationi, reliquie e memorie di esse chiese, antiche e maderne, Roma 1588, pp. 258-261 [1];
  • Ottavio Panciroli, Tesori nascosti dell'alma città di Roma con nuovo ordine ristampati, & in molti luoghi arrichiti, Roma 1625, pp. 307-309 [2]
  • Giovanni Antonio Bruzio (Brutius), vol. 18 (to. XVII), ff. 304‑310 (= Vat. Lat. 11886); vol. 12 (to. XI) ff. 227‑230 (= Vat. Lat. 11880); vol. 7 (to. VI) ff. 209‑217 (= Vat. Lat. 11875);
  • Fioravante Martinelli, Le magnificenze di Roma antica e moderna, Roma 1725, p. 101 [3];
  • Filippo Titi, Descrizione delle Pitture, Sculture e Architetture esposte in Roma, Roma 1763, pp. 227-228 [4];
  • Pasquale Adinolfi, Roma nell'età di mezzo, I, Roma 1881, p. 290;
  • Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Roma, Tipografia Vaticana, 1891, pp. 807-809 [5];
  • Orazio Marucchi, Basiliques et églises de Rome, Paris 1902, pp. 342-344 [6];
  • Paul Fridolin Kehr, Italia Pontificia, I, Berlino 1906, p. 38-39 [7];
  • Johann Peter Kirsch, Die Römischen Titelkirchen im Altertum (Studien zur Geschichte und Kultur des Altertums, Neunter Band., 1. und 2. Hft), Paderborn, F. Schöningh, 1918, pp. 53-54;
  • Christian Hülsen, Le chiese di Roma nel Medio Evo: cataloghi e appunti, Firenze, Leo S. Olschki, 1927, p. 253 [8]. Vedi anche [9];
  • Richard Krautheimer, Corpus Basilicarum Christianarum Romae, I, Città del Vaticano 1937, pp. 205 ss.
  • Ernesto Iezzi, La chiesa di S. Eusebio all'Esquilino: Titulus Eusebii, note storico-artistiche, Roma, Fratelli Fonticoli e Biagetti, 1977;
  • Filippo Caraffa, "S. Eusebio", in Monasticon Italiae: repertorio topo-bibliografico dei monasterii italiani. Roma e Lazio I (1981), p. 53 N. 70;
  • Sandra Vasco Rocca, Guide rionali di Roma: Rione XV, Esquilino, Roma, Palombi, 1982. ISSN 0393-2710 (WC · ACNP);
  • Margherita Cecchelli, "Note sui 'titoli' romani", in Archeologia Classica 37 (1985), p. 297;
  • Giovanni Paolo Tesei, Le Chiese di Roma, Roma 1991, pp. 536-537;
  • Ferruccio Lombardi, Roma. Chiese, conventi, chiostri: progetto per un inventario, 313-1925, Roma, Edilstampa, 1993, p. 317;
  • Giuseppe De Spirito, s.v. "S. Eusebii, titulus", in Eva Margareta Steinby (a cura di), Lexicon Topographicum Urbis Romae, Roma, Quasar, 1995, pp. 239-240. ISBN 88-7140-073-9

Voci correlate

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