Alberto di Giussano
L'Alberto di Giussano fu un incrociatore leggero, primo della sua classe della Regia Marina, battezzato in onore di Alberto da Giussano, il cavaliere che secondo la leggenda guidò la difesa del carroccio alla Battaglia di Legnano
Alberto di Giussano | |
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Descrizione generale | |
Tipo | incrociatore leggero |
Classe | Condottieri tipo Alberto di Giussano |
Costruttori | Ansaldo, Genova |
Impostazione | 29 marzo 1928 |
Varo | 27 marzo 1930 |
Entrata in servizio | 1º gennaio 1931 |
Destino finale | Affondato, 13 dicembre 1941 |
Caratteristiche generali | |
Dislocamento | 6.570 t (standard); 6.954 t (pieno carico) |
Lunghezza | 169,3 m |
Larghezza | 15,5 m |
Pescaggio | 5,3 m |
Propulsione | 6 caldaie, 2 turbine, 2 eliche 95.000 CV |
Velocità | 37 nodi (42 durante le prove km/h) |
Autonomia | 3.800 mn a 18 nodi (7.037 km a 33 km/h) |
Equipaggio | 507, di cui 19 ufficiali |
Armamento | |
Armamento | artiglieria:
Nel 1938/39 i pezzi da 37/54 furono sostituiti con pezzi da 20/65 e furono imbarcate due lanciabombe antisommergibile |
Corazzatura | Orizzontale: 20 mm; Verticale: 24 mm; Artiglierie: 23 mm; Torrione: 40 mm. |
Mezzi aerei | 2 × IMAM Ro.43 catapulte fisse a prua |
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L'unità venne impostata nel 1928 e varata il 27 aprile 1930. Come tutte le unità della sua serie della classe "Condottieri", era molto veloce ma completamente priva di corazzature e protezioni (tra i 20 e i 40mm, con alcune aree pressoché scoperte), tanto che persino i proiettili da 102 e 120 mm dei cacciatorpediniere britannici potevano perforarne lo scafo anche a distanze di tiro normali. La già scarsa corazzatura era più estesa e pesante nella protezione del torrione (dove risiedevano gli organi di controllo del tiro) che attorno ai motori, ovvero alla parte più "pregiata" ed importante della nave. Carente era anche la protezione subacquea in confronto alle unità impostate dalla Regia Marina negli anni successivi. Per questo motivo le prime serie dei "condottieri" furono detti incrociatori di carta o anche incrociatori di carta velina. Buono (per l'epoca) risultava invece l'armamento, che però allo scoppio della guerra era divenuto insufficiente nel ruolo anti aereo, visto il rapidissimo sviluppo dell'aviazione nella seconda metà degli anni '30 e negli anni '40. La pianificazione militare della Regia Marina d'anteguerra aveva preso a confronto soprattutto la marina francese (dove molte unità erano costruite tenendo conto della velocità come fattore fondamentale) e si basava sul presupposto, teoricamente corretto ma in pratica superato dai fatti, che un'elevata velocità fungeva da protezione contro i siluri e le motosiluranti e permetteva agli incrociatori di attaccare in condizioni di superiorità e fuggire in condizioni di inferiorità (anche perché sovente piccole squadre veloci della flotta austro-ungarica erano riuscite a sottrarsi agli scontri, o a bombardare le coste adriatiche prima dell'arrivo della nostra flotta, durante la prima guerra mondiale). La minaccia rappresentata dalle mine venne invece, sorprendentemente, sottovalutata, malgrado le lezioni della prima guerra mondiale in Adriatico.
Negli trenta partecipò alle normali attività in tempo di pace della flotta come unità del 2º Squadrone, inclusi servizi connessi alla guerra civile spagnola. Il 10 giugno 1940 insieme al 1º Squadrone fece parte della IV Divisione Incrociatori e partecipò in luglio alla battaglia di Punta Stilo, nel corso della quale lanciò un idrovolante per la ricognizione.
Eseguì una sortita per deporre mine al largo di Pantelleria in agosto e per il resto dell'anno agì come copertura a distanza per convogli truppe e rifornimenti diretti in nord Africa.
Il 9 dicembre 1941, al comando del capitano di vascello Giovanni Marabotto, lasciò il porto di Palermo insieme alla nave gemella Alberico da Barbiano per trasportare rifornimenti urgenti di carburante per aerei a Tripoli. Tuttavia l'ammiraglio Toscano, comandante della IV Divisione, ritenendo, dopo l'avvistamento da parte della ricognizione aerea britannica, che la sorpresa (indispensabile per la riuscita della missione) fosse ormai sfumata, ordinò il rientro.
Il 12 dicembre, tuttavia, essendoci in Libia un disperato bisogno del carburante, i due incrociatori dovettero ripartire. Vennero intercettati al largo di Capo Bon e affondati dai quattro cacciatorpediniere nemici (gli inglesi Sikh, Legion e Maori e l'olandese Hr. Ms. Isaac Sweers) della 4th Destroyer Flotilla della Royal Navy; il Di Giussano reagì sparando tre salve, ma fu poi colpito da almeno due siluri del Maori (che ne aveva lanciati sei) e da colpi d'artiglieria; alcune tubazioni scoppiarono, ustionando i macchinisti e bloccando l'elica sinistra. L'incendio si sviluppò in maniera meno rapida e violenta che sul Da Barbiano, ma la nave, immobilizzata ed in fiamme, dovette essere abbandonata e affondò, spezzandosi in due, alle 4.20 del 13 dicembre.
Morirono 283 uomini dei 720 che componevano l'equipaggio. Da una testimonianza di un marinaio a bordo risulta che dopo essere colpita la nave si incendiò subito dopo e lo sversamento del carburante estese l'incendio nella zona di mare circostante. Alcuni marinai morirono tra le fiamme altri furono dispersi in mare. La scialuppa che teneva a bordo il comandante e alcuni ufficiali prese il largo mettendosi in salvo e lasciando sul campo molti marinai che trovarono la morte in mare. [1].


Bibliografia
Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La marina fra vittoria e sconfitta 1940-1943
Note